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martedì 12 luglio 2011

Tavola rotonda sugli Ugonotti: spunti di riflessione.

Recentemente alcuni membri del Corriere hanno discusso - ovviamente nelle sale più segrete del Palazzo di Atlante, circondati da cimeli musicali passati e futuri - degli Ugonotti di Bruxelles e più in generale della vocalità della parte di Raoul de Nangis. Abbiamo pensato di trascrivere alcuni brani di questa conversazione, perché il dibattito, sempre vivo nel seno della redazione (e non potrebbe essere altrimenti, come in ogni luogo, virtuale e non, che non voglia ridursi a fucina del consenso o del dissenso generalizzato), possa estendersi ai lettori.





omissis

Giambattista Mancini
Una cosa comunque va detta dopo avere ascoltato Osborn: che dopo Lauri Volpi - il quale sì sapeva fare stupende mezzevoci con la voce mista di falsetto, e aveva pure acuti argentini - Raoul non lo può cantare nessuno...

Gilbert-Louis Duprez
Però Osborn, dite pure quel che volete, appare molto sicuro e plausibile di un Cutler (almeno dal frammento che abbiamo commentato e in base all'ascolto dal vivo): tra l'altro bisognerebbe considerare, per una corretta valutazione, che canta questo brano dopo aver retto un quarto atto integrale (a differenza di tanti illustri predecessori: e non è uno scherzo) e senza nessuna pausa prima del quinto. E' vero, c'è qualche imprecisione, ma, francamente, li ritengo "peccati veniali", soprattutto dal vivo e non nelle comodità di uno studio di registrazione...per il resto sono abbastanza d'accordo con Mancini: è una parte difficilissima (se eseguita senza sconti).

omissis

Mancini
A proposito della vocalità di Nourrit, si parla spesso di “falsettoni”, ma questa espressione a parer mio è fuorviante. In molte opere scritte per lui, come ad esempio il Moïse, le dinamiche e lo spessore dell’orchestrazione escludono che lui potesse servirsi del falsetto. Nourrit era maestro nell’uso della voce di testa sapientemente unita con la voce di petto, non senza l’aiuto di qualche suono nasale connaturato anche alla sua lingua madre (in Italia, Nourrit perse l’uso del registro di testa quando tentò di eliminare dalla sua voce le nasalità). Recuperare la vocalità Nourrit significa ripristinare uno stile ed una precisione tecnica che i tenori hanno da tempo dimenticato. Se poi consideriamo la confusione che c'è tra gli stessi cantanti quando si parla di tecnica e soprattutto di registri della voce (lo scoglio principale nell'insegnamento del canto)... Che disgrazia che il fonografo non l'abbiano inventato cento anni prima... L'acuto di “forza” è principalmente una questione di natura... L'acuto di testa invece è una questione di studio, per cui è molto più difficile. Oggi non ci sono più maestri in grado di insegnare a cantare, ai tenori in particolare. D'altronde confrontando i maggiori tenori del Dopoguerra – e penso ai tenori che possedevano la tecnica più rifinita, come Bergonzi, Kraus, oppure Blake, Merritt ecc. - si osserva che l’emissione della zona acuta a voce piena molto spesso è viziata da accorgimenti poco ortodossi, di cui non si trova riscontro nei dettami tecnici tradizionali. Non è un caso infatti che questi cantanti non abbiano saputo produrre allievi del loro livello. Si pensi ad esempio all’uso che Kraus faceva del naso, ed alle stecche degli allievi quando provavano a seguire i suoi consigli.

Julian Gayarre
A dire il vero non trovo cosi Kraus, almeno nei primi anni. Hai ragione, che da vecchio aveva bisogno del naso, ma...



omissis

Donzelli
Allora, non sono radicale come Mancini, non cerco ad oltranza il suono di testa come suono perfetto e unico per quel repertorio, anche perchè nessuno può emettere do o re di petto. E’ un'errata espressione gergale: al massimo possono esistere cantanti più o meno dotati, che spostano di un tono il passaggio e che negli acuti possono avere una minor o maggior risonanza di petto. Riconosco che, spartito alla mano, ab integro la parte di Raoul sia molto pesante e lo è più per un tenore contraltino che per un tenore di forza. Terminologia assolutamente da prendere con le pinze e quindi traduco che costi meno ad un Duprez o Tamberlick o Tamagno o Slezak che non ad un Nourrit e la circostanza che quei tenori cantarono Raoul e non gli altri deve pur dire qualche cosa. Tanto premesso Osborn finisce la parte e se la canta tutta è meglio di Vrenios da questo ascolto e forse anche di Gedda, ma la voce è inesorabilmente bassa. Se cantasse con la voce al posto giusto canterebbe Leopoldo dell'Ebrea e non Eleazaro, tanto per parlare di altra parte di Nourrit. Aggiungo per completezza, che non ci sono molte alternative. E non ce ne sono mai state molte perchè erano e rimangono opere per fuoriclasse e per cantanti dotatissimi vocalmente e tecnicamente.



Mancini
Un cantante come Tamagno sarebbe stato definito un urlatore da un maestro di canto come Francesco Lamperti. Non parliamo poi della musicalità da troglodita. Verdi si lamentava dei tenori che non sapevano fare sfumature: a cantare tutto a voce piena, senza conoscere l'uso della voce mista/di testa non si può che forzare. Non è un caso che Verdi adorasse un baritono come Victor Maurel, che conosceva l'uso della voce di testa, come documentano alcuni suoi dischi.

omissis

Giulia Grisi
Sono ruoli (Raoul è un esempio tra i molti che potrebbero fare) indubbiamente scritti per cantare in un dato modo. Oggi come oggi sono incantabili grazie alle nostre teorie sul canto. Blakie diceva; se l'hanno scritto qualcuno lo cantava. Si tratta di porsi la domanda sul come, e DEDURRE la risposta, non INDURLA secondo teorie astruse cotruite a tavolino per avvallare i cantanti di oggi.

omissis

Mancini
La tecnica dei Rubini, dei David, dei Nourrit, dei Nozzari ecc. Era la tecnica dei castrati. Cantavano in registro di testa, ossia falsetto: ma con l'arte lo rinforzavano, amalgamandolo con il petto. Non erano le note afonoidi di oggi. Erano note di colore femminile ma timbrate e squillanti che oggi nessuno sa più insegnare ad emettere e ad amalgamare con il resto della voce.

Duprez
Però, Gianni, i castrati cantavano così proprio perché "castrati", cioè utilizzavano una CERTA tecnica che gli era possibile in virtù di una determinata alterazione fisica. Oggi i castrati, grazie al cielo, non ci sono più e tale tecnica - utilizzabile alla perfezione da cantanti evirati - deve necessariamente essere adattata ad altri timbri e ad altre voci. Credo che non sia corretto sostenere che Wagner o Mussorgsky o Berg o Debussy o Strauss (ad esempio) debbano essere eseguiti secondo quella tecnica (propria dei castrati) e secondo le indicazioni di un Tosi o di un Lamperti! Sui castrati (e su come erano considerati già alla fine del '700, nel mondo illuminista) mi piace ricordare l'ode del Parini "La musica"...

Quanto a quel che hai detto, Giulia, è verissimo: se l'hanno scritta così (la parte di Raoul, intendo) vuol dire che qualcuno la cantava così. Non ci sono storie! Molto più onesto constatare che oggi sia divenuta difficilmente eseguibile - per tante ragioni però, e non solo a causa di decadenza e mancanza di insegnamenti (penso all'evoluzione del gusto, al cambiamento di repertori, alle nuove esigenze estetiche, ai più recenti linguaggi espressivi: tutti fattori che hanno provocato un "distacco" delle voci da certe tecniche, non più attuali poiché "inutili" alla luce del nuovo repertorio...e, di conseguenza, poco approfondite e, alla fine, "dimenticate") - più onesto dire che oggi è così, piuttosto che cavillare in elucubrazioni volte a cercare giustificazioni in evidenti situazioni di disagio.

omissis

Mancini
Il problema infatti è che i primi tenori rossiniani di fatto erano gli eredi dei castrati, insieme ai contralti. Francesco Lamperti nel suo trattato rimpiange la scomparsa dei musici. Io comunque ritengo che un tenore con tecnica completa non possa ignorare l'uso della voce di testa: è indispensabile per fare le mezzevoci, per filare un acuto. Altrimenti è espressivamente limitato. Come è possibile ad esempio filare il SIb della Celeste Aida se non si sa usare il falsettone?

Duprez
Beh, drei con l'uso corretto delle mezze voci ed evitando sbracature veriste o acuti strillati come all'osteria (e come, purtroppo, hanno fatto la maggior parte dei tenori di cui vi è testimonianza discografica, in luogo del suggestivo "morendo" verdiano). Bisogna "ringraziare" il gusto pessimo del fin de siecle... Sui tenori rossiniani non sono molto d'accordo: al contrario ti dò ragione sui contralti, anche se sono una rivisitazione posteriore di una modalità canora morta e sepolta. In fondo credo che Rossini - pur facendo considerazioni nostalgiche - fosse assai consapevole delle possibilità espressive dei "tempi nuovi". Amava la boutade e così si permetteva uscite sarcastiche!

Mancini
Ma la vera mezza-voce si fa emettendo un simil-falsetto rinforzato (Gigli lo chiamava falsetto accomodato). Tenori come Slezak e Urlus sapevano usare il falsettone come accade nel DO di Urlus nel Salve Dimora.
Tu stesso cadi in contraddizione, quando parli di gusto pessimo di fin de siècle. Allora anche io posso parlare di gusto pessimo post-rossiniano.... Tra parentesi, Lamperti parla già di cantanti "urlatori" ben prima della fine del secolo. Erano le conseguenze dell'esempio di Duprez, caro Duprez.



Duprez
Ma di quel che chiamo "gusto pessimo" abbiamo testimonianze discografiche e la sua "ombra" si è estesa almeno sino agli anni '50: è verificabile. E poi non parlo di "gusto pessimo" tout court: l'accento verista e certi eccessi si adattano perfettamente ad un repertorio adeguato. Quel che non mi convince è ascoltare un Mozart alla maniera di Massenet o di Mascagni, o Rossini e Meyerbeer travestiti da tardo Verdi. E' poi interessante confrontare la realtà italiana dei primi 40 anni del '900, con la stessa realtà in Germania o in Francia, per trovare un modo di cantare molto diverso. Sulle "fanfaluche" dei teorici del canto non mi soffermo: erano gli stessi che sostenevano (come Artusi) che Monteverdi scrivesse musica "sbagliata"...

Mancini
Ma Lamperti non era un teorico, era il maestro migliore della seconda metà del secolo. Sua allieva era la Sembrich. E uno dei suoi primi trattati, scritto poco dopo la metà del secolo, inizia con un capitolo "sulle cause della decadenza del canto", di cui consiglio a tutti la lettura.



Duprez
Ma chi scrive di canto (profetizzando sventure e limitandosi a lodare i tempi passati) è per me pochissimo interessante: in ogni disciplina c'è sempre qualcuno pronto a giurare che "prima" fosse meglio, anche all'epoca di Monteverdi. L'accettazione acritica del passato perché passato, secondo me equivale all'accettazione acritica del presente perché è presente. :) E comunque se Lamperti scrive trattati di canto è ipso facto un teorico del canto...e siccome, come scrive Goethe, "grigia è la teoria e verde è l'albero della vita", chi si lambicca in teorie ed elucubrazioni, per me, resta un grigio burocrate della vocalità: censore acido e pedante al pari di un Beckmesser, probabilmente incapace di comprendere il "nuovo" e quindi, ignorandolo, pronto a bollarlo come "sbagliato" o "scorretto". Non parlo solo di Lamperti (e il mio discorso è volutamente provocatorio), ma soprattutto dei teorici precedenti, e ci metto dentro anche gli stessi compositori: Rossini rimpiangeva i castrati perché rifiutava il nuovo linguaggio (anche se, nei fatti, non era di certo impermeabile ad esso), Verdi diceva che Lohengrin era "sbagliato" (addirittura), Rimsky-Korsakov riteneva che Mussorgsky avesse scritto il Boris così solo per mancanza di studi completi (e quindi si mise a correggerlo)...e così via! Credo che la storia della musica e della vocalità non possa essere scritta in base ad una idea di degenerazione da una determinata ortodossia: semplicemente perché questa non esiste! L'uso del falsetto (rinforzato o meno), ad esempio, andrebbe circoscritto nel tempo: non si può cantare l'Otello (di Verdi) con gli acuti "flautati e sfalsettanti". Si negherebbe l'oggettiva evoluzione della musica che, come ogni cosa, cambia e si adegua a esigenze e linguaggi nuovi. Certo si può ritenere che dopo Rossini ci sia il vuoto: questione di gusti! E quelli non si discutono (io, ad esempio, mal sopporto Massenet, Gounod, Thomas). Dimenticavo, secondo me una delle cause di certo cattivo gusto (soprattutto in Italia) e di certa veristizzazione o verdizzazione di ogni repertorio, sarebbe da imputare anche a Toscanini e al toscaninismo, ossia ciò che ha impedito alla scuola direttoriale italiana di evolversi (oltre il mero accompagnamento) e l'ha costretta ai margino della civiltà musicale europea. Ma non vorrei aprire ulteriori spunti di polemica...

Grisi
Non credo sia lecito parlare di un gusto pessimo verista. Come se esistesse l’equazione verismo = pessimo gusto. Il gusto e' espressione di un tempo, loro volevano quello. E' pessimo per noi, non incontra il nostro. E' un tema tipico dell'arte. Per i romantici il barocco era pessimo gusto...etc.
Il punto e' la contaminazione che il verismo fa di altra musica...quello e' pessimo. E poi c'e' verismo e verismo...artisti per noi sbracati, ma altrei meno. Come sempre gli esempi di una Muzio di una Farneti e di una Olivero, per restare al canto femminile sono di ben altro significato.
Nel canto il tema del gusto nella critica dovrebbe essere ampliato per me a: quanto la cattiva tecnca infliusce sul gusto.
Il gusto e' determinato anche dalla tecnica, dalle possibilita' e dai limiti del cantante. Guarda caso i non limitati nella tecnica cantano sempre con gran gusto.....e' un caso? Non credo che Toscanini veristizzi il repertorio.....senti ad esempio il suo Flauto magico da Salisburgo del 1937.



omissis

Mancini
Tutti questi discorsi dotti comunque non colgono nel segno. Un cantante che a fine Ottocento sa solo sparare acuti e non sappia cantare piano o cantare d'agilità, è come un pianista che sa solo pestare sui tasti senza riuscire a fare scale ed arpeggi. Io lo chiamo scadimento tecnico.
E’ ad esempio il caso di Tamagno, che di meglio rispetto ai cantanti di oggi ha solo il fatto di avere voce potente, squillante e facilissima in acuto, ma per il resto la sua sostanziale estraneità al canto a mezza-voce lo rende un cantante tecnicamente limitato, per non parlare della pessima musicalità. Fu un grande interprete nel ruolo di Otello… probabilmente perché fu lo stesso Verdi a dargli le giuste istruzioni.

Donzelli
Qui dissento Mancini, almeno in parte. Hai detto che i tenori del dopoguerra erano limitati tecnicamente. Tamagno, benchè finito e amusicale come sempre, è molto diverso nelle sue registrazioni - e non solo di Otello - dai colleghi del dopoguerra. Il che depone per il fatto che spesso cambia il gusto non la tecnica o i cambiamenti di tecnica sono in parte figli del gusto perché i fondamenti rimangono. In fondo Marconi e Tamagno per certi aspetti non sono così diversi.

Mancini
L'esempio dato da Duprez, quello che cantava per intenderci, ha dato origine al primo vero filone malcantista. Tutti i trattati del resto iniziano con il topos dei bei tempi che furono, ma le critiche di solito sono di carattere stilistico, musicale. Lamperti, invece, muove precise polemiche a proposito dello scadimento tecnico di cantanti che non sanno più eseguire fioriture o cantare a mezzavoce. Peraltro a fine Ottocento esistevano ancora cantanti tecnicamente completi e perfetti che cantavano senza problemi Verdi e Wagner, e avrebbero potuto cantare senza problema Rossini.

omissis

Duprez
Infatti cara donna Giulia, quel che reputo "cattivo gusto" è la veristizzazione di altri repertori (fenomeno, peraltro, circoscrivibile ad alcune aree geografiche: gli ascolti proposti del Verdi tedesco, ad esempio, mostrano una sensibilità differente e un approccio diverso nell'affrontare, in quegli stessi anni, il medesimo repertorio).
Mancini, io credo invece che tutto faccia parte di una storia evolutiva: così come non si può dire che l'arte barocca sia "peggiore" di quella gotica, non si può parlare di "degenerazione" del canto, ma solo di mutamento di linguaggio. Può piacere e non piacere ovviamente.

Grisi
Ma senti Gilbert: storia evolutiva a rigore vuole dire storia che presuppone una idea di progresso, tale per cui il presente è meglio del passato. quando tu fai certi discorsi sulle direzioni d'orchestra, a mio avviso fai una storia evolutiva... Il gusto è relativo, ci sono gusti che piacciono al presente o al singolo spettatore, altri che non piacciono o non piacciono piu'.
I tedeschi si erano inventati la definizione di Kunstwollen per affermare la relativizzazione del gusto e dell'arte nel tempo...un artificio storiografico che intende mettere da parte una idea selettiva dell'arte, cioè una storia fatta di "in e out", ossia di oggetti da conservare e di altri da buttare. Con le interpretazioni musicali è la stessa cosa secondo me. Insomma non possiamo applicare alla musica l'evoluzionismo in senso darwiniano, quello della scimmia che si fa uomo, in arte non si può ammettere, posto che il problema della tecnica di canto non credo sia in termini di "meglio e di peggio".

Donzelli
Battuta scontata: per il canto però, a volte, di regressione alla scimmia (o ad altro animale) potremmo anche parlare...

Mancini
Scadimento TECNICO, non scadimento di gusto o di linguaggio. Scadimento TECNICO (che magari del cambiamento del gusto e del linguaggio è una conseguenza, anche se non necessaria). Ripeto, un cantante che sa solo declamare forte e non sa cantare piano o cantare d'agilità è tecnicamente limitato. Come un pianista che riesce solo a placcare accordi con violenza, senza avere nessuna sensibilità nelle dita.

Duprez
E' diverso quel che dico: non parlo di progresso in senso idealista, ma di evoluzione storica, nel senso che la realtà muta, e i cambiamenti si riflettono nell'approccio tecnico. Il cambiamento non ha crismi qualitativi, ma è un fatto incontestabile: l'abbandono dell'approccio belcantistico (tipo Opera Seria) non è una degenerazione, è un cambiamento. E me ne guardo bene dal fare discorsi darwiniani (che in arte sono una fesseria), è questo che contesto a Gianni, che mi sembra li faccia in senso contrario.

Grisi
Se una tecnica non consente la manovra della voce e la duttilità, non è valida. La scuola italiana di canto metteva i cantanti in condizione di eseguire cose inumane. Oggi si canta con tecniche barbare per cui i cantanti non sanno fare niente, nemmeno in quel respertorio verista che starebbe alla base della distruzione del belcanto. Oggi un tenore come DeMuro non è nemmeno immaginabile. Idem una Muzio o una Olivero, tanto per essere ripetitiva.



omissis

Duprez
Il mio pensiero, Giulia, sui direttori, però, è molto più articolato (e ovviamente è influenzato dal gusto personale). Quando parlo di interpretazione "superata", parlo della sua mera riproduzione attuale: non è superato Klemperer, è superato chi oggi si picca di fare la fotocopia di Klemperer.
Io non credo che il verismo abbia distrutto il belcanto (certo non mi piace il belcanto tradotto in chiave verista), penso che ogni repertorio vada storicizzato e considerato nella sua epoca: senza sottovalutare il fatto che l'opera oggi è più che altro un intrattenimento culturale (in questo senso parlavo, tempo fa, di approccio museale). E poi fino a 80 anni fa bisognava fare i conti con una produzione attuale e viva, per cui è comprensibile il fatto che tra fine '800 e primi '900 certe cose non si eseguissero più: semplicemente era un repertorio che non interessava più (e ancor meno interessava recuperarne il dato stilistico), e le voci si "addestravano" su altri linguaggi. Oggi - che ci sarebbe (in potenza) - la possibilità di un approccio critico e ad una riscoperta consapevole dei diversi stili (da maneggaire con coerenza però), invece regna l'approssimazione...perché elementi extramusicali si sono introdotti nei metri di giudizio! Una sorta di "loggionismo" di risulta, nel senso che prima si attribuiva alla "fame di esibizione vocale" (a volte inutile) lo scadimento stilistico, e si imputava ai loggioni di bocca buona, l'interesse al mero dato muscolare (e l'incapacità di abbandonare le proprie certezze); oggi lo stesso atteggiamento "loggionista" lo hanno i tanti che ritengono doveroso applaudire il "nome" o la proposta che ci hanno inculcato essere la più culturalmente chic: di fatto sostituendo le bellurie vocali (che pur tra mille ingenuità sarebbero comunque giustificate) a pretese intellettualistiche o a ricerche assurde di motivazioni (a prescindere dalla musica). Che è questo se non preconcetto uguale e inverso a quelli mossi - come accusa - ai vecchi loggioni? La verità, che oggi si fatica ad ammettere (in esercizi spericolati di ipocrisia e mistificazione) è che regna un disinteresse enorme per gli aspetti musicali e si spaccia per oro quel che è volgare piombo...

..e poi un vento leggero si è sollevato, tra le volte dell'ampia sala, a confondere pensieri e parole, ma la discussione è proseguita e proseguirà ancora...

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sabato 28 maggio 2011

Auguri, donna Giulia.

Cara ed amata madama Giulia Grisi,
Sono i voti augurali per il Vostro compleanno, per i Vostri 200 anni. Anche se l'età di una dama è sempre avvolta dal mistero.
Tocca a me che fui il Vostro seduttore a Milano ed il Vostro geloso ed omicida sposo a Parigi ricordare il genetliaco di quello che fu il più grande soprano assoluto dei suoi tempi. L'ineguagliato modello di canto ed interpretazione per quasi un secolo, perché se la Pasta e la Malibran furono ricordate e venerate Giulia Grisi fu presa a paradigma di canto ed interpretazione.

L'arte di Giulia Grisi, accompagnata dalla bellezza e dalla sobrietà dell'agire in scena fanno parte della storia.
Il pubblico di Parigi e Londra correva per sentire e per vedere l’affascinante capinera di Lombardia, che incantò Theophile Gautier! Per vedere l'eleganza e la regalità di Semiramide, la gelida alterigia di donna Lucrezia Borgia, l'aura sacerdotale di Norma e per udire l'esecuzione del virtuosismo pari a quello di Liszt e la grandezza dell'interprete. E quel pubblico lo avete affascinato anche quando inesorato il tempo aveva segnato la bellezza e la voce, lasciando miracolosamente intatta l’arte canora.
Siete sempre l’adorabile donna, che inveiva contro il pubblico londinese, reo di preferire la fresca Adelina Patti (che primadonna Vostra pari Vi omaggiò quale la più grande, aggiungendo -incauta- con Rosina Penco) quale Giulietta alla Vostra matura persona e Semiramide.
Siete sempre la gelosa, che voleva eliminare anche fisicamente le numerose petacci, che insidiavano il bel Mario.
Siete, soprattutto e sopra tutti, l’ipostasi eterna della grandezza dell’arte del canto non solo come tecnica, ma come strumento irrinunciabile per esprimere, per dire per suscitare emozioni e reazioni nel pubblico. Il primo soprano ad essere tragico senza la voce tragica, senza che uscisse dalla Vostra bocca un suono che non fosse calibrato e librato per essere regina, innamorata, amante, folle o furente per amore.
L’insuperato modello, quello che molti avrebbero voluto sentire se possedessero la fortuna, che abbiamo avuto noi, di sentirVi e vederVi.
Uno dei più autentici filologi e musicologi, Richard Bonynge, si è chiesto come cantasse la Grisi.
E' una domanda legittima perchè nessuna cantante è passata dall'Elvira dei Puritani alla Valentina degli Ugonotti o più ancora alla Fidès di Profeta (pure ben accomodata e puntata, e che voglia di poter studiare quelle puntature e quegli accomodi!) conservando nella critica del tempo la fama della qualità vocale e della completezza tecnica, che accompagnò quasi tutta la Vostra lunga carriera. Perché da un vecchio collega, con il quale condividevate l'inserimento dell'adagio "D'un tenero amore" nell'Otello, potete anche lasciarVi rammentare che qualche Vostra ultima apparizione non fu degna del nome della Grisi. Io mi ritirai per gli effetti del peccato della crapula, Voi, mia cara, troppo cantaste per colpa degli ideali mazziniani del Vostro amatissimo consorte.
Oggi il Vostro spirito, il Vostro carattere è il modello ancora insuperato ed insuperabile dell’arte e della difesa dell’arte del canto da ogni contaminazione, da ogni falsificazione, da ogni manipolazione.
Fervidi voti augurali, straordinaria ed unica, amatissima donna Giulia, con l’esempio delle Vostre eredi e imitatrici. Le migliori.
Vs.
Domenico Donzelli


Gli ascolti

Bellini - I Puritani


Atto I

Ah vieni al tempio - Joan Sutherland (1963)

Donizetti - Don Pasquale

Atto I

Vado, corro al gran cimento - Marcella Sembrich & Antonio Scotti (1906)

Donizetti - Lucrezia Borgia

Prologo

Com'è bello, quale incanto...Si voli il primo a cogliere - Beverly Sills (1976)

Meyerbeer - Les Huguenots

Atto III

Dans la nuit où seule j'éveille - Johanna Gadski & Edouard de Reszke (Mapleson - 1903)

Mozart - Don Giovanni

Atto I

Don Ottavio, son morta!...Or sai chi l'onore - Joan Sutherland (1960)

Rossini - Otello

Atto III

Assisa a piè d'un salice - Lella Cuberli (1995)

Rossini - Semiramide

Atto I

Bel raggio lusinghier - Lella Cuberli (1990)

Verdi - I due Foscari

Atto I

Tu al cui sguardo onnipossente...Oh patrizi, tremate - Leyla Gencer (1957)

Verdi - I Lombardi alla prima Crociata

Atto II

Oh madre, dal Cielo - Giannina Arangi Lombardi (1933)

Verdi - Il Trovatore

Atto IV

D'amor sull'ali rosee - Margarethe Siems (1908)



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lunedì 13 dicembre 2010

Caro Maestro, cara Giulia / 8

Mio caro ed illustre Maestro,
forse la memoria Vi falla, ma l'unica Grisi che ha goduto di Vostri raggiusti è la mia povera sorella. Vi conosco e Vi apprezzo più di ogni altro e l'intuition féminine mi dice che mi state parlando di un'opera non Vostra.


Purtroppo, molto di coloro i quali la cantarono e chi la scrisse non può smentire né confermare. Ma non pensate, mio caro ed illustre Maestro, la Vostra Giulia sì digiuna di contrappunto da non riconoscere, sotto le spoglie di altri autori, l'Arte Vostra.

Vostra
Madama de Candia



Bellini - I Puritani

Atto I

Ah, vieni al tempio - Joan Sutherland (1976)

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giovedì 1 aprile 2010

Caro Maestro, cara Giulia / 7

Mia cara Madama de Candia,
eccoVi una piccola idea per gli aggiusti, che mi avete chiesto. Vogliateli gradire quale omaggio della modesta mia arte alla ben maggiore Vostra.
Come Vi scrissi nell'ultima mia, ebbi già nel passato ad accomodare un'opera intera per Voi. Perdonate quindi se ho dedicato le mie poche forze al passo forse più arduo della mia e sempre Vostra Semiramide.
Credetemi, Signora, il Vostro fedele amico

Rossini



Gli ascolti

Rossini - Semiramide


Atto II

La forza primiera (accomodi per Giulia Grisi, 1863)

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lunedì 28 dicembre 2009

Caro Maestro, cara Giulia / 6

Mia illustre signora,
la mia pazienza con le Vostre preziose richieste e le Vostre doglianze è pari alla grandezza dell'arte Vostra ed alla longevità della Vostra carriera, che attraversa l'Europa da ben sei lustri! Però....però, mia dolcissima Madama de Candia, a questo veglio urge rimembrarVi l'ufficio che, nel lontano 1834, feci per Voi e per quei tre irripetibili, che onoravano gli Italiani e la Patria nostra. Vi prego di più non dimandate e, se di più saprete dal nostro Tamburini, che sa, tacete per la gloria dell'arte Italiana.
Vostro
Rossini




Gli ascolti

Donizetti - Don Pasquale


Atto I

Vado, corro al gran cimento - Marcella Sembrich & Antonio Scotti (1906)

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sabato 7 novembre 2009

Caro Maestro, cara Giulia / 5

Maestro mio illustre!
non scritturatemi neppure per ischerzo per quell'esecuzione del Vostro Inflammatus!
Vorrei esser morta ora pur di non essere chiamata a quell'ufficio!
Però vorrei aver mille vite, mille voci per cantare ancora la Vostra Semiramide, quella sì e più d'ogn'altro capolavoro Vostro, che oggi canterella quella fanciulla figlia della povera Caterina, che va anche dicendo che io ruinai la carriera della mamma sua buonanima!! Ma che, scherziamo? L'arte Vostra è fatta per poche come la nostra Git, la grande contessa de' Rossi, non certi, consentitemi, mezzo soprani!!!

Vs devota
Giulietta


Gli ascolti

Rossini - Semiramide


Bel raggio lusinghier - Marcella Sembrich (1908)

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mercoledì 16 settembre 2009

Caro Maestro, cara Giulia / 4

Mia cara Madama de Candia,
il Vostro amore per l’arte Vostra e mia vi induce in errore. Sapete benissimo che le mie più sacre pagine sono pensate e scritte per Voi e che ne siete suprema interprete, perché artista e donna di Fede.
Sapete anche, mia cara Giulietta, che la Vostra voce mi sopravviverà e per sicuro sarete Voi a pregare per questo vecchio peccatore, quando il Buon Dio mi vorrà, coll’Inflammatus.
Madama Rossini Vi saluta ed attende, come pure questo vecchio che si pregia di scrivere.
Vs. devoto

Rossini


Gli ascolti

Rossini - Stabat Mater


Inflammatus - Birgit Nilsson (1961), Lella Cuberli (1985)

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venerdì 21 agosto 2009

I venerdì di Wagner: Giulia Grisi intervista Marianne Brandt (quarta parte)

Giulia Grisi: Arriviamo al ventesimo anniversario del Ring…

Marianne Brandt: Nel 1896 Bayreuth era diventata una meta obbligata ed era vista con rispetto dalla stampa e dal pubblico mondiale e la presenza dei cantanti stranieri aveva avuto grande eco nonostante le critiche dei conservatori tedeschi e razzisti xenofobi, che vedevano il Festival come una fabbrica di soldi.
In quell’anno si celebrava il ventennale della prima del Ring e Cosima decise di mettere in scena finalmente la monumentale opera del marito, omettendo dalla programmazione il Parsifal.
Contattò per l’occasione i cantanti che avevano partecipato alla prima, ma solo tre erano in carriera ed in forma vocale: Lilli Lehmann scelta per interpretare Brünnhilde, Heinrich Vogl, Loge e Siegmund, e Marie Lehmann nel breve ruolo della II Norna.
La ricerca degli altri cantanti non fu facile. Cosima li convocò non badando alla loro nazionalità, e per facilitare le cose istituì una scuola di canto e interpretazione, un conservatorio wagneriano, assieme a Kniese.
L’iniziativa ebbe vita brevissima, dal 1892 al 1898, e si proponeva di allevare nuove voci adatte allo “Stile di Bayreuth” ed al canto wagneriano.
Le grandi creazioni di Cosima, in questo periodo, furono sicuramente il tenore Alois Burgstaller e Ellen Gulbranson.
Il primo poco più che ventenne aveva cantato solo nelle fiere di paese e nelle chiese e si trovò ad affrontare nel 1896 il ruolo di Siegfried dopo aver interpretato due piccoli ruoli nel 1894.
La Gulbranson fu allieva della Marchesi, si perfezionò proprio nella scuola di Bayreuth e divenne uno strumento indispensabile nelle mani di Cosima.
Fu l’unica interprete di Brünnhilde dal 1896 al 1924 (anno in cui si alternò con Olga Blomè), interpretando sempre a Bayreuth e con successo anche il ruolo di Kundry.
Ebbe carriera lunga, ma parsimoniosa di ruoli: Elisabeth (Tannhäuser), Ortrud (Lohengrin), Brünnhilde (Ring), Kundry (Parsifal), Aida e Amneris (Aida), Leonore (Favorite), Leonore (Fidelio), Cleopatra di Enna.
Frequentò molti importanti teatri, ma sempre per pochissime recite all’anno, così il suo successo e la sua carriera furono praticamente legati a Bayreuth.
Cosima aiutò anche cantanti come Ernst Kraus, Beatrix Kernic, Fritz Volgelstroem, Hans Breuer, Otto Briesemeister e Anton van Rooy a diventare interpreti storici rispettivamente dei personaggi di Siegfried, Eva, Lohengrin, Mime, Loge e Wotan.
Il problema di Cosima era trovare dei degni direttori d’orchestra.
Aveva già corteggiato il promettente Richard Strauss sia per il podio del Festspielhaus, sia per sua figlia, ma Strauss come compagna aveva già scelto la sua Elisabeth delle recite bayreuthiane: Pauline de Ahna.
Ma, oltre a questo, due cose impedivano ulteriori ingaggi del maestro (che comunque tornerà per Parsifal negli anni '30): la sua carriera di compositore, che mal si conciliava con il suo stile così estraneo a Wagner e la rivalità che poteva nascere con Siegfried Wagner.
In più, nel 1894 Levi decise di abbandonare il Festival per ragioni di salute e nel dire addio lasciò a Cosima un messaggio in cui si diceva disgustato del clima che si respirava a Bayreuth e dalle pressioni razziali che aveva ricevuto.
Mentre accadevano questi stravolgimenti, Siegfried Wagner, che già nel 1891 aveva iniziato a lavorare nel Festival come aiutante nell’illuminotecnica, aiutante di direzione, direttore di scena e infine direttore musicale sotto la guida di Humperdinck, Kniese, Richter e Mottl, incominciava ad ottenere un certo prestigio all’interno del panorama musicale.
Fu anche un discreto compositore, ma le sue opere non riuscirono a ottenere fortuna duratura nei grandi teatri.
Con questa preparazione Cosima lo scelse per condividere le recite del Ring con Richter, che avrebbe diretto la prima, e Mottl.
La preparazione della Tetralogia non voleva essere, almeno nelle intenzioni, una nuova interpretazione da parte della vedova, ma solo la riproposizione fedele dell’allestimento del ’76.
Max Brückner, Hans Thoma e Arpad Schmidhammer furono incaricati di recuperare i bozzetti delle scene e dei costumi, visto che le scenografie originali erano state vendute, dando loro un taglio più leggero, “moderno” e realista eliminando quegli elementi che avevano fatto storcere il naso a Richard Wagner.
Cosima rimase incantata dalle proposte di Brückner, ma a livello tecnologico il nuovo Ring non si differenziava molto dalla prima edizione. In più, non sarebbe stata sfruttata l’energia elettrica che già stava prendendo piede.
Ma una personalità irrequeta come quella di Cosima non poteva rimanere fedele alle sue premesse, così prese il sopravvento sulla produzione e decise di dare un’impronta personale alla regia del Ring.
Della direzione d’orchestra le importava poco, bastava che il direttore ammortizzasse il suono, ma tutta presa dalla regia pretese che la recitazione fosse sobria, ed il canto fosse più stilizzato possibile.
Il risultato come scrissero i critici fu il seguente: i cantanti stavano immobili sul palcoscenico con la sola eccezione di Brünnhilde, le scene erano belle e le luci funzionali, ma gli “incantesimi” e la magia tecnica erano resi in maniera troppo casalinga, eccetto il drago del II Atto del Siegfried.
I costumi non suscitarono l’effetto sperato ed i cantanti divisero come sempre critica e pubblico.
Carl Perron fu un Wotan insufficiente, troppo lirico e fu sostituito successivamente da Anton van Rooy e Theodor Bertram; Heinrich Vogl ebbe il suo trionfo personale interpretando magistralmente Loge e Siegmund, la Fricka della Brema piacque, ottime critiche anche verso il Mime esemplare di Hans Breuer, l’Alberich perfetto di Friedrichs e la Erda e Waltraute di Ernestine Schumann-Heink presenza quasi fissa dei Festival successivi, meravigliosa la Sieglinde della Sucher, inadeguato Emil Gerhauser nei panni di Froh e Siegmund, Alois Burgstaller fu considerato acerbo per la parte di Siegfried, ma adeguato e con una voce da maturare (avrebbe dimostrato in seguito di essere migliore interprete di Siegmund), la Lehmann, probabilmente a causa delle tensioni con Cosima e gelosa del successo della Gulbranson iniziò trionfalmente e terminò con fatica il Götterdämmerung, Grengg fu un Hagen cupo e impressionante tanto che in molti lo avrebbero voluto al posto del Wotan di Perron.
L’orchestra fu elogiata e ritenuta eccezionale soprattutto nelle mani di Richter e Mottl, ma con la bacchetta di Siegfried Wagner purtroppo si rivelò un fiasco in quanto la sua lettura venne ritenuta soporifera e poco dinamica.
Curiosamente solo Mahler e Shaw difesero Siegfried Wagner.
A questo punto mancava solo un’opera, secondo Cosima, degna di entrare nel tempio di Bayreuth ed era Fliegende Holländer, il cui allestimento coincise con il 25esimo anno di attività del Festival e con l’inizio del secolo.
I soliti “benpensanti” fecero ostruzionismo, ma Cosima andò avanti e iniziò il solito lavoro meticoloso.
Analizzò la partitura, le scene ed i costumi degli allestimenti di Weimar (1850) e Monaco (1864), per la scenografia e ai movimenti si ispirò alle architetture e alle usanze scandinave e affidò le decorazioni ed i costumi all’immancabile Brückner e al pittore Maximilian Roscan.
Alla regia lavorarono insieme madre e figlio (Siegfried) il quale, ispirandosi alle pitture di Turner, grazie ad un disegno luci magico ed un sapiente gioco di fumo, riuscì ad illuminare l’atmosfera creata sul palcoscenico con un alone di mistero incombente.
I cantanti, la direzione e la regia per la prima volta ebbero all’unanimità i toni del trionfo da parte del pubblico e della critica e il Fliegende Holländer di Bayreuth fu ritenuto come lo spettacolo migliore che si potesse vedere nel mondo.
Merito anche dei cantanti come van Rooy e Bertram impegnati nel ruolo dell’Olandese, la Destinn come Senta, Heidkamp come Daland, ruolo affidato nella ripresa del 1902 a Max Lohfing e Paul Knupfer, Kraus e Burgstaller come Erik e la Schumann-Heink come Mary e della direzione crepuscolare di Mottl.

GG: Come furono gli ultimi anni di Cosima prima del ritiro?

MB: Gli anni tra 1901-1903 furono di importanti cambiamenti e terribili avvenimenti per il Festival che si stava preparando agli allestimenti del 1904 e del 1906.
Nacque di nuovo un contrasto con il teatro di Monaco.
Possart voleva assolutamente rappresentare il Parsifal nel suo teatro, ma il diritto d’autore che legava l’opera a Bayreuth era in discussione al Reichstag, indeciso se farlo terminare nel 1913 o prolungarlo fino a 50 anni.
Cosima, appoggiata da Strauss, intervenne affinché si rispettasse il volere del Maestro e si facesse rappresentare il Parsifal solo a Bayreuth.
Ma il Reichstag non accolse la richiesta di Cosima in quanto ritenne poco plausibile che un’opera fosse appannaggio di un teatro soltanto e la donna sperò che almeno la legge avrebbe tutelato Parsifal fino al 1913.
Ma nel 1903 il Metropolitan di New York con la collaborazione dell’Opera di Monaco allestì il Parsifal con interpreti provenienti da Bayreuth!
L’avvenimento venne ribattezzato “Gralsraub”, furto del Graal!
Fino ad allora l’opera si era data in concerto e credo in selezioni, ma Cosima, furibonda, cercò con ogni mezzo di boicottare l’allestimento, ma tutto fu inutile in quanto New York non faceva parte della convenzione di Berna e le leggi valide in Germania non avevano nessun diritto in America.
La donna, in risposta alla impossibilità di fermare la macchina teatrale del Met, decise di escludere dal Festival tutti i cantanti che avevano preso parte allo scempio, vale a dire Alois Burgstaller, Andreas Dippel, Milka Ternina, Marion Weed, Lillian Nordica, Olive Fremstad, Anton van Rooy, Robert Blass, Otto Gorlitz, Marcel Journet, Alfred Mülhmann (Burgstaller però verrà integrato successivamente da Siegfried Wagner), e impedì al direttore Alfred Hertz di dirigere qualunque opera o concerto in Germania!
A peggiorare la situazione fu il “tradimento” inatteso che Cosima subì da parte di Mottl, reo di aver diretto una serie di concerti a New York come titolare dell’Opera di Monaco e non di Bayreuth e sospettato di aver dato dei consigli sull’allestimento del Parsifal, atti che gli valsero il disprezzo della donna e l’esilio da Bayreuth.
Senza direttori, Cosima scelse nuove leve come Karl Muck che prese il posto di Levi nella direzione di Parsifal, il talentuoso Michael Balling già aiutante e orchestrale a Bayreuth.
Nel 1904 si riprese lo spettacolo il Tannhäuser con un nuovo cast;
Desider Mathray e Fritz Remond nel ruolo del titolo, Katharina Fleischer-Edel che incarnò una Elisabeth perfetta e divenne Sieglinde, Brangäne ed Elsa di riferimento a Bayreuth, i vibranti Wolfram di Clarence Whitehill e di Theodor Bertram, il carismatico soprano Louise Grandjean, prima francese a Bayreuth e Paul Knupfer e Felix von Kraus nel ruolo del Langravio.
Se la direzione di Siegfried Wagner non convinse pienamente, ed i cantanti ebbero la loro buona dose di successo, il Baccanale suscitò uno scandalo senza precedenti per la presenza di una leggenda come Isadora Duncan, che scalza e seminuda incantò ed indignò critica e pubblico con la sua danza sensualissima ispirata alle pose greche.
Cosima, sistemato il patrimonio familiare grazie all’aiuto dell’immancabile von Gross, cercò di trovare un marito alle figlie, crecandoli tra i grandi compositori e direttori d’orchestra, come Strauss e Bruckner, ma si trovò come generi un conte siciliano che sposò Blandine, Henry Thode che convolò a giuste nozze con Daniela, mentre Isolde finì per sposare Franz Beidler già aiutante musicale a Bayreuth e direttore d’orchestra nel 1904 e nel 1906.
Beidler fece un passo falso dettato dall’ambizione: negò a Siegfried Wagner di essere l’erede legittimo di Richard Wagner e pretese un ruolo più importante all’interno del Festival.
Cosima appoggiò il figlio e Siegfried offeso a morte decise di esiliare Beidler dal Festspielhaus e dalla famiglia.
Il 1906 segnò per Cosima l'ultimo anno di direzione: ella scelse di riprendere il Tristan und Isolde con un cast rinnovato ed una visione registica ancora più diafana e intima.
Alfred von Bary interpretò un Tristan accorato e malinconico, Maria Wittich, la “Tante Wittich” di Strauss, reduce dallo scandalo per la Salome e dal successo come Sieglinde e Kundry a Bayreuth, ammaliò con la sua voce potente e piena di calore, per Brangäne si ricorse al soprano Katharina Fleischer-Edel, che conferì all’ancella un tono più fresco e sensibile come doveva essere stata la prima interprete alla prima di Monaco, Walter Soomer impressionò con il suo Kurwenal brutale e carismatico, Knupfer e von Kraus furono due solidi Re Marke.
Michael Balling sostituì Felix Mottl nella direzione dell’opera ed ebbe un franco e duraturo successo personale.
Il 1906 fu anche l’anno in cui morì Julius Kniese, preparatore vocale e amico prezioso della donna che venne sostituito, di comune accordo con Siegfried, con il soprano e veterana di Bayreuth Louise Reuss-Belce presente al Festival in piccoli ruoli già dal 1882 in cui interpretava una Fanciulla Fiore nel Parsifal e che successivamente incarnò Eva, Fricka, Gutrune senza disdegnare personaggi di fianco come le Walkirie e le Norne.
Fu, però, durante una visita nel Natale dello stesso anno al principe di Hohenlohe che la salute di Cosima peggiorò sfociando in un attacco di cuore.
La donna lo percepì come un segnale per farsi da parte e lasciare campo libero all’adorato figlio Siegfried nella gestione del Festival.
Dal 1908 Siegfried prendeva il posto della madre, che però rimase una presenza costante e insostituibile all’interno del Festspielhaus quanto a suggerimenti e scelta di cantanti.
Insomma il regno di Cosima non sarebbe tramontato così facilmente!

Per approfondire

Bayreuth: una storia del Festival Wagner – Fredric Spotts
Memorie Wagneriane – Angelo Neumann
Anna Bahr-Mildenburg - Gesture and the Bayreuth Style (Musical Times 2007) – Nicholas Baragwanath
The honourable Lady – An appraisal of Cosima Wagner – Sven Friedrich
La voce in Wagner (RITMO 6/1983 N°534) – Arturo Reverter
America’s Musical Inheritance: Memories and Reminiscences – Anna Eugenie Schoen Rene
The music dramas of Richard Wagner and his Festival Theather in Bayreuth – Albert Lavignac
The Virtuoso and the Artist – Richard Wagner
L’arte del dirigere l’orchestra – Richard Wagner
Per una perfetta rappresentazione del Tannhäuser – Richard Wagner
Great Women Singers of my times – Hermann Klein
Schumann-Heink: the last of the titans – Mary Lawton
Fundamentos de mi metodo de canto - Antoni Ribera
Nota di lettura del libro di Malou Haine Ernest Van Dyck, un ténor à Bayreuth - Jean-Marc Warszawski
Weingartner's Bayreuth treatise – Felix Weingartner
Wagner – Tutti i libretti d’opera – Piero Mioli

historicopera.com
cantabile-subito.de
wagnermania.com
isoldes-liebestod.info
archives.metoperafamily.org
forum.bayreuth.ru



Gli ascolti

Giulia Grisi intervista Marianne Brandt / 4


Ack, Varmeland du skona (trad.) - Ellen Gulbranson (1914)

Om dagen vid mitt arbete (trad.) - Ellen Gulbranson (1914)

Grieg - En Svane - Ellen Gulbranson (1914)

Grieg - Vaer hilset, i damer - Ellen Gulbranson (1914)

Grieg - Og jeg vil ha en hjertenskaer - Ellen Gulbranson (1916)

Häser - Frühlingstoaste - Fritz Friedrichs (1906)

Mozart - Don Giovanni

Atto I

Dalla sua pace - Alois Burgstaller (1906)

Weber - Der Freischütz

Atto I

Nein, länger trag ich nicht die Qualen - Alois Burgstaller (1906)

Wagner - Wesenkdonck-Lieder

Der Engel - Wilhelm Gruning (1912)

Träume - Ellen Gulbranson (1914)

Wagner - Der Fliegende Holländer

Atto I

Dich frage ich, gepreisner Engel Gottes - Theodor Bertram (1906)

Nur eine Hoffnung soll mir bleiben - Anton van Rooy (1906), Theodor Bertram (1907)

Wie? Hör ich recht? Mein Tochter sein Weib? - Max Lohfing (1911)

Atto II

Johohohe! Traft ihr das Schiff im Meere an - Emmy Destinn (1911)

Bleib', Senta! Bleib' nur einen Augenblick! - Alois Burgstaller & Melanie Kurt (1906), Ernst Kraus & Melanie Kurt (1911)

Mögst du, mein Kind, den fremden Mann willkommen heißen? - Paul Knupfer (1915)

Wie aus der Ferne längst vergang'ner Zeiten - Theodor Bertram (1902)

Atto III

Willst jenes Tags dich nicht mehr entsinnen - Emil Borgmann (1904)

Verloren! Ach! verloren! Ewig verlor'nes Heil! - Theodor Bertram (1906)

Wagner - Der Ring des Nibelungen

Das Rheingold

Weia! Waga! Woge, du Welle - Artner, Knupfer-Egli & Metzger (1904)

Der Wonne seligen Saal - Theodor Bertram (1906)

Vollendet das ewige Werk! - Hermann Bachmann (1908)

Immer ist Undank Loges Lohn! - Otto Briesemeister (1907)

So weit Leben und Weben - Otto Briesemeister (1904)

Jetzt fand' ich's: hört, was euch fehlt! - Otto Briesemeister (1908)

Wer hälfe mir? - Hans Breuer & Otto Briesemeister (1907)

Die in linder Lüfte Weh'n da oben ihr lebt - Robert vom Scheidt (1904)

Weiche, Wotan! Weiche! - Ottilie Metzger & Theodor Lattermann (1913)

Abendlich strahlt der Sonne Auge - Theodor Bertram (1904), Walter Soomer (1907), Anton van Rooy (1908), Hermann Bachmann (1908)

Die Walküre

Atto I

Müd am Herd fand ich den Mann - Ernst Kraus & Paul Knupfer (1910)

Ein Schwert verhieß mir der Vater - Ernst Kraus (1906)

Winterstürme wichen dem Wonnemond - Ernest van Dyck (1903), Ernst Kraus (1904), Alfred von Bary (1904), Wilhelm Gruning (1908)

Du bist der Lenz - Katharina Fleischer-Edel (1907), Lilli Lehmann (1907)

Siegmund heiß' ich und Siegmund bin ich! - Alfred van Bary (1904), Ernst Kraus (1906)

Atto II

Hojotoho! Hojotoho! - Martha Leffler-Burckard (1901)

Zauberfest bezähmt ein Schlaf - Ernst Kraus (1909)

Atto III

Leb' wohl, du kühnes, herrliches Kind! - Anton van Rooy (1902), Theodor Bertram (1902), Walter Soomer (1907), Hermann Bachmann (1908)

Der Augen leuchtendes Paar - Theodor Bertram (1902)

Siegfried

Atto I

Das ist nun der Liebe schlimmer Lohn! - Hans Breuer (1904)

Als zullendes Kind zog ich dich auf - Hans Breuer (1904)

Vieles lehrtest du, Mime - Ernst Kraus (1912)

Auf wolkigen Höh'n wohnen die Götter - Walter Soomer (1912), Theodor Bertram (1906)

Fühltest du nie im finstren Wald - Ernst Kraus (1915)

Notung! Notung! Neidliches Schwert! - Wilhelm Gruning (1905), Ernst Kraus (1906), Erik Schmedes (1907)

Hoho! Hoho! Hohei! Schmiede, mein Hammer, ein hartes Schwert! - Ernst Kraus (1906), Erik Schmedes (1907)

Atto II

Wir sind zur Stelle - Ernst Kraus (1915)

Daß der mein Vater nicht ist - Ernst Kraus (1909)

Ist mir doch fast, als sprächen die Vöglein zu mir! - Ernst Kraus (1915)

Hei! Siegfried gehört nun der Niblungen Hort! - Emilie Feuge-Gleiss (1904)

Er sinnt und erwägt der Beute Wert - Ernst Kraus (1915)

Lustig im Leid sing' ich von Liebe - Ernst Kraus (1916)

Atto III

Stark ruft das Lied - Ottilie Metzger (1907)

Götterdämmerung

Atto I

Zu neuen Taten, teurer Helde - Lucie Weidt & Erik Schmedes (1909)

Vergäß' ich alles, was du mir gabst - Ernst Kraus & Hermann Bachmann (1909)

Blut-Brüderschaft schwöre ein Eid! - Erik Schmedes (1909)

Hier sitz' ich zur Wacht, wahre den Hof - Richard Mayr (1910)

Seit er von dir geschieden - Ottilie Metzger (1911)

Atto II

Hoiho! Hoihohoho! Ihr Gibichsmannen, machet euch auf! - Allan C. Hinkley (1907)

Atto III

Frau Sonne sendet lichte Strahlen - Artner, Knupfer-Egli & Metzger (1904)

Mime hieß ein mürrischer Zwerg - Erik Schmedes (1907), Ernst Kraus & Eduard Habich (1909)

Brünnhilde! Heilige Braut! - Erik Schmedes (1909), Ernst Kraus (1909)



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venerdì 14 agosto 2009

I venerdì di Wagner: Giulia Grisi intervista Marianne Brandt (terza parte)

Giulia Grisi: Con i direttori d’orchestra come si comportava Cosima?

Marianne Brandt: Per Cosima anche la musica doveva essere subordinata alle esigenze drammaturgiche.
Spersonalizzò lo stile dei direttori e li sottomise, poiché, come dice Kundry al terzo atto, essi dovevano solo “servire” eseguendo i suoi ordini senza alcuna discussione.
Tutto partiva da alcuni concetti che Wagner aveva espresso per una perfetta direzione orchetrale, che vennero rielaborati e adattati allo “Stile di Bayreuth”.

Wagner aveva raccomandato a Seidl durante il suo apprendistato, ma anche a Neumann ed ai suoi direttori a Berlino e Lipsia, di fare sempre attenzione al dramma, di sostenerlo con i tempi della partitura, di seguire le espressioni musicali e drammatiche e di non coprire mai le voci mantenendo un controllo continuo del volume orchestrale in quanto nel golfo mistico c’erano decine di strumenti, sulla scena solo una persona con una gola.
Cosima era di un avviso differente.
Nella sua presunta fedeltà, arrivò a prendersi licenze sull’orchestrazione, sostituendo strumenti o eliminandoli del tutto!
Pretese di cambiare tutti i tempi presenti sullo spartito rallentando la musica in maniera intollerabile, perché solo con la dilatazione temporale e attraverso tonalità sacrali e sussurrate si sarebbe trasmessa al meglio l’atmosfera mistica che si doveva respirare ascoltando le opere del Maestro!
Nacque il “Tempo di Bayreuth”.
Non invitò mai a Bayreuth quei direttori che avevano maturato uno stile diverso e più moderno o un’interpretazione più originale dal suo punto di vista, ma nonostante queste precauzioni nel suo entourage erano presenti anche aiutanti che avevano assistito Wagner e potevano opporsi a lei argomentando con le parole del Maestro.

GG: Quale fu il comportamento dei direttori di fronte al carisma di Cosima e come reagiva la critica?

MB: Molti direttori scelti da lei si sottomisero senza colpo ferire.
Levi, come abbiamo visto, fu il primo e Felix Weingartner, aiutante del direttore, considerava umiliante il comportamento del suo maestro e di Felix Mottl nei confronti della donna.
Ma Mottl fu nominato direttore e collaboratore musicale del Festival, carica che tenne dal 1886 al 1903, guadagnandosi l'ostilità di Hans Richter, aiutante e direttore del Ring nel 1876, e di Anton Seidl, valente collaboratore di Wagner.
George Bernard Shaw in quegli anni frequentava il Festival e con spirito critico e irriverente non aveva problemi a criticare anche in maniera irruente ciò che ascoltava.
Pur riconoscendo al Festival la portata storica importantissima ed il suo rilevante contributo, non riusciva proprio a farsi piacere il suono dell’orchestra e lo stile di canto che Cosima aveva imposto.
Sull’orchestra non aveva dubbi.
Meglio il suono di quella londinese che di quella di Bayreuth, asseriva, denunciando, a ragione, le manomissioni che venivano perpetrate in un luogo dove era prevista la fedeltà assoluta, e accusando Cosima degli effetti antinaturalistici e di movimenti esagerati e ridicoli che gli artisti dovevano fare in scena, affermando con fermezza che a Bayreuth si faceva tutto ciò che Wagner detestava nel teatro!
Il canto per Shaw era la croce e delizia di Bayreuth.
I cantanti urlavano e ruggivano, ma di certo non cantavano e Bayreuth era il posto dove peggio si cantava al mondo. Questa cosa fu confermata anche dagli eredi wagneriani e dagli storici di musica.
Appia stesso, che fu presente al Tristan und Isolde con la regia di Cosima, rimase sconvolto e giudicò l’allestimento senza vita, lui che aveva con i suoi scritti rivoluzionato il modo di intendere le rappresentazioni teatrali e wagneriane usando una scena semplice, astratta, atemporale e geometrica, e lasciando che le luci e l’intimismo parlassero nel più grande rispetto della musica.
Cosima era cieca di fronte a tali innovazioni e nonostante i due cercassero di collaborare, la vedova ritenne il suo lavoro inadatto allo stile di Bayreuth e i loro rapporti si interruppero.
Il problema di Cosima è che in fondo cercava una fedeltà che fosse compatibile con il suo gusto personale e con quello dei tempi.
Nonostante le ferocissime critiche per le libertà che si prendeva nei confronti del marito, il suo modo di fare teatro venne copiato ovunque.
Le scelte di Cosima e Kniese in ambito canoro, registico e musicologico furono a parer mio una “tradizione inventata” per rafforzare la posizione culturale che il Festival stava vivendo in quegli anni!

GG: Torniamo al Festival e alle edizioni successive.

MB: Il successo ottenuto con Parsifal e Tristan und Isolde era stato certamente lusinghiero e aveva avuto grande risonanza internazionale, ma economicamente non aveva avuto il riscontro previsto.
Von Gross consigliò alla direttrice del Festival di non eseguire alcuna rappresentazione nel 1887, ma e di pensare ad un nuovo allestimento per il 1888.
Più tardi lo stesso von Gross si trovò di fronte ad una nuova bufera legale.
Alla morte di Ludwig II nell’estate del 1886, si fece avanti nella vita politica tedesca il Conte Christoph Krafft von Crailsheim, il quale considerava che opere come il Ring e Parsifal dovessero ritenersi proprietà esclusiva dell’Opera di Monaco e che in futuro solo con il permesso del nuovo Principe Reggente di Baviera avrebbero trovato posto nel Festspielhaus.
Von Gross criticò polemicamente la decisione del Conte e portò la spinosa faccenda in tribunale.
Crailsheim corresse il tiro e permise un accordo in cui agli eredi wagneriani fosse riconosciuta la proprietà delle opere del Maestro e si accordasse a Bayreuth il diritto esclusivo di rappresentare Parsifal lasciando a Monaco i diritti sulle prime opere giovanili di Wagner, escluse dal Festival.
Cosima sperava anche che Guglielmo II si trasformasse nel nuovo protettore del Festival e potesse patrocinarlo, ma il Kaiser era incostante e stravagante e nonostante la sua ammirazione per Bayreuth non aiutò mai la vedova.
Cosima per il 1888 aveva in mente di allestire l’amato Tannhäuser a cui lei agognava da tempo, ma von Gross usando il suo spirito acuto e pratico suggerì di usare un’opera più leggera, che esaltasse il nazionalismo popolare, ovvero i Meistersinger.
Cosima accettò l’impresa e prese a esempio lo spettacolo della prima di Monaco del 1869 ritenuta perfetta, poiché visionata da Wagner stesso, ma con qualche aggiustamento soprattutto attraverso la soppressione di dettagli ritenuti troppo realistici e l’utilizzo di oggetti in cartone e pietra per gli accessori scenografici.
Affinché il coro fosse ideale, Cosima richiamò a Bayreuth Julius Kniese che, messi da parte fanatismi e ossessioni, divenne in quagli anni uno dei collaboratori più duttili di Cosima.
Per la prima volta nella gestione della vedova Wagner il Festival fece il tutto esaurito e le rappresentazioni ebbero un successo pieno e caloroso sia da parte del pubblico sia della critica che riconobbe nei Meistersinger di Bayreuth il miglior allestimento ipotizzabile.
Purtroppo i cantanti non ebbero lo stesso trattamento dalla critica.
Il tenore H. Gudehus e il Sachs di T. Reichmann furono deludenti, le tre interpreti di Eva, la Sucher, la Malten e la Senger-Bettaque furono considerate solo buone interpreti e tutti, coro incluso, furono criticati.
Gli unici che suscitarono entusiasmo unanime furono Fritz Plank e Carl Scheidemantel che si alternavano con Reichmann nel ruolo di Sachs, il bravissimo Sebastian Hoffmuller che pose una pesante ipoteca sul personaggio di David e il grande Fritz Friedrichs, il quale incantò tutti con la sua interpretazione di Beckmesser, che, guidato da Cosima, riuscì a trasformare una figura comica in un personaggio profondo e degno di rispetto.
Con grande disappunto di Cosima, che non nascondeva un certo disprezzo, il direttore Hans Richter trionfò su tutti.
Richter aveva commesso il “peccato” di non eseguire ciecamente i voleri di Cosima.
Nel suo lavoro non accettava alcuna interferenza e, il prestigio di cui godeva e la sua passata amicizia e vicinanza con Wagner, ne fecero un esempio inattaccabile di stile e direzione.
Purtroppo fu il Parsifal ad avere la peggio.
Levi ebbe un malore e Cosima lo sostituì frettolosamente con Mottl il quale dilatò talmente tanto i tempi da provocare dei veri e propri scollamenti tra golfo mistico e palcoscenico, ponendo i cantanti in grande difficoltà.
La critica gli rimproverò di aver impoverito la struttura drammatica e teatrale della partitura rendendola irriconoscibile, in più il paragone con Levi e con Richter fu schiacciante…questo il risultato delle indicazioni di Cosima!
Nonostante i problemi, emerse sulla compagnia il tenore Ernst van Dyck divenuto poi Parsifal insostituibile a Bayreuth, mentre i detrattori si scagliarono ingiustamente contro la direttrice accusandola di tirannia e tradimento verso la Germania per aver aperto per la prima volta il Festival ad artisti “stranieri”, pratica che grazie al cielo, continuò e diede grandi soddisfazioni alla causa wagneriana e notevole impulso a nuove interessanti interpretazioni.
Nell’89 con le rappresentazioni di Tristan und Isolde (Mottl), Meistersinger (Richter) e Parsifal (Levi) tutto tornò alla normalità ed il successo fu di nuovo grandioso!
Finalmente nel 1891 Cosima ebbe la possibilità di realizzare il suo sogno: mettere in scena Tannhauser seguendo le preziose indicazioni del marito e scostandosi dalla routine in cui il titolo era caduto.
Il gesto di inserire nella programmazione il Tannhauser, la fece entrare in aperta polemica con coloro che non vedevano di buon occhio le opere wagneriane precedenti al Tristan und Isolde, ma Cosima non si fece distrarre dalle provocazioni e ciò che voleva compiere era dimostrare con la sua messa in scena, che le opere di Wagner erano più drammi che opere... cosa discutibile vista la presenza di note!
Cosima si lanciò nel progetto con una passione ed una meticolosità invidiabile.
Studiò con attenzione tutti i documenti del marito che suggerivano come allestire l’opera, analizzò ogni dettaglio della partitura (Versione Parigi) ed il periodo storico senza tralasciare usanze, costumi e figure realmente esistite da includere nella lista degli invitati alla tenzone, recuperò tutti i dati riguardanti gli spettacoli curati dal marito a Dresda (1845), Parigi (1861) e Vienna (1875), si mise in contatto anche con gli esperti storici, visitò per i costumi i musei di Berlino e Monaco.
La visione che Cosima aveva dell’opera era chiarissima, ovvero la contrapposizione tra l’età classica pagana e dionisiaca ed il medioevo cristiano.
Per accentuare il contrasto chiamò la coreografa Virginia Zucchini che si sarebbe occupata del Baccanale mitologico e scelse per incarnare Elisabeth due cantanti giovanissime e con poca esperienza teatrale: Pauline de Ahna ed Elisa Wiborg.
Tannhauser venne affidato a Hermann Winckelmann, Max Alvary e Heinrich Zeller e Wolfram a Theodor Reichmann e Karl Scheidemantel.
Venus invece doveva incarnare la donna sensuale e ammaliatrice della tradizione e a tale proposito furono convocate Rosa Sucher e Pauline Mailhac, la cui seducente interpretazione le avrebbe garantito la presenza al Festival nelle successive due riprese e anche i ruoli di Kundry (1891-92) e Ortrud (1894 in secondo cast.
Tannhäuser riletto come un’opera “sacra”…una sorta di Parsifal insomma!
Il titolo proposto, la meticolosa preparazione, la curiosità data dalle dichiarazioni della donna sollevarono un grande interesse sulla messa in scena e sull’evento e da questo punto di vista per Cosima fu un trionfo personale.
Le scene di Arnold Böcklin e dei fratelli Brückner peccarono per eccesso di realismo e decorativismo, in più il palco era perennemente ingombro di figuranti, e la critica non si mostrò tanto indulgente con lo spettacolo.
Fu sicuramente recepito bene, ma tutti o quasi furono concordi con il fatto che le aspettative erano altissime e la produzione si dimostrò…di routine!
Certo il Baccanale era stato favoloso, ma l’impressione generale data dai gesti e dalle troppe comparse in scena fu di uno spettacolo meccanico e innaturale.
Proporre il Tannhäuser come mistero cristiano medioevale, privandolo della componente romantica, in parte contraddiceva il libretto e la visione che il pubblico aveva della storia.
Dal punto di vista musicale non andò meglio.
I tre Tannhäuser non si distinsero per nessun merito particolare e l’anno successivo furono sostituiti da Wilhelm Gruening che ebbe un duraturo successo, ma l’unica a distinguersi, assieme alla Mailhac ed al Wolfram di Scheidemantel, che negli anni seguenti sarà affiancato da Giuseppe Kaschmann, fu l’Elisabeth della Wiborg, che con una voce timbrata e cristallina e un'interpretazione piena di innocenza conquistò pubblico e critica.
Se la direzione di Mottl non smosse gli animi, fu quella del compositore Richard Strauss ad accenderli quando fu chiamato a dirigere l’opera nel 1894.
Stesso trattamento “drammaturgico” fu riservato al successivo allestimento di Lohengrin del 1894. Anche in questo caso la visione di Cosima era tutta votata al versante spirituale, che doveva seppellire tutta la chincaglieria passata di cigni, bandiere, lance e scudi ed esaltare il misticismo religioso che avrebbe sconfitto gli antichi dèi pagani.
La rappresentazione tutta votata alla solennità ed in stile bizantino, fu ambientata da Cosima durante il X secolo D.C. e non nel XIII come prevedeva il libretto, per infrangere definitivamente l’accusa di conservatorismo che le era stata imputata.
Con Lohengrin, accompagnato in quell’anno da Tannhäuser e Parsifal, Cosima voleva contrapporsi all’iniziativa di Ernst von Possart, direttore dell’Opera di Corte di Monaco, che aveva avversato Wagner e che voleva creare un Festival parallelo da inaugurarsi proprio con Lohengrin.
Bayreuth, all’epoca, per la scelta dei professori d’orchestra, dipendeva totalmente da Monaco e Cosima doveva mantenere comunque un rapporto di cordialità con il teatro ed il suo direttore per garantire la presenza degli orchestrali.
Per risolvere la controversa competizione tra i due teatri, von Gross riuscì a far intervenire il Principe Reggente che proibì al teatro di Monaco di eseguire le stesse opere di Wagner nello stesso periodo…così il Festival fu salvo ancora una volta.
La critica in generale proclamò il Lohengrin di Bayreuth come lo spettacolo più riuscito nonostante alcune pecche di regia rilevate da Weingartner e Shaw.
Dal lato musicale i cori furono eccellenti, la direzione di Mottl fu elogiata, ma alcuni la giudicarono penalizzante per i cantanti.
A causa dei tempi staccati da Mottl, l’orchestra e le voci non riuscirono ad amalgamarsi portando allo sbando le voci di Ernst van Dyck e Lillian Nordica nei ruoli di Lohengrin ed Elsa che purtroppo non convinsero, ma in seguito ed in altri teatri furono interpreti di riferimento; meglio la coppia “nera” formata da Demeter Popovici e Marie Brema, che fu un’Ortrud impressionante.


Gli ascolti

Giulia Grisi intervista Marianne Brandt / 3


Wagner - Tannhäuser

Atto I

Dir töne Lob! - Deszo Matray (1904), Willi Birrenkoven (1909)

Stets soll nur dir, nur dir mein Lied ertönen! - Hermann Winkelmann (1905)

Als du in kühnem Sange uns bestrittest - Karl Scheidemantel (1907)

Atto II

Dich, teure Halle - Katharina Fleischer-Edel (1907), Ellen Gulbranson (1914)

Dich treff' ich hier in dieser Halle - Paul Knupfer & Katharina Fleischer-Edel (1904)

Blick' ich umher in diesem edlen Kreise - Theodor Bertram (1907)

Der Unglücksel'ge, den gefangen - Cäcilie Rusche-Endorf (1909)

Atto III

Wohl wußt' ich hier sie im Gebet zu finden - Clarence Whitehill (1904), Theodor Bertram (1906)

Allmächt'ge Jungfrau, hör mein Flehen! - Katharina Fleischer-Edel (1909)

Wie Todesahnung Dämmrung deckt die Lande - Theodor Bertram (1902)

Inbrunst im Herzen, wie kein Büßer noch - Ernst Kraus (1911)

Da sah ich ihn, durch den sich Gott verkündigt - Erik Schmedes (1910)

Wagner - Lohengrin

Atto I

Dank, König, dir! - Rudolf Berger (1907)

Nun sei bedankt, mein lieber Schwan! - Wilhelm Gruning (1905)

Atto II

Euch Lüften, die mein Klagen - Katharina Senger-Bettaque (1905)

Entweihte Götter! - Edyth Walker (1908)

Du Ärmste kannst wohl nie ermessen - Frieda Hempel (1922)

Des Königs Wort und Will tu ich euch kund - Hermann Bachmann (1907)

...ob sein Geschlecht, sein Adel wohl bewährt? - Luise Reuss-Belce & Johanna Gadski (1903)

Atto III

Atmest du nicht mit mir die süssen Düfte? - Alois Hadwiger (1912)

Höchstes Vertraun hast du mir schon zu danken - Hermann Winkelmann (1905)

In fermem Land - Alois Burgstaller (1906), Erik Schmedes (1906)

Mein lieber Schwan! - Alois Hadwiger (1912)

Wagner - Die Meistersinger von Nüremberg

Atto I

Am stillen Herd in Winterszeit - Hermann Winkelmann (1900), Ernst Kraus (1902)

Atto II

Was duftet doch der Flieder - Leopold Demuth (1909)

Jerum! Jerum! Hallahallohe! - Anton von Rooy (1902)

Atto III

Wahn! Wahn! Überall Wahn! - Leopold Demuth (1909)

Grüss Gott, mein Junker! - Hermann Bachmann & Ernst Kraus (1908)

Abendlich glühend in himmlischer Pracht - Hermann Winkelmann (1906)

Weilten die Sterne im lieblichen Tanz? - Hermann Winkelmann (1900)

Selig, wie die Sonne - Johanna Gadski (1908), Leopold Demuth (1909)

Morgenlich leuchtend in rosigem Schein - Hermann Winkelmann (1900), Wilhelm Gruning (1905), Ernst Kraus (1910)

Grieg - Peer Gynt

Solveijgs Lied IV (Der Winter mag scheiden) - Beatrix Kernic (1903)

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