L’Idomeneo torinese, che ieri sera mamma Rai ci ha consegnato a domicilio tramite il terzo canale radiofonico, conferma una diffusa tendenza in atto nel teatro d’opera: la liricizzazione di Mozart.
Già applicata, con esiti risibili quando non disastrosi, a Verdi e Wagner, la liricizzazione consiste, sulla carta, nella riscoperta dei segni dinamici e d’espressione presenti in partitura, che voci troppo corpose e poco attente alle finezze musicali avevano, in passato, più o meno consapevolmente ignorato. Di fatto liricizzare un’opera significa scritturare cantanti sottodimensionati rispetto ai rispettivi ruoli e quasi mai in grado, tecnicamente, di realizzare quanto previsto dall’autore.
Il fenomeno, applicato a Mozart, è relativamente recente. Ne abbiamo avuto un esempio qualche mese fa, con le Nozze di Figaro madrilene, in cui le voci della contessa, della cameriera e del paggio erano di fatto intercambiabili. Ora il Regio propone un Idomeneo, opera seria fra le più onerose per i cantanti, affidandolo a un cast cui starebbe largo il Matrimonio segreto. Che, per inciso, è opera non meno meritevole dell’Idomeneo di spazio e attenzione da parte dei nostri sempre un poco monotoni programmatori teatrali.
La liricizzazione del titolo era nell’aria fin dalla presentazione del cartellone. Elettra era stata affidata in prima battuta a Darina Takova, presto rimpiazzata da Annick Massis. La quale Massis ha preferito, verosimilmente dopo avere letto lo spartito, ripiegare sulla parte di Ilia, mentre Eva Mei, inizialmente chiamata a interpretare la principessa troiana, è stata riconvertita quale prole di Agamennone. In fondo i ruoli sono entrambi sopranili. Peccato che Elettra sia una parte in stile grande agitato, con più di un ricordo della declamazione in stile tragédie lyrique, e richieda, di conseguenza, un lirico spinto se non un drammatico tout court. Ma è chiaro che siffatto soprano, ammesso che si riuscisse a trovarlo, mal si adatterebbe alla liricizzazione del Salisburghese.
Il risultato di questa sapiente strategia organizzativa è che abbiamo udito una Ilia di voce magra e senescente, in affanno nel legato e con frequenti stonature in zona mi4-sol#4 (meglio, invece, i radi acuti, purché toccati in volata), e un’Elettra di identico peso e colore vocale, ben poco sonora nei gravi e provata, nel corso della serata, dalla pesantezza della parte, tanto da giungere stremata all'assolo conclusivo e ai suoi famigerati staccati. Un poco meno imbarazzante l’arietta del secondo atto, in cui però si è percepita la difficoltà nel cantare piano e legato in zona centrale.
Idomeneo richiederebbe un baritenore versato nel canto fiorito. Matthew Polenzani, che potrebbe essere un dignitoso Paolino, ha cercato maggiore sonorità aprendo i centri e “spingendo” senza posa. Il risultato è stato un Fuor del mar con agilità spappolate, esecuzione assai approssimativa, per non dire di peggio, dei trilli e frequenti cali d’intonazione, e un finale secondo in cui il personaggio si è trasformato in una sorta di Canio all’isola di Creta. Male anche il terzo atto, con nuovi effettacci paraveristi al quartetto e alla scena del mancato sacrificio.
Degno figlio di tanto genitore l’Idamante di Ruxandra Donose, anche lei con il centro bello aperto e gridacchiato, verosimilmente per conferire al personaggio una sfumatura viriloide di dubbio gusto. E anche lei in conflitto permanente con le agilità, tutto sommato elementari se le si raffronta a quelle rossiniane, cui la signora dovrebbe per consuetudine di repertorio essere avvezza.
L’Arbace di Alessandro Liberatore, cui è stata prudentemente tagliata la prima aria, ha dispensato in occasione della seconda un saggio di vocalità e stile non inferiore a quello del suo padrone.
Tomáš Netopil ha cercato di infondere un poco di vivacità allo spettacolo, privilegiando tempi anche troppo spediti – funzionali comunque alle voci a disposizione – e attuando generosi tagli: sono stati mutilati non solo i tanti recitativi secchi, ma anche gli intermezzi corali. Semplicemente soppresse l’ultima aria di Idamante e quella di Idomeneo, come del resto avveniva nelle esecuzioni di tradizione, e lo stesso vale per il balletto finale. Assai imprecisi e poco piacevoli a udirsi l’orchestra e il coro, spesso in décalage fra loro e rispetto ai solisti.
I commenti musicali che seguono, estesi anche ad altre opere mozartiane, costituiscono un piccolo spunto di riflessione sui progressi compiuti dall’arte lirica rispetto ai grami tempi, in cui non si avevano che poche e confuse idee su come affrontare l’opera seria settecentesca. A voi, come sempre, le conclusioni.
Gli ascolti
Mozart
Idomeneo
Atto I
Quando avran fine omai...Padre, germani, addio! - Margherita Rinaldi (1968)
Atto III
Oh smania! oh furie! oh disperata Elettra!...D'Oreste, d'Ajace - Gertrude Grob-Prandl (1950)
Lucio Silla
Atto I
Dalla sponda tenebrosa - Dora Gatta (1961)
La Clemenza di Tito
Atto II
Se all'impero, amici Dèi - Franco Bonisolli (1970)
Già applicata, con esiti risibili quando non disastrosi, a Verdi e Wagner, la liricizzazione consiste, sulla carta, nella riscoperta dei segni dinamici e d’espressione presenti in partitura, che voci troppo corpose e poco attente alle finezze musicali avevano, in passato, più o meno consapevolmente ignorato. Di fatto liricizzare un’opera significa scritturare cantanti sottodimensionati rispetto ai rispettivi ruoli e quasi mai in grado, tecnicamente, di realizzare quanto previsto dall’autore.
Il fenomeno, applicato a Mozart, è relativamente recente. Ne abbiamo avuto un esempio qualche mese fa, con le Nozze di Figaro madrilene, in cui le voci della contessa, della cameriera e del paggio erano di fatto intercambiabili. Ora il Regio propone un Idomeneo, opera seria fra le più onerose per i cantanti, affidandolo a un cast cui starebbe largo il Matrimonio segreto. Che, per inciso, è opera non meno meritevole dell’Idomeneo di spazio e attenzione da parte dei nostri sempre un poco monotoni programmatori teatrali.
La liricizzazione del titolo era nell’aria fin dalla presentazione del cartellone. Elettra era stata affidata in prima battuta a Darina Takova, presto rimpiazzata da Annick Massis. La quale Massis ha preferito, verosimilmente dopo avere letto lo spartito, ripiegare sulla parte di Ilia, mentre Eva Mei, inizialmente chiamata a interpretare la principessa troiana, è stata riconvertita quale prole di Agamennone. In fondo i ruoli sono entrambi sopranili. Peccato che Elettra sia una parte in stile grande agitato, con più di un ricordo della declamazione in stile tragédie lyrique, e richieda, di conseguenza, un lirico spinto se non un drammatico tout court. Ma è chiaro che siffatto soprano, ammesso che si riuscisse a trovarlo, mal si adatterebbe alla liricizzazione del Salisburghese.
Il risultato di questa sapiente strategia organizzativa è che abbiamo udito una Ilia di voce magra e senescente, in affanno nel legato e con frequenti stonature in zona mi4-sol#4 (meglio, invece, i radi acuti, purché toccati in volata), e un’Elettra di identico peso e colore vocale, ben poco sonora nei gravi e provata, nel corso della serata, dalla pesantezza della parte, tanto da giungere stremata all'assolo conclusivo e ai suoi famigerati staccati. Un poco meno imbarazzante l’arietta del secondo atto, in cui però si è percepita la difficoltà nel cantare piano e legato in zona centrale.
Idomeneo richiederebbe un baritenore versato nel canto fiorito. Matthew Polenzani, che potrebbe essere un dignitoso Paolino, ha cercato maggiore sonorità aprendo i centri e “spingendo” senza posa. Il risultato è stato un Fuor del mar con agilità spappolate, esecuzione assai approssimativa, per non dire di peggio, dei trilli e frequenti cali d’intonazione, e un finale secondo in cui il personaggio si è trasformato in una sorta di Canio all’isola di Creta. Male anche il terzo atto, con nuovi effettacci paraveristi al quartetto e alla scena del mancato sacrificio.
Degno figlio di tanto genitore l’Idamante di Ruxandra Donose, anche lei con il centro bello aperto e gridacchiato, verosimilmente per conferire al personaggio una sfumatura viriloide di dubbio gusto. E anche lei in conflitto permanente con le agilità, tutto sommato elementari se le si raffronta a quelle rossiniane, cui la signora dovrebbe per consuetudine di repertorio essere avvezza.
L’Arbace di Alessandro Liberatore, cui è stata prudentemente tagliata la prima aria, ha dispensato in occasione della seconda un saggio di vocalità e stile non inferiore a quello del suo padrone.
Tomáš Netopil ha cercato di infondere un poco di vivacità allo spettacolo, privilegiando tempi anche troppo spediti – funzionali comunque alle voci a disposizione – e attuando generosi tagli: sono stati mutilati non solo i tanti recitativi secchi, ma anche gli intermezzi corali. Semplicemente soppresse l’ultima aria di Idamante e quella di Idomeneo, come del resto avveniva nelle esecuzioni di tradizione, e lo stesso vale per il balletto finale. Assai imprecisi e poco piacevoli a udirsi l’orchestra e il coro, spesso in décalage fra loro e rispetto ai solisti.
I commenti musicali che seguono, estesi anche ad altre opere mozartiane, costituiscono un piccolo spunto di riflessione sui progressi compiuti dall’arte lirica rispetto ai grami tempi, in cui non si avevano che poche e confuse idee su come affrontare l’opera seria settecentesca. A voi, come sempre, le conclusioni.
Gli ascolti
Mozart
Idomeneo
Atto I
Quando avran fine omai...Padre, germani, addio! - Margherita Rinaldi (1968)
Atto III
Oh smania! oh furie! oh disperata Elettra!...D'Oreste, d'Ajace - Gertrude Grob-Prandl (1950)
Lucio Silla
Atto I
Dalla sponda tenebrosa - Dora Gatta (1961)
La Clemenza di Tito
Atto II
Se all'impero, amici Dèi - Franco Bonisolli (1970)