Sfogliando le riviste specializzate, nel leggere certi resoconti degli spettacoli in giro per l’Italia o l’Europa, o le recensioni (ma sarebbe più corretto definirle “comunicazioni pubblicitarie”) dei più recenti prodotti audiovisivi (magari allegati alla stessa rivista), ci si imbatte sempre nelle stesse considerazioni, nelle stesse lamentele, negli stessi piagnistei livorosi: riguardanti il miserrimo stato in cui verserebbero le italiche sorti musicali rispetto alla novella età dell’oro che si vivrebbe nella “più civile Europa”. Le solite firme sono use definire il nostro come un paese di retroguardia culturale, ai margini del progresso e della civiltà musicale. La colpa? Naturalmente appartiene allo stuolo degli ottusi e facinorosi passatisti che, con sicumera reazionaria (e comportamenti incivili), impedirebbero ai pubblici nostrani di godere delle meraviglie baroccare, di osannare le rockstar di podio e ugola, di gustare le trovate dei registi più à la page! Naturalmente basterebbe andare qualche volta a teatro per rendersi conto di quanto non corrisponda al vero detto assunto: ma i maestri della critica acritica preferiscono dedicarsi ad isteriche invettive (ben retribuite, probabilmente) piuttosto che riflettere sull’effettiva validità di quello che ci vorrebbero imporre. Nuova occasione di querelle è la realizazione scenica.
Lo spunto per questa riflessione viene dalla segnalazione di un lettore in merito ad una frase contenuta nella presentazione del DVD di una Rodelinda filmata a Glyndebourne (e allegata ad una nota rivista del settore, i cui redattori si evidenziano, sempre, per un tono perennemente sprezzante e da invettiva a buon mercato) del seguente tenore: “A registi siffatti viene regolarmente indirizzata, da noi che in fatto di teatro lirico siamo all'avanguardia della retroguardia, la puntuale accusa di stravolgimento, bruttura, leso barocco. Si lede sempre qualcosa, per tali accusatrici anime belle: e mai che sospettino di essere loro quelli lesi e handicappati nella percezione di quanto sta accadendo nella viva realtà teatrale contemporanea, di prosa o lirica poco importa, giacché sempre più stanno, per fortuna, avvicinandosi.” Sorvolando sul consueto gusto (cattivo) per l'insulto, sullo sproloquio contenutistico e sulla maleducazione e inciviltà (quella davvero) dell'estensore di tali righe (che da sole basterebbero - anche in assenza di tante altre prove nel medesimo senso - a squalificare il critico: giusto Goebbels e altri suoi colleghi definivano handicappati e mentalmente lesi i suoi oppositori), esse testimoniano le dimensioni di un problema serio e la diffusione di un vero e proprio conformismo culturale. Il teatro barocco, infatti, soffre, più di altri generi ormai, di trattamenti particolari: dal canto, all’esecuzione, alla messinscena. Oggi si blatera tanto di renaissance dell’opera barocca, di una sua riscoperta, di schiere di nuovi appassionati, di adolescenti incantati dalla sua magia, che fanno code chilometriche per assistere agli spettacoli inscenati nelle nuove mecche del baroccò (il barocco baroccaro che tanto piace ai nostri critici e alle case discografiche). Eppure, gli stessi demiurghi di tale rinascita, sono i primi a non “credere” nella potenzialità teatrale dell’Opera Seria. Già, perché è evidente come siano essi i primi a stravolgerne la drammaturgia e a scardinarne gli equilibri musicali, in nome di una necessaria – a loro dire – opera di avvicinamento alle moderne sensibilità! Nell’Europa occidentale si è sviluppata, infatti, una vera e propria moda che ha fatto della dissacrazione il proprio unico orizzonte estetico: nell’intento, malcelato invero, di creare scandalo, si commette ogni sorta di delitto nei confronti dell’opera musicale affrontata. Ma mentre l’avanguardia post sessantottina si dedicava a Wagner e al ‘900 (utilizando i medesimi clichè: cappottoni DDR, straniamento brechtiano, passi dell’oca etc..), l’avanguardia di oggi (che usa gli stessi linguaggi – ormai obsoleti, ma vaglielo a spiegare – degli anni ’70) ha spostato la propria attenzione sull’opera settecentesca, da Handel a Mozart. Negli Stati Uniti (che non sono quel terzo mondo culturale che ci vorrebbero far credere i tanti critici militanti e militarizzati, passati dalle barricate di immaginarie rivoluzioni a borghesissimi posti di potere editoriale) hanno coniato un termine particolarmente azzeccato per questa paccottiglia: eurotrash! Inteso come fenomeno europeo, originario della cultura austro/tedesca (ma rapidamente diffusosi in Francia, paesi scandinavi e Italia), meramente provocatorio e modaiolo, mascherato da avanguardia: svastiche, dominazioni sessuali, sadismo, promiscuità assortite, malformazioni esibite etc. Il tutto senza curarsi affatto degli aspetti musicali, del senso della drammaturgia, del rapporto musica testo. Spesso chi contesta lo status quo viene accusato di essere fermo ai fondali dipinti, ai colonnati, alle pose plastiche, all’immobilità marmorea… Spesso si è derisi come ottusi. In realtà è un modo – semplice e poco originale – di aggirare il problema. Non è necessario, infatti, riproporre le scene di Sanquirico per aderire al senso del teatro barocco: basterebbe non trasformare la rappresentazione in occasione per esporre contorsioni mentali e personali frustrazioni del regista (che ormai, peraltro, non scandalizzano nessuno, semmai annoiano, dato che si ripetono uguali ad ogni spettacolo: solo i critici militanti scambiano le reazioni di un pubblico annoiato per attaccamento ad una tradizione superata, o spavento o scandalo). Non è necessario ritornare alla cartapesta. I migliori esempi vengono dagli USA. Si prenda il famoso Giulio Cesare di Peter Sellars, ambientato negli anni ’80 con un protagonista che può rassomigliare ad un qualsiasi capo di stato americano che si reca in medio oriente al termine di un’operazione militare: Sellars, pur nella trasposizione d’epoca (fatta però a regola d’arte, senza assurdità e forzature), coglie perfettamente gli aspetti pubblici ossia lo scontro tra due culture differenti (da Handel sottolineato fin dalla prima scena, attraverso il macabro “dono” della testa di Pompeo, pianto dal suo nemico/rivale, nello stupore incredulo ed offeso dell’egiziano che l’aveva recato), così come i conflitti privati, mantenendo intatti la gerarchia dei rapporti (Cleopatra non è una sguattera e Tolomeo non è un pederasta) e la statura morale dei singoli personaggi (lo stesso equilibrio lo manterrà nella sua versione della trilogia dapontiana). La drammaturgia handeliana non subisce alcuno scardinamento, alcuna forzatura: lo spettacolo scorre e convince in modo naturale, senza bisogno di trovate meramente scandalistiche. L’attualizzazione è solo una lettura, che però ripropone le medesime valenze dell’ambientazione originaria. Lo stesso vale per la sua versione di Theodora (anche se con minore originalità) o delle Nozze di Figaro/Don Giovanni/Così fan tutte, ideando per ciascun titolo un approccio estetico, sociale e ambientale differente: un loft di lusso in un superattico dove si svolgono le vicende di Figaro e Susanna (che restano servitori, così come il Conte rimane appartenente ad una classe sociale più elevata, ma più viziosa); un Bronx degradato dove si agita il Dissoluto Punito; un annoiato ristorante in Florida dove si svolge il gioco cinico e spietato di Despina e Don Alfonso. Il significato dei rapporti e il ritmo dapontiano, non perde nulla, e la storia raccontata (pur nella diversa ottica temporale) rimane sostanzialmente la stessa: rabbia, gelosia, vendetta, pentimento sono gli stessi rappresentati da Mozart. In Europa, diversamente, se ne infischiano degli equilibri musicali e drammatici: i registi si inventano una nuova vicenda e la montano sulla musica dell’opera (e a volte ne stravolgono i contenuti), infarciscono la scena di sesso, accoppiamenti, trivialità che fanno a pugni con la struttura originale. Gli esempi si sprecano: un Lohengrin ambientato in una scuola elementare (coi monelli in braghette corte che tirano le trecce alle compagne di classe: e considerando l'età media degli interpreti lo spettacolo diviene grottesco), il re che diventa il preside dell'istituto e la marcia nuziale che è una festicciola all’intervallo; un Don Carlo stile soap opera (con il ballo della peregrina trasformato in sogno erotico di Elisabetta, in versione massaia, che attende l’arrivo della cena recapitata da Posa’s Pizza, mentre il marito è stravaccato a guardare la tv); un Parsifal che trasforma la redenzione finale in un nauseante video che mostra l'intera sequenza di decomposizione di una carcassa d'animale; un Orlando ambientato (che originalità!) in un manicomio; un Idomeneo sulla cui scena, a rappresentare l'orrido mostro ucciso da Idamante, campeggiavano le teste sanguinanti e mozzate di Buddha, Gesù Cristo e Maometto (con l'effetto, nei primi due casi di accese proteste, da parte dei rappresentati locali e non, delle confessioni interessate, nel terzo, di esplicite minacce di attentati esplosivi ad opera di integralisti risentiti)... Qualcuno potrebbe contestare, suggerendo che si tratterebbe di meri spostamenti d'ambientazione, non differenti da quelli di Sellars ad esempio. E invece è tutto diverso: un conto è Cesare che da condottiero di Roma (l'Impero per antonomasia) diventa presidente della potenza che oggi, nell'immaginario collettivo, rappresenta l'idea più attule di impero; altra cosa trasformare Amina in sguattera di un sanatorio della belle-epoque. Nel primo caso la valenza drammatica della vicenda non cambia, e la musica chiamata a rappresentare quella determinata vicenda, con quelle determinate parole, non subisce stravolgimenti; nel secondo caso crolla tutto perchè non rimane nulla della correlazione tra caratteri, musica e dramma. Infatti non è un problema meramente estetico, ma ontologico: su ciò che si crede sia, o debba essere, l'opera lirica. Un prodotto aperto a qualsiasi stravolgimento in nome della provoazione oppure un qualcosa che non è fatto di sola musica (da abbinare ad immagini varie ed occasionali), ma anche dal significato di quella musica. Il teatro settecentesco (insieme alla Sacra Collina di Bayreuth ovvimente), oggi, è il luogo ove maggiormente si sbizzarriscono i deliri eurotrash dei nostri registi! E così ogni vicenda di tradimento diviene occasione per mostrare accoppiamenti da film porno casalingo oppure si sfruttano personaggi en travesti (in realtà ruoli per castrato) per imbastire improbabili storie lesbo, e quando si utilizzano controtenori li si agghinda come drag queen...lo stesso Carsen (considerato - a torto - un genio assoluto) dopo la sua famosa Alcina (effettivamente un bello spettacolo, ma risalente a più di 10 anni fa), si è limitato a copiare sè stesso, nel perpetuare il proprio orizzonte estetico (limitato ad un dramma borghese buono per tutte le occasioni) in un oramai stucchevole e stanco manierismo (si veda l'ultima Semele, con la rockstar Bartoli). E non c'è verso, in Europa, di assistere a spettacoli differenti: sempre uguali e sempre usi ai soliti trucchetti per far discutere (sesso, religione e droga). Lo stesso discorso vale pure per chi, invece, rinuncia ad una qualsiasi connotazione e affoga l'opera nel più vuoto simbolismo, oppure la ambienta in costosissime scene vuote o assenti, tagliate da luci colorate (spesso usate in modo maldestro), o chi, infine, riempie il palco di ingombranti parallelepipedi senza significato alcuno, ma aperti alle fantasiose elaborazioni di critici improvvisati esegeti, di commentatori snob o di spettatori radical chic. Col conforto dell'incondizionato plauso della stampa di settore, di una critica ormai sbandata tra il delirio senile e l'invettiva isterica, di direttori artistici e sovrintendenti che se ne fregano dei gusti del pubblico (e che, anzi, pretendono così di educare). E con lo sconforto di un pubblico che, a costo di mandar giù quella roba, finirà per farsela piacere. E poi gli invidiosi, i perennemente scontenti, quelli che lamentano il fatto che da noi queste cose non si vedono: perchè siamo tutti ignoranti, bifolchi e cattivi... Sarà, eppure continuo a non trovare essenziale per godere della modernità della musica di Mozart, dover assistere a Don Giovanni che dopo aver praticato una fellatio a Leporello, defeca in grembo a Donna Elvira... ma qui mi fermo, non vorrei dare qualche suggerimento al prossimo genio di turno...ce ne sono troppi a piede libero!
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