Il Teatro Comunale di Bologna ha inaugurato la sua stagione con Der Vampyr di Marschner, titolo desueto, che ha suscitato molta curiosità da parte dei melomani. L’opera viene indicata come una delle tappe della via che conduce il teatro musicale a Richard Wagner, meritevole di ripresa in quanto lavoro fondamentale per la storia dell’opera.
Opera gotica, vi scrivemmo poco tempo fa, epigona del genio musicale di Weber, scritta all’ombra del revival neogotico che serpeggia in terra tedesca e non solo, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, nelle forme che andavano dall’ingenuo quanto precoce Castle of Otranto di Walpole (1764), a quelle dell’estasi poetica “stuermer”di Goethe al cospetto della cattedrale di Strasburgo ( Inno Ervino) o della affascinante e spaventosa Natura dipinta da Fuessli; in quelle dell’elegante ed aristocratico neogoticismo architettonico di Karl Friederick Schinkel come in quello, più legato alla tradizione popolare tedesca, delle fiabe dei fratelli Grimm. Anche l’horror, come lo definiamo oggi, trovò in quel momento un ampio spazio nell’arte, in quanto rappresentazione estrema dello sgomento e della paura dell’uomo di fronte alle forze di una Natura anticlassica, connotata anche da lati oscuri, incontrollabili e sconosciuti, maligni. Il mondo nordico, in realtà, aveva sempre mantenuto viva questa componente antica, derivata da una mitologia ricca di creature silvane misteriose.
E Der Vampyr narra la presenza del Male ad immediato contatto con la vita normale, di ogni giorno. La storia di una piccola comunità, dove un piccolo nobile, divenuto vampiro, è condannato, per prolungare la proprie esistenza terrena, a sacrificare tre vergini succhiandone il sangue. Un piano che avrà fine grazie all’intervento dell’amante di una di queste, che gli sottrarrà la ragazza e lo condannerà alla sconfitta finale. L’azione ha luogo tra esterni ed interni, tra boschi e grotte di notte da un lato, in interni piccolo patrizi di giorno.
Andando a Bologna, con la testa infarcita di “ismi” giornalistici ( da quelli su Weber a quelli su Wagner ), pregustavamo una serata in “deutsche gotische Styl”, caratterizzata da cupe e suggestive sonorità, descrittivismi orchestrali tipo “Gola del Lupo”, una mesa in scena se non alla Sweeny Todd o alla Frankenstein, almeno di analoga suggestione. Del resto erano state la stessa locandina a volercelo suggerire, lo stesso sito web del teatro, con un bello quanto costoso ( e, in questo momento di bancarotta, direi….inutile!!!) video promozionale, dove sullo sfondo trascorrono Tom Cruise e Brad Pitt nei panni dei loro evocativi vampiri di celluloide……Hollywood style!
Abbiamo assistito, invece, ad un’opera non molto convincente o coinvolgente, diversamente dal capolavoro annunciato, afflitta in primo luogo dalla modestia del libretto modesto, oltre che da una inventiva musicale limitata, con qualche suggestione alla Weber, certo, ma anche, meno innovativamente, da qualche citazione nemmeno troppo nascosta dal Don Giovanni, e, soprattutto, allestita senza alcun “ soccorso” all’autore, sia sul piano musicale che scenico. La storia, sebbene a lieto fine per i protagonisti, non è una commediola ( sebbene librettista ed autore finiscano spesso su questo terreno ) ove si fa ironia su un Vampiro alla fine perdente; non ha nemmeno ha il carattere dell’operetta, bensì ambizioni drammatiche evidenti, ed una cifra stilistica che, seppure velleitariamente, vuole richiamare il Franco Cacciatore, o in taluni momenti vocali anche Oberon ( si vedano le due arie dei protagonisti, non esenti anche da qualche passo di coloratura). Certo che se l’autore non ce la fa da solo, ragione oggettiva dell’oblio del titolo, regista e direttore dovrebbero cercare di assecondalo e supportarlo un pochettino di più, anziché remargli contro!
Il maestro Roberto Abbado, non ce ne voglia, è stato di una monotonia eccellente. Scene come quella del primo quadro del primo atto, con il consesso dei Vampiri o quella davanti alla caverna del vampiro, quando ha luogo la ricerca la prima ragazza scomparsa, Janthe se non erro, meriterebbero un minimo di sottolineatura drammatica, una certa tensione, un po’ di mistero, la descrizione della paura…..non certo un mero accompagnamento a tempo. L’opera tende ad essere altalenante nella successione degli eventi, ma il clima da commedia domestica è parso prevalente su quello dell’opera gotica. Come su tutti gli annunciati weberismi e preludi a Wagner che, francamente, non abbiamo colto quasi per nulla. Anche le parti corali avrebbero meritato altra accuratezza, la ricerca di certe atmosfere, soprattutto quelli notturni. Non parlo poi del colore dell’orchestra, che non ha suonato come sa fare, ma che, soprattutto, non aveva un colore da opera tedesca. Tutto ciò ha gravato tantissimo nel ridare vita ad un‘opera che fonda la propria ragion d’essere principalmente sull’orchestrazione e sul ruolo affidato al coronella costruzione di climi ed atmosfere.
La mise en scene, poi, non ha giustificazioni nei limiti del budget, quando l’azione si svolge su una moquette verde cicala, con il solito tondo centrale con annessa siepe, chiaramente di plastica verde smeraldo, sulla quale il nostro vampiro prima si rotola in preda a strane foie poco vampiresche, e poi vi saltella e danza in quella che ci è parsa piuttosto la parodia del Vampiro tipo……. i vari Frankenstein jr di Mel Brooks et consimilia.
Le scene di interno, illuminate en plein air ( ieri le luci erano di due tipi, ON e OFF…semplicemente ), con arredi interni atemporali e di disegno tremendamente dozzinale ( le porte laccate bianche lucide erano davvero spaventose !!! ), restituivano un clima da….operetta. Una cosa adatta ad un Cappello di Paglia di Firenze piuttosto che ad un dramma tedesco gotico….anzi, il maestro Pizzi il Cappello di Paglia lo trattò con ben altro gusto!Come i signori e le signore del coro, costretti a ballare meccanicamente, in un clima surreale che non portava a nulla che fosse consono con Marschner, con il suo Vampyr, ma nemmeno con le locandine predisposte dal teatro. Peccato! Peccato davvero.
Quanto ai cantanti, diciamo che la nota veramente positiva e convincente è stato l’Edgar Aubry di John Osborn. Sebbene il ruolo sia molto centrale e spianato ( salvo un paio di passi in chiusa alla sua grande scena ), poco adatto alla sua vocalità, ha cantato con professionismo, sicurezza e bella presenza. Una grande ovazione, la sola della serata, ha salutato la sua aria. Forse non ha potuto sviluppare appieno il suo volume di voce a causa della tessitura troppo bassa, ma ha esibito una grande sicurezza e facilità anche nel canto drammatico, oltre che in quello amoroso. Speriamo che lasci perdere simili ruoli, che rendono poco mentre molto danneggiano voci estese come la sua. Però, davvero bravo. Il solo che valesse il viaggio fino a Bologna.
Le signore, tutte voci di soprano leggero, sono risultate tutte, la Remigio e la Bisceglie soprattutto, afflitte dal difetto della mancanza di appoggio della voce nella zona acuta. I suoni flautati e pseudo fissi non si sono contati tanti erano ed hanno caratterizzato le loro prove in maniera evidentissima. Carmela Remigio, poi, che molto ama i ruoli tragici, non si è astenuta anche da svariati suonacci gridati in alto nei momenti drammatici della parte di Malwina, ed forse per questo il pubblico non l’ha premiata in misura equivalente al suo compagno di avventura.
Detlef Roth, protagonista del Vampiro – Lord Rutven, canta come và di moda oggi. Timbro da tenore mancato, voce sonora solo in apertura d’opera, ben posizionata in gola, acuti indietro e belli sporchi, con numerosi falsetti sparsi durante tutta la sera. Ha ben recitato il personaggio ed è stato abbastanza applaudito. Corretti gli altri interpreti, a cominciare dal sir Humprey di Harry Peeters. Sole eccezioni la Suse inquietante di Monica Minarelli ed il George Dibdin di Paolo Cauteruccio, che grida davvero troppo.
Quanto alle manifestazioni sindacali dei lavoratori del Comunale di Bologna, non sono certo sfuggite a questo blog, che si ripromette di parlarne a breve in un post apposito.
Opera gotica, vi scrivemmo poco tempo fa, epigona del genio musicale di Weber, scritta all’ombra del revival neogotico che serpeggia in terra tedesca e non solo, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, nelle forme che andavano dall’ingenuo quanto precoce Castle of Otranto di Walpole (1764), a quelle dell’estasi poetica “stuermer”di Goethe al cospetto della cattedrale di Strasburgo ( Inno Ervino) o della affascinante e spaventosa Natura dipinta da Fuessli; in quelle dell’elegante ed aristocratico neogoticismo architettonico di Karl Friederick Schinkel come in quello, più legato alla tradizione popolare tedesca, delle fiabe dei fratelli Grimm. Anche l’horror, come lo definiamo oggi, trovò in quel momento un ampio spazio nell’arte, in quanto rappresentazione estrema dello sgomento e della paura dell’uomo di fronte alle forze di una Natura anticlassica, connotata anche da lati oscuri, incontrollabili e sconosciuti, maligni. Il mondo nordico, in realtà, aveva sempre mantenuto viva questa componente antica, derivata da una mitologia ricca di creature silvane misteriose.
E Der Vampyr narra la presenza del Male ad immediato contatto con la vita normale, di ogni giorno. La storia di una piccola comunità, dove un piccolo nobile, divenuto vampiro, è condannato, per prolungare la proprie esistenza terrena, a sacrificare tre vergini succhiandone il sangue. Un piano che avrà fine grazie all’intervento dell’amante di una di queste, che gli sottrarrà la ragazza e lo condannerà alla sconfitta finale. L’azione ha luogo tra esterni ed interni, tra boschi e grotte di notte da un lato, in interni piccolo patrizi di giorno.
Andando a Bologna, con la testa infarcita di “ismi” giornalistici ( da quelli su Weber a quelli su Wagner ), pregustavamo una serata in “deutsche gotische Styl”, caratterizzata da cupe e suggestive sonorità, descrittivismi orchestrali tipo “Gola del Lupo”, una mesa in scena se non alla Sweeny Todd o alla Frankenstein, almeno di analoga suggestione. Del resto erano state la stessa locandina a volercelo suggerire, lo stesso sito web del teatro, con un bello quanto costoso ( e, in questo momento di bancarotta, direi….inutile!!!) video promozionale, dove sullo sfondo trascorrono Tom Cruise e Brad Pitt nei panni dei loro evocativi vampiri di celluloide……Hollywood style!
Abbiamo assistito, invece, ad un’opera non molto convincente o coinvolgente, diversamente dal capolavoro annunciato, afflitta in primo luogo dalla modestia del libretto modesto, oltre che da una inventiva musicale limitata, con qualche suggestione alla Weber, certo, ma anche, meno innovativamente, da qualche citazione nemmeno troppo nascosta dal Don Giovanni, e, soprattutto, allestita senza alcun “ soccorso” all’autore, sia sul piano musicale che scenico. La storia, sebbene a lieto fine per i protagonisti, non è una commediola ( sebbene librettista ed autore finiscano spesso su questo terreno ) ove si fa ironia su un Vampiro alla fine perdente; non ha nemmeno ha il carattere dell’operetta, bensì ambizioni drammatiche evidenti, ed una cifra stilistica che, seppure velleitariamente, vuole richiamare il Franco Cacciatore, o in taluni momenti vocali anche Oberon ( si vedano le due arie dei protagonisti, non esenti anche da qualche passo di coloratura). Certo che se l’autore non ce la fa da solo, ragione oggettiva dell’oblio del titolo, regista e direttore dovrebbero cercare di assecondalo e supportarlo un pochettino di più, anziché remargli contro!
Il maestro Roberto Abbado, non ce ne voglia, è stato di una monotonia eccellente. Scene come quella del primo quadro del primo atto, con il consesso dei Vampiri o quella davanti alla caverna del vampiro, quando ha luogo la ricerca la prima ragazza scomparsa, Janthe se non erro, meriterebbero un minimo di sottolineatura drammatica, una certa tensione, un po’ di mistero, la descrizione della paura…..non certo un mero accompagnamento a tempo. L’opera tende ad essere altalenante nella successione degli eventi, ma il clima da commedia domestica è parso prevalente su quello dell’opera gotica. Come su tutti gli annunciati weberismi e preludi a Wagner che, francamente, non abbiamo colto quasi per nulla. Anche le parti corali avrebbero meritato altra accuratezza, la ricerca di certe atmosfere, soprattutto quelli notturni. Non parlo poi del colore dell’orchestra, che non ha suonato come sa fare, ma che, soprattutto, non aveva un colore da opera tedesca. Tutto ciò ha gravato tantissimo nel ridare vita ad un‘opera che fonda la propria ragion d’essere principalmente sull’orchestrazione e sul ruolo affidato al coronella costruzione di climi ed atmosfere.
La mise en scene, poi, non ha giustificazioni nei limiti del budget, quando l’azione si svolge su una moquette verde cicala, con il solito tondo centrale con annessa siepe, chiaramente di plastica verde smeraldo, sulla quale il nostro vampiro prima si rotola in preda a strane foie poco vampiresche, e poi vi saltella e danza in quella che ci è parsa piuttosto la parodia del Vampiro tipo……. i vari Frankenstein jr di Mel Brooks et consimilia.
Le scene di interno, illuminate en plein air ( ieri le luci erano di due tipi, ON e OFF…semplicemente ), con arredi interni atemporali e di disegno tremendamente dozzinale ( le porte laccate bianche lucide erano davvero spaventose !!! ), restituivano un clima da….operetta. Una cosa adatta ad un Cappello di Paglia di Firenze piuttosto che ad un dramma tedesco gotico….anzi, il maestro Pizzi il Cappello di Paglia lo trattò con ben altro gusto!Come i signori e le signore del coro, costretti a ballare meccanicamente, in un clima surreale che non portava a nulla che fosse consono con Marschner, con il suo Vampyr, ma nemmeno con le locandine predisposte dal teatro. Peccato! Peccato davvero.
Quanto ai cantanti, diciamo che la nota veramente positiva e convincente è stato l’Edgar Aubry di John Osborn. Sebbene il ruolo sia molto centrale e spianato ( salvo un paio di passi in chiusa alla sua grande scena ), poco adatto alla sua vocalità, ha cantato con professionismo, sicurezza e bella presenza. Una grande ovazione, la sola della serata, ha salutato la sua aria. Forse non ha potuto sviluppare appieno il suo volume di voce a causa della tessitura troppo bassa, ma ha esibito una grande sicurezza e facilità anche nel canto drammatico, oltre che in quello amoroso. Speriamo che lasci perdere simili ruoli, che rendono poco mentre molto danneggiano voci estese come la sua. Però, davvero bravo. Il solo che valesse il viaggio fino a Bologna.
Le signore, tutte voci di soprano leggero, sono risultate tutte, la Remigio e la Bisceglie soprattutto, afflitte dal difetto della mancanza di appoggio della voce nella zona acuta. I suoni flautati e pseudo fissi non si sono contati tanti erano ed hanno caratterizzato le loro prove in maniera evidentissima. Carmela Remigio, poi, che molto ama i ruoli tragici, non si è astenuta anche da svariati suonacci gridati in alto nei momenti drammatici della parte di Malwina, ed forse per questo il pubblico non l’ha premiata in misura equivalente al suo compagno di avventura.
Detlef Roth, protagonista del Vampiro – Lord Rutven, canta come và di moda oggi. Timbro da tenore mancato, voce sonora solo in apertura d’opera, ben posizionata in gola, acuti indietro e belli sporchi, con numerosi falsetti sparsi durante tutta la sera. Ha ben recitato il personaggio ed è stato abbastanza applaudito. Corretti gli altri interpreti, a cominciare dal sir Humprey di Harry Peeters. Sole eccezioni la Suse inquietante di Monica Minarelli ed il George Dibdin di Paolo Cauteruccio, che grida davvero troppo.
Quanto alle manifestazioni sindacali dei lavoratori del Comunale di Bologna, non sono certo sfuggite a questo blog, che si ripromette di parlarne a breve in un post apposito.
2 commenti:
Forse hanno preso spunto da:
"Per favore, non mordermi sul collo" di Polanski :D
non ho visto lo spettacolo. e non ci tengo, confesso. Mi meraviglia che un uomo di teatro come pizzi che, allestendo barocco e Rossini ha saccheggiato con grande intelligenza pittura, architettura e scultura dalla fine del '400 all'800 non sappia trovare ispirazioni più alte e storicamente congruenti.
vero che talvolta non vale l'adagio Cato, senex, edocuit linguam Greacam
Posta un commento