Era l’aprile del 1929, il nero ’29 in cui Wall Street sarebbe crollata di lì a sei mesi, quando il Teatro alla Scala di Milano, sotto la bacchetta di Arturo Toscanini, allestì per sei sere una produzione leggendaria di Aida, con Aureliano Pertile e Francesco Merli, Carlo Galeffi, Elvira Casazza e Albertina dal Monte, protagoniste principali due Aide fondamentali nella storia del canto, Giannina Arangi Lombardi ed Elisabeth Rethberg.
Due protagoniste opposte e simili al tempo stesso, una voce calda e completamente mediterranea la prima, chiarissima e scintillante la seconda.
Non fu dunque Giacomo Lauri Volpi l’ideatore del noto parallelo dialettico sulle due voci e le due interpreti, ma Toscanini. Musiciste di grande qualità entrambe, entrambe amate dalle bacchette per la loro infallibilità davanti al pentagramma, per la purezza e la perfezione assoluta dell’emissione in ogni zona della voce, capaci di amministrare e restituire alla perfezione qualunque effetto richiesto dai direttori. Eguali e diverse, dicevamo. Eguali nella saldezza tecnica, nella compostezza del canto, sempre aulico e distaccato, nella concezione “belcantista” della vocalità verdiana, dove mai un suono o una frase o un accento o un effetto eccede la misura o l’equilibrio o trasmette un coinvolgimento che non sia completamente astratto e depurato da ogni screziatura di realismo.
Diverse perché caratterizzate l’Arangi Lombardi da una congenita malinconia del timbro, da una linea di canto lirica e dolente, la Rethberg da un distacco sommo, austero sino al gelo, tanto che gli effetti espressivi paiono più descritti, mera rappresentazione metaforica, che espressione diretta e spontanea.
Le documentazioni discografiche che entrambe ci hanno lasciato di questo ruolo consistono, per l’italiana, in una esecuzione integrale dell’opera del 1928, sotto la bacchetta di C. Sabajno, oltre alla precedente incisione del 1926 dei due duetti con Radames assieme a F. Merli e all’aria del 3 atto del 1927; per la tedesca, invece, manca l’integrale del ruolo, in particolare i duetti con Amneris e Radames al IV atto. Esistono due incisioni doppie, del 1924 e del 1926 delle due arie, un’incisione famosissima dell’atto terzo in compagnia di Giacomo Lauri Volpi e Giuseppe De Luca proprio nel 1929, anno della performance scaligera, nonché un prezioso live londinese del 1936 del concertato atto II. Una discografia che gli amanti dei 78 gg ben conoscono e posseggono.
C’è n’è comunque quanto basta per misurare i due soprani nelle loro capacità vocali e espressive, oltre che per impiantare perfidi confronti, secondo il nostro costume, con Aide più moderne, note e magari blasonate, anche a dispetto dell’handicap evidente dato dai mezzi arcaici di incisione con cui le loro voci straordinarie ed immense vennero riprese.
Queste cantanti affascinano per la loro capacità assoluta di dominare il ruolo in sourplesse, senza sforzo o accidente alcuno, ma soltanto il parallelo con qualche voce di timbro o peso specifico noto, modernamente inciso, ci chiarisce meglio di quale potenza, ampiezza e ricchezza di armonici si trattasse nei casi dell’Arangi Lombardi e della Rethberg. E quale monumentalità ed aulicità di accento si debbano possedere per cantare questo ruolo come era nell’intento di Verdi, con buona pace di tutte le storielle e barzellette scritte negli ultimi decenni per giustificare gli approcci al ruolo da parte voci sane e belle, ma meramente liriche, giuste per Mimì e non per Aida. Garante della verdianità della loro esecuzione, Arturo Toscanini, il grande dittatore delle scelte dei cast scaligeri del tempo, che le volle con sé nel ’29. E più di questo non so che prova documentaria si possa pretendere per asserire che Aida non è un semplice soprano lirico che annega l’accento negli innumerevoli p e pp scritti da Verdi, come l’Arangi Lombardi, somma esecutrice nonchè dispensatrice di proprie personali aggiunte in fatto di forcelle, documenta. Saggia quella moderna e straordinaria Mimì che si limitò ad assecondare le idee di Karajan in rare produzioni a fronte delle tantissime richieste provenienti dai teatri di tutto il mondo; corruttrice profonda dell’idea del ruolo, invece, quel grande soprano che trasformò Aida in una seduttrice fascinosa tutta pianissimi, perché di pianissimi ne occorrono ad Aida, ma non certo i suoi, troppo elegiaci seppure di timbro straordinario.
Già, perché a cantarlo come è scritto, il ruolo impone al soprano una continua messe di sfumature, messe di voce e smorzature, legature ampie ed impegnative, capacità di attaccare con assoluta perfezione note acute scritte scoperte, la nat - si bem oltre che il terribile do “dolce” dei “Cieli azzuzzi” ( …che pare non comparire ogni sera nello spartito usato dall’ultima recente protagonista dell’Aida scaligera ….ndr ), per non parlare delle frasi basse, i frequenti re sotto il pentagramma, alcuni da eseguire “con la più viva espansione”, come prescrive Verdi, per non parlare dell’ampiezza necessaria per dominare certi momenti concitati e di orchestrale denso, come nel duetto con Amonasro o gli assiemi del II atto, ove Aida deve svettare su tutti. Anche fuggire dalle mura di Menfi e Tebe non è affare da soprano lirico, ma qualcosa di ben più consistente, così come dominare lo spessore orchestrale del recitativo e dell’aria del primo atto.
Con l’Arangi Lombardi e la Rethberg il suono resta sempre puro, mai un’inelegante discesa di petto, piuttosto qualche abile misto; non si sforza la voce in alto ma si sale con facilità all’acuto; le note mai ghermite, comprese quelle scoperte, solo un po’ schiacciato il do dei “Cieli Azzurri “dell’incisione Brunswick del ‘24 della Rethberg, molto meglio nel ’27, mentre stratosferico il prodigio vocale in pianissimo dell’incisione del ‘28 dell’Arangi Lombardi. Voi direte che siamo partigiani, disposti a giustificare un 78 gg piuttosto che una registrazione presente, ma che la qualità della presa in studio degli acuti della Rethberg fosse difficoltosa e non renda l’idea della purezza, della penetrazione e della dimensione della voce lo provano non tanto le cronache del tempo piuttosto che il ritratto nitido che ne fece Lauri Volpi, quanto l’audio live del ’36, che ben chiarisce anche i rapporti di forza che si instauravano sul palcoscenico tra la sua voce e quella dei colleghi: tutti finiscono in secondo piano al momento dei do e dei do bem sul coro, atletici ed immensi! La dolce Lillibeth, come la chiamava Richard Strauss, avrà anche vissuto il complesso del frigorifero sulla scena di fronte ai ben più espressivi colleghi, ma aveva dalla sua una linea di canto aristocratica, elegantissima e nobile, di inumana perfezione. Rispetto all’Arangi Lombardi scende forse un filo meglio nei gravi, come al recitativo dell’aria al III atto, con le vocali chiare e sonore un po’ alla Stignani, mentre non ama molto gli attacchi in pianissimo degli acuti estremi. Ma come l’italiana non si scalda per nulla, ad esempio, nelle frasi da cantare “ con trasporto ” del duetto con Amonasro “Rivedrò le foreste imbalsamate..” oppure quelle di grande tasso tragico “ che mi consigli tu?…no…no….giammai…”; si rifugia nella scansione chiara ed aulica nei recitativi, che sono sempre molto distaccati ed austeri, conferendo al personaggio un’aulicità giustamente proporzionata al peso vocale del ruolo; e ricorre all’artificio della grande virtuosa, regina della tecnica, quando seduce Radames “ Là tra foreste vergini…” con pianissimi tanto puri da essere seduzione….vocale! Le doppie incisioni delle arie poco si discostano tra loro, dato che la cantante fu di grande costanza ed uniformità di rendimento, anche in teatro ( Aida al Met dal ’22 al ’42 !!). Quella dell’atto I è incisa con la sezione centrale monca, come di frequente nei dischi dell’epoca, da ” I sacri nomi di padre ” sino a “Amor fatale tremendo..”escluso. Di questa colpiscono i pp finali, dolci e dolentissimi, e la facilità a trovare ampiezza nel canto nella prima sezione. Forse più sfumata l’incisione del 1927 rispetto alla precedente. Nell’aria del III atto, poi, esegue con più colori l’incisione del ’27, dove ancora il canto “dolce” espressamente richiesto da Verdi è risolto con dei piani bellissimi, presenti sin dal recitativo di ingresso.
L’Arangi Lombardi suona e commuove, a dispetto dei suoi detrattori, che la additavano come gelida ed inespressiva. Fa di Aida un capolavoro di canto, che impressiona per la puntuale e perfetta esecuzione di ogni segno di espressione, ogni forcella, ogni legatura, ogni indicazione prescritta da Verdi. Anzi, non contenta delle innumerevoli difficoltà previste in spartito, tutte risolte con una facilità disarmante, ne aggiunge delle sue personalissime, dal celebre do dei “Cieli azzurri “ attaccato legato, alla smorzatura sul si bem di “.. tempio istesso..” al duetto con Radames atto III, o le smorzature perfette di “Oh terra addio” al IV atto ( si bem…).La sua Aida è struggente per ragioni timbriche, come detto, intrisa di malinconia e tristezza, che furono sue peculiarità del timbro e del canto.
I “Cieli azzurri” ed il finale atto IV sono forse il suo capolavoro espressivo, perché momenti drammatici pienamente coincidenti con i suoi mezzi espressivi. Nell’aria tutto ha pieno valore drammaturgico, dal “lungo silenzio” alle forcelle, al “morendo” scritti da Verdi. Impressionano l’esecuzione delle legature che costellano il brano, come la messa di voce sul fa puntato di “Oh patria mia…” e l’esecuzione dei “dolcissimo” in piano. Quanto al duetto finale, smorzature a parte, dispensa persino degli staccati facili e brillanti nel “..di morte l’angelo…”, ossia laddove le voci importanti solitamente inciampano e cempennano; idem dicasi per l’esecuzione perfetta dei si bem scoperti.
Come la Rethberg, anche l’Arangi Lombardi pratica il canto aulico, distaccato e poco partecipe nei momenti concitati come nei recitativi. Non si scalda, né abbassa mai il suo fraseggio con passaggi plebei o sopra le righe. Nell’aria del I atto, da “ I sacri nomi del padre…”, in particolare da “…ma la mia prece….” ne è un esempio chiarissimo, come l’attacco morbidissimo sul la bem di “ Vive! “ al successivo duetto con Amneris, oppure il do tenuto in ff di “…..quest’amor nella tomba….” alla stretta finale. Men che meno si scompone al duetto con il padre, laddove tutte le Aide son solite gridare, “….pietà pietà…padre pietà…”. Un monumento!
Non sono d’accordo con chi ritiene che questa straordinaria esecuzione costituisca il precedente delle moderne Aide, intese come letture liriche, struggenti e poco matronali del personaggio. L’Arangi Lombardi non è l’antesignana di Montserrat Caballè in forza di un peso vocale e di un registro basso che, sebbene non perfettamente risolto, sono di ben altra…..magnitudo ponderis. E di questa evidente differenza di ampiezza e peso non può non risentirne il fraseggio, che è altro e diverso nei modi e nei risultati espressivi, da quello delle moderne Aide liriche. Claudia Muzio, Giannina Russ e, a quanto testimoniato, Adelina Patti, tanto per esemplificare, non cantavano diversamente dall’Arangi Lombardi nella completezza della loro tecnica di canto, di tradizione italiana e belcantista. I piani ed i pianissimi, come l’emissione pura e cristallina, sono diventati molto dopo appannaggio di poche cantanti, ma nel mondo dei 78 gg erano prerogative di molte.
La liricizzazione di Aida, per altro, non pare essere stata invenzione della Caballè o delle sue coetanee, ma era già in atto dagli anni ’50, perlomeno stando al noto aneddoto napoletano, protagoniste una delle Amenris delle due dive di cui oggi abbiamo parlato, Ebe Stignani, e Renata Tebaldi. Ragazzina da subito catapultata tra le star, la Stignani aveva formato la sua idea di Aida al cospetto di soprani come l’Arangi Lombardi e la Rethberg appunto. In occasione dell’Aida del ’53 in quel di Napoli, pare che la Stignani avesse candidamente manifestato alla Tebaldi la propria convinzione che la sua, quella della Tebaldi !!, non fosse una vera voce da Verdi. E ben se ne capiscono le ragioni, date le Aide da cui era stata svezzata ad inizio carriera….
A sostegno di quanto affermo circa la Caballè, vi allego per il confronto, un passo della celebrata Aida scaligera del ‘76, in particolare i “Cieli Azzurri”, momento di lieve tasso tragico rispetto la resto dell’opera. Vi invito ad ascoltare la Caballè per ultima, dopo le nostre due beniamine, e a sottoporvi all’effetto…”mignon “ del pezzo e della bellissima voce della diva spagnola, con particolare attenzione anche alla penuria della voce in zona grave.
Buon ascolto.
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto I
Ritorna vincitor - Elisabeth Rethberg (1927), Giannina Arangi-Lombardi (1928)
Atto II
Fu la sorte dell'armi - Giannina Arangi-Lombardi & Maria Capuana (1928)
Salvator della patria...Ma tu Re, tu signore possente - Elisabeth Rethberg, Giacomo Lauri-Volpi, Gertrud Wettergren, Alexander de Sved, Ezio Pinza - Vincenzo Bellezza (1936)
Atto III
Qui Radames verrà...O patria mia - Elisabeth Rethberg (1927), Giannina Arangi-Lombardi (1928), Montserrat Caballè (1976)
Ciel! Mio padre! - Giannina Arangi-Lombardi & Armando Borgioli (1928), Elisabeth Rethberg & Giuseppe De Luca (1929)
Pur ti riveggo mia dolce Aida - Giannina Arangi-Lombardi & Francesco Merli (1926), Elisabeth Rethberg, Giacomo Lauri-Volpi & Giuseppe De Luca (1929)
Atto IV
La fatal pietra...O terra addio - Giannina Arangi-Lombardi & Francesco Merli (1926)
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