venerdì 3 aprile 2009

Quinta riflessione: gli allestimenti

Andare all'opera è come andare al museo? Per certi versi credo che il parallelo tenga.
I sentimenti, le situazioni che i melodrammi propongono sono sempre le stesse, ma sono viste e ricostruite con gli occhi del tempo dell'autore. E sono questi due aspetti quelli che l'allestimento deve assolutamente rispettare. In difetto tradisce l'autore, imbroglia il pubblico.
Mi permetto due esempi.
Sovrano il primo, trattandosi di Traviata. Le cosiddette mantenute sono sempre esistite e sempre in modi, forme e sesso differenti esisteranno, ma Verdi-Piave e Dumas non avevano la presunzione di parlare in astratto del problema, narravano la storia di quella "perduta", in quel contesto sociale. Trasformare Violetta in un trans tossicodipendente, trasferire la Parigi 1850 con le proprie convenienze sociali nella San Francisco del 1983 non è attualizzare Verdi-Piave e Dumas è metterli in ridicolo perchè il nostro trans (Violet) non parla e neppure pensa come Violetta.
Secondo esempio Semiramide o Giulio Cesare in Egitto, che trattandosi di opere di ambientazione esotica evocano negli allestitori le stesse idee: spiaggie di Dubai, la guerra dei sei giorni o del Kippur. Tutte scelte, che sortiscono lo stesso risultato: il libretto diviene ridicolo, le astratte fantasmagorie vocali dei personaggi non significano alcunchè se cantate da personaggio, abbigliato da un fedain o da ayatollah. Se poi canta un controtenore...... scempio totale.

L'allestimento cosiddetto tradizionale, i pochi e parchi movimenti di regia sembrano essere il nemico contro il quale, in nome di una delle più vilipese ed oltraggiate parole CULTURA, registi, scenografi e costumisti hanno ingaggiato una battaglia, in questo sostenuti da direzioni artistiche di esigua capacità ed indipendenza culturale.
Eppure il teatro d'opera e non solo per le dimensioni, spesso pletoriche di tenori e soprani, è nato e cresciuto con altra e misurata gestualità. Che non era del solo teatro d'opera, però. Basta vedere filmati di attori del primo cinquantennio del secolo scorso per rendersi conto che fosse un principio condiviso anche nel teatro di prosa. Le cronache del tempo elegiano come grandissima, fatta solo di voce e di sguardi, l'interpretazione di Giacinta Pezzana nel ruolo della suocera in Teresa Raquin. Giacinta Pezzana fu, con Adelaide Ristori, la maggior attrice italiana prima della Duse. Gli ultimi vedovi Callas raccontano che la Divina si muovesse pochissimo e i pochi movimenti fossero esternazioni ed amplificazioni del sentimento cantato dal personaggio. Anche la Divina Olivero, che cantava a testa in giù la berceuse della Contessa della Dama di Picche è, prima di tutto un virtuosismo vocale, poi scenico.

In epoca di ristrettezze economiche della quali, crediamo, si debba fare tesoro e non motivo di esternazione costante e continua le dirigenze artistiche dovrebbero, se serie, capaci e competenti riflettere che l'opera ed il melodramma ha sue proprie esigenze sceniche registiche e costumistiche, spesso in rapporto ancillare rispetto a voci ed orchestre.
Dovrebbero quindi, al pari di Ninive, bandire digiuno ed astinenza non dall'allestimento in toto, che è misura estrema come il digiuno totale, ma dallo spreco e dall'inutile spesa per l'allestimento, quella che fa scrivere ai giornali "collaborazionisti" la Tosca di Rossi (regista) e il Parsifal di Caio (sempre e solo regista) .

Ecco quindi il nostro biblico decalogo:

a) il teatro d'opera non è la sala giochi del regista di turno, che con i nostri soldi sperimenta, ripete esperienze già vendute altrove, come se non esistesse internet o la divulgazione di filmati. Casomai è la sala giochi del pubblico, ossia di chi paga. Il mecenatismo anche quello più nobile metteva dei limiti agli artisti.

b) Il risparmio nella regia e nell'allestimento: non si paga a peso d'oro un regista di presunta avanguardia (che dura da venticinque anni) perché "crei" una bella scatola vuota con pareti bianche e luci idem buona per tutti gli usi e nessuno. Perchè un simile allestimento (vedi ultimo Don Carlo scaligero), al di là del bello e del brutto, proprio per la sua asetticità DEVE essere riciclato e riutilizzato più volte. E con questo scopo, vista l'imposta parsimonia, si progettano gli allestimenti. La fame aguzza l'ingegno e, magari propizia la fama. Takvolta il problema non è la qualità dell'allestimento, ma la congruenza dello stesso con il titolo.

c) quando l'allestimento è tradizionale nel predisporne uno nuovo si deve tenere conto della sua riciclabilità. Il salone del '500 può funzionare, con qualche raggiusto, per Rigoletto, Borgia, Rohan, Ugonotti (se mai si facessero) Ernani, Don Carlos. Il paesaggio agreste deve funzionare per Elisir, Linda e Sonnambula. E credo di non essere stato esaustivo in queste ipotesi di riciclabilità. Le cooproduzioni sono solo un piccolo, ma non esauriente, principio di risparmio ed economia che è, poi, rispetto per il pubblico ed il suo denaro.

d) non si fanno nuovi allestimenti se il teatro ne ha già di vecchi e magari ben conservati in magazzino. In quarant'anni di Scala chi scrive ha visto ben quattro Elisir d'amore e altrettanti don Carlos. Credo che ciascuno dei titoli non assommi nel quarantennio considerato a più di sessanta recite. Media dodici recite per allestimento.

e) Se un cantante pretende, per esibirsi in un teatro, un nuovo allestimento, deve essere pronto a pagarlo di tasca sua rinunciando al cachet e magari inducendo i colleghi ad identico culturale comportamento.

f) Illustrare gli accenti nascosti, la poetica recondita dell'autore musicale è compito dei cantanti e magari del direttore, se ne è in grado. Quindi il regista o peggio ancora del drammaturgo (che nei teatri tedeschi è quel cialtrone, che riscrive il libretto per adattarlo ai deliri mentali del regista) non hanno nè il diritto nè il dovere di intervenire sul testo. E poi ci stracciamo le vesti per la traduzione ritmica dell'Affare Makropoulos.
I recriminati fischi alla Alcina di Carsen questo significavano. L'idea di fondo (solitudine della donna) è congrua e coerente a Ibsen in prosa, forse ad Janacek. Estranea ad Handel.

g) regista, costumista e scenografo debbono astenersi nella maniera più assoluta da qualsivoglia censura circa misure e forme di cantanti d'opera e dal far dipendere la scelta dell'esecutore dal di luio di lei aspetto fisico. Se il soprano è opulento dovrebbero avere, in quanto persone di cultura, innanzi ai loro occhi i nudi di Tiziano, Rubens, ma anche Hayez o Toulouse-Lautrec per ricordare (anche se il nudo femminile poco li interessa, magari) che i canoni di bellezza non sono sempre stati la taglia 40. Anzi la loro bravura, grandezza e, prima ancora, professionalità sta proprio nel non far sembrare una salsiccia o uno zampone un tenore in abiti cinquecenteschi imponendogli pose, che renderebbero ridicolo persino Brad Pitt.
Ed in un'epoca di opere di regia mai abbiamo visto movimenti più inappropiati come giovani vergini, che ancheggiano come battone da angiporto, mantenute di rango che sembrano dame della san Vincenzo, re e regine con il portamento di Tonio lo scemo o di Santuzza. E perchè, allora paghiamo e profutamente questi signori.

h) il regista dovrà dimostrare di conoscere almeno vagamente la trama dell'opera che è chiamato ad allestire. Identica regola per scenografi e costumisti.

i) registi, scenografi e costumisti dovrebbero avere e dimostrare di avere nozioni minime di storia, di storia della religione, del costume, del galateo. Insomma dovrebbero sapere che l'Ordine Domenicano gestiva la fase processuale e non di esecuzione (il rogo per intenderci) che era di competenza dei Francescani. Questi ultimi gestivano anche tombe ed ospedali e sono, quindi, gli unici religiosi, istituzionalmente presso la tomba di Carlo V. Dovrebbero sapere che il baciamano di fa solo alle donne sposate ed in casa e che, quindi, a Violetta non lo si fa, anche perchè il baciamano in pubblico ad una donna nubile equivaleva ad un giudizio esplicito sulla di lei moralità. Dubbia in Violetta, ma che la morale del tempo non voleva esternata. Altrimenti la scena della borsa è anticipata al primo atto.
Tralasciamo, poi, che nella loro voglia di erotismo costumisti e registi dimentichino sistematicamente che le calze trasparenti siamo un prodotto degli anni venti del XX secolo. Basta vedere le cancaneuse delle Folie Bergère.

l) Il rispetto dello spirito dell'opera. Basta con i registi, che vogliono restituire l'essenzialità alle opere barocche, la cui poetica è l'esatto contrario dell'essenzialità. Sarebbe come cercare lo sfarzo nella Bohème, la semplicità nell'Africaine o la sintesi nei Maestri cantori.
Se al regista non piace il titolo, o la trova troppo stupida per lui, non ha che da astenersi e moderare il proprio tenore di vita. In genere sfarzoso.

m) Nessun movimento astruso, faticoso o anche solo inutile deve essere imposto ai cantanti e non perchè brutti, goffi e grassi (Geraldine Farrar, Bidu Sayo, Lucrezia Bori, Rosa Raisa, Madga Olivero, Rosanna Carteri, Raina Kabaivanska, Maria Chiara, Lella Cuberli, Frederica von Stade, June Anderson erano e sono donne oggettivamente belle e con un fisico prestante), ma perchè devono cantare, ossia esercitare una attività che ha molto dell'attività sportiva. Nessuno di sognerebbe di imporre ai giocatori di rugby giacca e cravatta e tacchi a spillo. O il cantante lo fa per sua libera scelta oppure valgono i principi del teatro del tempo, ossia i pochi, ma eloquenti gesti, magari accompagnati dall'adeguato accento e fraseggio. Per totale nostalgia si legga quel che dice Stendhal della Pasta Tancredi o Scudo della coppia Grisi e Lablache, coniugi d'Este o Marianna Barbieri-Nini, riguardo sè medesima Lady Macbeth.
Basta leggere le indicazioni di scena di Verdi e Wagner per trarre la conclusioni che i registi hanno scoperto non l'acqua calda, ma l'acqua.

n) Proprio per evitare la finale distruzione (ammesso che non si sia già consumata) dell'opera e del suo mondo espressivo e di rappresentazione, moratoria di vent'anni sui seguenti elementi, ove non previsti dal libretto:

- iniezioni di droga e morti differenti da quelle previste dal libretto
- altari e stupri. Blasfemie gratuite. Basta l'appellattivo "venefica ed impura" per la Borgia senza vescovi, orge etero od omo per far capire che razza di donna fosse donna Lucrezia Borgia, o a che titolo i voti infranti di Adalgisa.
- nudi maschili o femminili a sproposito. E non per moralismo, ma perchè pochi sono i titoli che espressamente lo richiedano. Penso a Thais, il cui clima di erotismo e lascivia è percettibile sempre o ai balli di certi grand-opéra. Non sono però elementi risolutori della serata. Altrimenti finisce come nella recente Aida scaligera che è in fondo l'Aida del perizoma di Roberto Bolle.
- cappottoni da repubblica di Weimar. Non esprimono nulla se non sciattezza e disordine. Il personaggio coturnato non deve diventare un personaggio cappottato. Il cappotto non ha nella nostra cultura la valenza oggettiva di toga, chitone e, appunto, coturno.
- Freud. A nostro avviso una sola opera è, per ragioni testuali ed epocali, che chiunque comprende, legata a Freud, ossia Elettra (ci sarebbe anche Edipo di Leoncavallo, ma credo che nessuno lo sappia o quasi).
E quanto a Freud, poi, andrebbe anche ricordato ai nostri colti registi ed al loro pubblico plaudente, che fece ricorso ai miti perchè rappresentavano, allora, l'ipotesi più completa ed attendibile di koinè culturale per esemplificare le proprie teorie. Non dimentichiamo che Edipo non sa quale sia il proprio primo legame con Giocasta e come a Sofocle, uomo del proprio tempo, non interessi quel problema, ma ben altro.
Quello di Freud è un uso diverso del mito, strumentale alle proprie teorie.
Mica che i nostri registi, costumisti e scenografi si credano tutti Freud?







7 commenti:

mozart2006 ha detto...

Bel post e ampiamente condivisibile.Ve lo dice uno che é costretto a sorbirsi dosi massicce di quel Regietheater che qui in Germania imperversa come un flagello biblico.Sapete,i tedeschi amano la musica e sono ottime persone,peró adorano discutere del sesso degli angeli,e le elucubrazioni registiche nascono proprio da questo atteggiamento.Comunque,il regista d´avanguardia,per essere coerente fino in fondo,dovrebbe anche riscrivere o far riscrivere la partitura,magari in stile rock e presentare lo spettacolo come propria opera "da un´idea di...".Lo si é fatto qui a Stoccarda con il Fliegende Holländer.Ho assitito alla rappresentazione e vi assicuro che la cosa,in questo modo,funzionava.La disonestá dei registi attuali sta invece nell´usare musica giá scritta per veicolare le proprie concezioni di teatro.
Saluti

Pruun ha detto...

L'argomento è interessante.
Non condivido buona parte delle argomentazioni addotte almeno quanto condivido l'altra metà: nel senso che è indubbio sottolineare gli eccessi di un teatro di regia che spesso celebra se stesso... ma è altrettanto indubbio che proprio la sperimentazione registica in molti casi ha permesso riletture intriganti di molti titoli. Non credo che l'Alcina non possa reggere la lettura di Carsen che, stando al video della Bastille, mi pare assolutamente coinvolgente e emosionante.
Semmai il problema è la coerenza. Un allestimento non può e non deve morire dopo pochissime recite: allora perché non istituire delle tournée come le compagnie teatrali? Sarebbe anche un modo migliore per riaffermare l'importanza della regia nel teatro d'opera.
Un esempio: la recente Lucia parmigiana vedeva la Rancatore impegnata in un personaggio registicamente modellato sull'interpretazione della Devia... e scenicamente non sempre sembrava a suo agio (tralascio volutamente di affrontare l'aspetto musicale della recita)...
Allora non sarebbe meglio lavorare con i cantanti, provare con loro, CREARE un personaggio modellato sulle loro caratteristiche ma poi portarlo in tournèe con TUTTA la compagnia senza affidare le riprese a assistenti che magari non sono disposti a lavorare con gli artisti come il regista titolare?
Si abbatterebbero i costi e verrebbe veramente affermata la conquista della teatralità dell'opera lirica che, volenti o nolenti, dobbiamo ormai considerare realtà acquisita del nostro tempo (ma non sempre messa in pratica)...
Invece mi pare che spesso a parole di predichi l'importanza della regia e dell'aspetto visivo dell'opera, negandolo poi nel disinteressarsi delle riprese che, con protagoniste dal temperamento differente (ancora una volta preferisco non scendere in dettagli musicali, ché a me la Rancatore non è piaciuta in Lucia) portano alla luce stridenti contrasti.
D'accordissimo infine sul fatto che il regista deve anche saper valorizzare chi 'fisicamente' non è modello alto e bello... altrimenti per cosa è pagato?

Saluti.

Pruun ha detto...

Un'annotazione sul barocco: non condivido le vostre posizioni, perché non credo che Handel sia solo maraviglia e aulicità... pensiamo all'unico terzetto dell'Alcina... la grande maga è davvero meschina in quel brano. E'... umana! Allora perché quest'opera non potrebbe sostenere regie che, rispetto alla tradizione, enfatizzano proprio questa umanità di donna e non la magnificenza della maga? Ho fatto solo un esempio, ma ce ne potrebbero essere molti altri.
Ripeto: non sono una fanatico del teatro di regia tedesco, che spesso mi pare ai limiti del cervellotico... ma perché negarsi tout court la possibilità di esplorare e sperimentare?

Giulia Grisi ha detto...

CAro Pruun,
LAcina è umana ma in modo METAFORICO.
Carsen ha fatto di Alcina una donna sola e sconfitta dalla sua negatività, ma......non è nè l'Alcina letteraria nè quella di Haendel, perchè quel modo di parlare della personalità arriva quantomeno a metà ottocento per non dire dopo.
Era bello vedere l'Harteros in scena, bella la scena in cui si adagia sulle due seggiole o il finale sul letto ma.......non c'entra nulla con Alcina di Haendel. Poteva essere una Violetta, una Anna KArenina, una Vanessa ma non Alcina, perchè altro è il personaggio ed il suo senso è altro e diverso. Peggio ancora per Morgana, che non è in nulla quello che ci ha mostrato CArsen.

Il problema non è di SEGNO ma di CONTENUTI espressi con i segni.
Il contenuto che voleva far passare CArsen nulla c'entra con i contenuti dell'opera e di quello che Alcina ed il suo mito significavanp per il pubblico del '700.
Ripeto, si può dire la stessa cosa in molti modi, ma si devono dire le cose che l'autore vuole trasmetterci, poichè il regista, come il musicista, è un medium, un mezzo che da vita e senso al pensiero di altri.

Ora, questi allestimenti hanno un valore meramente di attualità, ossia da teatro moderno. Ma volutamente ed arbitrariamente trascurano i valori che erano contemporanei all'opera, i valori di natura storica che sono imprescindibili ed ineludibili, perchè Alcina è e resta un opera di Haendel, del tempo di Haendel.

Una filologia musicale tesa a recuperare prassi strumentali e vocali, perfino alla ricostruzione ( velleitaria ) di strumenti di tipo antico, volutamente stonati, come ed in quale misura si concilia con un palco che volutamente se ne frega della storia, dei valori del passato, delle poetiche dell'epoca perchè le stravolge interamente?
Assoluta incongruenza è questa modernità sganciata dal valore storico di un 'opera musicale. E quindi arbitraria.

Quei tuRbamenti dell'io che CArsen ha amplificato e letto in chiave tardottcentesca ci sono, anche in letteratura del tempo. Ma sono sempre METAFORICI, CIFRATI, rappresentati con mimesis e con significato ben diverso dalla descrizione realista di un sentimento. Non c'è mai REALTA' nel barocco, ma rappresentazione della stessa secondo i codici dell'epoca.

Quanto ad quell'Alcina, non ha specificità alcuna la messa in scena di CArsen, tanto che si potrebbe ben prestare ad opere dell'800 e del '900. e già questo dovrebbe dare da pensare.

Accetteresti tu un canto ed una direzione pertinenti anche al tardo ottocento o al novecento in un'opera barocca???? Non credo.
MA l'opera è recitar cantando, la scena è parte integrante....a maggior ragione oggi, ove si pretende di scegliere i cantanti prima di tutto per l'aspetto scenico, ed i registi hanno un peso mai avuto nella storia dell'opera.

Quindi come vedi, siamo al delirio del sistema, perchè la logica dell'andare in scena mi pare sia andata a finire chissà dove.....


a presto!

Giulia Grisi ha detto...

PS

Per te Alcina non è meraviglia?

MA le letture personali già le fanno i registi.....

Marianne_Brandt ha detto...

Tutto assolutamente condivisibile, anche se alcuni allestimenti di "regia" si sono dimostrati eccellenti e certe "regie" tradizionali si sono rivelate deludenti e stupide...come può esistere anche il contrario eh!Secondo me esistono 2 tipi di allestimenti:
quelli intelligenti e quelli idioti.
La cosa importante è che, se il regista rispetta il tempo, l'ambientazione e le convenzioni dell'epoca dell'opera, deve necessariamente far emergere la psicologia del personaggio evitando gesti da cinema muto o immobilità oratoriale.
Mentre colui che mette in scena, che sò, "Tosca" sulla Luna deve trovare il modo di giustificare coerentemente questa scelta e coinvolgere il pubblico per fargli esclamare:"Si, in effetti ci può stare!".
L'importante è divertirsi rispettando pubblico, cantanti, musica e compositore ed evitando troppi ed inutili onanismi intellettuali.

Velluti ha detto...

Caro Donzelli, dovrebbe meglio chiarire una serie di affermazioni che, francamente, trovo piuttosto incomprensibili: "E quanto a Freud, poi, andrebbe anche ricordato ai nostri colti registi ed al loro pubblico plaudente, che fece ricorso ai miti perchè rappresentavano, allora, l'ipotesi più completa ed attendibile di koinè culturale per esemplificare le proprie teorie. Non dimentichiamo che Edipo non sa quale sia il proprio primo legame con Giocasta e come a Sofocle, uomo del proprio tempo, non interessi quel problema, ma ben altro. Quello di Freud è un uso diverso del mito, strumentale alle proprie teorie".

Vuole dire che esiste un uso del mito "non strumentale"? La prego di illuminarmi in merito. Esiste davvero un uso del mito "non-strumentale"?
Un consiglio: quando cita Freud o altri problemi che esulano da fatti prettamente musicali, citi un po' di bibliografia, almeno per capire a quale interpretazione di Freud fa riferimento, dato che, oggidì, dire semplicemente "Freud" significa dire nulla.