Frase volutamente ambigua il titolo di queste piccole riflessioni di chi conta niente, sconsolato dopo la lettura di alcune recensioni sulla recente Lucia veneziana.Spettacolo salutato da uno spontaneo e crescente consenso di pubblico ad onta di talune critiche.
“Udite udite o critici”, e versiamo nella sfera della polemica, cari signori critici, che titolati o meno riempite le pagine dei maggiori quotidiani italiani, esprime lo stupito dubbio circa la vostra preparazione, quanto meno a giudicare di tecnica e di voci, che dell’opera sono lo scheletro insostituibile.
Perché criteri di obbiettività vogliono che spesi i peana per queste esecuzioni
il vocabolario dei superlativi e degli accrescitivi sia irrimediabilmente povero per quest’altra.
A maggior ragione se la vostra idea è quella di privilegiare ed osannare le prime due esecuzioni è indispensabile una completa, totale revisione di secoli di didattica del canto e di esecuzione. Processo, per altro, in corso d'opera a ministero di cantanti improvvisati ed improvvidi e di critici di loro identico germe.
E’ solo un gioco di oggettive proporzioni.
E non mi pare sia il caso di tirar fuori l’usato armamentario dei vociomani per comprendere le ragioni di uno spontaneo successo, vieppiù accresciuto di serata in serata. Basta ascoltare, anzi saper ascoltare, e ricordare a se medesimi l’insegnamento dell’opulenta, in ogni senso, signora Anita Cerquetti.
Può anche darsi che il folto e plaudente pubblico accorso spontaneamente nella città lagunare sulla base del tam tam degli appassionati ( che già programmano gite adriatiche ed orobiche ) sbagli, ed allora la pagina critica deve proporre un equilibrio fra censure alla regia e censure agli esecutori diverso da quello che, da anni, proponete dalle colonne di quotidiani cartacei ed online. Perché comunque di melodramma si parla come, custode di una tradizione secolare, rammenta dal video, una oracolare Anita Cerquetti.
Obbietterete: tutto ciò puzza di antico, non è moderno, come non è più moderno ed attuale cantare in maschera. Spiacenti, l’opera è antica, l’opera è, per mezzo degli interpreti, un viaggio nella cultura del tempo che quel titolo melodrammatico abbia prodotto.
“Udite, udite o critici “ può anche assumere un ulteriore significato, ovvero provate ad ascoltare con il pensiero del pubblico, che talvolta altri condizionamenti non sente che la propria cultura, la propria sensibilità, la propria mozione degli affetti. E che sopratutto sembra non sentire più la vostra voce, il vostro monito scegliendo secondo altri e più sicuri criteri, che si inspirano da tempi lontani.
In Campo San Fantin sabato 28, come l’antecedente domenica 22, si respirava aria di altri tempi, ad onta di alcune sentenze critiche, già pubblicate, già censurate, talvolta sbeffeggiate, e comunque non tenute in conto alcuno. Era, per chi non ha la nostra età, il clima di quei tempi in cui si accorreva nei teatri importanti come in quelli di provincia ad ascoltare “una bella cosa”: il verismo della Magda, i Puritani o il Werther di Kraus, il Tancredi o l’Orlando della Horne, le regine della Leyla, le Tosche o le Butterfly della Raina, il Donizetti di Bruson, le Traviate e le Aide della Chiara, le pirotecnie di Blake o il Romeo della Dupuy. Allora, come adesso, la critica storceva il naso ed il pubblico della critina se ne ....
I più anziani e già trapassati, magari, fans dell’Olivero ricordano il paragone “cipolle e caviale” di cui fu fatto oggetto quel capolavoro vocale ed interpretativo della Francesca da Rimini scaligera; più recenti, ciascun rossiniano ha dovuto assistere ai peana pro soprano nazional popolare, che ha maltrattato una cospicua serie di eroine tragiche rossiniane; e che dire dell’aggettivo “provinciale”, fedele compagno delle esecuzioni di una Kabaivanska, di una Dimitrova e di una Chiara?
Eppure, ogni recita, le pomeridiane della domenica in particolare, erano rumorosi ed affettuosi tributi all’arte del canto, del fraseggio, dell’essere interpreti.
Adesso più di allora, però, il pubblico percepisce la lontananza di queste pagine critiche dalla realtà, percepisce che difficilmente possono nascere da seri ed onesti riflessione e studio, da competente educazione all’ascolto. Cresce il dubbio nel pubblico che la fine dell’opera possa anche risiedere in chi non voglia o non possa (in difetto, opera sempre la presunzione di buona fede ed innocenza) sentire e segua altri criteri che conil "sentire" non hanno comunanza. In fondo, poco importa: all’opera si può sempre andare senza leggere la critica e si può sempre sperare che qualche direttore artistico ragioni secondo tradizione e secondo indipendenza. Anche se questa critica, purtroppo,continua a scrivere.
Nessuno di questo blog fa e farà mai di mestiere il critico, ed il giorno che dovesse farlo DEVE abbandonare il blog.
Gli ascolti
Massenet - Manon
Atto III
Toi! Vous! - Alfredo Kraus & Maria Chiara (1973)
“Udite udite o critici”, e versiamo nella sfera della polemica, cari signori critici, che titolati o meno riempite le pagine dei maggiori quotidiani italiani, esprime lo stupito dubbio circa la vostra preparazione, quanto meno a giudicare di tecnica e di voci, che dell’opera sono lo scheletro insostituibile.
Perché criteri di obbiettività vogliono che spesi i peana per queste esecuzioni
il vocabolario dei superlativi e degli accrescitivi sia irrimediabilmente povero per quest’altra.
A maggior ragione se la vostra idea è quella di privilegiare ed osannare le prime due esecuzioni è indispensabile una completa, totale revisione di secoli di didattica del canto e di esecuzione. Processo, per altro, in corso d'opera a ministero di cantanti improvvisati ed improvvidi e di critici di loro identico germe.
E’ solo un gioco di oggettive proporzioni.
E non mi pare sia il caso di tirar fuori l’usato armamentario dei vociomani per comprendere le ragioni di uno spontaneo successo, vieppiù accresciuto di serata in serata. Basta ascoltare, anzi saper ascoltare, e ricordare a se medesimi l’insegnamento dell’opulenta, in ogni senso, signora Anita Cerquetti.
Può anche darsi che il folto e plaudente pubblico accorso spontaneamente nella città lagunare sulla base del tam tam degli appassionati ( che già programmano gite adriatiche ed orobiche ) sbagli, ed allora la pagina critica deve proporre un equilibrio fra censure alla regia e censure agli esecutori diverso da quello che, da anni, proponete dalle colonne di quotidiani cartacei ed online. Perché comunque di melodramma si parla come, custode di una tradizione secolare, rammenta dal video, una oracolare Anita Cerquetti.
Obbietterete: tutto ciò puzza di antico, non è moderno, come non è più moderno ed attuale cantare in maschera. Spiacenti, l’opera è antica, l’opera è, per mezzo degli interpreti, un viaggio nella cultura del tempo che quel titolo melodrammatico abbia prodotto.
“Udite, udite o critici “ può anche assumere un ulteriore significato, ovvero provate ad ascoltare con il pensiero del pubblico, che talvolta altri condizionamenti non sente che la propria cultura, la propria sensibilità, la propria mozione degli affetti. E che sopratutto sembra non sentire più la vostra voce, il vostro monito scegliendo secondo altri e più sicuri criteri, che si inspirano da tempi lontani.
In Campo San Fantin sabato 28, come l’antecedente domenica 22, si respirava aria di altri tempi, ad onta di alcune sentenze critiche, già pubblicate, già censurate, talvolta sbeffeggiate, e comunque non tenute in conto alcuno. Era, per chi non ha la nostra età, il clima di quei tempi in cui si accorreva nei teatri importanti come in quelli di provincia ad ascoltare “una bella cosa”: il verismo della Magda, i Puritani o il Werther di Kraus, il Tancredi o l’Orlando della Horne, le regine della Leyla, le Tosche o le Butterfly della Raina, il Donizetti di Bruson, le Traviate e le Aide della Chiara, le pirotecnie di Blake o il Romeo della Dupuy. Allora, come adesso, la critica storceva il naso ed il pubblico della critina se ne ....
I più anziani e già trapassati, magari, fans dell’Olivero ricordano il paragone “cipolle e caviale” di cui fu fatto oggetto quel capolavoro vocale ed interpretativo della Francesca da Rimini scaligera; più recenti, ciascun rossiniano ha dovuto assistere ai peana pro soprano nazional popolare, che ha maltrattato una cospicua serie di eroine tragiche rossiniane; e che dire dell’aggettivo “provinciale”, fedele compagno delle esecuzioni di una Kabaivanska, di una Dimitrova e di una Chiara?
Eppure, ogni recita, le pomeridiane della domenica in particolare, erano rumorosi ed affettuosi tributi all’arte del canto, del fraseggio, dell’essere interpreti.
Adesso più di allora, però, il pubblico percepisce la lontananza di queste pagine critiche dalla realtà, percepisce che difficilmente possono nascere da seri ed onesti riflessione e studio, da competente educazione all’ascolto. Cresce il dubbio nel pubblico che la fine dell’opera possa anche risiedere in chi non voglia o non possa (in difetto, opera sempre la presunzione di buona fede ed innocenza) sentire e segua altri criteri che conil "sentire" non hanno comunanza. In fondo, poco importa: all’opera si può sempre andare senza leggere la critica e si può sempre sperare che qualche direttore artistico ragioni secondo tradizione e secondo indipendenza. Anche se questa critica, purtroppo,continua a scrivere.
Nessuno di questo blog fa e farà mai di mestiere il critico, ed il giorno che dovesse farlo DEVE abbandonare il blog.
Gli ascolti
Massenet - Manon
Atto III
Toi! Vous! - Alfredo Kraus & Maria Chiara (1973)