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venerdì 14 gennaio 2011

Le favole di Giulia Grisi, quinta puntata: Metropolitan Opera House, novembre/dicembre 1910

Le celebrazioni del centenario della prima assoluta della Fanciulla del West, ricorrenza accompagnata da peana della carta stampata in cui fiorivano i paralleli fra il primo interprete e l’attuale del bandito Ramerrez, quasi che i due cantanti fossero non dico simili, ma comparabili, al di là delle origini geografiche, hanno indotto e spronato i compilatori del Corriere della Grisi a consultare le cronologie del teatro americano relative al periodo della première. Diciamo quelli del Corriere sono stati provocati a guardare attorno non già a questa celebrazione, ma alla prima esecuzione del titolo pucciniano.

Non si tratta, checché ne possano pensare i detrattori per partito preso, di cattiveria e animosità nei confronti dei protagonisti dell’attualità operistica, semmai del desiderio di comprendere o sforzarsi di comprendere al meglio la fondatezza delle pretese di eccellenza e innovazione che i suddetti protagonisti accampano, anche e soprattutto per il tramite della stampa cosidetta specializzata. Eccellenza e innovazione rispetto a un passato in cui il repertorio era ridotto a pochi titoli (voce assolutamente indimostrata), sempre gli stessi, e gli esecutori non potevano vantare che una conoscenza molto approssimativa non solo dei meccanismi del teatro di regia, gli unici in grado di garantire, a detta di alcuni, la perfetta riuscita di uno spettacolo lirico, ma anche della musica, che esulasse da quel limitatissimo repertorio.
È sufficiente scorrere gli archivi del Met relativi a un paio di mesi scarsi, dalla metà di novembre alla fine di dicembre del 1910, per rendersi conto che gli spettatori newyorkesi ebbero modo di assistere, in quel breve lasso di tempo, a due prime assolute (oltre alla Fanciulla, Koenigskinder di Humperdinck) e alla prima statunitense dell’Armide gluckiana. Quanto, poi, a un titolo in teoria di grande repertorio, nei fatti oggi scomparso o quasi dai cartelloni, la Gioconda venne proposta con un cast di lusso a dir poco sfrenato (fra l’altro coincidente, in buona misura, con quello della Fanciulla e affidato alla stessa illustre bacchetta, che non disprezzava certo il buon Ponchielli). Wagner, del quale è imminente il secondo centenario dalla nascita, venne affrontato, sempre in quei due "mesetti", da tutti o quasi i maggiori interpreti del tempo, segnatamente in corda di tenore.
Scusate ma non è da tutti proporre nel medesimo titolo Leo Slezak e Carl Burrian, o ancora Karl Jorn e Hermann Jadlowker. Peraltro gli stessi interpreti affrontavano con la medesima disinvoltura e appropriatezza stilistica (documentata dai reperti fonografici) anche i titoli del repertorio italiano coevo o passato.
Accertata e documentata anche la predilezione del teatro newyorkese per le cantanti di giovane e gentile aspetto, quali Geraldine Farrar, peraltro costrette a ritmi lavorativi inaffrontabili in difetto di una preparazione tecnica, degna di questo nome, e per le dive sul viale del tramonto, come Nellie Melba, alla sua ultima apparizione metropolitana quale Violetta. La scelta dei colleghi con cui queste fascinose signore si esibivano era, a ogni modo, sempre e comunque sotto il segno del lusso e dello sfarzo, tanto che la cornice finisce per impressionare, oggi, assai più del quadro che avrebbe dovuto porre in risalto. E in ogni caso le dive o divastre non toglievano spazio, o almeno, non completamente, a solide cantanti di attuale poca o nulla fama, quale Lydia Lipkowska, che nell’estratto del Rigoletto che proponiamo in appendice dimostra doti timbriche e sapienza tecnica, che la signora avrebbe in buona misura trasfusa nella sua più celebre e celebrata allieva: Virginia Zeani.
E con questo ci fermiamo, anche per consentire ai lettori di esplorare a proprio talento, ponderare, considerare.
Davanti a tanto lusso ciascuno di noi ha due scelte. Entrambe di fatto impossibili. Augurarsi di possedere la macchina del tempo e scegliere uno di questi spettacoli, con scene di cartapesta, fondali dipinti, soprani di forte complessione e calzanti cornuti elmi e addobbi da processione, e questa è la scelta dei passatisti, grisini, grisalidi. Oppure provare a pensare di allestire una identica programmazione, scritturando i divi di oggi ossia quei soprani, che surclassano una Morena, piuttosto che una Farrar o i tenori, che belli e bravi ridicolizzano il cimelio di Hermann Jadlowker. E sono gli accoliti del teatro di regia, del passato rinnegato, delle auspicate disintossicazioni da 78 giri e affini.
Sono certo che il risultato sarà per entrambe le categorie quello della sezione conclusiva del sogno di Tosti.



Metropolitan Opera House
November 14, 1910
Opening Night {26}

Giulio Gatti-Casazza, General Manager

United States Premiere


ARMIDE {1}
C. W. Gluck-Quinault

Armide..................Olive Fremstad
Renaud..................Enrico Caruso
Hate....................Louise Homer
Hidraot.................Pasquale Amato
Phénice.................Jeanne Maubourg
Sidonie.................Lenora Sparkes
Ubalde..................Dinh Gilly
Danish Knight...........Angelo Badà
Lucinde.................Alma Gluck
Artémidore..............Albert Reiss
Aronte..................Andrés De Segurola
Naiad...................Marie Rappold
Love....................Alma Gluck

Act I Incidental dance: Corps de ballet
Act II Dance of the Shepherds: Lucia Fornaroli [Debut], Anna Mariani [Debut], and corps de ballet
Act III Dance Inferanale: Gina Torriani, Lucia Fornaroli, Marcelle Myrtille, and corps de ballet
Act IV Dance of the Shepherds: Lucia Fornaroli, Anna Mariani, and corps de ballet
Act V Divertissement: Gina Torriani, Lucia Fornaroli, and corps de ballet

Conductor...............Arturo Toscanini





Albany, New York
Harmanus Bleecker Hall
November 15, 1910


MADAMA BUTTERFLY {54}
Puccini-Illica/Giacosa

Cio-Cio-San.............Geraldine Farrar
Pinkerton...............Riccardo Martin
Suzuki..................Marie Mattfeld
Sharpless...............Antonio Scotti
Goro....................Angelo Badà
Bonze...................Bernard Bégué
Yamadori................Georges Bourgeois
Kate Pinkerton..........Helen Mapleson
Commissioner............Vincenzo Reschiglian
Yakuside................Francesco Cerri

Conductor...............Arturo Toscanini



Metropolitan Opera House
November 16, 1910
Revised production


TANNHÄUSER {178}
Wagner-Wagner

Tannhäuser..............Leo Slezak
Elisabeth...............Berta Morena
Wolfram.................Walter Soomer
Venus...................Olive Fremstad
Hermann.................Allen Hinckley
Walther.................Albert Reiss
Heinrich................Julius Bayer
Biterolf................William Hinshaw [Debut]
Reinmar.................Frederick Gunther
Shepherd................Lenora Sparkes
Page....................Lenora Sparkes
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield
Dance...................Lucia Fornaroli
Dance...................Marcelle Myrtille
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
November 17, 1910


AIDA {159}
Giuseppe Verdi--Antonio Ghislanzoni

Aida....................Emmy Destinn
Radamès.................Enrico Caruso
Amneris.................Louise Homer
Amonasro................Pasquale Amato
Ramfis..................Adamo Didur
King....................Giulio Rossi
Messenger...............Pietro Audisio
Priestess...............Rita Fornia
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
November 18, 1910


DIE WALKÜRE {140}
Wagner-Wagner

Brünnhilde..............Lucie Weidt [Debut]
Siegmund................Carl Burrian
Sieglinde...............Berta Morena
Wotan...................Walter Soomer
Fricka..................Florence Wickham
Hunding.................Basil Ruysdael [Debut]
Gerhilde................Lenora Sparkes
Grimgerde...............Henriette Wakefield
Helmwige................Rita Fornia
Ortlinde................Rosina Van Dyck
Rossweisse..............Inga Örner
Schwertleite............Paula Wöhning [Last performance]
Siegrune................Marie Mattfeld
Waltraute...............Florence Wickham

Conductor...............Alfred Hertz


New York, Brooklyn
November 19, 1910


IL TROVATORE {84}
Giuseppe Verdi--Salvatore Cammarano

Manrico.................Leo Slezak
Leonora.................Marie Rappold
Count Di Luna...........Pasquale Amato
Azucena.................Louise Homer
Ferrando................Herbert Witherspoon
Ines....................Emma Borniggia
Ruiz....................Pietro Audisio
Gypsy...................Edoardo Missiano

Conductor...............Vittorio Podesti


Metropolitan Opera House
November 21, 1910


LA BOHÈME {92}
Puccini-Illica/Giacosa

Mimì....................Geraldine Farrar
Rodolfo.................Hermann Jadlowker
Musetta.................Bella Alten
Marcello................Antonio Scotti
Schaunard...............Adamo Didur
Colline.................Andrés De Segurola
Benoit..................Antonio Pini-Corsi
Alcindoro...............Antonio Pini-Corsi
Parpignol...............Pietro Audisio
Sergeant................Edoardo Missiano
Officer.................Pietro Audisio

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
November 23, 1910


LA GIOCONDA {39}
Ponchielli-Boito

La Gioconda.............Emmy Destinn
Enzo....................Enrico Caruso
Laura...................Louise Homer
Barnaba.................Pasquale Amato
Alvise..................Andrés De Segurola
La Cieca................Maria Claessens [Debut]
Zuàne...................Bernard Bégué
Isèpo...................Pietro Audisio
Singer..................Edoardo Missiano

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
November 24, 1910 Matinee


PARSIFAL {59}
Wagner-Wagner

Parsifal................Carl Burrian
Kundry..................Olive Fremstad
Amfortas................Pasquale Amato
Gurnemanz...............Herbert Witherspoon
Klingsor................Otto Goritz
Titurel.................William Hinshaw
Voice...................Henriette Wakefield
First Esquire...........Lenora Sparkes
Second Esquire..........Henriette Wakefield
Third Esquire...........Albert Reiss
Fourth Esquire..........Glenn Hall
First Knight............Julius Bayer
Second Knight...........William Hinshaw
Flower Maidens: Lenora Sparkes, Rita Fornia, Rosina Van Dyck,
Bella Alten, Marie Mattfeld, Henriette Wakefield

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
November 24, 1910


RIGOLETTO {69}
Giuseppe Verdi--Francesco Maria Piave

Rigoletto...............Maurice Renaud [Debut]
Gilda...................Nellie Melba
Duke of Mantua..........Florencio Constantino [Debut]
Maddalena...............Marianne Flahaut
Sparafucile.............Adamo Didur
Monterone...............Giulio Rossi
Borsa...................Angelo Badà
Marullo.................Bernard Bégué
Count Ceprano...........Vincenzo Reschiglian
Countess Ceprano........Helen Mapleson
Giovanna................Marie Mattfeld
Page....................Emma Borniggia

Conductor...............Vittorio Podesti



Metropolitan Opera House
November 25, 1910

CAVALLERIA RUSTICANA {131}
Mascagni-Targioni-Tozzetti/Menasci

Santuzza................Emmy Destinn
Turiddu.................Riccardo Martin
Lola....................Jeanne Maubourg
Alfio...................Dinh Gilly
Mamma Lucia.............Marie Mattfeld

Conductor...............Vittorio Podesti

Director................Jules Speck
Set Designer............Mario Sala
Set Designer............Angelo Parravicini
Costume Designer........Maison Chiappa

Cavalleria Rusticana received eight performances this season.

PAGLIACCI {112}
Leoncavallo-Leoncavallo

Nedda...................Bella Alten
Canio...................Enrico Caruso
Tonio...................Pasquale Amato
Silvio..................Dinh Gilly
Beppe...................Angelo Badà

Conductor...............Vittorio Podesti



New York, Brooklyn
November 26, 1910


ORFEO ED EURIDICE {18}
C. W. Gluck-Calzabigi

Orfeo...................Louise Homer
Euridice................Marie Rappold
Amore...................Lenora Sparkes
Happy Shade.............Alma Gluck
Dance...................Marcelle Myrtille

Conductor...............Arturo Toscanini




Metropolitan Opera House
November 28, 1910


LOHENGRIN {258}
Wagner-Wagner

Lohengrin...............Hermann Jadlowker
Elsa....................Berta Morena
Ortrud..................Louise Homer
Telramund...............Walter Soomer
King Heinrich...........Allen Hinckley
Herald..................William Hinshaw
Noble...................Julius Bayer
Noble...................Ludwig Burgstaller
Noble...................Adolf Fuhrmann [Debut]
Noble...................Marcel Reiner
Page....................Lenora Sparkes
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
November 29, 1910


LA TRAVIATA {77}
Giuseppe Verdi--Francesco Maria Piave

Violetta................Nellie Melba [Last performance]
Alfredo.................John McCormack [Debut]
Germont.................Carlo Galeffi [Debut]
Flora...................Jeanne Maubourg
Gastone.................Pietro Audisio
Baron Douphol...........Vincenzo Reschiglian
Marquis D'Obigny........Bernard Bégué
Dr. Grenvil.............Giulio Rossi
Annina..................Marie Mattfeld
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Vittorio Podesti



New York, Brooklyn
December 3, 1910


TANNHÄUSER {179}

Tannhäuser..............Carl Burrian
Elisabeth...............Lucie Weidt
Wolfram.................Otto Goritz
Venus...................Olive Fremstad
Hermann.................Allen Hinckley
Walther.................Glenn Hall
Heinrich................Julius Bayer
Biterolf................William Hinshaw
Reinmar.................Frederick Gunther
Shepherd................Lenora Sparkes
Page....................Inga Örner
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield
Dance...................Lucia Fornaroli
Dance...................Marcelle Myrtille
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Alfred Hertz




Metropolitan Opera House
December 10, 1910 Matinee


FAUST {278}
Gounod-Barbier/Carré

Faust...................Hermann Jadlowker
Marguerite..............Geraldine Farrar
Méphistophélès..........Léon Rothier [Debut]
Valentin................Dinh Gilly
Siebel..................Rita Fornia
Marthe..................Marie Mattfeld
Wagner..................Bernard Bégué

Conductor...............Vittorio Podesti



Metropolitan Opera House
December 10, 1910
World Premiere
In the presence of the composer


LA FANCIULLA DEL WEST {1}
Puccini-Civinini/Zangarini

Minnie..................Emmy Destinn
Dick Johnson............Enrico Caruso
Jack Rance..............Pasquale Amato
Joe.....................Glenn Hall
Handsome................Vincenzo Reschiglian
Harry...................Pietro Audisio
Happy...................Antonio Pini-Corsi
Sid.....................Giulio Rossi
Sonora..................Dinh Gilly
Trin....................Angelo Badà
Jim Larkens.............Bernard Bégué
Nick....................Albert Reiss
Jake Wallace............Andrés De Segurola
Ashby...................Adamo Didur
Post Rider..............Lamberto Belleri [Debut]
Castro..................Edoardo Missiano
Billy Jackrabbit........Georges Bourgeois
Wowkle..................Marie Mattfeld

Conductor...............Arturo Toscanini


Metropolitan Opera House
December 12, 1910

CAVALLERIA RUSTICANA {133}

Santuzza................Emmy Destinn
Turiddu.................Hermann Jadlowker
Lola....................Florence Wickham
Alfio...................Dinh Gilly
Mamma Lucia.............Marie Mattfeld

Conductor...............Vittorio Podesti

PAGLIACCI {114}

Nedda...................Bella Alten
Canio...................Enrico Caruso
Tonio...................Pasquale Amato
Silvio..................Dinh Gilly
Beppe...................Angelo Badà

Conductor...............Vittorio Podesti



Philadelphia, Pennsylvania
December 13, 1910


TANNHÄUSER {180}

Tannhäuser..............Leo Slezak
Elisabeth...............Berta Morena
Wolfram.................Walter Soomer
Venus...................Olive Fremstad
Hermann.................Allen Hinckley
Walther.................Glenn Hall
Heinrich................Julius Bayer
Biterolf................William Hinshaw
Reinmar.................Frederick Gunther
Shepherd................Lenora Sparkes
Page....................Inga Örner
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield
Dance...................Lucia Fornaroli
Dance...................Marcelle Myrtille
Dance...................Gina Torriani

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
December 22, 1910


LOHENGRIN {260}

Lohengrin...............Carl Jörn
Elsa....................Berta Morena
Ortrud..................Florence Wickham
Telramund...............Walter Soomer
King Heinrich...........Allen Hinckley
Herald..................William Hinshaw
Noble...................Julius Bayer
Noble...................Ludwig Burgstaller
Noble...................Adolf Fuhrmann
Noble...................Marcel Reiner
Page....................Inga Örner
Page....................Anna Case
Page....................Lillia Snelling
Page....................Henriette Wakefield

Conductor...............Alfred Hertz



Metropolitan Opera House
December 24, 1910

CAVALLERIA RUSTICANA {134}

Santuzza................Berta Morena
Turiddu.................Riccardo Martin
Lola....................Marianne Flahaut
Alfio...................Pasquale Amato
Mamma Lucia.............Marie Mattfeld

Conductor...............Vittorio Podesti



Metropolitan Opera House
December 28, 1910

World Premiere


KÖNIGSKINDER {1}
Humperdinck-Rosmer

Goosegirl...............Geraldine Farrar
King's Son..............Hermann Jadlowker
Witch...................Louise Homer
Fiddler.................Otto Goritz
Woodcutter..............Adamo Didur
Broommaker..............Albert Reiss
Broommaker's Child......Edna Walter [Debut]
Broommaker's Child......Lotte Engel [Debut]
Innkeeper...............Antonio Pini-Corsi
Innkeeper's Daughter....Florence Wickham
Stable Maid.............Marie Mattfeld
Gatekeeper..............Herbert Witherspoon
Gatekeeper..............William Hinshaw
Councillor..............Marcel Reiner
Tailor..................Julius Bayer

Conductor...............Alfred Hertz


Metropolitan Opera House
December 30, 1910


RIGOLETTO {70}
Giuseppe Verdi--Francesco Maria Piave

Rigoletto...............Pasquale Amato
Gilda...................Lydia Lipkowska
Duke of Mantua..........Dmitri Smirnoff [Debut]
Maddalena...............Marianne Flahaut
Sparafucile.............Andrés De Segurola
Monterone...............Giulio Rossi
Borsa...................Angelo Badà
Marullo.................Bernard Bégué
Count Ceprano...........Vincenzo Reschiglian
Countess Ceprano........Helen Mapleson
Giovanna................Marie Mattfeld
Page....................Emma Borniggia

Conductor...............Vittorio Podesti



Gli ascolti


Gluck - Orfeo ed Euridice

Atto I - Addio miei sospiri - Louise Homer (1903)


Verdi - Rigoletto

Atto I - Caro nome - Lydia Lipkowska (1914)


Verdi - Il Trovatore

Atto III - Ah sì, ben mio - Leo Slezak (1906)


Verdi - La Traviata

Atto I - Ah fors'è lui...Sempre libera - Nellie Melba (1904)

Atto II - Lunge da lei...De' miei bollenti spiriti - John McCormack (1910)


Verdi - Aida

Atto I - Celeste Aida - Enrico Caruso (1911)

Atto III - O patria mia - Emmy Destinn (1914)


Ponchielli - La Gioconda

Atto IV - Suicidio - Emmy Destinn (1914)


Gounod - Faust

Atto III - Ah! je ris de me voir si belle - Geraldine Farrar (1908)


Wagner - Tannhäuser

Atto II - Dich, teure Halle - Olive Fremstad (1911)


Wagner - Lohengrin

Atto III - In fernem Land - Karl Jorn (1909)


Wagner - Die Walküre

Atto I - Der Männer Sippe - Berta Morena (1907)

Atto I - Winterstürme - Carl Burrian (1911)


Leoncavallo - Pagliacci

Prologo - Pasquale Amato (1915)


Puccini - La Bohème

Atto I - Che gelida manina - Hermann Jadlowker (1912)

Atto III - Mimì! Speravo di trovarvi qui - Antonio Scotti & Geraldine Farrar (1908)


Puccini - Madama Butterfly

Atto II - Ora a noi - Antonio Scotti & Geraldine Farrar (1908)



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venerdì 25 giugno 2010

Faust: il terzetto finale

Cari amici ,
lo sciopero continua ed il Faust a Milano è ancora sospeso.
Poco male: eccovi una consolazione per voi che siete rimasti fuori dal teatro col biglietto in mano. E per noi che lo abbiamo visto! Una Antologia di straordinari terzetti finali, esecutori leggendari in prove maestre.

Apprezzerete qui i grandi bassi della tradizione francese, Plancon e Journet in particolare, come pure quelli russi, Reizen e Kipnis, quindi la nostra tradizione italiana, con Pinza e Siepi.
Grandi Margherite, sia liriche, lirico- spinte sino ai drammatici, che leggere, dalla Melba alla Taschemacher, dalla Kurz alla Eames, alla stupenda Heldy, alla Destinn sino alle più recenti Steber, Kirsten o Albanese. Quindi una sfilata di tenori che ben illustra la tradizione interpretativa di Faust, dai tenori lirici e lirici leggeri alla McCormack e Kozlowsky, ai tenori drammatici di scuola tedesca alla Jorn e Urlus o di scuola francese alla Dalmorès.
Esecuzioni più o meno affini a quelle moderne, alcune di un tasso drammatico cui non siamo certo più abituati, come i monumentali Teschemacher Rosvaenge e Hann, o il trio Jorn, Destinn e Knupfer, o gli intensissimi Ansseau, Heldy, Journet.
A voi il successivo confronto con la modernità più o meno recente.
Buona consolazione!

Gli ascolti

Charles Gounod

Faust

Atto V - Scena II

Alerte, alerte...Anges purs, anges radieux

1906 - John McCormack, Nellie Melba & Mario Sammarco
1907 - Charles Dalmores, Emma Eames & Pol Plançon
1908 - Karl Jorn, Emmy Destinn & Paul Knupfer
1910 - Enrico Caruso, Geraldine Farrar & Marcel Journet
1912 - Jacques Urlus, Melanie Kurt & Paul Knupfer
1930 - Cesar Vézzani, Mireille Berthon & Marcel Journet
1931 - Fernand Ansseau, Fanny Heldy & Marcel Journet
1937 - Jussi Bjorling, Esther Rethy & Alexander Kipnis
1937 - Helge Rosvaenge, Margarethe Teschemacher & Georg Hann
1943 - Raoul Jobin, Licia Albanese & Ezio Pinza
1948 - Ivan Kozlovsky, Elizaveta Shumskaya & Mark Reizen
1949 - Giuseppe Di Stefano, Dorothy Kirsten & Italo Tajo
1951 - Eugene Conley, Eleanor Steber & Cesare Siepi
1953 - Richard Tucker, Victoria de los Angeles & Nicola Moscona
1965 - John Alexander, Montserrat Caballè & Justino Diaz
1968 - Michele Molese, Beverly Sills & Norman Treigle
1973 - Alfredo Kraus, Renata Scotto & Nicolai Ghiaurov
1977 - Alfredo Kraus, Mirella Freni & Nicolai Ghiaurov
1996 - Marcello Giordani, Renée Fleming & Willard White
1996 - Giuseppe Sabbatini, Cristina Gallardo-Domas & Samuel Ramey
2003 - Giuseppe Filianoti, Darina Takova & Roberto Scandiuzzi

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venerdì 12 dicembre 2008

Il tenore prima di Caruso e del Verismo, parte II : Bonci e De Lucia


La fama di Enrico Caruso fu, almeno a partire dal 1915, assoluta ed indiscussa.
Prima di quell’anno, che coincise anche con l’ultima, tutt’altro che apprezzata apparizione del tenore napoletano in Italia, Caruso ebbe nella sua carriera almeno due colleghi, Fernando de Lucia e Alessandro Bonci, che gli crearono non pochi problemi.

Il primo, napoletano anch’esso e già molto noto agli inizi della carriera di Caruso, meglio noto, almeno nella citta d’origine come “don” Ferdinando fu l’involontario metro di paragone che costò al giovane Caruso protagonista nel 1902 di Elisir d’amore al San Carlo di Napoli una riprovazione del pubblico e la decisione definitiva (non dimentichiamoci, però, che il 23 novembre 1903 Caruso debuttò al Met) di non esibirsi più a Napoli.
Il secondo che era, invece, cesenate, e minacciò in casa, ossia a New York, il trono di don Enrico.
Nella stagione 1906 cantò al teatro Manhattan di New York e poi nelle tre stagioni successive fu, invece, direttamente al Met con le sue opere. Va anche detto che il confronto fra i due fu diretto ossia nelle stesse serate (novembre-dicembre 1908), esibendosi Caruso in Cavalleria e Bonci in Edgar Per altro il confronto fu anche nella stagione 1908-1909 al Covent Garden di Londra.
I motivi del repentino abbandono di Bonci devono essere ricercati, diciamo con un eufemismo, nell’origine e nelle amicizie di don Enrico e del suo mentore al Met il baritono Antonio Scotti, napoletano pur esso.
A parte la cronaca delle carriere, che deve anche essere completata precisando che sia de Lucia che Bonci non furono cantanti di sola carriera italiana, ma di grandissima notorietà anche nei paesi di lingua anglosassone e in America del Sud.
De Lucia al Met, ad esempio si era esibito nella stagione 1893-’94 e pure alla Scala la sua presenza era stata rilevante. Maggiore e continuativa però, nel teatro milanese quella di Alessandro Bonci con tutti i titoli del suo repertorio.
Chi volesse avere una accurata descrizione di Alessandro Bonci interprete, soprattutto, deve leggere le pagine, che Gino Monaldi gli dedica nel suo “cantanti celebri”.
Non furono due tenori identici, anzi.
De Lucia pure un poco più anziano di Bonci fu uno dei primi interpreti del repertorio verista, pur avendo iniziato con le opere tipiche del cosiddetto tenore di grazia (Elisir, Rigoletto e soprattutto le opere francesi). Il motivo è ovvio de Lucia era, anche nella fase migliore un tenore corto e non superò mai il si bem, (dovendosi ricavare la conclusione dalla scrittura del title role di Amico Fritz di cui fu il primo interprete) e le scritture del verismo marcatamente centrali gli si confacevano.
E’, poi, ben noto come De Lucia se il brano risultava troppo acuto provvedesse al trasporto. In alcune registrazioni come l’aria di Nadir dei pescatori abbassata di due toni è, poi, costretto a trasporti verso l’alto nelle frasi più basse, praticamente da baritono. Discutibilissimo e musicalmente poco gradevole il tutto.
Non per nulla Leopoldo Mugnone, che lo diresse spesso, lo chiamava Gondran, soprannome affibbiato nella seconda parte di carriera anche a Tito Schipa. Ma allora tutti i direttori d’orchestra o quasi, anche celeberrimi come Mugnone o Mancinelli preferivano un’aria trasportata, piuttosto che un’esecuzione, che denotasse tensione e difficoltà.
Sarebbe interessante sapere come si comportasse de Lucia nei brani di assieme e, più ancora in quelli più scopertamente drammatici e di vocalità tesa, quali ad esempio il finale di Carmen dove un’usuale partner di de Lucia (Emma Calvè) è documentata.
Perché quello che connota de Lucia nell’esecuzione degli assolo è un verismo elegante, sfumato, attento prima di tutto alle ragioni vocali.
Fra l’altro in generale la voce di de Lucia nei dischi suona molto scura e corposa per un tenore cosiddetto di grazia, penetrante e squillante nei primi suoni acuti ed i recenti riversamenti hanno anche attenuato il vibrato, che era ritenuto un difetto di de Lucia. Ai tempi, al contrario, era ritenuto un attributo del canto d’amore.
Paradigmatica l’esecuzione di “Amor ti vieta” a tempo lentissimo e attaccata in pianissimo, come, forse, conviene all’inizio di una schermaglia amorosa, a maggior ragione se nel corso di una festa. De Lucia intensifica progressivamente le sonorità, senza che la qualità del suono venga minimamente intaccata e, quindi, senza nessuna forzatura il punto “clou” ossia il la nat di “t’amo” è rispettato nella sua accezione espressiva.
E’ interessante il raffronto con il rivale Caruso, che di Loris fu, fra l’altro il primo interprete. Se poi il metro di paragone diviene qualsiasi dei più acclamati Loris degli ultimi quarant’anni sono due mondi vocali ed interpretativi.
L’espressione estatica, la dinamica esasperata sono applicate anche alla Siciliana di Cavalleria ed agli stralci del duetto di Lohengrin del terzo atto (titolo che era in condominio all’epoca fra tenori cosiddetti di grazie e tenori di forza).
Sono esecuzioni che non hanno nulla in comune al gallismo che di lì a poco sarebbe diventata la sigla del tenore verista o con la piatta declamazione dei cantanti wagneriani.
Poi ci sono anche i vezzi e vizi. I tempi costantemente lenti impongono prese di fiato anti musicali come pure a questo difetto porta l’inserimento di filature e rallentanti. Il fascino del “soffio dell’april” smorzato a regola d’arte e con un suono di ugual saldezza e vibrazioni ad ogni intensità è il contraltare, come pure il tono estatico dei passi dei Pescatori di perle.
Un altro difetto poco gradito al nostro orecchio sono i suoni chiari ed aperti sulle vocali “e” ed “i” nella zona centrale. Spesso il dubbio, visto il ricorso amplissimo ai trasporti e l’incertezza sulla velocità di registrazione e di riversamento riguarda la nota su cui la sgrammaticatura cada. In linea di principio non supera mai il re3 ossia la zona del passaggio che de Lucia esegue da manuale. E se così non fosse non avrebbe potuto sfoggiare in zona più alta il gioco coloristico, che è una delle maggiori attrattive di De Lucia.
Al di là della ammirazione per la tecnica per la facilità con cui sono risolti i passi più ardui rimane oggi ascoltando de Lucia l’immagine di un cosiddetto attore vocale assolutamente impensabile dopo il trionfo di don Enrico Caruso e di un modo di affrontare il verismo, che se da un lato fu limitato nel tempo, è affascinante e libera da molti, moltissimi luoghi comuni.
Anche dai dischi di Bonci il verismo è affrontato con assoluto privilegio della linea vocale e del rispetto assoluto della grammatica vocale. Le frasi più scomode di Chenier, Cavaradossi e Des Grieux sembrano elementari.Ma nella carriera di Bonci il repertorio a lui contemporaneo fu un caso.
Bonci fu uno degli ultimi interpreti di Bellini e Donizetti. Nelle stagioni al Met costituì con Marcella Sembrich una coppia che per repertorio può richiamare Kraus e la Scotto o Kraus e la Sutherland.
Classificato anche lui come tenore di grazia eseguiva, però, talvolta Boheme e Tosca, spessissimo il Ballo in maschera, che richiede ampiezza e resistenza vocale e del quale si dice che fu l’inventore, approvato da Verdi, della risata all’aria “ E’ scherzo o follia”. Credo rientri nella mitologia dell’opera.
Anche Bonci non è un esempio di fedeltà allo spartito e siccome era un tenore acutissimo i maggiori artifizi sono proprio quelli (di assoluta ascendenza ottocentesca), che facilitano l’esecuzione delle scritture acute, come acciaccature prima degli acuti, il marcato ricorso ad un suono che rassomiglia alla “u” per propiziare immascheramento ed emissione degli acuti. D’altra parte sono i suggerimenti raccolti in tutti i più accreditati manuali di canto dell’epoca
Alessandro Bonci è forse meno fantasioso di de Lucia (meno arbitrario dirà qualcun altro), ma il legato nell’esecuzione del finale di Lucia, dove l’impiccagione dei tenori da almeno un ventennio è la regola o mezza voce e smorzature ad ogni quota nella sortita dei Puritani o nelle arie del don Pasquale fanno parte di una modalità esecutiva oggi sparita.
Non credo, come è sempre stato scritto che Bonci fosse un esecutore piatto. Se tale risulta lo è in confronto con l’esuberanza e l’estro di de Lucia; come quasi tutti i vocalisti ( penso in campo tenorile ad un Bergonzi ed in quello femminile a Ebe Stignani o la Arangi-Lombardi)è essenzialmente misurato, ma di. quella misura che ha il pregio di essere assolutamente aliena da gusti e mode. I nomi sopra citati ne sono, mi pare, esempio.


Alessandro Bonci
Puccini - Tosca - Recondita armonia
Bellini - I Puritani - A te, o cara
Donizetti - La Favorita - Spirto gentil
Meyerbeer - L'Africana - Mi batte il cor...O Paradiso
Bizet - I pescatori di perle - Del tempio al limitar (con Antonio Magini-Coletti)
Donizetti - Don Pasquale - Cercherò lontana terra
Donizetti - Lucia di Lammermoor - Tu che a Dio spiegasti l'ali
Verdi - Rigoletto - Ella mi fu rapita...Parmi veder le lagrime
Verdi - Un ballo in maschera - Dì tu se fedele
Verdi - Un ballo in maschera - E' scherzo od è follia

Fernando De Lucia
Giordano - Fedora - Amor ti vieta
Mascagni - Cavalleria rusticana - O Lola c'hai di latti la cammisa
Bizet - I pescatori di perle - Della mia vita rosa sopita
Thomas - Mignon - Addio Mignon
Wagner - Lohengrin - Cessarono i canti (con Josefina Huguet)
Wagner - Lohengrin - Mai devi domandar (con Josefina Huguet)
Wagner - Lohengrin - Mercè cigno gentil

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venerdì 5 dicembre 2008

Il mito del primo uomo: Nemorino

Perché solo primedonne? L'opera è fatta in egual misura di primedonne e primi uomini che, per tradizione, si combattono sul palcoscenico i favori del pubblico a suon di acuti piuttosto che di filature e messe di voce.

Se Violetta Valery è un personaggio che quasi tutti i soprani hanno cantato e possono cantare per i tenori analogo ruolo lo svolge Nemorino, il contadinello pensato da Donizetti e Romani, sulla falsa riga di Auber e Scribe. Quasi tutti i tenori in carriera, sin dall'origine, dell'opera sono stati attratti dal mite e remissivo ragazzo, vittima, per amore di una capricciosa fittajola, dapprima di ciarlatano, che gira per i paesi circumvicini e, poi, di uno smargiasso sergente rivale in amore. Poi come in tutte le favole il lieto fine, propiziato dalla morte, in città (verrebbe da dire a Bergamo, tanto della sua terra vi trasfuse Donizetti), del ricco zio di Nemorino.
Per altro basta guardare la scrittura vocale per rendersi conto che, con poche esclusioni, il ruolo possa essere ora di tenori di colore chiaro, dolce e limitato volume ora di tenori di voce scura ed anche possente. A condizione generale di sapere cantare con morbidezza e rotondità sulla zona cosiddetta del passaggio di registro. Questo oggi, ossia dal 1900 in poi perchè fu Caruso, particolarmente il tardo Caruso a donare a Nemorino un peso ed una possanza vocale che sino ad allora gli erano stati estranei.
Andiamo con ordine:
a) la scrittura vocale. La parte è assolutamente centrale, prevede rarissimi ed elementari passi di agilità (qualche terzina) al duetto con Adina, optional di tradizione la volata al si bem di "Dulcamara volo tosto a ricercar" e la cadenza della "furtiva lagrima". E', però, tutta sul passaggio di registro ed abbonda di indicazioni come i "con passione" e "legato" dell'incipit del finale primo "Adina credimi", sino alle reitarate indicazioni di piano, pianissimo, e di esecuzione di legature davvero lunghe nella pagina più famosa dell'opera.
In fondo Donizetti con Nemorino inventa una nuova tipologia vocale, perché Nemorino nasce dalla semplificazione vocale dei personaggi di mezzo carattere dei melodrammi rossiniani, quali Lindoro di Italiana, Giocondo di Pietra del paragone e Giannetto di Gazza Ladra. Per certi versi il suo progenitore più diretto è Paolino del Matrimonio segreto.
Nemorimo, privo di difficoltà vocali insormontabili, tipiche della vocalità belcantistica anche nell'opera comica o di mezzo carattere (vedi il già citato Lindoro), sembra addirittura presagire quella dei tenori cosiddetti di grazia fra '800 e '900 tanto è che tutti i grandi interpreti di Massenet, di Nadir dei Pescatori e di Rodolfo di Bohème ebbero stabile in repertorio Nemorino.
b) Conseguenza della scrittura vocale il fatto che tutti i grandi tenori dell'800 cantassero Nemorino. Uno dei più famosi fu Mario, che affrontò il ruolo a Parigi nel 1840 agli Italiani con il solito cast di star che connotava gli spettacoli di quel teatro. Anzi per quell'edizione Donizetti medesimo approntò un finale alternativo e ampliò la parte di Adina per la divina di turno, che era la Tacchinardi Persiani.
Come cantasse Mario e tutta la schiera dei Nemorino sino ai primi del'900 non lo sappiamo. La registrazione di Fernando de Lucia, però, può essere illuminante della prassi esecutiva. Qualcuno potrà parlare di libertà e di arbitrio con i rallentando e gli accelerando seminati quasi in ogni battuta; io credo, invece, che si tratti di una realizzazione, prima che vocale, di grandissima interpretazione, perché nessun Nemorino è ingenuo e naif come de Lucia. Ingenuo e naif è poi quello che richiede l'autore.
I panni di Nemorino furono indossati da tutti i grandi tenori di grazia fossero appunto Mario, Moriani, Guasco, Naudin (che, però, praticava anche il grand-opéra) sino a cantanti alle soglie del secolo come Masini, Stagno e Marconi.
In fondo evitarono il personaggio solo tenori cosiddetti di forza, quelli che in Domenico Donzelli vedevano il loro prototipo (per intenderci Tamberlick, Tamagno, in area italiana, Affré ed Esclais in area francese).
c) La tradizione interpretativa fu quella e per il pubblico Nemorino doveva sospirare e languire (uso parole del testo poetico riferite al personaggio, non a caso). Deviazioni non erano ammesse, tanto è che a Napoli nel 1902 Caruso venne, nel nome di Fernando de Lucia, pesatemente riprovato nella parte. Chi ascolta la registrazione del duetto del secondo atto con Belcore (un'esemplare Giuseppe de Luca) percepisce come a fine carriera - anno 1919 - il più celebrato tenore del tempo avesse difficoltà a cantare nella zona di passaggio e quindi come quel Nemorimo fosse molto poco vicino alle indicazioni dell'autore ed alla poetica del personaggio.
Dopo Caruso quasi tutti i tipi vocali vennero "sdoganati" e ritenuti idonei a cantare Nemorino. Basta sentire tenori di ampio tonnellaggio e ben altro repertorio come Lázaro, Pertile e Tucker, dei quali il solo Lázaro cantò l'opera in teatro.
Però il modello assoluto ed ineguagliato rimase Tito Schipa. Spartito alla mano non c'è una indicazione dinamica che il tenore leccese non rispetti e spesso non amplifichi. Nell' "Adina credimi" l'equilibrio fra l'indicazione di "legato" e quella di "con passione" è resa con equilibrio assoluto e, ritengo, irripetibile. Nemorino non è più l'ingenuo ragazzo diviene il giovane innamorato colpito nel profondo dei sentimenti. Qualcuno (grande ammiratore di Schipa, ma per nulla incline a peana e santificazioni come Rodolfo Celletti) ha parlato con riferimento a quest'esecuzione di "poesia".
E l'esattezza del tenore cosiddetto di grazia nel ruolo è confermata da due grandissimi di scuola russa facenti parte della schiera dei tenori di grazia Smirnov e Lemeshev. Sia chiaro non hanno nulla a che vedere con i tenori dalla voce bianchiccia e dai suoni mal fermi, che nell'ultimo mezzo secolo sono stati etichettati tenori di grazia. Erano tenori che cantavano Tosca, Adriana, Traviata, Lucia, Fra' Diavolo, Manon, Werther, Faust e Romeo di Gounod. Sono, però, voci chiare, molto dolci, ma timbratissime e di una assoluta saldezza nella zona, ove Nemorino deve esprimersi e deve avere una dinamica praticamente illimitata, pena un'esecuzione piatta, metronomica e, alla fine, noiosa.
d) L'effetto Caruso su Nemorino. Forse sarebbe più corretto chiamarlo effetto verismo su Nemorino, ovvero avere ritenuto Nemorino parte non esclusiva per tenore di grazia. Chi ascolta le registrazioni parziali di Lázaro, Pertile e Tucker nulla può eccepire sulla resa vocale ed interpretativa. L'attacco della "Furtiva lagrima" di Tucker è estatico, pur con una voce corposa che "galleggia" sul fiato, rispetta le indicazioni di legato previste dall'autore, sa cantare piano e forte, fra l'altro con un'autentica pienezza e turgore vocale, senza però che la voce, da tenore lirico spinto (la registrazione è un concerto del 1970, quindi Tucker era oltre i cinquant'anni e frequentava da tempo ben altro repertorio) svisi il personaggio e le indicazioni dell'autore. E lo stesso accade con Lázaro dotato del timbro lucente e squillante da tenore de espada, piegato alle sfumature che lo stupore del personaggio dinnanzi all'amata impongono alla sortita. Ma c'è l'effetto negativo Caruso e più che Caruso vorrei dire Di Stefano, di cui volutamente abbiamo evitato ascolti. Ossia un Nemorino che al di là di una voce di buona quando non di eccelsa qualità naturale siccome la parte è facile canta a squarcia gola, con dinamica limitata fra il forte ed il mezzo forte e per insipienza tecnica spacciando suoni indietro e falsettanti per mezze voci. Insomma tutto ciò che Nemorino non deve essere perché ogni realismo a partire dalla voce grezza e non affinata e stilizzata dalla tecnica è un assoluto controsenso antidonizettiano.


Gli ascolti

Donizetti: L'Elisir d'amore


Atto I

Quanto è bella, quanto è cara - Hipólito Lázaro (1926), Beniamino Gigli (1953)

Chiedi all'aura lusinghiera - Beniamino & Rina Gigli (1953)

Obbligato! ah sì, obbligato - Fernando de Lucia & Ernesto Badini (1907)

Adina credimi - Tito Schipa (1928)



Atto II

Venti scudi - Enrico Caruso & Giuseppe De Luca (1919)

Una furtiva lagrima - Enrico Caruso (1904), Tito Schipa (1929), Beniamino Gigli (1933), Dmitri Smirnov (1910), Sergei Lemeshev (1950), William Matteuzzi (1987), André D'Arkor (1931), Hipólito Lázaro (1926), Richard Tucker (1970), Cesare Valletti (1953), John McCormack (1910), Joseph Schmidt (1931), Alain Vanzo (1968), Aureliano Pertile (1929)

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domenica 23 novembre 2008

Il tenore prima di Caruso e del Verismo, parte I


La fama di Juan Diego Florez e la scelta dello stesso di dedicare a Giovan Battista Rubini il suo ultimo recital possono far discutere, per la quasi totale assenza di legame fra il tenore peruviano ed il divo bergamasco.
Contro i detrattori o gli scettici nei confronti di Florez viene avazata l’obiezione, assai facile, che non esistono documentazioni fonografiche di Rubini, ma solo descrizioni scritte che, come tutti i documenti cartacei, debbono, poi, essere interpretate.
Credo, al contrario, che, nonostante l'assenza di documentazione diretta, ci sia molto, molto di più ossia la tradizione vocale ed interpretativa del tenore prima di Caruso, che si rifà al tenore romantico di cui Rubini con Nourrit fu il paradigma e l’esempio. Sino alla svolta impressa da Caruso, in quanto modello del tenore verista, alla vocalità maschile.
I reperti del canto e del gusto dei tenori prima di Caruso sono numerosi e significativi. E se anche nessuno di questi può essere direttamente riferibile a Rubini può, però, essere l’immagine della tecnica e del gusto praticato ad ogni latitudine o longitudine sul finire del secolo XIX, prima del mutamento di gusto e l’affermarsi della vocalità verista
I tenori di estrazione ottocentesca, se non vogliamo usare il termine, rubiniana cantavano tutti in modo simile. La comunanza di lessico tecnico è evidentissima, come l’interpretativa.
Erano, famosissimi, famosi e “di fianco” tutti in grado di passare ad ogni altezza del pentagramma dal piano al forte, talvolta, anche partendo dal pianissimo, cantavano le note acute a piena voce, in falsettone e, talvolta, anche in falsetto (nota è la prodezza al do bem del duettone degli Ugonotti di ripetere la frase “dillo ancor” in falsetto, in falsettone e, poi, a piena voce), molti di loro eseguivano correttamente e qualcuno addirittura spericolatamente passi di agilità piuttosto complessi, molti trillavano con facilità, anche eseguendo le opere di Verdi, erano in genere rispettosi dei segni di espressione. Anzi spesso ne aggiungevano molti e propri, anche perché di segni di espressione e di dinamica, sino al primo Verdi, i compositori erano parchi, essendo dinamica ed agogica pertinenti la sfera dell’interpretazione e, quindi, esclusivo diritto del cantante.
In questo senso anche tenori del dopo Caruso come Fleta, Lauri-Volpi, Schipa, Wittrish e D’Arkor furono ancora vicini al modello ottocentesco.
Questo dominio tecnico consentiva a Manrico di essere il Conte d’Almaviva a don Ottavio di essere Raoul de Nangis a Tannahauser di essere Faust. E, più in generale, la padronanza tecnica era (e sarebbe anche oggi) un mezzo di espressione e, quindi, di rispetto della volontà dell’autore banditi come erano suoni forzati, esecuzioni stentoree e squadrate per dinamica e agogica. Un’altra costante è che anche i cosiddetti tenori di forza suonassero squillantissimi in alto, capaci di smorzature e, comunque, di colore chiaro, rispetto ai tenori cosiddetti di forza portati in auge proprio da Caruso, che nella fase finale della carriera suonava più scuro di un baritono. Al riguardo vedasi i duetti con De Luca del 1920, se, poi, si tiene conto che Caruso interpreta Nemorino..........
E chiaro che ci sono anche difetti che al nostro orecchio ed al nostro gusto suonano poco gradevoli.
In primo luogo la libertà dinamica ed agogica, può apparire leziosaggine, com’è sgradevole la tendenza di tutti i tenori, specie se di grazia, ad emettere molto aperte le vocali dei suoni centrali e magari, la libertà famosissima e censuratissima di far cadere suoni scomodi su vocali più comode di quelle del testo. In proposito, però, non vedo perché gridare allo scandalo per “il mio sol pensier sei te” di Fernando de Lucia e non per “le tenebre fonde” di Imogene secondo Felice Romani, trasformate in “ tenebre oscure” da Maria Callas.
L’ascolto, con queste premesse riserva sorprese assolute una sorta di viaggio nel tempo e nell’arte molto particolare ed interessante.
Gino Monaldi nel suo “cantanti celebri” scrive di Mario:" una sera del 1864 in casa di Paolina Lucca -nota editrice di musica- mi fu dato di sentirgli cantare la serenata del Barbiere e il duetto del Rigoletto. Mario era già avanti con l'età e aveva quasi abbandonato le scene: l suono della sua voce conservava nondimeno la purezza adamantina dei suoi verd'anni e il metodo era sempre quello suo squisitissimo e inimitabile che fece di lui il più geniale fra i cantanti di teatro. Ebbene, alle prime note uscite dalla sua gola confesso d'aver provato anch'io un senso spiacevole, quasi disgustoso. Quei suoni chiari ed aperti, quel fraseggiare scandito, quella sillabazione martellata, quel modo di cantare così singolare e cotanto dissimile da ogni altro, mi sembravano una leziosaggine e una smanceria antipatica. Man mano però, che quella voce e quel canto mi penetravano nell'anima provavo un gaudio e una dolcezza infinita. Mai la voce umana mi era apparsa così ricca e così varia di poetica espressione. Quando uscii da quella casa ero pieno d'una delizia intensa, non mai finora provata. Il fenomeno più strano fu questo: che per qualche tempo non seppi più tollerare altre voci e altri cantanti. Tutti, anche i migliori, mi sembravano quasi coristi al confronto de grande Mario."
Credo che non sia difficile trovare rispecchiate le parole di Monaldi dedicate a Mario con riferimento ad un altro mito di fine ottocento Francesco (meglio noto come Checco) Marconi (1855-1916), che cinquantacinquenne esegue, integrale, con Maria Galvany, la sezione conclusiva del duetto finale dei Puritani.
E’ un altro Bellini rispetto anche a quello cui la più celebrata coppia dei nostri giorni, (Sutherland-Kraus) ci ha abituati. Persino la più belliniana coppia, che la registrazione documenti, appare piatta e metronomica nel raffronto con questa primordiale registrazione. Le libertà (molte e soprattutto maschili) della coppia Marconi-Galvany in fatto di tempi e dinamica si risolvono in una esecuzione dolcissima, sfumatissima, veramente protoromantica, ma per nulla sdilinquita o asettica.
Ancora un Marconi esausto e di cui è evidente ormai la voce priva di smalto e di corpo cesella come il momento scenico impone il “cielo e mar” a tal punto da far apparire squadrato e poco fantasioso persino Beniamino Gigli, che della aria di Enzo ha offerto una esecuzione di assoluto riferimento. Non riesco ad immaginare il confronto con il poco felice Pavarotti della registrazione ufficiale Decca o Josè Cura, che il pubblico scaligero apostrofò per certi atteggiamenti più consoni ad un california dream men, che non al nobile Enzo Grimaldo.
Un altro stupore assoluto viene dall’esecuzione della cavatina di Almaviva di Hermann Jadlowker (1877-1953), il quale cantava d’abitudine Otello di Verdi o, magari, Bacchus di Ariadne auf Naxos, salvo, poi, eseguire a voce piena volate, scale ed arpeggi nei panni del Conte o, addirittura, rimpolpare la cadenza prevista per Raoul negli Ugonotti.
La corretta esecuzione dell’ornamentazione era comune e praticata anche da tenori wagneriani come il più celebre heldentenor prima di Melchior, ossia Jacques Urlus (1867-1935) che trilla nell’aria di Manrico o Heinrich Knote (1870-1953), che esegue il duetto con Azucena con inserimento di falsettoni e, comunque, con una precisione di espressione e rispetto dei segni di espressione rare, comunque, impensabili al momento attuale per un tenore, che eseguiva d’abitudine Wagner e ruoli spinti.
Ovvio che il falsettone era applicato sistematicamente al repertorio francese.
Un tenore ritenuto di forza, Otello e Jean de Leyda, che esegua con un legato immacolato ed un falsettone perfetto l’aria della Dame Blanche di Boieldeau, come Leo Slezak (1873-1946) oggi è impensabile.
Era poi ovvio logico e scontato che nei panni di Lohengrin fossero tutti estatici, dolcissimi e con una linea di canto esattissima e che ad un canto legato, sfumato e raccolto si attenesse anche l'esecuzione dell'aria di Manrico.
Ma l’esecuzione dei passi di agilità era la prassi anche per la scuola francese, come risulta dalla siciliana del Robert Le Diable di Leon Escalais (1859-1941).
Però Esclais, cui l’aspetto fisico, tutt’altro che avvenente, precluse il palcoscenico più importante di Francia esegue con estasi ed eleganza, oltre che acuti squillanti e penetrati, l’aria di Gaston dalla Jerusalem. E alle prese con “Suplice imfame”, versione francese della più nota pira esibisce una saldezza ed uno squillo in alto, che neppure i sistemi primordiali di registrazione possono tarpare. O se lo fanno consentono di ascoltare una vocalità ed un’interpretazione perdute come idea ancor prima che come realizzazione.



Ascolti


Checco Marconi - I Puritani - “Vieni fra queste braccia" - con Maria Galvany
Checco Marconi - La Gioconda - “Cielo e mar”


Hermann Jadlowker - Il Barbiere di Siviglia - “Ecco ridente in cielo”
Hermann Jadlowker - Gli Ugonotti - “Bianca al par di neve alpina”
Hermann Jadlowker - Lohengrin - " Mercè cigno gentile"

Jacques Urlus - Il Trovatore - “Ah si ben mio”

Heinrich Knote - Il Trovatore - “Mal reggendo” - con Margarete Matzenauer

Leo Slezak - La Dame Blanche - “ Vien gentile dame”
Leo Slezak - Les Huguenots - "Grande Duetto" - con Elsa Bland
Leo Slezak - Il Trovatore - "Ah si ben mio"

Leon Escalais - Robert Le Diable - “Au tournoi chevaliers”
Leon Escalais - Jerusalem - "Je veux encore entendre"
Leon Escalais - Le Trouvère - “Suplice infame”



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lunedì 17 novembre 2008

Il mito della primadonna: Lucrezia Borgia

Quando si pensa alla Donizetti renaissance, fenomeno di novità e punta nei cartelloni italiani dalla fine degli anni ’50, la memoria corre a spettacoli come la Bolena scaligera o alla riproposizione della trilogia Tudor. Trilogia, che in questi anni si tenta, in vario modo, di riproporre, ma certo con minore necessità e qualità della precedente.
Eppure la sopravvivenza nei cartelloni italiani di titoli donizettiani, che non fossero Lucia, Elisir e don Pasquale fu dal 1870 affidata a titoli diversi da quelli della trilogia, spesso scelti da qualche divo in vena di nostalgica archeologia. Maria di Rohan rimase in repertorio sin tanto che fu in carriera “il divo” Mattia Battistini, Poliuto perché prediletto dai cosiddetti tenori di forza quali Francesco Tamagno, Antonio Paoli e Giacomo Lauri-Volpi.
Ma più di tutti, cronologie alla mano, la sopravvivenza delle opere di Donizetti è legata alle rappresentazioni di Lucrezia Borgia.
La Borgia comparve, persino al Met nel 1904 con due divi quali Enrico Caruso ed Antonio Scotti e la debuttante Maria de Marchi. La debuttante ed il titolo, però, non incontrarono i favori del pubblico. Una sola recita costituisce la inconfutabile dimostrazione. E siccome né la Caballe né la Sutherland hanno avuto l’opportunità di vestire i panni della Borgia nel massimo teatro americano, questa toccherà, forse, a Reneé Fleming, che vanta un contrastato approccio al personaggio, scelto per il debutto in Scala. Siccome la Fleming è ritenuta oltreoceano il soprano da primo ottocento credo che la Borgia avrà, prima o poi, il dovuto riscatto americano nel massimo teatro americano.
Proprio alla prima di quella Borgia, che fu una “serata calda” un loggionista scaligera di lunghissimo corso, dopo un primo atto, che prometteva solo un solenne fiasco, osservò che la Borgia “puoi farla come vuoi, ossia tragica come la Gencer, elegiaca come la Caballé, virtuosistica come la Sutherland ”.
Sono semplificazioni, ma colgono nel segno e rivelano i motivi della larghissima diffusione nell’800 e della sopravvivenza sino al definitivo reingresso nel repertorio dal 1950 in poi.
La prima Lucrezia fu Henriette Meric Lalande, soprano rossiniano convertito al nuovo repertorio, ma che ottenne le pagine più rossiniane come scrittura del Donizetti maturo. Rondò finale compreso che l’autore definiva un “cazzaccio”, ma che era e rimane negli irrinunciabili diritti di primadonna.
Per altro i diritti di primadonna, anch’essa rossininana e, quindi, poco avvezza alla vocalità spianata e spinta vennero esercitati nel 1840 da Giulia Grisi per la ripresa parigina.
La Grisi, il cui intervento sulle opere importava sempre un alleggerimento della vocalità ottenne l’acrobatica cabaletta “si voli il primo a cogliere” fu, soprattutto a Parigi e Londra, la Borgia di riferimento almeno sino agli anni ‘50 dell’800. E siccome la Grisi di preferenza praticava Borgia, Semiramide e Norma, fu, per quei pubblici, il prototipo del soprano tragico da opera italiana. Almeno sino al 1848 quando a Parigi approdò Marianna Barbieri-Nini proprio in Borgia, prediletta e per la vocalità e per il carattere e per l’opportunità, grata ad una donna notoriamente brutta, di indossare la maschera l’intero prologo. L’iconografia ottocentesca testimonia che Giulia Grisi, famosa anche per la bellezza, se la cavasse, invece, con un volatile velo nero.
Che versione della Borgia eseguisse la Barbieri Nini non lo sappiamo. Sappiamo, stando al repertorio, alla stesura 1848 del Macbeth, che fosse anche una cospicua virtuosa. Ma rispetto alla Grisi, ossia alla generazione precedente, era la potenza e la risonanza del registro basso, scuro e l’accento scandito a segnare la novità rispetto al recente passato.
In realtà era lo specchio dei tempi: la tradizione del canto d’agilità ancora di estrazione rossiniana andava estinguendosi e Lucrezia si adattava, meglio di altri personaggi, al nascente modello del soprano di forza.
Adattamento più facile e felice che per altre opere perché la parte reggeva drammaturgicamente priva dell’unico passo fiorito, non solo, ma la scrittura tendenzialmente centrale era molto in linea con quelle dei soprani, che andavano inserendo nel repertorio le parti del grand- opera o del tardo Verdi.
Basta pensare che due Borgie famose della seconda metà dell’ 800 furono Teresa Titjens e Teresa Stolz.
Al novero dei soprani drammatici vanno ascritte le prime documentazioni fonografiche del ruolo, limitate ai brani solistici ovvero sortita ed all’andante del finale.
Un vero inconeabulo risale al 1903 cantato da Elena Theodorini voce ambigua, che esibisce, oltre ad un cospicuo e per il nostro gusto ostentato registro grave, libertà di tempi che oggi sarebbero censurate. Nel caso di specie il rallentanto prima e l’accellarendo, poi, su “il veleno a prevenire” hanno una carica drammatica estranea alle esecuzioni attuali. Dello stesso livello, con un uso molto marcato del registro di petto la registrazione di Ines de Frate.
Vale la pena di rilevare come nei primi venti anni del secolo scorso le libertà di esecuzione erano la regola e non l’eccezione. In campo tenorile bastino quelle di Fernando De Lucia e Checco Marconi. Quest’ultimo specialista del ruolo di Gennaro, realizza uno dei “Di pescatori ignobile” più affascinante, una sorta di paradigma della vocalità e del gusto tenori pre carusiano. Non per nulla l’altra esemplare realizzazione della cavatina di Gennaro perviene ad Alessandro Bonci. Il rivale di Caruso.
Ad una esecuzione più moderna si attennero Ester Mazzoleni e Giannina Russ.
La Mazzoleni fu partner di Gigli al debutto (Torino 1919) nel ruolo. Interessante la corrispondenza fra il tenore ed il direttore d’orchestra ( Marinuzzi) circa la difficoltà del ruolo e la circospezione ed il rispetto con cui il repertorio antico venisse affrontato.
Peccato che non ci sia una registrazione, almeno della cavatina, di Gigli, a maggior ragione se si considera che lo stesso tenne in repertorio Lucrezia Borgia sino al 1935.
Nelle rappresentazioni romane (dicembre 1933) ed in quelle fiorentine (aprile 1933) la partner fu Giannina Arangi Lombardi, la più accreditata Lucrezia sino alle dive della Donizetti renaissance in grado di reggere, sia pure limitatamente ai brani registrati il confronto con il dopo Callas.
Un vero peccato che siano rimasti i soli brani solistici della Arangi Lombardi. Sarebbe interessante sentire come una cantante di grande ampiezza vocale, elegante, dalla dinamica sfumatissima, sempre misurata e, forse compassata, nell’accento risolvesse il finale del prologo, il duetto con don Alfonso ed il seguente terzetto, che richiedono cospicue doti interpretative per rendere la mutata situazione drammatica.
Scontato, con riferimento alla Arangi Lombardi, parlare di grande capacità tecnica, e quindi, facilità di canto, esecuzione elegante, dinamica sfumata.
Nel dopo guerra la Callas non vestì i panni di Lucrezia, siccome alla Scala nel 1951il title role era stato di Caterina Mancini. La registrazione del 1964 è quella di una cantante ormai esausta.
Le dive del “dopo Callas” fecero, invece, della Borgia un vero capo d’opera.
E lo fecero in maniera diversa fra loro; si pensi alla tensione drammatica della Gencer, per altro maestra anche nel canto sfumato ed alitato, al timbro assolutamente privilegiato, ai pianissimi librati nel teatro alla Scala ed alla raffigurazione spagnola e materna della Caballé, al virtuosismo ed alla perfezione vocale, intesa come mezzo espressivo e del satanismo e della grandezza tragica offerta da Joan Sutherland.
Davanti a queste realizzazioni il dopo è quanto meno parziale o riduttivo.
In primo luogo perché nessuno dei soprani, a partire da Katia Ricciarelli sino a Mariella Devia aveva od ha del personaggio il peso vocale e l’ampiezza, pervenendo comunque, dalle file de cosiddetti soprani angelicati, antitetici a Lucrezia, con evidente riduzione del personaggio perché la carenza di colore e peso vocale ha come logica conseguenza una Lucrezia privata di qualsivoglia tragicità.
Insomma la “donna venefica ed impura” pensata da Romani, Donizetti ispirati da Hugo, ridotta ad una trepida mamma, che nella migliore delle ipotesi canta bene con sfoggio di sovracuti e filature. Spesso più consoni a Lucia e Linda.

Gli ascolti

Prologo
Com'è bello quale incanto - Giannina Arangi-Lombardi, Joan Sutherland, Beverly Sills (Versione Grisi)
Ciel! Che vegg'io - Montserrat Caballè & Alain Vanzo
Gente appressa!...Maffio Orsini signora son io - Beverly Sills, Joan Sutherland, Montserrat Caballè

Atto I
Soli noi siamo - Leyla Gencer & Ruggero Raimondi
Guai se ti sfugge un moto...Infelice, il veleno bevesti - Joan Sutherland, Montserrat Caballè, Mariella Devia

Atto II
M'odi ah m'odi - Elena Theodorini, Ines de Frate, Charlotte von Seebok, Leyla Gencer
Era desso il figlio mio - Joan Sutherland, Leyla Gencer, Montserrat Caballè

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mercoledì 5 novembre 2008

Flórez in Hyde Park - 08/09/2007

I Proms 2007 si sono chiusi con un concerto in Hyde Park (BBC Concert Orchestra diretta da Carl Davis) cui ha partecipato, fra gli altri, il tenore Juan Diego Flórez.

Il primo dei tre interventi di Flórez è la cavatina del Roméo e Juliette. Non sappiamo se questa scelta sia indicativa dell'intenzione di affrontare il cimento di una produzione teatrale, o magari di includere il brano in un futuro cd "Hommage à Kraus". Speriamo di no, perché la garbata (e alquanto nasale) voce del cantante peruviano non ha il peso specifico del tenore lirico, né l'interprete dispone di quella tavolozza di colori necessaria per non ridurre l'incantevole melodia gounodiana a una languida cantilena da salotto. Insomma, è un problema non tanto di dote naturale (quale era quella di un Giuseppe Morino, capace tuttavia di ricamare ogni dettaglio di questa cavatina come pochi altri?), quanto di assoluta indifferenza nei confronti di quello charme tutto francese che, per dirla con miss Ashton, "si sente e non si dice" (ascolti consigliati: oltre al sempreverde Alfredo, l'elegante ma tutt'altro che anemico Léon David e il classico, benché alquanto stonato, Georges Thill).
Altri due grandi Romei: Beniamino Gigli e Alain Vanzo.

Secondo brano: Ella mi fu rapita... Parmi veder le lagrime. La voce del Duca, nel Rigoletto, viene quasi convenzionalmente associata a quella di tenore lirico. E’ mio parere, però, che il tenore lirico-spinto assurga meglio al compito di restituire il fraseggio e il carattere ideali di questo personaggio. Infatti la miglior resa possibile del personaggio, da ogni angolatura possibile, la ritroviamo nelle prestazioni di tenori quali Caruso, Peerce, Gigli (aggiungiamo anche il “liricissimo” Pavarotti) per citare i primi esempi che vengono in mente. Anche altri tipologie vocali hanno voluto affrontare questo ruolo (o solo delle selezioni), tipologie che sforano dal modello di vocalità richiesto: stiamo parlando, ad esempio, di Schipa, tenore di grazia (ma che i contemporanei descrivono come una voce tutt'altro che piccola) oppure Kraus (sostanzialmente tenore contraltino, ma non certamente una voce di tenore leggero). Nel caso di Juan Diego Flórez ci troviamo in presenza di una voce prettamente da tenore leggero, anche se spesso (ed impropriamente) si sente attribuita a lui la definizione di lirico-leggero. Quando un tenore leggero si avvicina a repertori non di propria pertinenza, come in questo caso, esiste il problema da un lato, di non cadere nella tentazione di spingere troppo in zone della voce non proprio congeniali alla questa vocalità (mi riferisco in particolare ad una certa insistenza nei centri, dove viene richiesta molta polpa vocale), evitando danni a livello degli organi preposti alla fonazione e un calo della qualità dell’esecuzione.
D’altro canto, però, gli stessi accorgimenti, come un serpente che si morde la coda, possono andare a discapito di una corretta caratterizzazione del personaggio (un tenore che si deve mantenere costantemente leggero per necessità non è un tenore che può rendere bene il Duca). Intanto, da questa registrazione di Juan Diego Flórez, notiamo una – mai riscontrata dal vivo – uniformità di volume anche nelle note più gravi. Siccome le discese al registro grave sono frequenti e importanti, su questo fronte ci riserviamo di ascoltare Flórez dal vivo, per fugare ogni dubbio in merito. Posso solo azzardare l’ipotesi che sia merito del microfono.In quest’aria abbiamo una caratteristica alternanza di frasi ora più liriche, ora più spinte. Nelle prime Flórez riesce a mantenere una certa leggerezza (che certamente non hanno una completa aderenza con il personaggio, ma almeno è cosa apprezzabile dal punto di vista prettamente tecnico), mentre sorgono problemi seri per le seconde: il canto si fa muscolare, specie dal sol acuto in su, le note più acute risultano poco timbrate, la voce si fa nasale e con essa la dizione e il fraseggio perdono consistenza (e non sono più quelli di un fiero uomo che ha perduto la donna amata). Credo che sia ancor più esemplificativo dei difetti di Flórez il confronto con Tito Schipa (mirabile prova di equilibrio tra la vocalità di grazia e il pathos drammatico). Il consiglio per Flórez è dunque di evitare questi repertori spinti, proprio per motivi strutturali oltre che per assenza di affinità elettive.

Alcuni ascolti di grandi Duchi:

Enrico Caruso; Jan Peerce; Beniamino Gigli; Alfredo Kraus (a 60 anni); Luciano Pavarotti; Richard Tucker; Tito Schipa.

Il parco programma si chiude con un medley di canzoni latinoamericane ("Solamente una vez" di Lara,"¡Ay Jalisco no te rajes!" di Esperón e "Alma llanera" di Gutiérrez, tratta dall'omonima zarzuela), amore di gioventù di Juan Diego, il quale si scuote per l'occasione dal torpore interpretativo che gli è caro e si abbandona alle melodie, ora cullanti ora spumeggianti, trovando accenti d'ingenua passionalità che fanno pensare al nostro Tajoli. Tali pregi sono particolarmente evidenti nell'ultimo assolo, che, cantato nella zarzuela dalla protagonista Rita, abbigliata con il tradizionale costume venezuelano, gode in patria di una popolarità almeno pari a quella della romanza della Vilja. La zarzuela si conferma quindi un must per i cantanti di area spagnola, e speriamo anzi che Flórez si dedichi con maggiore frequenza a questo repertorio, che cantanti come Teresa Berganza, Alfredo Kraus, María Barrientos e Jaime Aragall hanno reso popolare anche in terra non iberica.

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martedì 22 luglio 2008

75.000 ingressi: Gran concerto meyerbeeriano

E siamo arrivati ai 75.000 ingressi nel blog.
Per i 75.000 ingressi avevamo pensato di scegliere un autore tanto famoso e paradigmatico nella storia dell’opera quanto, da almeno cinquant’anni, sostanzialmente dimenticato : Giacomo Meyerbeer. Dimenticato in maniera anche incomprensibile perché se i teatri allestiscono ancora (e il futuro –temiamo- sarà latore di dense tenebre) opere come Don Carlos non si da un valido motivo, se non la scarsa consultazione della sempre utile Garzantina per la mancata rappresentazione di Ugonotti o Africana.

Devo anche dire, a piccola e parziale scusante della scarsa cultura e fantasia di chi propone gli allestimenti, che il declino dell’operismo di Meyerbeer è principiato in un’epoca in cui erano ancora ben disponibili cantanti che per tecnica e gusto potevano essere esecutori meyerberiani storici.
E, dunque per i 75.000 Meyerbeer con il suo lavoro più famoso : Les Huguenots.
Per capire la rilevanza sino agli anni 30 o 40 del secolo scorso di Meyerbeer basta rilevare che delle arie più famose dei suoi grand-opéra si contano tante registrazioni quante delle arie e dei duetti di opere come Rigoletto o Traviata.
Gli ascolti proposti sono un minimo rispetto alla vastità delle registrazioni. L’ascolto, pur con le difficoltà che il 78 giri specie se acustico, mette in contatto con un mondo dove l’interpretazione è interamente affidata al canto, dove la cognizione tecnica è presupposto per essere interprete e non solo esecutore. In un autore che non brillava per inventiva musicale, ma per altro dallo stupore per le difficoltà vocali alla sapienza compositiva, la perfetta esecuzione delle indicazioni dello spartito, Meyerbeer era maniacale nelle indicazioni di dinamica ed agogica, il possesso di una tecnica che consenta di eseguire le più astruse figure ornamentali, le più estenuate e raffinate filature e messe di voce, di sfoggiare gli estremi della voce è essenziale ed irrinunciabile. Il grande esecutore Meyerbeeriano si chiami Margarethe Siems, piuttosto che Frieda Hempel o Leo Slezak deve essere in primo luogo un attore vocale.
Meyerbeer e gli Ugonotti sono stati, poi, l’occasione per un felicissimo ed incomparabile incontro, quello con Vivian Liff, uno dei maggiori collezionisti di registrazioni storiche al mondo.
Mr Liff, la cui collezione è stata utilizzata per la realizzazione di una serie di dischi, imperdibili per l’appassionato e lo studiosi di voci storiche quale il "The Record of Singing", apprestò una disamina esaustiva e completa delle registrazioni degli Ugonotti vuoi complete che per brani. Mr Liff, richiesto in tal senso ci ha dato il permesso di pubblicare il suo scritto.
Ci siamo messi all’opera anche come traduttori e dalla settimana prossima a puntate comparirà in duplice versione lo scritto di Mr Liff. Ci auguriamo che Mr Liff continui a regalarci i suoi pensieri scritti.

Per ora proponiamo un'ampia selezione del suo capolavoro per tutti i nostri lettori. Buon ascolto!

Gli ascolti

Meyerbeer - Les Huguenots

Acte I


Sous le beau ciel - Enrico Caruso (1901)

Plus blanche que la blanche hermine - Enrico Caruso (1905), Antonio Paoli (1910), André D'Arkor (1931), Helge Rosvaenge (1932)

Seigneur, rempart et seul soutien - Wilhelm Hesch (1906)

Piff, paff - Adamo Didur (1908)

Nobles seigneurs - Selma Kurz (1912), Sigrid Onegin (1928)

Acte II

O beau pays...Sombre chimère...A ce mot - Nellie Melba (Mapleson - 1902), Luisa Tetrazzini (1914), Beverly Sills (1969)

Non, vous n'avez jamais - Zara Dolukhanova

Beauté divine, enchanteresse - Leo Slezak & Elise Elizza (1905), Augustarello Affré & Lise Landouzy (1907)

Acte III

Dans la nuit, où seul j'eveille - Edouard de Reszke & Johanna Gadski (Mapleson - 1903)), Nicolai Ghiuselev & Martina Arroyo (1968)

En mon bon droit j'ai confiance - Leon Escalais, Magini-Coletti, Luppi, Sala, Corradetti, Algos, Masotti (1905)

Acte IV

Benediction - Marcel Journet (1912)

O ciel! Où courez-vous - Fernando de Lucia & Angela De Angelis (1917), Marcel Wittrisch & Margarethe Teschemacher (1931), Rockwell Blake & Alketa Cela (2004)

Acte V

Savez-vous qu'en joignant - Samuel Ramey, Harry Thayard & Marisa Galvany (1977)


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giovedì 19 giugno 2008

Duchi di Mantova "belli e fatali"

E’ il prototipo del seduttore, senza scrupoli e, soprattutto, senza sentimenti, se non falsi, simulati e strumentali al proprio scopo. Seduttore per il gusto della seduzione, per placare la fame predatoria.
Nonostante l’unico momento di vero sentimento, rappresentato dalla sezione centrale dell’aria del secondo atto, queste sono le note caratteristiche del Duca di Mantova, che lo staccano da tutti gli amorosi verdiani. Gli altri amano e soffrono e, magari, muoiono per amore, lui per esercizio. Tanto è che trova anche una (scema?) che muore per lui.
E l’esercizio predatorio si spiega sempre ed ovunque nei confronti delle dame della sua corte, ovviamente coniugate, nei confronti di una ragazzetta agganciata in chiesa ( talvolta l'agnosticismo giova se non all’anima all’integrità fisica) e di una autentica e conosciuta donnaccia, che "lavora" per le vie e in una osteria, quanto meno di dubbia fama.
Nonostante la connotazione inequivocabile di eroe negativo le possibilità di esecuzione sono varie. Come, infatti, varia è la tradizione interpretativa del Duca di Mantova.
Infatti al primo esecutore Raffaele Mirate, che era un tenore centralizzante, aduso a ruoli cosiddetti drammatici e con una certa propensione al repertorio rossiniano, subito si affiancò il tenore di grazia rappresentato da Mario de Candia.
E il doppio canale è proseguito. Si pensi ai coevi Alessandro Bonci ed Enrico Caruso, paradigmatici delle due scuole di interpretazione, sino al nostro recente passato Alfredo Kraus contrapposto a Luciano Pavarotti.
Questo perché la scrittura del Duca, pur insistendo ostinatamente sul passaggio superiore non prevede ( salvo puntature fuori ordinanza) acuti estremi. Certo è che certe frasi del duetto d’amore in particolare "Ah due che s’amano son tutto un mondo", "sua voce è il palpito", sino al "Ah dunque amiamoci" dove le continue indicazione di ppp, di crescendo e stringendo e le forcelle incrementano le difficoltà, piuttosto che l’intera sezione centrale dell’aria del secondo atto, e l’intera scrittura della parte del tenore nel quartetto insistono nella zona mi3 sol3.
E se l’esecuzione deve essere completa ci sono pure alcuni passi di agilità alla stretta della cabaletta del secondo atto, oltre all’esigenza della ballata e della canzone di un canto sillabico facile ed alla presenza di cadenze originali al duetto con Gilda tutt’altro che elementari.
Non per nulla tenori poco ferrati tecnicamente come Giuseppe di Stefano, in una poco felice ripresa scaligera del 1954 o il recente Alagna scaligero dimostrano che il Duca o sa passare di registro o si strozza ed il suo canto non è ne seducente né predatorio, ma arrancato e faticoso.
Perché che si aderisca all’idea di una seduzione aggressiva e spavalda, incosciente e padana (nessun personaggio di Verdi è più padano del Duca) sia che si segua l’idea di un seduttore quasi perverso e laido il Duca deve saper cantare, legare e smorzare. Chi infatti deve piacere e conquistare lo fa solo con il canto a fior di labbro, sfumato e raffinato anche alle prese con una "da sbarco".
A questa raffinatezza esasperata, quasi femminea, in un personaggio che di femmineo ed efebico nulla ha risponde Giacomo Lauri Volpi. Sebbene ultracinquantenne e non troppo in regola con l’intonazione rende l’idea di quello che doveva essere il duca di tradizione ottocentesca dei grandi tenori. Interpretazione del Duca cui si attenevano, come dimostrano i reperti discografici tenori come Schipa, McCormack , Bonci ed Anselmi. Sorprende più di tutti Lauri Volpi perché, pur avendo debuttato come tenore di grazia si trasformò presto in tenore drammatico, sia pure lontano da stilemi vocali e gusto verista. Alla stessa idea di Duca si attiene in lingua russa, la cui marcata colorazione vocale in alfa, da un particolare misto di languore ed affettazione Kozlosky. Inutile dire che rispetta i segni di espressione e più ancora riesce ad essere al tempo stesso amoroso nel recitativo e nella sezione centrale della grande aria del secondo atto, conclusa con una cadenza spettacolare, che se non sbaglio porta la voce al re bem.
Dotati tutti di voce bellissima, gradevole, insomma, superdotati in natura Aragall, Bjoerling, Pavarotti indulgono un poco più al compiacimento del loro eccezionale strumento rispetto gli altri Duchi che proponiamo.
Basta raffrontare il recitativo di Bjoerling e quello di Kozlovsky ed il risultato non cambierebbe nel raffronto Pavarotti Schipa. E’ quella del cesello dell’eleganza la strada obbligatoria delle voci meno dotate in natura con l’irrinunciabile presupposto di una tecnica scaltrita e di una fantasia quanto meno varia.



Gli ascolti

Verdi - Rigoletto


Atto I
Questa o quella - Jaime Aragall
E' il sol dell'anima - Giacomo Lauri-Volpi & Lina Pagliughi

Atto II
Ella mi fu rapita...Parmi veder le lagrime - Jussi Bjoerling, Ivan Kozlovsky

Atto III
La donna è mobile - Luciano Pavarotti
Un dì se ben rammentomi...Bella figlia dell'amore - Gianni Raimondi, Leyla Gencer, Cornell MacNeil & Carmen Burello

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