venerdì 26 dicembre 2008

7 dicembre: tonfi e trionfi

E nonostante tutto non sarà questo l'ultimo nostro pensiero alla serata inaugurale del massimo teatro milanese. E' una serata che riserva emozioni ed in coda ancora emozioni. Come le riservava la sera di Santo Stefano, sino al 1950 dedicata all'inaugurazione scaligera.
Allora un pensiero ai tonfi e trionfi delle serate inaugurali, la sera in cui, un tempo, principiava la stagione detta di Carnevale e Quaresima.


Il primo Sant'Ambrogio fu quello del 1951 con i Vespri che segnarono non solo il cambio di data, ma l'inzio dell'ERA CALLAS. I più accreditati vedovi possono trarre anche da questo elemento motivo di mitizzazione della Maria!
Per la cronaca anche santo Stefano fu serata di tonfi e trionfi. Il più clamoroso -tonfo - fu quello del Santo Stefano 1831, vittima Norma. Ma le cose non andarono tanto bene neppure con il santo Stefano 1833, première di Lucrezia Borgia. Poi si parlò di due titoli storici e il primo inciampo fu dimenticato. Per la gioia dei nostri ascoltatori vi offriamo una Norma che, se non ricalca nel gusto quella di Giuditta Pasta e Giulia Grisi, richiama quella delle mirabolanti sorelle Marchisio, che nel 1859 alla Scala venne salutata come opera risorgimentale considerato ed il momento storico ed il coro antiimperialista dei Galli.
Gli inciampi degli ultimi anni, invece, sono rimasti. Vissuti in prima persona quelli della fine dell'era Abbado e dell'incipit della Muti.
Abbado, direttore imprestato al melodramma, lasciava spesso il podio il 7 dicembre ad altri colleghi; a volte per stima e rispetto (Otello di Kleiber nel 1976 e Fidelio di Böhm nel 1974) altre volte (Falstaff di Maazel 1981) perchè più attratto da altre scelte musicali.
Nel 1984 propose Carmen, che era stata un trionfale e rivoluzionario titolo ad Edimburgo con Teresa Berganza. Per la Scala venne prescelta Shirley Verrett, altra diva amata e prescelta da Abbado. Il contorno era sulla carta sceltissimo ossia Domingo, Raimondi e la giovane Alida Ferrarini (poi una Micaela per antonomasia). Alla resa dei conti la protagonista era vocalmente sfilacciata e visivamente pìù Azucena che Carmen. Si dirà sempre zingare e sempre spagnole sono. Ma non basta. Il pubblico riprovò la protagonista, che pubblicamente e ripetutamente non trovò di meglio che imputare l'insuccesso al tardivo arrivo di Domingo. No comment!!!

Quanto al Muti principiante direttore principale scivolò, dopo un bel Nabucco, su Guglielmo Tell e Vespri.
I retroscena del Tell e la buccia di banana che il direttore medesimo si procurò in punto Matilde d'Asburgo sono ormai noti. Se a questo aggiungiamo la provvidenziale arte del maestro nel rendere più dolorosa e ardua la già dolorosa via dell'essere Arnoldo in Scala, imponendo tempi lentissimi, assoluto ed acritico rispetto dei segni di espressione, non sorprende che il Tell finisse fischiettato qua e là e che certificasse l'incomunicabilità fra Muti e Rossini fu il minimo.
Per la cronaca quando Muti ritornò a Rossini la prima volta disponeva di assoluti fuoriclasse (anche se debuttanti in Scala) e fu molto ligio ai loro desiderata e la seconda volta in trasferta agli Arcimboldi i tempi e il pubblico erano cambiati, anzi educati si diceva nell'entourage del maestro. E poi, al Moise, venne propinato le physique du role di Roberto Bolle, che tante prime ha salvato con esibizioni atletico fisiche encomiabili.
Quanto ai Vespri, dove il primo vero applauso della serata tocco a Patrick Dupont c'era sempre il solito soprano caro al pubblico milanese, c'era un tenore che andava sostenuto in altro modo, le idee del maestro per cui una cadenza andava, pena la morte, eseguita come scritta e un allestimento al risparmio e bruttino e per giunta ripetitivo dell'idea risorgimentale di fondo di altro allestimento, quello che aveva inaugurato la stagione 1970. Quella, per intenderci, della bagarre Scotto - vedovi Callas.
Fatto sta che dopo quelle infelici prestazioni sul repertorio il pubblico milanese venne premiato con titoli desueti (Armide ed Iphigenie di Gluck, Fidelio e Wagner che non si fischiano mai essendo musica assoluta, ad onta di come venga eseguita).
L'ascolto di una divina o reputata tale nella grande aria di Leonora del Fidelio è la prova di come i costumi e la mentalità del pubblico in un decennio avessero virato. E male.
Eppure il pubblico scaligero aveva anche pizzicato cantanti celeberrimi. Basta sentire che accade alla fine del sonnambulismo della Callas. Sonnambulismo che soprano e direttore realizzano in maniera splendida.
Il Macbeth, però, è un'opera fortunata in Scala. Fu uno dei trionfi dell'era Abbado. Bellissimo da vedere, grandiosi orchestra e coro. Poi se si guarda un po' meglio gli encomi che salutarono e mitizzarono la coppia protagonistica e la elessero a rispettivi paradigmi dei due ruoli sono da rivedere. E preciso non solo oggi, ma anche allora avrebbero, a mio avviso, meritato un po' di cautela. Il fascino dello spettacolo era indubitabile.
E di grande fascino, macchine sceniche perfettamente oliate, supportate da idee registiche e musicali che rivelavano "qualcosa da dire" furono Simone e Don Carlos.
Il senno del poi, soprattutto con riferimento a Simone, che venne ripetuto spesso in maniera routinaria per oltre un decennio fa vedere che c'erano anche qui difetti e mende. Soprattutto riferite al cast vocale ed a maggior ragione in un'epoca che se non più aurea era certo meno scalcagnata dell'attuale. Poi personalmente faccio follie per il cast del Boccanegra 1935 del Met e per la direzione sempre al Met di Mitropoulos.
C'è poi nell'epoca passata, quasi cinquant'anni, un'inaugurazione che spesso viene ricordata ossia quella del 1960 con il rientro di una consumata e poco allenata Maria Callas. Sentita oggi e per registrazione (e con l'aggiunta che quella fu la recita migliore per unanime giudizio) la Callas ha sempre il suo perchè ed il suo significato, almeno come puntigliosa professionista; ciò nonostante ogni volta che nel loggione scaligero qualcuno mormorava, invocando la MARIA, la replica è sempre: "ricordatevi il Poliuto".
Anche questo fa parte della storia come fa parte della storia ed è un esempio per tutti, ripeto tutti il mestro Gavazzeni che sonoramente fischiato in sede di esecuzione di una Forza del destino si rivolse al pubblico invitandolo a lasciar finire lo spettacolo, riservandosi, poi, alla fine ogni sacrosanto esercizio del diritto alla riprovazione. Altri tempi: da vent'anni abbiamo chi addomestica titolo e pubblico e chi fa lo stupito come se fosse la prima vola che un teatro riprova!!!!



Beethoven - Fidelio
Atto I - Abscheulicher! - Waltraud Meier, dir. Riccardo Muti - 7 Dicembre 1999

Bellini - Norma
Atto II - Deh! Con te li prendi...Mira, o Norma...Sì, fino all'ore estreme - Joan Sutherland & Marilyn Horne

Verdi - Macbeth
Atto I - Schiudi inferno - Piero Cappuccilli, Shirley Verrett, Franco Tagliavini, Nicola Martinucci, Stefania Malagù, dir. Claudio Abbado - 7 Dicembre 1975

Verdi - La forza del destino
Atto II - Or siam soli - Ilva Ligabue & Nicolai Ghiaurov, dir. Gianandrea Gavazzeni - 7 Dicembre 1965

8 commenti:

mozart2006 ha detto...

Parlando di senno di poi,io amo citare sempre la Traviata Callas-Visconti del 1955,ritenuta da tutti oggi una delle massime rappresentazioni operistiche di tutti i tempi.Bene,quello spettacolo fu letteralmente massacrato dalla critica e funestato anche dal cambio di tenore alla seconda recita.Ma,d´altra parte,Traviata é sempre stata il campo di battaglia preferito dei vedovi Callas,che prepararono i fischi a Karajan nel 1964 ben prima della recita,solo perché il direttore aveva osato allestire un´opera che secondo loro non si doveva piú fare in assenza della Divina.Tutti i particolari si leggono nelle memorie di Galina Visnevskaja,che cantava Liú in quei giorni e che assistette sbalordita alla recita in questione.Non era un 7 dicembre,ma penso sia utile ricordarla.
Saluti da Stoccarda

Adolphe Nourrit ha detto...

Ed è utile anche ricordare come Mirella Freni considerò quei fischi...molti cantanti odierni dovrebbero prenderne esempio.

Velluti ha detto...

A proposito del Macbeth di Abbado, certamente è possibile notare alcune discrepanze vocali nella coppia protagonista, ma queste nulla tolgono ad uno spettacolo glorioso, vero vertice verdiano. Tali discrepanze sono compensate da un'orchestra ovunque straordinaria per dinamiche e pulizia di suono, sempre tesa a suggerire atmosfere cangianti e al servizio del verdiano momento scenico (cos'è quella frase "Un fanciullo col serto dei re"!!!). In questo c'è da dire che la Verrett è fenomenale, attentissima a rendere teatro ogni nota scritta sulla partitura. Forse Cappuccilli è un po' più monocromatico; ma che voce!! La cavata è maestosa, e in taluni momenti supplisce di per sè ad una certa qual mancanza di dinamiche (sentire cos'è in bocca sua quel "Ah! Che non hai tu vita..."). Altri Macbeth saranno forse più centrati sotto il profilo vocale (anche se quasi mai per entrambi i protagonisti. Prima della Callas la parte di Lady era una sorta di terreno sconosciuto, un luogo senza ritorno, e il Macbeth che fa coppia con la Maria non è di certo raffrontabile alla Lady per potenza di accento e, forse, di voce!!!), ma di certo, rispetto a quello di Abbado, risulteranno manchevoli in altri elementi (ad esempio quello orchestrale o quello più generalmente interpretativo: quello di De Sabata, per non mutare esempio, presenta una scena del sonnambulismo di una velocità incomprensibile).
Per quanto concerne il Simon Boccanegra, il discorso è davvero complesso. Certamente è verissimo che la continua riproposizione dello spettacolo negli anni ha potuto contribuire ad una sua svalutazione. Ma questo nulla toglie a quanto è possibile ascoltare dalle testimonianze di quella prima serata. E' indubbio che il Simone fosse, prima della riproposizione di Abbado, un'opera considerata marginale nella produzione del cigno. E le esecuzioni antecedenti che possediamo, quelle ufficiali, nella discografia verdiana fanno la parte di una vera e propria Cenerentola! E bisogna dire che va ascritto proprio ad Abbado il merito di aver difeso le ragioni di un vero e proprio capolavoro, un vertice assoluto della musica operistica di tutti i tempi. Ora, lo spettacolo a cui allude DD è certamente un'esecuzione gloriosa, ma che ruotava soprattutto attorno al grande Laurence Tibbett. Attorno il vero e proprio deserto. A cominciare dall'orchestra, imparagonabile a quella di Abbado (sul coro, altro grande protagonista del Simone, a cui spetta la riuscita di momenti fondamentali dell'opera, meglio soprassedere!!!). Se non erro, nello spettacolo del Met, Amelia era la Rethberg, secondo il mio gusto fallosissima nella pronuncia, e davvero fuori parte nelle arcate del terzetto o nel racconto del rapimento (troppo stentorea in alcuni punti, e verdiana "di maniera", ma allegramente indifferente in altri momenti ugualmente fondamentali della parte). Su Pinza, ovviamente, non si discute, mentre su Gandolfi ci sarebbe molto da dire (la parte di Paolo non è affatto minore, sia vocalmente sia dal punto di vista drammaturgico). Ma resta che, in quella esecuzione, COMPLESSIVAMENTE non emerge la fondamentale importanza del Simone nella produzione verdiana. Il direttore è teso a rilevare i collegamenti musicali con i Vespri, e non sembra assolutamente cosciente delle intuizioni presenti nello spartito e che Verdi svilupperà appieno nel Don Carlo e, in ultimo, nell'Otello. Di certo non tutto nel Simone di Abbado è perfetto (ma la Freni canta comunque bene, e interpreta Amelia come una giovane che si schiude alla vita e all'amore, sia quello di Adorno che quello paterno, mentre Cappuccilli appare più che credibile nei panni del "Corsaro incoronato", il "Plebe, patrizi, popolo!" a mio parere è impressionante; su Ghiaurov immagino come la pensiate, ma resta, a mio parere, un Fiesco di grande autorità), ma resta che il risultato complessivo è quello di una comprensione musicale e drammaturgica dello spartito globale, e quindi una resa complessiva eccellente, che sfrutta la globalità della lettura e non il singolo dettaglio vocale(complice la meravigliosa regia, ovviamente; su questo non c'è margine possibile di discussione!).

Giulia Grisi ha detto...

ciao.
a quale edizione ti riferisci? 39 o 35?

Velluti ha detto...

Dovrebbe essere quello del 35. In quello del 39 cambia solo Paolo, se non erro, che è Warren.

Giulia Grisi ha detto...

Beh, il disco Myto è del 39, altrimenti se è il nastro pirata che gira in internet è del '35

mozart2006 ha detto...

Avendo visto e rivisto entrambi gli spettacoli,concordo in pieno con quello che ha scritto Velluti.

Velluti ha detto...

Il cast rimane cmq invariato... Ho riascoltato Tibbett nel 39: la voce appare in alcuni punti dura e fissa. Resta indubbiamente il grande carisma interpretativo.

http://www.youtube.com/watch?v=wSl2jlwC3I0