Il cast assemblato dalla casa anglosassone prevede: Patrizia Ciofi quale Alaide, Mark Stone Valdeburgo, Enkelejda Shkosa Isoletta, Darío Schmunck Arturo.
In apertura dissento circa l'opportunità di proporre un titolo come Straniera, che raro proprio non può definirsi. Persino in periodo di imperante verismo venne proposta alla Scala, anno 1935, con Gina Cigna (Alaide) Gianna Pederzini (Isoletta) Mario Basiola (Valdeburgo) e Francesco Merli (Arturo), sotto la guida del sicilianissimo e efficientissimo (e per certo molto di più) Gino Marinuzzi.
Spiace che non vi sia una traccia di quell'edizione verso la quale i puristi storcerebbero il naso, definendo il cast del massimo teatro milanese da Forza del destino e non da Bellini. Non solo Straniera ha nel tempo attirato, con diversi ed alterni risultati, grandi prime donne. La palma se la contentendono Renata Scotto e Montserrat Caballé. Al loro seguito sono venuti altri soprani come la Shimada (Martina Franca 1983, una ciambella senza buco del Festival cellettiano), la Fleming, la Aliberti e la Pendatchanska, pure esse -per proseguire con la metafora dolciaria- della medesima sfornata della Shimada.
I poco felici risultati sono testimonianza, quanto meno, della difficoltà del ruolo protagonistico.
Ma una ripresa discografica (in teatro chissà dove e quando, anche se è più facile allestire Straniera che Norma e da un po' di tempo penso ad un'ipotetica ben definita protagonista) invita ad altre riflessioni che non hanno la presunzione (come taluni autiproclamatisi concorrenti fanno quotidianamente) di fare cultura, ma più semplicemente di essere strumentali a dire dell'esecuzione.
Straniera venne rappresentata il 4 febbraio 1829 alla Scala, secondo titolo commissionato dal massimo teatro milanese al giovane maestro catanese sulla scorta del trionfo del Pirata (1827).
Dalla Semiramide sono passati sei anni. Sembra un secolo.
Sotto il profilo della vocalità: spariscono le formule rossiniane se si escludono qualche passo vocalizzato del duetto Isoletta Valdeburgo, che principia l'opera o la sezione conclusiva dell'aria di Isoletta; codifica una vocalità per la protagonista (prima interprete Henriette Meric-Lalande, specialista sino ad allora di Semiramide, Donna del lago, Crociato in Egitto) assolutamente priva di melismi (escluso un languido vocalizzo fuori scena al primo atto e qualche passo del bellissimo quartetto con Isoletta, Valdeburgo ed Arturo, che precede la grande scena finale); si inventa, come era accaduto con il Pirata per la vocalità tenorile un nuovo modello vocale ed interpretativo ossia il baritono nobile, perchè di fatto Valdeburgo affidato ad Antonio Tamburini chiude la serie delle parti rossiniane alla Filippo Galli (di cui sia detto Tamburini fu un grande esecutore, anche se sarebbe interessante sapere che cosa eseguisse di Assur o di Maometto) ed inaugura un modello di cantante e di interprete, che resisterà vocalmente e drammaturgicamente sino al primo Verdi. Poi possiamo anche precisare che la vocalità orizzontale di Alaide non giovò certo alla Meric-Lalande, abituata sì a quella stessa tessitura, ma comodamente fiorita trattandosi per lo più di parti Colbran e che Tamburini proprio baritono nel senso attuale del termine non era.
Con Straniera, prima ancora e più di Norma e Bolena, si comprende il perchè delle lamentele circa la vocalità moderna come sterminatrice del "Belcanto".
La verità è che Straniera, ripeto più di Norma e di Bolena, segna il taglio netto con la grande tradizione precedente sotto il profilo drammaturgico, prima ancora che sotto quello vocale.
I personaggi soprattutto tenore e soprano si esprimono mediante ariosi (addirittura, contingente la poca fiducia di Bellini nei confronti di Domenico Reina, il tenore non ha aria solistica. Carenza cui Bellini supplirà per una ripresa del titolo con Rubini) , recitativi accompagnati e cantabili.
Ancora di più il primo atto, complice la previsione librettistica, che indica come morti (presunti) tenore e baritono di fatto è una grande scena della sola Alaide, accusta oltre che di stregoneria, pure di duplice omicidio. Poi la tradizione che vuole fischiato il finale primo di Norma perchè si trattava di un semplice terzetto e non del grande concertato alla Semiramide appunto dimentica che questa specie di grande scena affidata ad una grande primadonna con pertichini ebbe un grande successo alla prima.
Per capire non si deve fare riferimento a misteri, presunta ignoranza o disinformazione della critica, ma semplicemente ai generi. Norma era ed è la grande tragedia coturnata, come Semiramide, e come tale esigeva il rispetto delle regole caratteristiche di quel genere teatrale. Straniera ambientata non già nel mondo classico (ossia astratto ed atemporale, come è il belcanto), ma nel Medioevo, che sarà il terreno prediletto del romanticismo, non richiede, nella poetica del tempo un ferreo rispetto delle convenzioni.
E qui sta anche la differenza fra Rossini ed i suoi successori. Alle prese con argomenti romantici come la Donna del Lago Rossini tenne fermi, sotto il profilo drammaturgico, i paradigmi del dramma vigente, non arrivò sino in fondo al distacco, pur essendone (leggi Stendhal) il vero padre. Non per nulla è quanto mai pertinente l'osservazione che la scelta del silenzio post Tell nasca, oltre che dalla prostrazione psichica, proprio dall'estraneità di Rossini ai nuovi generi.
E tutto questo che c'entra con la nuova edizione di Straniera?
Serve a dire dell'assoluta inadeguatezza della prescelta protagonista, Patrizia Ciofi, soprano leggero per peso e coolore, oggi ben accorciata in alto (re naturale interpolato alla fine dell'opera gridato e calante, re bem prescritto urlato ed acido) afona al centro, vuota in basso. Quindi le trenodie di Alaide (cavatina di sortita, sezione centrale del seguente duetto con Arturo , il "Ciel pietoso"), la tensione tragica del terzetto all'atto primo con Arturo e Valdeburgo, per giunta congiunta allo slancio nel finale primo e dall'allegro moderato "Or sei pago" mettono in mostra non il fiato, ma l'aria che esce in luogo dei suoni nonostante il mezzuccio di una registrazione lontana ed ovattata della voce. Con un'organizzazione vocale da Giulietta Capuleti in menopausa, che talune idee interpretative possano anche essere buone (nulla davanti alla meditata eloquenza di Renata Scotto) è irrilevante.
Quanto a Darío Schmunck, che con pervicace ostinazione viene propinato nei titoli di Bellini e Donizetti, l'assenza di numeri solistici, la sede discografica e la scrittura centrale lo agevolano, ossia gli evitano le performace teatrali, come la recente Stuarda scaligera. Ciò nonostante l'ampiezza di fraseggio, la nobiltà d'accento, il sentore romantico, che sono la sigla di Arturo richiederebbero un controllo del fiato, un sostegno della voce estranei al cantante prescelto, che se sapesse cantare sarebbe certo un tenore contraltino e non già un tenore baritonale.
Mark Stone, vero protagonista maschile, ha i medesimi vizi e difetti del tenore e più in generale di tutti i cantanti oggi in carriera, salvo pochissime eccezioni. La tessitura ancora centralizzante lo esime da suonacci e fatica nel canto, ma per capire come vadano cantate queste parti (intendo Puritani, il conte Rodolfo, piuttosto che Belisario, Torquato Tasso, Chalais, Camoens, Antonio di Linda) dobbiamo rivolgerci a registrazione a 78 giri. E se non vogliamo scomodare il commendatore Battistini, che studiò, fra l'altro con Antonio Cotogni, che a sua volta -guarda caso- aveva preparato alcune parti proprio con Antonio Tamburini possiamo sempre ricorrere a qualche alunno di Cotogni come de Luca o Mario Basiola.
L'Isoletta della Shkosa urlacchia in alto e non è certo, nei pochi passi di canto fiorito, la perfezione, ma al confronto dei compagni di ventura...
Rimane, poi, la direzione di David Parry, un punto fisso dell'Opera Rara. Per venti o trent'anni abbiamo visto la sistematica condanna dei direttori come Gavazzani, Sanzogno, Votto sino a Serafin o Gui alle prese con Bellini, Donizetti ed il primo Verdi ritenuti pesanti, antifilologi e per tagli e per il rapporto con le aggiunte previste dagli esecutori. Persi questi nemici del romanticismo, siamo rimasti con David Parry e molti altri, attivi nei nostri teatri ed all'estero, ed i suoni secchi, acidi e comunque bandistici, gli ensemble pesanti e poco chiari nelle singole sezioni, la concertazione inesistente, la mancanza di magia ed evocazione degli andanti, maestosi ed allegri che non hanno le deprecate ampiezza e vigore dei deprecati direttori paraveristi.
Per parte mia continuo a sentire Renata Scotto e Montserrat Caballé, che evocano i fasti di Bellini e delle sue prime donne.
Gli ascolti
Rossini - Il Barbiere di Siviglia
Atto I
Largo al factotum - Mario Basiola (1935)
Bellini - La straniera
Atto II
Ciel pietoso, in sì crudo momento...Or sei pago, o ciel tremendo - Renata Scotto (1968), Montserrat Caballé (1969)