venerdì 17 ottobre 2008

Festival Verdi a Parma: Rigoletto, debutta Nino Machaidze

Dopo aver presenziato alla prima di Rigoletto, il nostro Corriere è tornato a Parma per ascoltare la Gilda di Nino Machaidze, giovine soprano georgiano lanciatissimo nel rutilante mondo dell'opera. Fa specie che solo un anno e mezzo fa la signora fosse niente più che una delle tante allieve dell'Accademia della Scala, prescelta per rimpiazzare Desirée Rancatore nel secondo cast della Figlia del reggimento (essendo la Rancatore impegnata a tappare il buco determinato dal forfait della Dessay in primo cast), mentre oggi, reduce dal Roméo et Juliette salisburghese in cui ha rimpiazzato la Netrebko, inaugura con questo Rigoletto una stagione ricca di ruoli impegnativi in teatri prestigiosi e con almeno un'importante occasione anche discografica. Ma per farla corta... come ha cantato la Machaidze?
Non bene, purtroppo. La signora sembra consapevole del precoce stridore che caratterizza la sua voce, e onde limitarne la portata opta per un uso costante di piani e pianissimi (anzi pianini, sprovvisti come sono di un adeguato sostegno) che dovrebbero aiutarla a delineare una Gilda innocente e sognante. I limiti di un simile approccio divengono chiari appena la tessitura si fa un po' bassa (come nel primo duetto con il babbo) oppure laddove l'orchestra aumenti un minimo il volume: in questi casi la voce della Machaidze semplicemente sparisce, quasi fosse risucchiata dallo scenario. In alto le cose non vanno meglio: fin dai primi acuti compaiono frequenti stonature e slittamenti d'intonazione (vedasi la cadenza del Caro nome, mentre il mi bemolle della Vendetta, ovviamente bissata a furor di ...Leòmani, è risultato calante in entrambe le esecuzioni). La signora Machaidze sta bene in scena e dimostra anche una certa musicalità, ma la scarsa consistenza dei fiati non consente un fraseggio vario e interessante e il personaggio resta accennato, come schiacciato dalla gravosità della parte. Il punto più pesante e difficoltoso è senza ombra di dubbio il secondo atto: Tutte le feste al tempio richiede una cavata o, in alternativa, un'eloquenza che la signora non possiede. Al terzo atto, che ha visto la Machaidze stremata dal tentativo di farsi sentire al di sopra della tempestosa orchestra, sono comparsi, puntuali, gli strilli.
In due parole: la signora Machaidze né per qualità naturali né per cognizioni tecniche può collocarsi a un livello superiore a una studentessa di Conservatorio mediamente dotata. Una di quelle cui, solo pochi anni fa, agenti di seppur minimi scrupoli avrebbero consigliato un bel giro in provincia, allo scopo di "farsi le ossa". Ma in fondo, che cosa distingue più, oggi come oggi, Salisburgo da Parma, Pesaro dalla profonda provincia siberiana o il teatro del dopolavoro ferroviario dal Metropolitan di New York? Ancora e sempre... il Nome!


10 commenti:

Viulètt La monaca di Monza ha detto...

Geniale il video di "Juanita Banana" :D

Ps. volutamente, ahimè, non dico nulla sulla Machaidze...

Antonio Tamburini ha detto...

Il silenzio sia loquace? ;)

Viulètt La monaca di Monza ha detto...

Esatto :)
Altra variante del "chi tace acconsente", ovviamente appoggiante l'articolo.
Nulla a che vedere, invece, con l'altro (e più preoccupante) silenzio... quello del Loggione parmigiano.

Adolphe Nourrit ha detto...

Il "silenzio" di vari loggioni (non solo quello di Parma) non è casuale purtroppo, ma bisogna dire che negli ultimi anni si è sempre cercato da più parti di far passare l'idea che la contestazione fosse qualcosa di incivile e maleducato da evitare in tutti i modi ("piuttosto il silezio"....appunto!) e quindi di cercare di zittire il loggione e i loggionisti. Anche questo è frutto di cattiva informazione e diseducazione del pubblico che non deve protestare affinchè tutto gli possa venire propinato...in silenzio!

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Eh sì Violetta..certi "silenzi" preoccupano, anche perchè si accompagnano ad un atteggiamento che vede il "dissenziente" come una specie di alieno, capitato lì per caso al solo scopo di "guastare la festa"! Insomma, l'esempio recente di Bergamo, è eloquente in tal senso.

emanuele ha detto...

Eh già, ricordo che alla prima del Trovatore alla Scala, Riccardo Muti, udendo fischi, si era rivolto al loggione e con sufficienza, arroganza e disprezzo disse "dimostrate di essere provinciali"; una forma colta per dire che il fischio o la contestazione sono esternazioni di maleducati, turbatori di contrade ove deve solo regnare l'applauso e la gioia (cioia come direbbe l'attuale papa).

saluti a tutti.

emanuele

Giulia Grisi ha detto...

Ah! Questa non la sapevo davvero.
Quel che non capisco è perchè tante paranoie per i fischi. Non credo ci sia un solo cantante "leggendario" che almeno una contestazione non l'abbia subita: Freni, Pavarotti, Scotto, Kabaiwanska, Bergonzi....uff
Quanti cantanti contestati una volta si sono ripresentati davanti allo stesso pubblico mietendo trionfi? Basta chiedere alla Caballè nel suo rapporto eccessivo, nel bene e nel male, con la Scala....!!!


Sembra esserci una sorta di implicita convinzione che il pubblico, in realtà, non discerna o non sappia discernere da solo il buono dal cattivo e possa, in un modo o nell'altro, essere condizionato nel suo giudizio..

Si ritiene che il pubblico possa essere controllato e gestito, nel bene e nel male.

Non so....magari voi non siete dello stesso mio avviso, ma a me pare così.

Viulètt La monaca di Monza ha detto...

A quanto dicono persone "addette ai lavori", il pubblico dei loggioni parla bene o male per i seguenti motivi:
1) rapporti di non chiara natura con la tal cantante famosa/il suo agente famoso (la più gettonata)
2) estraneità alla conoscenza dello studio del canto (la scusa più cavillosa)
3) semplice ignoranza (la più usata, da inserire secondo il gusto in ogni discorso)
4) ambigue invidie dovute a chissà quali torbidi motivi (la più stizzosa)

Purtroppo, la più semplice e diretta presa di coscienza di non aver fatto "fino in fondo" il proprio dovere (eufemismo in certi casi), non è mai venuta fuori.
Come le insegnanti di oggi riportano di studenti (e genitori) sbalorditi davanti a votazioni insufficienti che vanno a ricercare nella cattiveria e pedanteria della professoressa la vera motivazione del voto, invece che nella loro stessa preparazione... così cantanti e affini, sempre di oggi, preferiscono pensare alla "cattiveria" del pubblico ignorante, piuttosto che guardare nel loro lacunoso percorso di studi. Percorso che costringerebbe a troppi "mea culpa" e a troppe fatiche nel tentativo di recuperare il recuperabile.

Giulia Grisi ha detto...

Chiudo con una battuta:

ormai pare che l'estraneità allo studio del canto sia di molti....cantanti!!

saluti

emanuele ha detto...

comunque, a me personalmente, da fastidio molto di più l'applauso costante, considerato come atto dovuto da molti, che non il fischio (ovviamente). ciò per sottolineare quanto il pubblico sia diventato sostanzialmente poco sensibile e facilmente influenzabile da circostanze esterne.

nulla di più insopportabile sentire in cosiddetti tempi della lirica o teatri considerati come il depositario di tradizioni applausi entuasiastici per prestazioni imbarazzanti. tanto più che anche la critica, a ruota, si limita a recensire il successo dello spettacolo e a precisare che tutti i cantanti sono stati bravi, dopo aver speso il 90% dello spazio a disposizione alla regia (o al direttore, se di peso).

cordiali saluti a tutti.

emanuele