martedì 3 agosto 2010

Mese di agosto I - Opera tragica, prima puntata: Gli Orazi e i Curiazi

Gli Orazi e i Curiazi, che ebbero la loro prima rappresentazione al teatro La Fenice di Venezia il 26 dicembre 1796 devono fama e sopravvivenza forse non solo alla qualità - altissima - della musica, ma all’amore che grandi cantanti ebbero per la coppia Orazia e Curiazio degli infelici amanti, politicamente opposti come Romeo e Giulietta.

L’amoroso, sopranista, venne creato da Girolamo Crescentini (1762-1846), Orazia, invece, da Giuseppina Grassini (1773-1850); entrambi portarono, poi, il melodramma nella Parigi napoleonica. Nessun altro titolo e nessun altro argomento erano più in sintonia con il neoclassicismo napoleonico. Inoltre nella capitale francese il melodramma beneficiò della sostituzione delle arie originali cimarosiane di Orazia con altre composte da Marco Portogallo (1762-1830). Altri motivi di fama accompagnano l’opera: ad esempio la grande aria di Curiazio “Quelle pupille tenere”, (atto primo scena quinta) che rimaneggiata nei tempi e nella struttura divenne il motivo di interesse per il ruolo da parte di altro sopranista Giovann Battista Velluti (1760-1841), interprete, fra l’altro a Napoli nel 1806-’07, mentre Orazia rimase uno dei “ruoli” della Grassini che con lo stesso 1817 diede l’addio alla Scala ed alle scene, prima che un’altra grande tragedienne, sua allieva, Giuditta Pasta lo cantasse spessissimo nella prima fase della carriera.
Per fortuna di Cimarosa e nostra, credo la circostanza sia ignota alla attuale reincarnazione di Giuditta Pasta.
Se ciò non bastasse l’opera seria che si prova nel dramma di Gnecco (anno 1811) sono proprio gli Orazi e Curiazi e tacciamo dei peana che Stendhal spese per questo melodramma, per lui il paradigma e più alta realizzazione dell’opera seria italiana.
Che cosa trova e ascolta oggi chi si avventura negli Orazi e Curiazi?
In primo luogo, come insegna Stendhal, lo stile italiano dalla melodia semplice ed ispirata che imperò sino al Tancredi di Rossini, poi, votato all’armonia ed alla costruzione melodica d’Oltralpe.
Modello assoluto l’aria di Curiazio, le famose pupille tenere, ma anche le originali cimarosiane di Orazia “Nacqui è ver fra grandi eroi" (atto primo) e “Se pietà nel cor serbate” (atto secondo, scena ottava). Per capire come venisse vissuta e intesa l’arte di Giuseppina Grassini si può richiamare la recensione pubblicata sul Corriere delle dame all’indomani dell’ interpretazione di Orazia che così giudica la prestazione. “La scienza logica della vera musica essa la fa consistere non già nell’impeto esagerato di svolgere i tuoni, ma nella dolce e compassata energia, che sostiene la musica senza sforzo e senza esagerazione. Essa a quando a quando ci rese accorti che sa sorprendere l’orecchio coi ricami di bravura, ma sempre si ricompose nei confini dell’ingenua arte del canto italiano”.
E poi trova lo stile tragico riservato soprattutto ad Orazia ed ai grandi recitativi. Alla protagonista femminile spetta il finale ossia l’invettiva contro Roma e gli dei, per altro dopo una sezione di duetto con il fratello “Svenami ormai crudele” tragica e nobile al tempo stesso. In questo senso la matrona romana supera i personaggi drammatici di Traetta come Antigone ed Ifigenia ed anche la Vitellia mozartiana, costituisce Orazia l’indiscusso modello drammatico e vocale delle grandi tragiche del belcanto, che conosceranno l’apice con Isabella Colbran. Certo alla tragedienne del belcanto è fatto obbligo di essere vocalmente una grande virtuosa si chè alla Grassini, non bastando quanto composto da Cimarosa, provvide all’integrazione doviziosamente Marco Portogallo. Con una tale dovizia che Anna Caterina Antonacci, Orazia nell’edizione romana del 1989, che riproponeva i numeri di Portogallo, è ben inferiore al compito. Offriamo, però, l’esecuzione e per esemplificare quella che nel canto di agilità potesse essere l’arte di Giuseppina Grassini e per il confronto fra arie originali ed alternative.
Quanto, poi, ad un altro topos del melodramma ante Rossini ossia le elaborate strutture musicali, che superino l’aria tripartita, il momento più alto è realizzato nel finale secondo, affidato al giovane Curiazio, che lacerato fra amore per Orazia ed amore di patria, scende in un oscuro anfratto a consultare gli oracoli incontrandovi e scontrandosi con gli altri protagonisti. L’ascendenza con le scene dei travesti di Handel incatenati e languenti (Bertarido di Rodelinda, ad esempio) è evidente, ma ancor più chiaro che Curiazio precede, nel vagabondare dell’anima, Arsace di Aureliano, Tancredi e anche Arsace di Semiramide, oppresso da edipiche rivelazioni. Quello che accomuna in questi melodrammi il musico è, sotto il profilo drammaturgico, il contrasto che vive, esplicitato in musica dapprima con melodie lunghe e lamentose (“A versar l’amato sangue” piuttosto che “In sì barbara sciagura”) e poi, una volta assunta l’eroica decisione in perigliosi passi acrobatici. Sarebbe molto interessante sapere quali fossero gli abbellimenti di Crescentini o Velluti in una scrittura di suo già piuttosto minuta.
Ai guerrieri sono poi riservati i momenti epici e marziali, quelli che più nella nostra immaginazione evocano scultura e pittura neoclassica. Al registro centrale ampio e probabilmente brunito di Marco Orazio è affidata la grande aria “Se alla patria ancora donai” all’atto primo scene settima ed ottava per la quasi è tautologico parlare di evidenti anticipazioni dell’aria di Argirio. La struttura dell’aria recitativo, aria (in tempo andante) e cabaletta con intervento e dialogo del coro è una delle prime applicazioni di un modello che imperverserà nell’opera italiana sino al 1850.
Il titolo più famoso del giovane Rossini deve essere chiamato in causa per i due grandi duetti: quello di sfida fra Orazio e Curiazio, che chiude il primo atto è costituito, come tutti i grandi duetti del melodramma ottocentesco, da tre sezioni di cui prima e terza in tempo veloce e la centrale in tempo lento, formula questa che proprio in Tancredi apparirà semplificata in due sole sezioni; la mozione degli affetti, invece, spetta al duetto del secondo atto fra gli innamorati, di struttura più semplice, ossia un primo movimento “Se torni vincitor” e la chiusa in sticomitia fra le due voci come avverrà per la stretta dell’ultimo grande duetto rossiniano, ossia il “Tu serena intanto il ciglio” della Semiramide.
Preciso: gli Orazi e i Curiazi sono del 1796, Semiramide del 1823. Le date non servono per nozionistica erudizione, ma per confermare – credo - le ragioni dell’ammirazione che Stendhal aveva per questo, oggi obliato, titolo e le ragioni di una permanenza quasi quarantennale in repertorio in pieno “ciclone” Rossini.


Gli ascolti

Domenico Cimarosa

Gli Orazi e i Curiazi


Tragedia per musica in tre atti

Libretto di Antonio Simeone Sografi

Prima esecuzione : 26 Dicembre 1796, Teatro La Fenice di Venezia


Atto I

Germe d'illustri eroi...Oh, dolce e caro istante - Gianna Rolandi, Anna Caterina Antonacci & Franco Farina (1989)

Quelle pupille tenere - Daniela Dessì (1983), Gianna Rolandi (1989)

Non dubitar...Se alla patria ognor donai - Mario Bolognesi (1983), Franco Farina (1989)

Lascia almen ch'io riprenda...Nacqui è ver fra grandi eroi - Katia Angeloni (1983)

Aria alternativa di Marcos Antonio Portugal (1798):
Lascia almen ch'io riprenda...Frenar vorrei le lagrime - Anna Caterina Antonacci (1989)

Quando nel campo armata - Daniela Dessì & Mario Bolognesi (1983)

Atto II

Lasciami per pietà...Se torni vincitor - Gianna Rolandi & Anna Caterina Antonacci (1989)

Se pietà nel cor serbate - Katia Angeloni (1983)

Aria alternativa di Marcos Antonio Portugal (1798):
Ah sì, succeda...Ah, pietà del pianto mio - Anna Caterina Antonacci (1989)

Eccoti, Orazio alfine...Dolce fiamma di gloria, d'onore - Franco Farina (1989)

Qual densa notte...Ei stesso intrepido...A versar l'amato sangue...Dunque al campo - Daniela Dessì (con Katia Angeloni, Mario Bolognesi, Giuseppe Fallisi, Tai Li Chu-Pozzi - 1983), Gianna Rolandi (con Anna Caterina Antonacci, Franco Farina, Edoardo Guanera, Patrizia Dordi, Yoko Hadama - 1989)

Giusti Dei! - Katia Angeloni (1983)

Dov'è lo sposo mio?...Svenami ormai, crudele - Katia Angeloni & Mario Bolognesi (1983), Anna Caterina Antonacci & Franco Farina (1989)

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