Conservatorio di Milano - Sala Verdi
26 settembre 2007
Il Complesso barocco - dir. Alan Curtis
Joyce Di Donato, soprano(Alcina),
Laura Cherici, soprano (Morgana),
Sonia Prina, mezzosoprano (Bradamante),
Maite Beaumont, mezzo soprano (Ruggiero),
Kobie van Rensburg, tenore (Oronte),
Vito Priante, baritono basso (Melisso)
Siamo stati al Conservatorio ad assistere ad un’esecuzione di Alcina in forma concertistica.
L’interesse era incentrato,naturalmente, sulle due interpreti blasonate, Joyce Di Donato e Sonia Prina, dirette da Alan Curtis, direttore-filologo di fama.
Una platea di certo non esaurita, anzi, con parte del pubblico anziano che ha lasciato la sala al primo intervallo e taluni anche durante il secondo tempo. In effetti il barocco depurato dalle meraviglie, dal virtuosismo, dalla purezza dell'emissione, dalla malinconia, è poca cosa, noioso assai ( anche se, devo confessare, mi ero preparata a sentire di peggio...). Di due sole vala la pena di parlare: la Prina, che tanto successo riscuote in questo momento in Italia, e la Di Donato, per forza di carriera e di ruolo.
La Prina ha una voce piccola, decisamente indietro, nel profondo della gola, come và oggi di moda: una bella mela in bocca che toglie nobiltà all'emissione ed impedisce la benchè minima proiezione del suono nella sala. Sopravvive la Prina alla facile scena d’entrata "Sieguo Cupido, amo un bel volto.." , ma il suo canto non rapisce certo. L’ascoltatore capisce poi il perché, quando arriva il “Vorrei vendicarmi del perfido cor....”, ove tutti i limiti della cantante affiorano con evidenza nella coloratura. Compaiono i noti contorcimenti del dilettante, la voce tubata e gonfia nelle frasi spianate, piccola ed alleggeritissima in bocca durante l’esecuzione della coloratura, gli acutini sempre più piccoli in alto,......insomma, tutto il repertorio di pochezza tecnica cui siamo abituati da un bel po’ di tempo ormai nel repertorio barocco soprattutto. Si aggrappa al leggìo la Prina, si contorce inseguendo con la testa e le clavicole le note in spartito.......insomma, da pensare che una frattura alla spalla potrebbe impedirle di cantare! Come abbia potuto essere il grave Cesare se già in certi punti pareva bassa per lei questa tessitura....Dio sa. Ma và di moda, ed il pubblico applaude mentre gli spettatori come noi non possono fare a meno di pensare a come il passato incredibilmente si ripeta, ma........ ahimè, solo nelle dolenti note! Eh, già, perchè la voce della Prina evoca con forza il ricordo di quella di... Monica Sinclair, che era forse un filo più gracchiante, ma dotata di maggiore ampiezza rispetto a quella della Prina. Chissà perchè non ci chiediamo come mai, in un tempo in cui la filologia non aveva lo spazio che oggi occupa, il canto della Sinclair venisse ritenuto deprecabile da pubblico e critica, mentre oggi entrambi plaudano ad un mezzosoprano di egual caratura quale la Prina, indicandola come puro modello di stile haendeliano.........
La protagonista, Joyce Di Donato,era attesissima in questo debutto. Ha esibito una voce meno da soprano leggero rispetto alla sua prima scoppiettante apparizione scaligera in Cenerentola, decisamente più allargata al centro e nei primi acuti del mezzo ( o il centro del soprano ?...). E questo non è buon segno per il futuro.... Che sia un soprano o un mezzo importa poco. Mi importa invece che il moderno barocco ammetta emissioni non stilizzate, ove al centro largo fa da contrasto una zona alta con gli acutini, e, soprattutto, tanti e troppi sospiretti come nell'entrata "Dì cor mio" e, soprattutto, un declamare la scena di sdegno oppure un'interpretazione troppo caricata di "Ombre pallide". Alcina non ha una tragicità da Norma. Men che meno tollera emissioni veriste, perchè lì Joyce è stata verista. Il furore di Alcina non può essere cantato ghermendo e spingendo, perchè non v'è ombra di realismo in quel canto.
Lo straordinario recitativo “Ah Ruggier, crudel, tu non mi amasti!” scorre su toni che nulla han mai avuto a che vedere con l’astrattezza assoluta con cui Alcina esprime la sua rabbia, invocando gli spiriti d’Acheronte. Men che meno vi è una furia vera o reale nelle “Ombre pallide”, perchè lo smarrimento di Alcina, la paura del mondo che le sfugge, lo sgomento sono ideali, metafisiche, velate di malinconia. Malinconia e meraviglia che il canto della Di Donato non può esprimere, perchè per farlo occorre una emissione più alta, che dia maggiore e vera astrattezza a quei suoni, una incisività al canto che è figlio della proiezione e non della larghezza della voce.
Idem dicasi per il languore che manca per forza di cose ad una voce così impostata: la già citata scena d'ingresso “Dì, cor mio, quanto t’amai…” richiede una morbidezza, un legato, una completa assenza delle seppur minima forzatura che mancavano nella voce della brava americana.
L'emissione aveva il sapore dell'opera moderna, degli Octavian, o delle opere di Barber e Menotti, più che di Haendel.
Siamo inevitabilmente condizionati dall’ascolto della perfetta Alcina della Sutherland, è innegabile. E da sempre grandi vocaliste, dall’emissione stilizzatissima e ben più avvezze della Di Donato ai grandi cimenti del belcanto ( e penso ad una Cuberli che proprio in questo stesso Conservatorio, nel 1983, eseguì in forma di concerto, davant ad una sala allora stracolma di pubblico, una grandissima Rodelinda ), hanno temuto e magari anche evitato il confronto con un monumento vocale e stilistico come la Sutherland – Alcina, perché non si ritenevano all’altezza del compito. Oggi, al contrario, assistiamo a queste imprese, non dico improvvisate, perchè la Di Donato pare artista serissima, ma di certo poco maturate. Si comincia direttamente con il disco, che invece dovrebbe concludere anzichè iniziare, un percorso di avvicinamento e maturazione di un ruolo per il quale esistono delle documentazioni audio eccelse, che creano ineludibili confronti per qualunque esecutore, soprattutto se sprovvisto di tutti i mezzi esecutivi necessari. La via della grandezza, purtroppo, non coincide necessariamente con quella della carriera, come in questo caso: ci vogliono presupposti diversi perché simili operazioni non abbiano un sapore piuttosto commerciale.
Quanto alle altre donne del cast, hanno brillato ancor meno, in particolare la Cherici, con una voce completamente priva di appoggio, fissa già sui primi acuti, frequenemente calante. Si è barcamenata in qualche modo sino all'onerosissimo "Tornami a Vagheggiar..", peraltro applaudito dal pubblico, per poi dispensare una prestazione imbarazzante della scena finale, dove ha cantato con voce fissa, sempre tremendamente al di sotto della giusta intonazione, con assai poca gioia per le nostre orecchie.
La Beaumont ha cantato con una voce più piccola della Prina, magari anche più omogenea, ma comunque caratterizzata da emissioni dure e ghermite, soprattutto nei passi acrobatici, quali quelli della scena "Sta nell'Ircana pietosa tana.." per esempio. Ha tentato di eseguire con garbo ed eleganza i passi spianati, come nel celebre "Verdi prati.." ma è rimasta anche lei lontana dal canto professionale.
Taccio del tenore, mentre una menzione và al buon Melisso di Vito Priante, corretto anche se non molto facile in alto.
sabato 11 ottobre 2008
Un' Alcina senza bacchetta magica
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Vi concedo qualsiasi cosa vogliate specificare, ma Joyce Di Donato mi pare del tutto inattaccabile. E' semplicemente di un altro pianeta. Come lo era la Sutherland. E gli alieni hanno sia pregi che difetti, ma sono di un altro pianeta.
E tutto ciò, per pura intuizione.
Grazie
Filippo
Deve trattarsi di un pianeta in cui la corretta emissione non si è ancora manifestata.
Mi sembrava di aver specificato l'importanza dell'"intuizione" nella mia modestissima valutazione. Ma è ben chiaro che la via occidentale non prevede la "via umida" nel campo della percezione.
Alla fine dell'analisi, e della razionalità, ci ritroveremo nel campo della più assoluta relatività. Come lo è per certo anche la corretta emissione.
La geometria euclidea non s'addice alla voce. Meglio la fisica subatomica. Felici ascolti a tutti!
Filippo
Anche lo spartito sarà relativo, fra un po'...
Posta un commento