venerdì 14 gennaio 2011

Le favole di Giulia Grisi, quinta puntata: Metropolitan Opera House, novembre/dicembre 1910

Le celebrazioni del centenario della prima assoluta della Fanciulla del West, ricorrenza accompagnata da peana della carta stampata in cui fiorivano i paralleli fra il primo interprete e l’attuale del bandito Ramerrez, quasi che i due cantanti fossero non dico simili, ma comparabili, al di là delle origini geografiche, hanno indotto e spronato i compilatori del Corriere della Grisi a consultare le cronologie del teatro americano relative al periodo della première. Diciamo quelli del Corriere sono stati provocati a guardare attorno non già a questa celebrazione, ma alla prima esecuzione del titolo pucciniano.

Non si tratta, checché ne possano pensare i detrattori per partito preso, di cattiveria e animosità nei confronti dei protagonisti dell’attualità operistica, semmai del desiderio di comprendere o sforzarsi di comprendere al meglio la fondatezza delle pretese di eccellenza e innovazione che i suddetti protagonisti accampano, anche e soprattutto per il tramite della stampa cosidetta specializzata. Eccellenza e innovazione rispetto a un passato in cui il repertorio era ridotto a pochi titoli (voce assolutamente indimostrata), sempre gli stessi, e gli esecutori non potevano vantare che una conoscenza molto approssimativa non solo dei meccanismi del teatro di regia, gli unici in grado di garantire, a detta di alcuni, la perfetta riuscita di uno spettacolo lirico, ma anche della musica, che esulasse da quel limitatissimo repertorio.
È sufficiente scorrere gli archivi del Met relativi a un paio di mesi scarsi, dalla metà di novembre alla fine di dicembre del 1910, per rendersi conto che gli spettatori newyorkesi ebbero modo di assistere, in quel breve lasso di tempo, a due prime assolute (oltre alla Fanciulla, Koenigskinder di Humperdinck) e alla prima statunitense dell’Armide gluckiana. Quanto, poi, a un titolo in teoria di grande repertorio, nei fatti oggi scomparso o quasi dai cartelloni, la Gioconda venne proposta con un cast di lusso a dir poco sfrenato (fra l’altro coincidente, in buona misura, con quello della Fanciulla e affidato alla stessa illustre bacchetta, che non disprezzava certo il buon Ponchielli). Wagner, del quale è imminente il secondo centenario dalla nascita, venne affrontato, sempre in quei due "mesetti", da tutti o quasi i maggiori interpreti del tempo, segnatamente in corda di tenore.
Scusate ma non è da tutti proporre nel medesimo titolo Leo Slezak e Carl Burrian, o ancora Karl Jorn e Hermann Jadlowker. Peraltro gli stessi interpreti affrontavano con la medesima disinvoltura e appropriatezza stilistica (documentata dai reperti fonografici) anche i titoli del repertorio italiano coevo o passato.
Accertata e documentata anche la predilezione del teatro newyorkese per le cantanti di giovane e gentile aspetto, quali Geraldine Farrar, peraltro costrette a ritmi lavorativi inaffrontabili in difetto di una preparazione tecnica, degna di questo nome, e per le dive sul viale del tramonto, come Nellie Melba, alla sua ultima apparizione metropolitana quale Violetta. La scelta dei colleghi con cui queste fascinose signore si esibivano era, a ogni modo, sempre e comunque sotto il segno del lusso e dello sfarzo, tanto che la cornice finisce per impressionare, oggi, assai più del quadro che avrebbe dovuto porre in risalto. E in ogni caso le dive o divastre non toglievano spazio, o almeno, non completamente, a solide cantanti di attuale poca o nulla fama, quale Lydia Lipkowska, che nell’estratto del Rigoletto che proponiamo in appendice dimostra doti timbriche e sapienza tecnica, che la signora avrebbe in buona misura trasfusa nella sua più celebre e celebrata allieva: Virginia Zeani.
E con questo ci fermiamo, anche per consentire ai lettori di esplorare a proprio talento, ponderare, considerare.
Davanti a tanto lusso ciascuno di noi ha due scelte. Entrambe di fatto impossibili. Augurarsi di possedere la macchina del tempo e scegliere uno di questi spettacoli, con scene di cartapesta, fondali dipinti, soprani di forte complessione e calzanti cornuti elmi e addobbi da processione, e questa è la scelta dei passatisti, grisini, grisalidi. Oppure provare a pensare di allestire una identica programmazione, scritturando i divi di oggi ossia quei soprani, che surclassano una Morena, piuttosto che una Farrar o i tenori, che belli e bravi ridicolizzano il cimelio di Hermann Jadlowker. E sono gli accoliti del teatro di regia, del passato rinnegato, delle auspicate disintossicazioni da 78 giri e affini.
Sono certo che il risultato sarà per entrambe le categorie quello della sezione conclusiva del sogno di Tosti.



Metropolitan Opera House
November 14, 1910
Opening Night {26}

Giulio Gatti-Casazza, General Manager

United States Premiere


ARMIDE {1}
C. W. Gluck-Quinault

Armide..................Olive Fremstad
Renaud..................Enrico Caruso
Hate....................Louise Homer
Hidraot.................Pasquale Amato
Phénice.................Jeanne Maubourg
Sidonie.................Lenora Sparkes
Ubalde..................Dinh Gilly
Danish Knight...........Angelo Badà
Lucinde.................Alma Gluck
Artémidore..............Albert Reiss
Aronte..................Andrés De Segurola
Naiad...................Marie Rappold
Love....................Alma Gluck

Act I Incidental dance: Corps de ballet
Act II Dance of the Shepherds: Lucia Fornaroli [Debut], Anna Mariani [Debut], and corps de ballet
Act III Dance Inferanale: Gina Torriani, Lucia Fornaroli, Marcelle Myrtille, and corps de ballet
Act IV Dance of the Shepherds: Lucia Fornaroli, Anna Mariani, and corps de ballet
Act V Divertissement: Gina Torriani, Lucia Fornaroli, and corps de ballet

Conductor...............Arturo Toscanini





Albany, New York
Harmanus Bleecker Hall
November 15, 1910


MADAMA BUTTERFLY {54}
Puccini-Illica/Giacosa

Cio-Cio-San.............Geraldine Farrar
Pinkerton...............Riccardo Martin
Suzuki..................Marie Mattfeld
Sharpless...............Antonio Scotti
Goro....................Angelo Badà
Bonze...................Bernard Bégué
Yamadori................Georges Bourgeois
Kate Pinkerton..........Helen Mapleson
Commissioner............Vincenzo Reschiglian
Yakuside................Francesco Cerri

Conductor...............Arturo Toscanini



Metropolitan Opera House
November 16, 1910
Revised production


TANNHÄUSER {178}
Wagner-Wagner

Tannhäuser..............Leo Slezak
Elisabeth...............Berta Morena
Wolfram.................Walter Soomer
Venus...................Olive Fremstad
Hermann.................Allen Hinckley
Walther.................Albert Reiss
Heinrich................Julius Bayer
Biterolf................William Hinshaw [Debut]
Reinmar.................Frederick Gunther
Shepherd................Lenora Sparkes
Page....................Lenora Sparkes
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield
Dance...................Lucia Fornaroli
Dance...................Marcelle Myrtille
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
November 17, 1910


AIDA {159}
Giuseppe Verdi--Antonio Ghislanzoni

Aida....................Emmy Destinn
Radamès.................Enrico Caruso
Amneris.................Louise Homer
Amonasro................Pasquale Amato
Ramfis..................Adamo Didur
King....................Giulio Rossi
Messenger...............Pietro Audisio
Priestess...............Rita Fornia
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
November 18, 1910


DIE WALKÜRE {140}
Wagner-Wagner

Brünnhilde..............Lucie Weidt [Debut]
Siegmund................Carl Burrian
Sieglinde...............Berta Morena
Wotan...................Walter Soomer
Fricka..................Florence Wickham
Hunding.................Basil Ruysdael [Debut]
Gerhilde................Lenora Sparkes
Grimgerde...............Henriette Wakefield
Helmwige................Rita Fornia
Ortlinde................Rosina Van Dyck
Rossweisse..............Inga Örner
Schwertleite............Paula Wöhning [Last performance]
Siegrune................Marie Mattfeld
Waltraute...............Florence Wickham

Conductor...............Alfred Hertz


New York, Brooklyn
November 19, 1910


IL TROVATORE {84}
Giuseppe Verdi--Salvatore Cammarano

Manrico.................Leo Slezak
Leonora.................Marie Rappold
Count Di Luna...........Pasquale Amato
Azucena.................Louise Homer
Ferrando................Herbert Witherspoon
Ines....................Emma Borniggia
Ruiz....................Pietro Audisio
Gypsy...................Edoardo Missiano

Conductor...............Vittorio Podesti


Metropolitan Opera House
November 21, 1910


LA BOHÈME {92}
Puccini-Illica/Giacosa

Mimì....................Geraldine Farrar
Rodolfo.................Hermann Jadlowker
Musetta.................Bella Alten
Marcello................Antonio Scotti
Schaunard...............Adamo Didur
Colline.................Andrés De Segurola
Benoit..................Antonio Pini-Corsi
Alcindoro...............Antonio Pini-Corsi
Parpignol...............Pietro Audisio
Sergeant................Edoardo Missiano
Officer.................Pietro Audisio

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
November 23, 1910


LA GIOCONDA {39}
Ponchielli-Boito

La Gioconda.............Emmy Destinn
Enzo....................Enrico Caruso
Laura...................Louise Homer
Barnaba.................Pasquale Amato
Alvise..................Andrés De Segurola
La Cieca................Maria Claessens [Debut]
Zuàne...................Bernard Bégué
Isèpo...................Pietro Audisio
Singer..................Edoardo Missiano

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
November 24, 1910 Matinee


PARSIFAL {59}
Wagner-Wagner

Parsifal................Carl Burrian
Kundry..................Olive Fremstad
Amfortas................Pasquale Amato
Gurnemanz...............Herbert Witherspoon
Klingsor................Otto Goritz
Titurel.................William Hinshaw
Voice...................Henriette Wakefield
First Esquire...........Lenora Sparkes
Second Esquire..........Henriette Wakefield
Third Esquire...........Albert Reiss
Fourth Esquire..........Glenn Hall
First Knight............Julius Bayer
Second Knight...........William Hinshaw
Flower Maidens: Lenora Sparkes, Rita Fornia, Rosina Van Dyck,
Bella Alten, Marie Mattfeld, Henriette Wakefield

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
November 24, 1910


RIGOLETTO {69}
Giuseppe Verdi--Francesco Maria Piave

Rigoletto...............Maurice Renaud [Debut]
Gilda...................Nellie Melba
Duke of Mantua..........Florencio Constantino [Debut]
Maddalena...............Marianne Flahaut
Sparafucile.............Adamo Didur
Monterone...............Giulio Rossi
Borsa...................Angelo Badà
Marullo.................Bernard Bégué
Count Ceprano...........Vincenzo Reschiglian
Countess Ceprano........Helen Mapleson
Giovanna................Marie Mattfeld
Page....................Emma Borniggia

Conductor...............Vittorio Podesti



Metropolitan Opera House
November 25, 1910

CAVALLERIA RUSTICANA {131}
Mascagni-Targioni-Tozzetti/Menasci

Santuzza................Emmy Destinn
Turiddu.................Riccardo Martin
Lola....................Jeanne Maubourg
Alfio...................Dinh Gilly
Mamma Lucia.............Marie Mattfeld

Conductor...............Vittorio Podesti

Director................Jules Speck
Set Designer............Mario Sala
Set Designer............Angelo Parravicini
Costume Designer........Maison Chiappa

Cavalleria Rusticana received eight performances this season.

PAGLIACCI {112}
Leoncavallo-Leoncavallo

Nedda...................Bella Alten
Canio...................Enrico Caruso
Tonio...................Pasquale Amato
Silvio..................Dinh Gilly
Beppe...................Angelo Badà

Conductor...............Vittorio Podesti



New York, Brooklyn
November 26, 1910


ORFEO ED EURIDICE {18}
C. W. Gluck-Calzabigi

Orfeo...................Louise Homer
Euridice................Marie Rappold
Amore...................Lenora Sparkes
Happy Shade.............Alma Gluck
Dance...................Marcelle Myrtille

Conductor...............Arturo Toscanini




Metropolitan Opera House
November 28, 1910


LOHENGRIN {258}
Wagner-Wagner

Lohengrin...............Hermann Jadlowker
Elsa....................Berta Morena
Ortrud..................Louise Homer
Telramund...............Walter Soomer
King Heinrich...........Allen Hinckley
Herald..................William Hinshaw
Noble...................Julius Bayer
Noble...................Ludwig Burgstaller
Noble...................Adolf Fuhrmann [Debut]
Noble...................Marcel Reiner
Page....................Lenora Sparkes
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
November 29, 1910


LA TRAVIATA {77}
Giuseppe Verdi--Francesco Maria Piave

Violetta................Nellie Melba [Last performance]
Alfredo.................John McCormack [Debut]
Germont.................Carlo Galeffi [Debut]
Flora...................Jeanne Maubourg
Gastone.................Pietro Audisio
Baron Douphol...........Vincenzo Reschiglian
Marquis D'Obigny........Bernard Bégué
Dr. Grenvil.............Giulio Rossi
Annina..................Marie Mattfeld
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Vittorio Podesti



New York, Brooklyn
December 3, 1910


TANNHÄUSER {179}

Tannhäuser..............Carl Burrian
Elisabeth...............Lucie Weidt
Wolfram.................Otto Goritz
Venus...................Olive Fremstad
Hermann.................Allen Hinckley
Walther.................Glenn Hall
Heinrich................Julius Bayer
Biterolf................William Hinshaw
Reinmar.................Frederick Gunther
Shepherd................Lenora Sparkes
Page....................Inga Örner
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield
Dance...................Lucia Fornaroli
Dance...................Marcelle Myrtille
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Alfred Hertz




Metropolitan Opera House
December 10, 1910 Matinee


FAUST {278}
Gounod-Barbier/Carré

Faust...................Hermann Jadlowker
Marguerite..............Geraldine Farrar
Méphistophélès..........Léon Rothier [Debut]
Valentin................Dinh Gilly
Siebel..................Rita Fornia
Marthe..................Marie Mattfeld
Wagner..................Bernard Bégué

Conductor...............Vittorio Podesti



Metropolitan Opera House
December 10, 1910
World Premiere
In the presence of the composer


LA FANCIULLA DEL WEST {1}
Puccini-Civinini/Zangarini

Minnie..................Emmy Destinn
Dick Johnson............Enrico Caruso
Jack Rance..............Pasquale Amato
Joe.....................Glenn Hall
Handsome................Vincenzo Reschiglian
Harry...................Pietro Audisio
Happy...................Antonio Pini-Corsi
Sid.....................Giulio Rossi
Sonora..................Dinh Gilly
Trin....................Angelo Badà
Jim Larkens.............Bernard Bégué
Nick....................Albert Reiss
Jake Wallace............Andrés De Segurola
Ashby...................Adamo Didur
Post Rider..............Lamberto Belleri [Debut]
Castro..................Edoardo Missiano
Billy Jackrabbit........Georges Bourgeois
Wowkle..................Marie Mattfeld

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
December 12, 1910

CAVALLERIA RUSTICANA {133}

Santuzza................Emmy Destinn
Turiddu.................Hermann Jadlowker
Lola....................Florence Wickham
Alfio...................Dinh Gilly
Mamma Lucia.............Marie Mattfeld

Conductor...............Vittorio Podesti

PAGLIACCI {114}

Nedda...................Bella Alten
Canio...................Enrico Caruso
Tonio...................Pasquale Amato
Silvio..................Dinh Gilly
Beppe...................Angelo Badà

Conductor...............Vittorio Podesti



Philadelphia, Pennsylvania
December 13, 1910


TANNHÄUSER {180}

Tannhäuser..............Leo Slezak
Elisabeth...............Berta Morena
Wolfram.................Walter Soomer
Venus...................Olive Fremstad
Hermann.................Allen Hinckley
Walther.................Glenn Hall
Heinrich................Julius Bayer
Biterolf................William Hinshaw
Reinmar.................Frederick Gunther
Shepherd................Lenora Sparkes
Page....................Inga Örner
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield
Dance...................Lucia Fornaroli
Dance...................Marcelle Myrtille
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
December 22, 1910


LOHENGRIN {260}

Lohengrin...............Carl Jörn
Elsa....................Berta Morena
Ortrud..................Florence Wickham
Telramund...............Walter Soomer
King Heinrich...........Allen Hinckley
Herald..................William Hinshaw
Noble...................Julius Bayer
Noble...................Ludwig Burgstaller
Noble...................Adolf Fuhrmann
Noble...................Marcel Reiner
Page....................Inga Örner
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
December 24, 1910

CAVALLERIA RUSTICANA {134}

Santuzza................Berta Morena
Turiddu.................Riccardo Martin
Lola....................Marianne Flahaut
Alfio...................Pasquale Amato
Mamma Lucia.............Marie Mattfeld

Conductor...............Vittorio Podesti



Metropolitan Opera House
December 28, 1910

World Premiere


KÖNIGSKINDER {1}
Humperdinck-Rosmer

Goosegirl...............Geraldine Farrar
King's Son..............Hermann Jadlowker
Witch...................Louise Homer
Fiddler.................Otto Goritz
Woodcutter..............Adamo Didur
Broommaker..............Albert Reiss
Broommaker's Child......Edna Walter [Debut]
Broommaker's Child......Lotte Engel [Debut]
Innkeeper...............Antonio Pini-Corsi
Innkeeper's Daughter....Florence Wickham
Stable Maid.............Marie Mattfeld
Gatekeeper..............Herbert Witherspoon
Gatekeeper..............William Hinshaw
Councillor..............Marcel Reiner
Tailor..................Julius Bayer

Conductor...............Alfred Hertz


Metropolitan Opera House
December 30, 1910


RIGOLETTO {70}
Giuseppe Verdi--Francesco Maria Piave

Rigoletto...............Pasquale Amato
Gilda...................Lydia Lipkowska
Duke of Mantua..........Dmitri Smirnoff [Debut]
Maddalena...............Marianne Flahaut
Sparafucile.............Andrés De Segurola
Monterone...............Giulio Rossi
Borsa...................Angelo Badà
Marullo.................Bernard Bégué
Count Ceprano...........Vincenzo Reschiglian
Countess Ceprano........Helen Mapleson
Giovanna................Marie Mattfeld
Page....................Emma Borniggia

Conductor...............Vittorio Podesti



Gli ascolti


Gluck - Orfeo ed Euridice

Atto I - Addio miei sospiri - Louise Homer (1903)


Verdi - Rigoletto

Atto I - Caro nome - Lydia Lipkowska (1914)


Verdi - Il Trovatore

Atto III - Ah sì, ben mio - Leo Slezak (1906)


Verdi - La Traviata

Atto I - Ah fors'è lui...Sempre libera - Nellie Melba (1904)

Atto II - Lunge da lei...De' miei bollenti spiriti - John McCormack (1910)


Verdi - Aida

Atto I - Celeste Aida - Enrico Caruso (1911)

Atto III - O patria mia - Emmy Destinn (1914)


Ponchielli - La Gioconda

Atto IV - Suicidio - Emmy Destinn (1914)


Gounod - Faust

Atto III - Ah! je ris de me voir si belle - Geraldine Farrar (1908)


Wagner - Tannhäuser

Atto II - Dich, teure Halle - Olive Fremstad (1911)


Wagner - Lohengrin

Atto III - In fernem Land - Karl Jorn (1909)


Wagner - Die Walküre

Atto I - Der Männer Sippe - Berta Morena (1907)

Atto I - Winterstürme - Carl Burrian (1911)


Leoncavallo - Pagliacci

Prologo - Pasquale Amato (1915)


Puccini - La Bohème

Atto I - Che gelida manina - Hermann Jadlowker (1912)

Atto III - Mimì! Speravo di trovarvi qui - Antonio Scotti & Geraldine Farrar (1908)


Puccini - Madama Butterfly

Atto II - Ora a noi - Antonio Scotti & Geraldine Farrar (1908)



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mercoledì 12 gennaio 2011

Il soprano prima della Callas, sedicesima puntata: Rosa Raisa, "l'altra Rosa"

Il mio primo incontro con la voce di Rosa Raisa risale agli anni ‘70 con l’esecuzione de “La mamma morta” di Andrea Chénier. La registrazione è del 1933, la cantante di lì a poco si sarebbe ritirata e proprio quell’anno eseguì all’Arena di Verona Ugonotti nella mitica edizione con Lauri Volpi.

Lauri Volpi descrive la voce di quella Valentina come la radiografia di una voce. Quell’esecuzione dell’aria di Maddalena non è certo bella, soprattutto sulla frase “porto sventura”, che cade su un fa diesis acuto, si ha la conferma di una voce sfibrata anche se la cantante, alle prese con una pagina dove è facile eccedere, è contenuta e scevra da cadute di gusto. Le esecuzioni anche veriste dimostrano, però, che eccedere fosse un verbo estraneo al linguaggio vocale ed interpretivo della cantante.
Confesso che mi sono sempre domandato, dopo quell’ascolto, rimasto isolato per parecchi anni, perché Rosa Raisa fosse stata una star di planetaria fama e con una carriera veramente internazionale. Una delle poche dei suoi tempi, pari solo a quella di certo tenori cone Gigli e Schipa.
Poi negli anni sono arrivate tutte o quasi le registrazioni del soprano –diciamo- polacco e la grandezza, per non dire la storicità sono risultate assolutamente evidenti, pur nella difficoltà di decifrare quelle acustiche e di tarare sul declino le ultime elettriche.
La straordinarietà di Rosa Raisa comincia dalla nascita. Nasce ufficialmente nel 1893 a Bialystock figlia di madre ebrea e di padre cattolico per giunta ruteno e sacerdote. Il cognome di nascita Burchstein rivela l’origine, comunque, ebraica. E la Raisa a causa di un pogrom fugge dalla patria ed approda a Napoli dove, riconosciuta la qualità vocale, studia canto al conservatorio con Barbara Marchisio, l’ultima grande cantante di scuola rossiniana ossia di tecnica completa e irreprensibile e riferita all’esperienza della allieva valida per tutti i repertori, non solo il belcantista. Come cantasse la Marchisio non sappiamo, ma ascoltando le registrazioni delle due allieve più famose della Marchisio ossia la Raisa e la Toti l’impressione è che la più completa realizzazione dell’insegnamento di ascendenza rossiniana o almeno belcantista sia proprio Rosa Burchstein. Per la cronaca la Raisa sposò un collega e correligionario Giacomo Rimini, con il quale condivise palcoscenico e vita. Quando entrarono in vigore le leggi razziali la famiglia Rimini si trasferì definitivamente a Chicago, sede del teatro nordamericano della carriera della Raisa. Negli States, precisamente a Los Angeles, la cantante morì il 28 settembre 1963.
La scuola e la fama della maestra oltre che l’eccezionale predisposizione della allieva, donna bellissima ed elegante, fecero sì che dal debutto in teatro (in concerto aveva eseguito a Roma la rappresentazione di anima e di corpo con un collega di Barbara, ossia Giuseppe Kashmann) avvenuto a Parma nel 1913 con Oberto Conte di San Bonifacio la carriera della giovane profuga fosse impressionante per rapidità ed intensità.
Nel 1915 era già al Colon di Buenos Aires, aveva cantato già al Costanzi di Roma, nel 1916 debuttò alla Scala con Battaglia di Legnano e cantò la prima locale di Francesca da Rimini, nel 1916 era approdata al Lyric Center di Chicago.Cantò in tutti i teatri italiani oltre alla Scala, a New York e con le tourneé del teatro di Chicago ed al Manhattan (che rimaneva il valido concorrente del Met) a Rio de Janerio, in Francia.
Colón, Scala e Lyric Center furono i tre teatri dove la Raisa si esibì maggiormente, ma non i soli, appunto.
E’ interessante il fatto, che ha dato titolo a questa puntata “l’altra Rosa” come Rosa Raisa mai cantò al Met, regno indiscusso della Ponselle, che, a sua volta, mai calcò i palcoscenici sudamericani, Colón in primi e quelli nordamericani diversi dal Met e fece fugaci apparizioni a Londra ed in Italia.
I repertori delle due Rose in parte coincidevano. In parte perché quello della Rosa polacca era davvero vasto e per certi versi richiamava quello di certe tuttologhe moderne, ma con ben altra qualità e solidità. La Raisa cantava il grand-opéra ossia Ugonotti (a Buenos Aires con Martinelli nel 1915), Africana, Ebrea, Verdi sia il primo con Oberto, Battaglia di Legnano, Trovatore, che quello tardo Aida in primo luogo, Ballo, Forza oltre che Alice di Falstaff, forse per motivi coniugali, atteso che Giacomo Rimini ne era il più famoso interprete con Stabile; allieva della Marchisio fu una Norma famosissima, per lungo tempo preparò, senza realizzarlo, il debutto in Semiramide e Borgia, come tutti i soprani drammatici cantò ripetutamente donna Anna, ma affrontò anche il drammatico post-verdiano con Gioconda, Andrea Chénier, Cavalleria Rusticana e Tosca. Scarso il rapporto con Wagner limitato alla Elisabetta del Tannahauser. E poi il rapporto privilegiato con Francesca da Rimini, propiziato credo e della bellezza della donna e dalla qualità del fraseggio, che la Raisa propose in prima esecuzione a Milano (1916 con Pertile) a Roma (con Giulio Crimi) ed a Buenos Aires.
La fama di Rosa Raisa, è, per il grande pubblico, legata a Turandot di cui fu la prima interprete alla Scala con Fleta e Toscanini. Rammarico grandissimo che non ci siano registrazioni di questo ruolo per comprendere come lo affrontassero i primi interpreti. Non fu Turandot l’unico ruolo, che ebbe in Rosa Raisa la prima esecutrice, atteso che alla Scala nel 1924 era stata Rubia nella prima del postumo Nerone boitiano. E non è ancora finito il sommario elenco perché da Puccini a Strauss è un passaggio quasi obbligatorio e la Raisa cantò sia Arianna che Marescialla, anche in quest’ultimo caso grazie al congiunto fascino della donna oltre che della cantante.

Tutti gli ascolti rivelano la tecnica belcantista appresa dalla Marchisio con suoni in posizione altissima nella maschera, sempre timbrati, morbidi e penetranti al tempo stesso, capacità di salire senza difficoltà, di smorzare gli acuti estremi, oltre che di passare dal piano al forte in ogni zona della voce e di eseguire con correttezza e significato i passi di agilità e gli ornamenti, particolarmente i trilli facili ed autenticamente granitici, come solo alcune cantanti coeve di scuola tedesca (Kurz e Leider) sapevano eseguire. Va anche segnalato che, talvolta, le note basse suonano forzate e non spontanee, altre volte, e nella disamina degli ascolti lo rileveremo soprattutto nelle opere ottocentesche, la discesa più agevole.
Quello che solo a tratti le registrazioni testimoniano o fanno intuire è la ampiezza del suono e la sua proiezione, che tanto per essere necrofili, come qualche modernista va blaterando, doveva essere la caratteristica delle cantanti della scuola della Marchisio e più in generale della scuola ottocentesca. Al riguardo chi ha sentito in teatro la Toti, l’altra allieva di Barbara Marchisio parla di una voce ampia e dolce, qualità confermate solo da una registrazione viennese della scena del sonnambulismo di Amina, unico live della Toti.
Le caratteristiche di Rosa Raisa sembrano quelle dei maggiori soprani del dopo Callas, a riprova, se ce ne fosse bisogno, che l’antico è in realtà modernissimo e prima ancora oggettivamente valido.
Rosa Raisa fu una Norma famosissima ai suoi tempi e non poteva accadere diversamente visto che Carlotta Marchisio, sorella della sua maestra, lo era stata a sua volta. Che la Norma della Raisa venga da lontano è evidenziato nella registrazione del 1917 dalla facilità e fluidità con cui affronta e risolve il canto di agilità della cabaletta. Solo alcuni soprani della generazione precedente la Raisa e qualificati come d'agilità (Hempel e Sembrich) ossia le nostre più applaudite protagoniste degli anni ’60 e ’70 offrono all'ascoltatore le stesse caratteristiche. In quella del 1917, che raccoglie entrambe le strofe della cavatina dall’esecuzione delle puntature acute al si bem sull’ultimo “regnare” con un suono dolce e flautato ed al tempo stesso timbratissimo. Scontato che, alunna ed erede di tanta scuola, la Raisa esegua un trillo fluido e granitico alla cadenza dopo essere salita con irrisoria facilità ai la nat ribattuti, dimostrando coi fatti uno degli assiomi della scuola ottocentesca ossia che solo un centro leggero, senza peso e sostenuto, al tempo stesso, consenta alla voce di sfogare in zona acuta.
Un’altra caratteristica della scuola antica non solo vocale, ma anche interpretativa, che connota tutte le registrazioni delle arie del cosiddetto Verdi a cabaletta è la libertà agogica ossia la scelta, pure sempre musicale e mai fine a sé stessa, di rallentare o di accellerare certe frasi. Accade nell’Ernani e nella grande aria del quarto atto del Trovatore. In Ernani, infatti, il tempo un poco indugiante serve a dare il massimo risalto alla ripresa in tempo di “un Eden di delizie”. La Raisa esplicita solo con il canto l’ebbrezza, che le suscita il talamo promessole da Ernani. Per la curiosità della prassi esecutiva la Raisa alla chiusa dell’aria inserisce una puntatura di tradizione sul si bemolle e per una disamina puntuale della tecnica scende, grazie alla scrittura ancora belcantistica, senza difficoltà, diversamente che nelle pagine veriste. La puntatura è una tradizione cara e praticata da soprani nel primo ventennio del Novecento.
Quale Leonora del Trovatore siamo davanti alla realizzazione più moderna dell’aria del quarto atto, ove per moderna si intenda canto di scuola, rispetto delle indicazioni del testo e mancanza di inutile enfasi. Leonora è sognante e notturna, esegue nel recitativo il “gemente aura che intorno spiri” con un controllo assoluto del suono nella zona alta della voce e senza patteggiamenti con il testo musicale. In tutta l’esecuzione dell’aria colpisce il legato; neppure nella difficile sezione conclusiva, ove la Raisa esegue le varianti acute previste da Verdi, si percepisce difficoltà a rispettare la scrittura vocale, che procede per ampie arcate di fiato. Grazie alla tecnica scaltrita, al timbro languido e femminile emergono e stupiscono certe frasi come “prigioniero misero”, “le memorie” “i sogni d’amore”, che sono, poi, quelle caratterizzanti il personaggio.
Anche qui il testo e l’interpretazione vengono esaltati da una dinamica e da una agogica, che i direttori d’orchestra odierni non saprebbero che osteggiare, incapaci di coordinare palcoscenico ed orchestra. Anche qui abbiamo dimostrato che mai ci furono cantanti "più antiche" della Callas e della Sutherland.
L’idea di Leonora idealizzata, vera eroina romantica emerge anche nel duetto con il conte, interpretato da Giacomo Rimini. Basta sentire l’attacco “Mira d’acerbe lagrime” castigato e sofferente, esente da ogni emissione e foga verista, il tono è già quello della vittima e la cantante lega ogni suono senza nessun problema di distribuzione dei fiati, veramente esemplari negli ossessivi “lo salva” finali. Anche l’esecuzione delle agilità nella sezione finale è fluida.
La fluidità di esecuzione delle agilità e della fiorettatura emerge sia nel Bolero dei Vespri che nell’aria cosiddetta del sonno di Africana. Sopra tutto emergono in entrambi i passi la facilità dei trilli, che connotano ora il clima languido ed esotico di Selika piuttosto che la gioia amorosa della duchessa Elena. Per completezza ed onestà deve essere segnalato che la discesa in basso di “vi lacerano il sen” non è ortodossa sotto il profilo tecnico.
L’interprete emerge soprattutto in Aida e Butterfly. Nella aria del terzo atto Aida è sfumata e varia nei colori e nella dinamica sin dal recitativo. L’impressione che ha subito l’ascoltatore è che il suono anche in zona centrale sia in una posizione, dove normalmente risuonano gli acuti e la conferma viene nella frase “mai più” che collega le due strofe dell’aria cantata e non parlata, come sovente accade. Nella sezione conclusiva la salita al do5, problematica se non che per poche cantanti, è preparata molto prima alleggerendo ed addolcendo i suoni ed anche se la cantante, prima del do acuto, prende fiato esegue la forcella prevista da Verdi e lega la frase successiva. L’interprete congiunta alla vocalista è in primo piano nel duetto finale anche grazie alla facilità con cui supera le difficoltà della scrittura vocale in particolare gli staccati di “vedi per noi” e le smorzature degli acuti estremi dove la voce “galleggia” ben al di sopra di quella del partner.
Le doti vocali, la capacità di sfumare ad ogni quota e di annullare le difficoltà vocali rendono esemplare l’esecuzione dell’aria di Butterfly dove sin dall’attacco è evidenziato come si possa rendere la trepida attesa della giapponesina senza leziosaggini e senza cadute di gusto e con una voce di cospicuo tonnellaggio.
Il problema di captare sino in fondo cantanti come la Raisa deriva dalla qualità delle registrazioni acustiche, che appiattivano i suoni e riducevano le vibrazioni particolarmente in zona acuta.
A questo proposito può essere interessante il raffronto fra le due incisioni dell’aria di Santuzza disco acustico del 1918 ed elettrico del 1929. La cantante e l’interprete a distanza di un decennio, con un repertorio onerosissimo sulle spalle è identica a sé stessa, mostrando come debba essere eseguito il passaggio di registro, come anche in passo che è il paradigma del canto (o malcanto?) verista, si debba legare ogni suono, attaccare ogni frase dolce e con suono raccolto (“priva dell’onor mio rimango”) colorire la pagina con forcelle ("l’amai ah l’amai") e con stentando, che servono a dare senso all’acme drammatico di “Lola e Turiddu s’amano”, anzi in frasi scomode come “me l’ha rapito” è ancor più sicura e salda nella seconda registrazione, la voce, però, è resa nell’elettrico più ampia e sonora e si capisce come Rosa Raisa potesse, con un imposto belcantistico, essere ambita, stimata e ricercata interprete di Strauss, Ponchielli, Zandonai e Puccini. Insomma una grande! E di che grandezza!


Gli ascolti


Rosa Raisa


Bellini - Norma

Atto I - Casta Diva (Pathe 60088 - 1917, Vocalion 55001 - 1920)


Meyerbeer - L'Africaine

Atto II - Sur mes genoux (Pathé 60055 - 1917)


Verdi - Ernani

Atto I - Ernani, Ernani involami (Brunswick 15174 - 1929)


Verdi - Il Trovatore

Atto IV - Timor di me... D'amor sull'ali rosee (Vocalion H&D 54007 - 1918)

Atto IV - Mira, d'acerbe lagrime (con Giacomo Rimini - Brunswick 90004 - 1928)


Verdi - I vespri siciliani

Atto V - Mercè dilette amiche (Vocalion 30115 - 1921)


Verdi - Aida

Atto III - O patria mia (Vocalion 7007, 1922)


Mascagni - Cavalleria rusticana

Atto unico - Voi lo sapete, o mamma (Vocalion H&D 30010 - 1918, Brunswick 15174 - 1929)


Puccini - Madama Butterfly

Atto II - Un bel dì vedremo (Vocalion 70036 - 1924)


Kalinka (trad.) (Vocalion 30160 - 1922)


Capelli d'oro (trad.) (Pathé - 1917)













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lunedì 10 gennaio 2011

Una "Verdi Edission", by Il Corriere della Grisi

Oggi intendo presentare ai nostri lettori un’iniziativa che abbiamo insieme deciso di intraprendere ed ideato a seguito delle recenti esperienze teatrali e radiofoniche in argomento di …Giuseppe Verdi. Già, perché tra naufragi, rivolte di sala ed ascolti radiofonici da raccapriccio siamo stati costretti, prima di tutto, a rispolverare vecchi ascolti per risistemare le nostre orecchie, quindi a riflettere su uno stato dell’arte, oggettivo ed inequivocabile, del canto verdiano e che brevissimamente si potrebbe sintetizzare con la celebre espressione di una primadonna verista: “Tutto è finito!”.

Catastrofisti? Necrofili, come ha recentemente ha affermato qualche incolto professionista dell’adulazione da saldo? Nostalgici? Passatisti per sistema?
Eh, no cari signori, no, no! Melomani, altro chè, anzi ME-LO-MA-NI, di quelli che “a g’ pies àncòra sinteìr cantér”, con buona pace dei tardivi e superati sostenitori del teatro di regia in Verdi mentre il teatro di regia sta fallendo, contestato in ogni parte del pianeta. Amanti del canto, quello di scuola, dove le voci “galleggiando” sul fiato, si flettono alle mille intenzioni del grande fraseggiatore, dell’artista, come Verdi esigeva dai suoi esecutori.
Ad inopinate iniziative moderne, discograficamente nominate “Verdi edition”, che attendiamo ci vengano proposte in un futuro assai prossimo, debitamente sponsorizzate sulla carta stampata, quale documentazione, al contrario, di un presente modesto e regolarmene inadeguato alle esigenze del compositore, il nostro irriducibile Corriere ha deciso di opporre la propria “Verdi Edission”, per dirla con la pronuncia del Maestro.
Certi della debolezza dei nostri mezzi di produzione, diffusione e pubblicizzazione, ma profondamente convinti della forza titanica del passato, dei suoi monumentali protagonisti, taluni anche in odore di perfezione assoluta, editeremo per il nostro pubblico melomaniaco, parmigiano in particolare, tutte le opere di Verdi, sia in prima edizione che nei rifacimenti redatti dal Maestro e consegnati alla tradizione esecutiva, come pure, ove possibile, le grandi incisioni a 78 giri.
Le editeremo con un ritmo per noi assai stringente, due volte al mese, nei giorni 10 e 27, giorni di nascita e morte di Verdi, a partire da questo mese di gennaio 2010, al fine di produrre, di qui al 2013, la commemorazione del grande compositore.
Il senso dell’iniziativa è quello di consentire la documentazione palpabile di come crediamo si debba eseguire Verdi nel canto, ossia con la voce e con il gusto di chi lo ha cantato e diretto nel corso del novecento, mostrando anche l’evolversi della tradizione vocale ed interpretativa. Lo scopo è quello di provare, da un lato, che non esiste evoluzione alcuna nella tradizione del canto verdiano laddove non vi sia un canto di un certo tipo ed amministrato da bacchette colte e realmente conoscitrici dell’arte verdiana; dall’altro la natura effimera delle moderne concezioni su cui si basano gli odierni allestimenti, che non bastano a colmare l’inadeguatezza permanente dei cantanti.
Lagnare noiosamente la mancanza di voci verdiane ( come di bacchette! ) per poi rifugiarsi in teorizzazioni ridicole sulla modernità, sul teatro che cambia ed evolve per diventare un “altro” indefinito, sistematicamente insufficiente alla prova del palcoscenico, non serve. Il passato insegna, con chiarezza e con una forza superiore ad ogni altra argomentazione, ed è lì a mostrare la via da percorrere, anche per essere noi stessi. Ed è un passato straordinariamente bello ed appagante all’ascolto, pur senza l’aiuto della scena. Il rispetto dell’autore, come la capacità di restituirlo nel presente, possono venire solo dalla conoscenza del passato, nel bene come nel male, dalla comparazione tra il moderno modo di cantare e quello del passato, recente o remoto. Esistono ragioni precise alla base dell’assenza di grandi voci, voci importanti, di grande qualità timbrica, duttili, omogenee, capaci di flettersi in ogni zona del pentagramma agli intenti prescritti da Verdi. Non parliamo poi della distanza tra il nostro gusto contemporaneo e quello della tradizione in fatto di fraseggio, dato che oggi, fatto salvo qualche anziano ancora in circolazione, nessuno fraseggia più. A volerla capire e conoscere la lezione è lì, nei documenti sonori che abbiamo ereditato, variegata ed eterogenea, a provarci che Verdi si può eseguire in molti modi e secondo gusti diversi, ma con una ed una sola tecnica di canto, e può essere diversamente valido ed efficace. Se davvero ci interessa onorare l’autore, non abbiamo da far altro che cominciare ad ascoltare la tradizione, ma sentendo davvero, con le orecchie ben aperte e non intasate dalle frottole con cui oggi ci autogiustifichiamo quando gettiamo il pubblico denaro in disastri annunciati e prenotati al momento in cui si redigono i cartelloni. Se si vuole fare qualcosa perché l’opera non finisca in un megaplayback, in melomani serrati in casa con i dischi, o in allestimenti cappottari o pornografici, dove si odano solo rumori corporali assortiti ed il pubblico insultato dai protagonisti o da certi “giornalai” per le dovute rimostranze in sala, non abbiamo da fare altro che accendere lo stereo e metterci ad ascoltare, con l’interesse a capire cosa e come facessero certi grandi artisti della voce e della bacchetta per incantare il loro il pubblico….verdianamente.
“Verdi Edission”, lo dice il nome: un progetto grisiano per conoscere il passato, divertendoci con ascolti eccellenti, al cospetto dell’arte dei grandi. Per stimolarci tutti a ripartire daccapo.


Verdi

I Lombardi alla prima Crociata


Atto II

Oh madre...Se vano è il pregare - Giannina Arangi Lombardi (1933)

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venerdì 7 gennaio 2011

L'oltraggiata Semiramide

La sera di Natale la radio francese ha trasmesso un’edizione di Semiramide, proposta alla fine di novembre all’Opéra di Montpellier. Sul podio Antonino Fogliani, nel ruolo della sovrana babilonese Laura Aikin, soprano di parche frequentazioni rossiniane (ci risulta solo un’Amenaide a fine anni Novanta al fianco di Ewa Podles), ma celebre e celebrato per la sua interpretazione della Lulu, nonché rinomata specialista mozartiana, segnatamente per quanto concerne la parte di Konstanze.

Secondo un celebre aneddoto Berg avrebbe giustappunto desiderato per la sua Lulu una cantante capace di eseguire alla perfezione il Ratto dal serraglio. Evidentemente l’autore sognava una voce agile in acuto, ma non priva di corpo nel registro centrale e capace di legare i suoni anche e soprattutto in questa fascia. Evidentemente non erano ancora maturi i frutti dello specialismo mozartiano di matrice baroccara, quelli che oggi fanno sì che la signora Aikin possa esibirsi non solo in Mozart, per giunta in una parte non certo di soubrette, ma anche nel ruolo Colbran per eccellenza, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. A parte i soliti, grevi e tediosi passatisti del Corriere.
Sempre nel mese di dicembre, ad Anversa, è andata in scena, ed è stata radiotrasmessa, un’altra Semiramide, direttore Alberto Zedda, protagonista Myrtò Papatanasiu, poliedrico soprano il cui repertorio spazia dal Turco in Italia (l’edizione genovese di un paio di stagioni fa) al Maometto II (Amsterdam 2007), a Tosca e Traviata, quasi che le origini elleniche e un poco di corpo nel registro centrale (qualità che difetta, invece, alla Aikin) garantiscano, tout court, assoluta versatilità e adeguatezza stilistica in ogni repertorio. Come affermò una volta, in una parentesi di autocritica, un famoso mezzosoprano, conterraneo della Papatanasiu, non basta essere greche per essere grandi cantanti. In alcune repliche della medesima produzione, che viene ripresa in questi giorni a Gand, avrebbe dovuto esibirsi Manon Strauss Evrard, ex accademica del Rossini Opera Festival, già illustratasi nel 2009 quale Folleville del Viaggio e la scorsa estate, sempre in Pesaro, quale Clorinda. La signora Strauss è poi disparita dal cartellone di questa Semiramide, e senza malizia ce ne chiediamo la ragione, vista, anzi, udita la prova della titolare del primo cast.
Verrebbe voglia di proporre gli ascolti tratti da queste due capitali esecuzioni del capolavoro rossiniano senz’altro commento, essendo questo il risultato tenacemente voluto e perseguito da una scuola e una tradizione interpretativa del Pesarese, che dopo la rinascita degli anni Ottanta attraversa ora una fase non altrettanto luminosa. Anzi. Peraltro i direttori, che dal podio preparano e permettono simili prestazioni vocali, hanno giocato un ruolo non irrilevante in quella rinascita ovvero si esibiscono attualmente in quei teatri, che della Rossini-Renaissance costituirono il fulcro. Ideale, il più delle volte.
Resistiamo alla tentazione e osserviamo, prima di tutto, che le signore Papatanasiu e Aikin presentano nature vocali in parti differenti, ma il loro canto è accomunato da alcuni difetti di fondo. Sono gli stessi che si riscontrano in molte di quelle voci, che testate della carta stampata ovvero virtuali additano quali insigni modelli della nouvelle vague rossiniana. L’emissione decisamente di gola blocca la voce a uno stadio larvale e, oltre a determinare un’insufficiente proiezione del suono, vieta fluidità nell’esecuzione della copiosa coloratura prevista alla cavatina di sortita ovvero al giuramento del finale primo e impedisce, specie al duetto con Assur, quell’imperiosità di accento, che dell’energica sovrana guerriera dovrebbe essere una dei tratti salienti. Peraltro anche in quei brani in cui un canto di grazia, e non di forza, sarebbe maggiormente tollerabile, ovvero nel tempo di mezzo del duetto con il basso e nella barcarola “Giorno d’orror”, abbiamo un bel (!) campionario di suoni chiocci, quando non sgallinacciati. Scendendo nello specifico rileviamo come la voce della Papatanasiu suoni al centro un po’ meno vuota di quella della collega, pur condividendone la prima ottava labile e soffiata, caratteristica che accomuna peraltro il soprano greco a tutte o quasi le esponenti della corda di lirico e lirico spinto attualmente in attività. È sul secondo passaggio di registro, ovvero sulle note fa/sol4, che la Papatanasiu deve spingere e finisce per gridare, compromettendo così anche la tenuta degli acuti, che risultano striduli e oscillanti. Rose e fiori, comunque, rispetto a quello che riesce a combinare la Aikin, che peraltro varia in alto quanto e più della collega, come se l’inserimento di sovracuti fissi e sovente stonati arricchisse incomparabilmente l’esecuzione, non solo, ma aiutasse a dimenticare tutto quello che manca alla medesima.
Viene poi da domandarsi, e giriamo l’interrogativo agli specialisti della filologia rossiniana, a partire dal maestro concertatore in Anversa, quale senso abbia concepire ed eseguire variazioni, che insistendo in prevalenza in alto conducano Semiramide nell’ambito del soprano assoluto, quando si disponga di cantanti così incerte e periclitanti fin dai primi acuti. Sappiamo bene che Semiramide è parte Colbran anomala, l’ultima concepita per la sua creatrice, e che molti soprani assoluti, dalla Sutherland alla Cuberli, alla Anderson, hanno saputo trarre ottimo partito da questa scrittura così fitta di virtuosismi, rimanendo sempre nell’ambito del belcanto e del buon gusto. Ma nei casi in esame le ragioni della filologia si scontrano con quelle della logica e del buon senso. Peraltro le attuali deputate Semiramidi non arrivano neppure al kitsch sublime degli sbertucciati (oggi) soprani di coloratura, che inserivano a volte la cavatina nella scena della lezione del Barbiere e proponevano, magari, innesti veramente fantasiosi nella sezione conclusiva. Si muovevano in un ambito completamente diverso da quello dell’esecuzione di un’opera seria, e ne erano consapevoli, ma sapevano manovrare un poco meglio la propria voce e con quella intrattenere il pubblico, anziché ammorbarlo con l’esibizione della propria insufficienza di fronte alle esigenze della scrittura rossiniana.
In fondo queste novelle Semiramidi forniscono spunti di riflessione anche a chi, dotato delle migliori intenzioni, si mostri perplesso di fronte all’impiego in questo repertorio di voci un poco corpose, giudicate per ciò stesso inadatte all’esecuzione del canto di agilità. Si può essere al di sotto delle richieste del canto fiorito anche disponendo di una voce di poco peso e nullo smalto, e quindi, lasciateci almeno sognare che cosa avrebbero prodotto voci del calibro di Anita Cerquetti ed Ebe Stignani, alle prese con “Qual mesto gemito” o con la preghiera al finale secondo!



Gli ascolti

Rossini


Tancredi


Atto II

Gran Dio!...Giusto Dio che umile adoro - Laura Aikin (1999)


Maometto II

Atto II

Sì ferite, il chieggo, il merto - Myrtò Papatanasiu (2007)


Semiramide

Atto I

Bel raggio lusinghier - Bidù Sayao (1943), Maria Pedrini (1951), Laura Aikin (2010), Myrtò Papatanasiu (2010)

I vostri voti omai...Giuri ognuno ai sommi Dèi - Laura Aikin (con Varduhi Abrahamyan, Simón Orfila, David Alegret & Gezim Myshketa - 2010), Myrtò Papatanasiu (con Ann Hallenberg, Josef Wagner, Robert McPherson & Igor Bakan - 2010)

Atto II

Se la vita ancor t'è cara - Laura Aikin & Simón Orfila (2010), Myrtò Papatanasiu & Josef Wagner (2010)

Giorno d'orror - Laura Aikin & Varduhi Abrahamyan (2010), Myrtò Papatanasiu & Ann Hallenberg (2010)


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mercoledì 5 gennaio 2011

Novità verdiane 2: il Requiem di Muti

Dopo aver recensito, nel mese di novembre, l’interpretazione dell’Otello verdiano da parte di Colin Davis e delle compagini della LSO – interpretazione che aveva suscitato più di un dubbio nella quasi totalità degli ascoltatori, almeno in riferimento al cast prescelto (proprio in questi giorni ho letto critiche analoghe sul francese Diapason che, nonostante le ingiustificabile quattro “forcelle” attribuite all’incisione – forse per tributo a certi pregiudiziali positive nei confronti di ogni prodotto dell’ultimo Davis – non si astiene dallo stigmatizzare come pessima, nei fatti, la prestazione di O’Neill, e ancora peggio quella della Schwanewilms), è il turno di occuparsi dell’altra novità verdiana di rilievo comparsa nell’ultimo scorcio del 2010: il Requiem diretto da Riccardo Muti. Un classico.

Un classico, dicevo, che normalmente non avrebbe suscitato molto interesse (ancora un Requiem di Muti?), eppure questa incisione merita molta attenzione. Registrata dal vivo a Chicago nel gennaio del 2009 – e uscita quasi due anni dopo, per sfruttare probabilmente il richiamo mediatico della nomina del Maestro a direttore principale dell’orchestra americana – segna il primo esito concreto di Riccardo Muti con la Chicago Symphony Orchestra. Inutile tracciare la storia di una delle più prestigiose orchestre del mondo o elencare i nomi di chi ha avuto il privilegio di dirigerla: è noto a tutti il prestigio e l’eccellenza del complesso, il suono vibrante, duttile, la perfezione musicale, il virtuosismo che emerge dalle tante testimonianze discografiche. Superfluo pure, sintetizzare il rapporto di Muti con il Requiem di Verdi: partitura frequentatissima dagli anni di Firenze al podio della Scala, passando per trasferte nazionali e internazionali (il Requiem non mancava mai negli appuntamenti all’estero dell’orchestra scaligera), e più volte incisa. Si può dire che l’interpretazione mutiana dell’opera di Verdi sia ben testimoniata e rappresentata, tanto da suggerirci che, forse, non vi sarebbero più segreti o aggiunte di rilievo. Con tutti i pregi e i difetti. Proprio su questi ultimi vorrei soffermarmi. Non nego come il Verdi di Muti – salvo alcune eccezioni – mi abbia sempre lasciato freddo o dubbioso: Requiem compreso. Un che di troppo caricato, di troppo retorico e melodrammatico si percepisce nella sua lettura. Tutti i più grandi direttori del maggior repertorio sinfonico (in particolare di area tedesca) si sono cimentati nel capolavoro verdiano, dando letture spesso opposte, personalissime: drammatiche o spirituali, meditative o poetiche, tragiche o pessimiste. Il grande Karajan vi tornò per tutta la carriera e ogni volta con risultati straordinariamente differenti. Allo stesso modo direttori non operistici o non verdiani: il Requiem è sempre stato visto (insieme a Otello e Falstaff) qualcosa di “diverso” dal resto della musica dell’800 italiano. E non a torto. Muti ha mostrato, invece, di avere altra idea della partitura: una specie di melodramma sacro. Da qui discendono le esasperazioni operistiche, i ritmi spesso incongrui, l’enfasi più volgare, la sottolineatura “cabalettistica” di certe pagine. Muti, in sostanza, ripropone (esasperandola) la lezione di Toscanini, facendo del Requiem un gigantesco melodramma! Ma oggi, dopo Karajan o Reiner, questa lettura non basta più: non basta lo squasso dei colpi di grancassa del Dies Irae, o la “fanfara” bandistica del Tuba Mirum, o la concitazione “teatrale” del Libera Me. Oltre ai tanti Requiem scaligeri, questa visione di Muti può essere ben esemplificata dalla brutta incisione del 1987, con le compagini scaligere e un quartetto solista più che deludente (Studer, Zajic, Pavarotti, Ramey): esteriore ed artefatto, pesante e retorico. Muti, lì, “toscanineggia” senza ritegno e il risultato – che può soddisfare giusto le bocche più buone o gli stomaci meno selettivi – è spesso sgradevole o, peggio, grottesco (certe bordate di suono o certi ritmi strampalati). Questo, si può dire, è stato l’andazzo costante dell’interpretazione mutiana al capolavoro verdiano. Che aspettarsi dunque da un altro Requiem di Muti? Direi un “altro” Requiem e un “altro” Muti. Questa versione, infatti, si ritaglia un posto di tutto rispetto nella corposa discografia dell’opera. E si segnala come uno degli esiti più alti della carriera del Maestro. Credo – senza alcuna facile ironia – che la perdita del podio scaligera abbia solo giovato a Muti, almeno a giudicare dalle sue più recenti esibizioni (a Vienna, a Salisburgo, a New York). Si avverte, chiaramente, una maturazione, una liberazione, una sensibilità riconquistata. Forse il fatto di non doversi misurare quotidianamente con il “personaggio” che la stampa nazionale, il suo entourage, e sé stesso, avevano costruito, ha permesso a Muti di scendere dal piedistallo autoeretto di “nuovo Toscanini” e impugnare nuovamente la bacchetta per “far musica” e non scimmiottare un mito.
Proprio l’allontanamento dal modello toscanininano è la chiave di volta di questa nuova incisione del Requiem. I tempi innanzitutto, più rilassati generalmente, ma mai sfilacciati; le dinamiche non più esasperate, senza enfasi e retorica; l’urgenza “arraffona” dell’opera “a cabaletta”, lascia il passo ad un dramma più stemperato e contemplativo, ma ugualmente teso e tragico; il bruciore risorgimentale di prima è tramutato in un disincanto fatto di calma, pessimismo, dolore e nostalgia. Si senta ad esempio l’apertura, lenta e meditata, con piccoli “rubati” che accentuano l’atmosfera misteriosa e sacra; o la trasparenza bachiana dei fugati e dei contrappunti (che non assomigliano più ai concertati del melodramma, ma a qualcosa di più alto); la composta energia del Dies Irae, non più occasione per testare la resistenza dei timpani degli ascoltatori (e della membrana della grancassa), ma vera porta che si spalanca sul giorno del giudizio; o la dolcezza malinconica del Lacrymosa; il tappeto sonoro appena sfiorato da uno degli Hostias più intensi che la discografia possa testimoniare. In ciò, ovviamente, è coadiuvato da un’orchestra più che eccezionale, dal virtuosismo straordinario e dalla precisione impressionante: basta ascoltare la delicatezza e la passione del lentissimo arpeggio in La minore che apre il Requiem, sottovoce, ma senza perdere timbro o incespicare (come spesso capita di sentire in pur blasonate esecuzioni). O la delicatezza degli archi caldi e intensi (dal suono dorato), sostenuti da un vibrato certamente romantico, ma mai lezioso; o gli ottoni dal suono pulito, controllato e precisissimo. Il connubio tra questa orchestra e il nuovo Muti, regala un risultato eccezionale. Allo stesso modo il Chicago Symphony Chorus: superlativo. L’attitudine ad eseguire il grande repertorio polifonico (Bach, Handel, Haydn) allontana il Requiem da ogni facile suggestione operistica, oltre a permetterci di ascoltare un’esecuzione di estrema trasparenza e precisione, in cui la gigantesca architettura corale viene colta in tutto il suo splendore (emblematici sono i numerosi interventi “a cappella” eseguiti con una proprietà di intonazione e fraseggio ineguagliabili dalla maggior parte delle compagini europei: quelle italiane non meritano neppure di entrare in classifica). Un Requiem eccezionale dunque? In parte sì. Purtroppo Muti indulge, ancora, in uno dei suoi peggior difetti: l’incapacità di scegliere un cast adeguato a realizzare pienamente le sue intenzioni. E questo caso non fa eccezione. Certo la capacità del concertatore e l’eccellenza dell’esecuzione correggono, in parte, i problemi, e nel complesso non si ascoltano orrori. Ma i cantanti prescelti non appaiono pienamente all’altezza del compito. Se la Frittoli mostra ancora un buon controllo della linea vocale e – quando ben guidata (come in questo caso) – una grande abilità di fraseggiatrice (permettendo di mascherare le difficoltà), altrettanto non si può dire della Borodina: non solo per decadimento o mancanze, bensì per il modo stesso di porgere la voce. Esattamente come la Zajic (altro pallino mutiano: del pari inspiegabile), mostra un’emissione di estrema volgarità, che nulla avrebbe a che fare con la nobiltà del canto verdiano (nel Lux aeterna, ad esempio, spinge sino allo spasimo, chiudendo con un suono fisso e sgradevole). Mai stata un modello di eleganza, oggi, in particolare, la voce appare assai usurata e mostra solo “quantità” senza controllo. Altra icona mutiana, Abdrazakov, si disimpegna abbastanza bene nelle difficoltà della parte (assai meglio del Ramey dell’87 ad esempio), ma resta sempre una sensazione come di estreneità (senza contare talune difficoltà in acuto). Intendiamoci, si ascolta e si è ascoltato (anche in passati gloriosi) ben di peggio: certo di fronte ad un’esecuzione orchestrale e corale tanto ispirata ci si sarebbe potuti legittimamente aspettare di più. Ma tant’è. Affronto, volutamente in ultimo, la questione del tenore, perché qui sta, secondo me, il vero “peccato mortale” di Muti. Perché scegliere un tenore come Mario Zeffiri? La parte richiede un canto facile all’acuto, certo, ma caldo e corposo, capace di reggere le arcate verdiane e di emergere sulla densità di una scrittura orchestrale che non può essere assimilata a certi elementari accompagnamenti del melodramma romantico italiano, giacché quello sarebbe il repertorio d’elezione di Zeffiri (La Sonnambula, La Fille du Régiment, Don Pasquale). Oltretutto la voce, abbastanza piccola, non appare né troppo bella, né troppo sicura (tende a chiudersi man mano che scala la tessitura), tanto che gli scomodi acuti di certe frasi risultano assai difficili. Cosicché si ascolta un Kyrie pericolosamente strozzato e microbico e un Lacrymosa assai incerto e affaticato. Non manca qualche buon momento, in particolare l’Hostias risolto in una bella mezzavoce, ma che non basta a renderlo interprete attendibile. A conti fatti, comunque (a parte un cast non ideale, soprattutto nella voce tenorile), un Requiem che si piazza ai vertici della sua storia discografica, che ci mostra una lettura matura, meditata ed una esecuzione musicale superlativa (per trovare analoghe soddisfazioni si deve risalire a Karajan o Reiner). Da ascoltare senza riserve. Chiuderei con un augurio al Maestro Muti: che si tenga ben lontano dai pantani scaligeri, se i risultati di questa nuova aria, sono come questo Requiem di Verdi!

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lunedì 3 gennaio 2011

Concerti di Capodanno 2011

Anche quest’anno molte importanti istituzioni musicali hanno proposto al loro pubblico, il giorno di San Silvestro ovvero a Capodanno, un concerto, quasi sempre a tema sinfonico, arricchito a volte da pagine di musica vocale, tratte nella maggior parte dei casi da celebri operette viennesi. Con alcune eccezioni.

La Fenice di Venezia, di concerto con la dirigenza Rai, si è assunta da qualche anno a questa parte il compito, non sapremmo dire se più oneroso o inutile, di offrire un’alternativa patriottarda, per non dire autarchica, al concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker. Ha quindi proposto un programma basato interamente (almeno nella seconda metà del concerto, trasmessa dal primo canale della televisione di Stato) su celebri ouverture, cori e brani solistici del repertorio operistico italiano, o meglio, cantato in lingua italiana.
Piuttosto originale è apparsa anche la scelta di Baden-Baden, quasi esclusivamente basata su pagine dal tono piuttosto cupo, poco adatte alla circostanza augurale ma molto adeguate (almeno questi erano, verosimilmente, i desiderata degli estensori del programma) alle caratteristiche vocali della prescelta primadonna. Peraltro la signora avrebbe dovuto essere accompagnata dal maggior tenore del momento, se questi non avesse annullato all’ultimo la propria partecipazione.
Maggiormente nel solco della tradizione gli altri concerti, allietati da discorsi augurali e brindisi votivi. E a questi brindisi, che supponiamo seguiti (e in alcuni casi, preceduti) da abbondanti libagioni, ci uniamo noi del Corriere, proponendovi alcuni dei brani dei concerti in questione (trasmessi da diverse televisioni e prontamente ripresi da Youtube) affiancati da altre esecuzioni delle medesime pagine. A Capodanno, come in ogni altro giorno, l’ascolto comparato fornisce eccellenti spunti di riflessione!











































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sabato 1 gennaio 2011

Concerto di Capodanno - Tito Schipa a New York (1962)

Per rifare il verso al celebre adagio goliardico, potremmo dire: "Chi non Schipa a Capodanno, sente cani tutto l'anno". In questo addio alle scene americane, il tenore leccese ci insegna che anche quando non c'è più la voce, rimane l'arte, perché la tecnica è sempre presente. Il suo Werther è un esempio per tutti i cantanti che oggi si esibiscono sui palcoscenici e nelle sale da concerto, così come esemplari sono e rimangono Fleta, Gigli, Lauri-Volpi, Lázaro e tanti altri. Scusateci, sapete bene che siamo passatisti!!!
Buon ascolto e Felice 2011 dal Corriere della Grisi!!!



Gli ascolti

Tito Schipa - Concerto d'addio agli Stati Uniti


Town Hall, New York
27/11/1962


Pianoforte: Albert Carlo Amato

Schubert: Ave Maria

Schubert: La serenata

Scarlatti: Pirro e Demetrio - Rugiadose, odorose ("Le Violette")

Haendel: Semele - Where'er you walk

Donizetti: L'elisir d'amore - Una furtiva lagrima

Donizetti: Don Pasquale - Povero Ernesto...Cercherò lontana terra

Flotow: Martha - M'apparì

Bixio: Torna piccina mia

Palacios: A Granada

Ruiz: Desesperadamente

Di Capua: I' te vurria vasa'

Bixio: Vivere

Tosti: Marechiare

Barthélemy: Chi se nne scorda cchiù

Scarpelli-Schipa: Manolita

Vento: Torna

Tosti: Malia

Cilea: L'Arlesiana - E' la solita storia (Lamento di Federico)

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