venerdì 31 ottobre 2008

Simone Boccanegra, "empio corsaro incoronato".

Simone Boccanegra è, nella produzione di Verdi uno strano lavoro.
Nato, ultima fra le opere del Verdi “a cabaletta” nel 1857 subì, dopo Aida e Don Carlos, ampia revisione, che l’ha fatta ritenere presagio, piuttosto consistente, di Otello.
Ossia del dramma musicale .
Possiamo esagerare dicendo che passiamo dal Verdi “a cabaletta” al dramma musicale, attraverso una sovrabbondante dose di grand-opéra?.
Credo di no per la storia compositiva dell’opera, e soprattutto per quello che Verdi pratica fra la prima e la seconda del Boccanegra. Seconda versione nella quale l’opera viene abitualmente rappresentata..
E senza essere opera popolare nel senso di una Traviata o di un Trovatore è stata sempre rappresentata nei teatri, conoscendo spesso esecuzioni esemplari come le coeve del Met (1932) Tibbett, Pinza, Martinelli, Müller (Elisabeth Rethberg nelle riprese) e della Scala (1933) Galeffi, De Angelis, Caniglia .
Opera di difficile collocazione, opera di difficile esecuzione. Naturalmente.
Ha attirato, specie negli ultimi cinquat’anni, per la parentela con il dramma musicale grandi direttori d’orchestra. Notissimi i nomi Abbado, Solti, Chailly.
Purtroppo come per tutte le opere, Wagner e Strauss compresi, il grande direttore non basta. E non può bastare per un’opera come questa , anche se il compito di direzione e concertazione è gravoso.
Il colore e clima più forte, che si percepisce nel Boccanegra è quello del grand-opéra. Le atmosfere della Genova del prologo o della Genova dell’inizio del terzo atto, le congiure, che secondo al visione ottocentesca della storia si snodano dal prologo alla fine, tradendo la verità storica per creare il componimento misto di invenzione e storia, la grande scena del palazzo degli Abati, con la lezione di storia contenuta sono tutti ingredienti tipici del grand-opéra.
Ovvero di un tipo di melodramma, assolutamente sconosciuto ed ignoto ai direttori di orchestra ed anche ai cantanti oggi in carriera.
I richiami alle vie di Parigi della strage degli Ugonotti, piuttosto che l’atmosfera delle congiure occulte nel palazzo saint Bris o del ritrovo della religione bandita nella bottega dell’orefice ebreo, le apparizioni, quasi infernali, degli anabattisti sono speculari alle immagini di questo Verdi.
Il compito essenziale del direttore del grand-opéra d’orchestra è quello di creare l’atmosfera nella quale i personaggi agiscono.
In genere è già problematico gestire cori in scena ed interni, campane, banda, orchestre interne sono di difficile gestione che sono la grammatica di base, poi arrivano sintassi ossia l’essenziale problema di creare il colore e l’atmosfera, preparare la serie di colpi di scena che in Simone sovrabbondano.
Senza sostegno contorno non avremo mai il sapore della storia che di Simone è la più autentica caratteristica.
In questo senso la direzione di Mitropoulos al Met 1960 è esemplare. Esemplare perché rende l’atmosfera delle congiure della lotta per il potere, ed anche, altra e concorrente componente, del grand-opéra, la vicenda d’amore che, poi, nel Boccanegra è anche quella dell'amore paterno, sofferto osteggiato e tormentato del doge.
La resa di Mitropoulos è superiore a quella di altri direttori perché si rende perfettamente conto delle forze in alcuni casi esauste (una cinquantacinquenne Milanov) limitate per tecnica (Guerrera e Tozzi) ovvero eccezionali (Bergonzi).
Allora in primo luogo il grande affresco storico con ben evidenziati i presagi del dopo ossia Otello, l’accompagnamento sinistro ad ogni apparizione di Fiesco sia nel prologo, che nel primo atto con Gabriele Adorno che nel finale con Simone, le esplosioni ad ogni colpo di scena (Simone che scopre Maria cadavere), la concitazione del finale primo, la misura, direi essenzialità nei rallentando e nella dinamica sfumata allorchè è in scena la Milanov (o quel che ne resta) e un’aria di Gabriele che, complice un tenore che può fare tutto o quasi a tutte le dinamiche ed a tutte le altezze è dimostrazione di che risultato possa sortire la collaborazione fra un grande direttore ed un cantante nel pieno possesso di mezzi tecnici e vocali.
Va detto che non ci sono le raffinetezze e la potenza vocale ed espressiva che, al tempo stesso, si intuiscono dagli acetati del Met 1935 ed anche 1939 ad opera di Tibbet e Pinza e per molti versi anche da Elisabeth Rethberg , neppure le esibizioni vocali assolute in Fiesco di De Angelis e di Alexander Kipnis. Non c’è neppure la difficile coesione fra palcoscenico e buca che connota tutte le edizioni di Simone successive. Ed osannate aggiungo, anzi storiche.
Spiace dirlo, ma e soprattutto con riferimento alle reiterate esecuzioni scaligere che il rapporto Mitropoulos cantanti appare esemplare, a differenza di quello di Claudio Abbado. Tozzi e Guerrara non avevano le qualità vocali di Cappuccilli e Ghiaurov, ma erano tecnicamente più ortodossi rispetto alla tradizione, non esibivano i suoni bitumosi e le difficoltà nelle note medio-alte di Cappuccili o i suoni indietro e nello stomaco, che impedivano qualsiasi possibilità di dinamica con cui Ghiaurov ha connotato il nobile genovese. Che di nobile nulla aveva e poteva avere.
Anche se, premesso che mala tempora currunt, almeno aveva la vera voce da basso qualcuno potrebbe obiettare. Però la registrazione 1935 e 1939 del Met ci ricorda per voce di Ezio Pinza che Fiesco può anche essere chiaro come basso con un vago sapore baritonale, ma assolutamente deve essere elegante, stilizzato e nobile, come consono al personaggio da grand-opéra.

Gli ascolti

Prologo

A te l'estremo addio...Il lacerato spirito - Alexander Kipnis, Ezio Pinza, Nicolai Ghiaurov

Atto I

Favella il Doge ad Amelia Grimaldi? - Mirella Freni & Piero Cappuccilli

Messeri, il Re di Tartaria - Tibbett-Rethberg/Panizza, Cappuccilli-Freni/Abbado, Bruson-Dimitrova/Guingal

Atto II

O inferno...Pieotos cielo - Carlo Bergonzi, Richard Tucker

Atto III

M'ardon le tempie - Lawrence Tibbett & Ezio Pinza, Piero Cappuccilli & Nicolai Ghiaurov

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