
Ascolti selezionati, pochi, da cui abbiamo volutamente omesso la leggendaria produzione scaligera del ‘60, perché tutti voi la conoscete benissimo.
Rarità archeologiche, more nostro, ma non solo, che mi pare illustrino bene le ragioni da sempre alla base dell’allestimento del grandioso dramma donizettiano. Ragioni chiarissime alla Scala di Ghiringhelli, che per ripresentare al suo pubblico la più grande di tutte le dive ormai in declino evidente, scelse un titolo incentrato sul protagonista maschile. Non fu certo una scelta casuale!
Poliuto è il prototipo del “tenore di forza” del melodramma romantico. Duprez di Poliuto non era più quello di Lucia, e lo dice lo stesso Donizetti. Una voce divenuta potente persa o ridotta la duttilità. Anche se pensato in origine per Nourrit Poliuto circolò in Italia grazie a tenori come Negrini, Tamberlick sino ad Aramburo, Tamagno, che ante Otello ne fece il proprio titolo di preferenza. Al modello del tenore di forza romantico ovvero con voce di colore chiaro, accento altisonante e squillo negli acuti, aggiungiamo doviziosamente interpolati si rifanno tutti gli ascolti proposti che crediamo servano a chiarire il modello vocale del protagonista. A questo modello, sia pure in condizioni vocali non certo freschissime, si rifà Giacomo Lauri Volpi in una tardiva registrazione del duetto ancor più tardiva dell’esecuzione teatrale ( Terme di Caracalla nel 1955) e con qualche slancio verista, ma entusiasmante per il rapporto verso il martirio, anzi l’autodistruzione, verso il martirio Aureliano Pertile in quel che resta purtroppo di una edizione EIAR. Ma i due modelli del tenori di forza rimangono Antonio Paoli ed Augusto Scampini. Fanno sentire per il coesistere di slancio, splendore, vocale e forza al medesimo tempo e pur con le tare delle registrazioni acustiche qualche cosa a noi ignoto.
Quanto agli altri ruoli, un esempio di baritono di buona carriera del suo tempo, Ferruccio Corradetti, dotato di un buono ma non straordinario mezzo naturale, bella tecnica e pertinenza stilistica. Quanto basta a rendere giusta dignità ed eleganza a Severo, ruolo che non richiede necessariamente un cantante fenomenale.
Le interpreti selezionate che hanno inciso qualche frammento del ruolo di Paolina sono soprani lirici o al più spinti, come Maria Pedrini. La parte, nata per la Tadolini e poi rivisitata nei Martyrs per la Dorus Gras, è stata anche appannaggio di soprani come la Caniglia, Paolina del Poliuto di Gigli nel ’40 alla Scala e di Lauri Volpi a Caracalla nel ’55, dato il moderato tasso di virtuosismo della parte. Si tratta di voci comunque importanti, che frequentavano unitamente a Verdi e al Verismo titoli come la Norma, non senza pagarne il tributo stilistico ai canoni del tempo, come Emilia Corsi o Maria Pedrini. Purtroppo ci mancano cavatina ed “Arpe angeliche”, incise ma mai stampate, di Giannina Russ, ma ci basta la De Macchi, non certo tra i primi soprani della storia del canto, a documentarci come la cifra della vocalità di Paolina non fosse perduta nemmeno in pieno Verismo. Nessuna di queste cantanti era specialista di belcanto, somma virtuosa, modello da letteratura sul canto: avrebbe dovuto essere Maria Callas, se non fosse stata in declino, a restituire il ruolo ad una fuoriclasse assoluta del tempo moderno, ma il compito tocco ad altra primadonna di rango, Leyla Gencer, già doppio della Callas nel Poliuto scaligero, di cui non si conosce l’audio della straordinaria prestazione, poi come Pauline dei Martyrsuna quindicina d’anni dopo.
Delle rarissime produzioni post ‘60 scaligero, come esempio di modernità, valeva la pena di proporvi il finale dei Martyrs veneziani del 1978, in duo con Ottavio Garaventa. Lui, tenore di serie B del suo tempo, nato come tenore da Lucia Manon Elisir e non certo “di forza” alla Corelli, canta con una pienezza timbrica, un legato, un volume inimmaginabili domenica scorsa a Bergamo. La sua si che era una voce sonora e che correva!
Lei, grandissimo soprano a fine carriera, manovra i resti di una voce malferma e rotta, ma canta con una intensità soggiogante ed una eleganza che oggi non trovano pari in nessun soprano in attività, ad onta degli scricchiolii e degli artifici messi in gioco per mascherare lo sfascio vocale. Anche i suoni brutti o poco controllati, non sono mai l’orrore ingovernato e selvaggio udito da parte della Paolina di domenica scorsa.
Così si canta e si è sempre cantato Poliuto, come da tradizione antica e precedente ogni filologismo moderno, senza pseudofestival e velleità culturali di sorta.
Gli ascolti
Gaetano Donizetti
Poliuto
Atto I
Di quai soavi lagrime - Maria De Macchi (1908)
Di tua beltade immagine - Ferruccio Corradetti (1908)
Atto II
Ah! tu! Non trovo la parola...Lasciami in pace morire omai - Aureliano Pertile, Maria Pedrini, Giuseppe Manacchini & Augusto Beuf (1939)
Atto III
Deh, fuggi da morte...Il suon dell'arpe angeliche - Augusto Scampini & Cecilia David (1907), Antonio Paoli & Honora Popovici (1909), Carlo Albani & Emilia Corsi (1911), Giacomo Lauri-Volpi & Margherita Benetti (1957)
Les Martyrs
Atto IV
Rêve délicieux...Pour toi, ma prière...O sainte mélodie! - Ottavio Garaventa & Leyla Gencer (1978)