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Già nella stagione 1769-70, quando l'opera venne ripresa a Londra, era diventata tutt'altra cosa, trasformandosi in un pasticcio su musiche ovviamente di Gluck ma anche di Johann Christian Bach, Pietro Alessandro Guglielmi e dello stesso Gaetano Guadagni, evirato cantore già creatore del ruolo a Vienna, che sostituì l'ultima strofe del quadro delle Furie con un'arietta in tempo di Minuetto da lui stesso composta. Charles Burney, che ebbe modo di vedere Guadagni in questa ripresa londinese del (fu) lavoro gluckiano, scrive di Guadagni: "Egli aveva raggiunto una estensione quasi doppia di quella che aveva prima e da contralto era divenuto soprano, ma così facendo aveva in parte sciupato la bellezza e la forza della sua voce. La musica che cantava era la più semplice che si possa immaginare; poche note con frequenti pause e la possibilità di liberarsi dal compositore e dall'orchestra era tutto ciò che desiderava. E in questi passaggi, che solo in apparenza erano estemporanei, egli dimostrava come il potere proprio della melodia fosse completamente indipendente dall'armonia e non venisse aiutato nemmeno da un accompagnamento all'unisono". Il fascino del suono puro, insomma, a dispetto delle intenzioni dei riformatori. Del resto Guadagni poteva permettersi questo e altro. Il virtuoso non doveva essere stellare, ma certo lo era il cantante. Lo stesso Burney ricorda che Guadagni era particolarmente noto per la capacità di ottenere, partendo da toni estremamente sonori, smorzature che suonavano "come note morenti in un'arpa eolica". Il che attesta, per inciso, che la voce dei castrati (quelli bravi, almeno) aveva una potenza e una proiezione, oltre che una flessibilità e capacità dinamica, impensabili per i loro falsettanti epigoni. E in generale per la gran parte dei cantanti di oggi.
Dodici anni dopo la prima viennese, Gluck (che nel frattempo, a Parma nel 1769, aveva riscritto la parte di Orfeo per il soprano maschile Giuseppe Millico) riallestì l'opera
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Gli anni si succedono e così le modifiche apportate alla versione di Parigi (fra cui, dagli anni '90 del Settecento, la sostituzione del Coro finale con uno derivato da Eco e Narciso, mentre nel 1824 Adolphe Nourrit canta, alla fine del primo atto, un'aria dalla medesima opera al posto di quella prevista da Gluck). Ed eccoci alla terza grande versione di Orfeo, quella nata dalla volontà di Pauline García-Viardot di impersonare l'eroico cantore. L'adattamento curato da Berlioz (per l'occasione anche direttore) e riorchestrato per ampia compagine da Saint-Saëns va in scena al Théatre Lyrique di Parigi nel novembre 1859. Interessante notare che Berlioz considera senza dubbio spuria l'aria finale del primo atto, ma non fa nulla per toglierla dalla partitura. E' anzi lo stesso Berlioz a "istigare" la Viardot a comporre una cadenza spettacolare e strappa applausi (riproposta in tempi a noi più vicini dalla Horne e dalla Podles) per chiudere l'aria, arrivando a scriverle: "Se è necessario diremo che si tratta della cadenza che faceva Legros. I Parigini la berranno di sicuro". E così Madame chiude l'atto con una megacadenza scritta a sei mani, come lei stessa avrà in seguito occasione di ricordare: "La cadenza che mi hanno fatto l'onore di rimproverarmi è stata decisa da noi tre: la prima parte (di Berlioz) è bella; la seconda (di Saint-Saëns) è un po' strana; la piccola sezione scritta dalla cantante è troppo "da cantante"; e l'ultima parte, di Berlioz, potrebbe anche essere del portiere". Fortunata l'epoca in cui le ragioni di una vera primadonna hanno la precedenza sugli scrupoli filologici! L'anno successivo la Viardot riprese il "suo" Orfeo a Londra: la capitale inglese, che già nel 1792 aveva visto stampare presso l'editore Preston un Orfeo ed Euridice definito "a Grand Serious Opera with Music by Gluck, Haendel, Bach, Sacchini, Weichsel and W. Reeve" (!), avrebbe dovuto aspettare altri quarant'anni prima di udire la versione francese così come concepita dall'autore. Ma evidentemente una Viardot val bene un pasticcio.
Assodato che ogni interprete (piccolo o grande che sia) ha diritto a scegliere la versione che ritiene più acconcia per le proprie caratteristiche e per il proprio stato di salute vocale, appare evidente che un buon Orfeo non può fare a meno di possedere una voce di puro velluto ovvero un accento di grandiosa essenzialità di stampo autenticamente tragico ovvero un'attitudine ben radicata al virtuosismo vocale in tutte le sue declinazioni. Anche più di una delle succitate caratteristiche, ove possibile.
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Atto I
Ah se intorno a quest'urna funesta - Fedora Barbieri, Ebe Stignani
Chiamo il mio ben così - Margarete Klose, Kerstin Thorborg, Shirley Verrett
Addio, o miei sospiri - Marilyn Horne, Ewa Podles, Rockwell Blake
Atto II
Deh! placatevi con me - Ivan Kozlovsky, Léopold Simoneau, Risë Stevens
Danza delle furie - Arturo Toscanini
Danza degli spiriti beati - Arturo Toscanini
Quest'asilo di placide calme - Daniela Dessì
Che puro ciel - Ivan Kozlovsky, Marilyn Horne, Ebe Stignani
Atto III
Vieni, segui i miei passi... Vieni: appaga il tuo consorte - Risë Stevens & Isabel Marengo, Nicolai Gedda & Janine Micheau
Qual vita è questa mai... Che fiero momento - Lella Cuberli
Che farò senza Euridice - Ernestine Schumann-Heink, Sigrid Onégin, Tito Schipa, Kirsten Flagstad, Ebe Stignani, Grace Bumbry, Marilyn Horne
1 commenti:
Ho ascoltato uno dei brani piu' belli dell'opera, ovverossia l'implorazione di Orfeo "Deh! Placatevi con me" nell'interpretazione di Kozlovsky. Voi sapete quanto odi sentire le opere cantate in lingua diversa dall'originale. Ebbene, per questo fenomenale artista russo mi ha fatto dimenticare la lingua, affascinato da una tecnica vocale ineguagliabile e fiati interminabili. Un Orfeo femmineo ma tutt'altro che slabbrato. Grande e grazie a voi per la chicca!!!
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