lunedì 20 aprile 2009

Il Viaggio a Reims alla Scala: secondo cast

Un aggiornamento veloce circa il secondo cast del Viaggio a Reims scaligero, cui partecipavano alcuni giovani in ascesa nel panorama del “belcanto” odierno. Il risultato vocale è stato in misurata parte migliore ed in larga peggiore rispetto a quanto offerto dal primo cast, il tutto condotto da un Dantone assai più fiacco e molle rispetto alla prima serata cui avevamo assistito.


Delle quattro voci femminili la sola appartenente alla categoria dei “cantanti” è stata Marina Rebeka, contessa di Folleville, mentre le altre hanno ben rappresentato il desolante panorama del malcanto femminile presente.
A suo agio in un ruolo vicino alla sua corda di lirico leggero, Marina Rebeka ha eseguito, con bel successo e buon esito vocale, la sua grande scena acrobatica, esibendo una voce omogenea nel timbro, a meno di una prima ottava non esattamente a fuoco come di consueto nelle cantanti di scuola russa et affini, bella musicalità ( molto ben variata anche la ripetizione della sezione lenta dell’aria ), e discreta esecuzione della cabaletta ( un po’ tirati i do…). Ci ha risparmiato il personaggio di cattivo gusto propostoci della signora Massis e, sebbene lontana dalla perfezione tecnica nonché dall’aristocratica eleganza di una Cuberli (aristocratica eleganza diretta conseguenza dell'assoluto controllo tecnico) per motivi di timbro e per peso specifico, ci ha fatto sentire certamente la più bella prestazione tra tutte quelle offerte dai signori partecipanti a questa produzione. Ed in questo caso, quando la superiorità del secondo cast è così netta, onestà vorrebbe che bacchetta e direzione del teatro predisponessero l’inversione dei cast, che era veramente doverosa. Anche se la prima ottava piuttosto "larga" ed ovattatta propizia l'accorciamento in alto ed una limitata durata di carriera.
Quanto alle altre signore, la Obregon ha miseramente pigolato senza alcuna nobiltà di fraseggio l’aulico ruolo di Corinna, con voce squittente, querula e spessissimo stonacchiata. Nemmeno di gran gusto le variazioni dell’improvviso, che il pubblico dei turisti ha pur ben applaudito. Circa poi l’aderenza di questa vocalità al personaggio è inutile andare oltre, anche perchè la cantante dovrebbe attenersi a piccoli ruoli nella provincia spagnola. Del resto in questi anni il passaporto spagnolo pare essere quasi una wild card per accedere a Rossini, dato che altre qualità non si vedono in queste leggerissime voci puntute, che arrivano qui assieme alle scatolette di sardine e di pimientos del piquillo. A questo livello cantano anche molte coriste…
La signora Beaumont, poi, chiamata ad esibire le sue experties in Rossini, ci ha dato prova del come e del perché il canto barocco, ossia baroccaro, versi nello stato attuale: esso è la patria di chi non sa appoggiare un solo suono della propria gamma, reggere la voce col fiato e passare la propria carriera fuori dal proprio registro naturale. Nessuna proiezione aveva questa voce, a tratti anche inudibile, del tutto assente in zona grave e di timbro marcatamente sopranile nella zona centro alta. Una Melibea di carta velina, senza la necessaria vocalizzazione di forza, un ruolo che, rispetto alla media del contralto rossiniano, è davvero una passeggiata. Di certo la signora non ci ha infranto le orecchie, ma di lì’ a cantare il passo era assai lungo da compiere.
Una menzione speciale a Teresa Romano, nuova stellina dell‘Accademia scaligera, e pure fresca vincitrice del Concorso Voci Verdiane in quel di Parma. Già ci aveva scioccati in un concerto esibizione della scuola quasi due anni fa, gridando con gran successo di pubblico il finale del Pirata nonché il quintetto di Bolena. Nessuna nota timbrata, degna del canto professionale al di sopra del passaggio alto in una voce in natura importante, anche di bel timbro, che ben faceva sperare, se non prematuramente collocata sulle note pagine callasiane, dal tasso tragico troppo, troppo alto per una studentessa. Ieri sera di callasiano abbiamo notato il dimagrimento, accompagnato anche da una certa riduzione del volume udito tempo fa. In compenso nessun miglioramento della zona centro alta della voce, ove il canto è stato sempre gridato, con suoni fissi e stonati. E ti saluto il timbro. Una vera catastrofe al duettino con don Profondo nella sfilata del secondo atto, dove l’esecuzione delle agilità staccate ha sortito un esito davvero esilarante per i pasticci e gli inciampi .
Certo che queste Accademie e Scuole attive presso i teatri, stando a quanto sfornano ( e non solo a parer mio…) dovrebbero essere seriamente rivisitate, perché o se ne cambiano i maestri di canto o le si serrano una volta per tutte, poiché non sfornano alcun allievo, anzi, in alcuni casi li fanno a pezzi. Per non parlare delle commissioni di questi nobili concorsi che premiano voci che non so davvero quale ruolo, in questo caso verdiano, possano affrontare con decoro.

Nei signori uomini, anche qui un caso meritava il primo cast, sebbene non esente da mende tecniche, ossia Michael Spyres. Tenore che ha nel centro della voce e nella vocalizzazione in quella zona la sua punta di forza, una certa grazia un po’ …britannica, ma garbatissima, che ha dato vita ad un Belfiore nettamente superiore all’asfittico Gatell. Gli acuti sono la parte debole di questa voce, che falsetta salendo verso l’alto, e questo spiace perché il musicista non ci è parso indifferente. Anche lui avrebbe meritato la promozione sul campo al primo cast.
Il russo Romanovsky, invece, a tratti davvero afono, come all’entrata in cui non si è udito un solo suono, potrebbe piacere perché belloccio ma, ahimè, canta male. Gli acuti sono davvero terribili, tutto nel naso, come certe odierne celebrità hanno insegnato a fare, e spinti fino anche all’urlo. Ma Romanovsky di quelle celebrità non possiede né l’aplomb, né la musicalità e nemmeno l’agilità, e quindi non funziona proprio per nulla.

Nei bassi abbiamo apprezzato Orfila piuttosto che la new entry Tagliavini, quest’ultimo alle prese con una voce che in basso non c’è ( spesso ha aperto la bocca ma i suoni gravi gli morivano lì…sui piedi ), in alto è tutta chiusa ed ovattata, l’agilità faticosa. Insomma vocalmente un dilettante e, per quel che importa nemmeno la presenza scenica lo aiuta molto. Lo spagnolo invece, più baritonale del Don Alvaro di Del Savio, se l’è cavata nel sillabato difficilissimo dell’aria ed ha dovuto spingere, ma con compostezza, le note tenute della sezione finale, perché in crisi ampiezza e di vera espansione di voce. Però ha cantato con garbo, senza voler strafare, con esperienza e quindi ha funzionato, posto che la Scala per voci come la sua od Ulivieri resta teatro troppo grande. E forse troppo grande è la parte pensata per quello che diventerà il basso del grand-opera!
Del Savio è stato passabile, con agilità piuttosto scadenti all’entrata, sonorità nella media odierna, ma di gusto contenuto. Idem dicasi per il Trombonok di Josè Carbo, garbato e per nulla di cattivo gusto. Ma tutte, inesorabilmente, voci piccole, di poco volume e proiezione, anche per il belcanto.

Una serata di basso livello, dunque, anche questa, con cast che nulla più ha a che fare con quelli della originaria ripresa e figlio delle prestazioni accademiche che han luogo lungo l’Adriatico, ove dai Viaggi a Reims son pian piano passati ai ….Pic nic fuori porta.


Gli ascolti

Rossini - Il Viaggio a Reims


Atto unico

A tal colpo inaspettato - Marilyn Horne, Frederica Von Stade, Rockwell Blake, Chris Merritt, Samuel Ramey e altri (1992)

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