martedì 26 ottobre 2010

Ancora sul Flauto Magico

A pochi giorni dalla recensione della Zauberflöte diretta da René Jacobs a opera del collega Duprez, abbiamo pensato di proporre un’appendice, ovviamente pre-filologica e tendenzialmente passatista. Delle nostre.

Non già, come vogliono alcuni lettori, perché animati da cieco e ottuso furore verso ogni novità, massime se patrocinata da una major del disco. Le note del buon Duprez smentiscono, assieme a molte altre, anche questa fola.
Semmai per ricordare, in primo luogo a noi stessi, che Die Zauberflöte è, come il Don Giovanni e in misura forse lievemente minore le Nozze di Figaro, una di quelle opere che il disco ha documentato lungo tutta la sua storia, dai mitici Mapleson di Marcella Sembrich in poi. L’ininterrotta fortuna esecutiva del titolo, sovente adattato e tradotto in diverse lingue, ha consentito una ricca messe di registrazioni dal vivo, magari di suono non adamantino, ma spesso notevole per fama e valore di interpreti, non di rado assai poco avvezzi alla sala d’incisione.
La sterminata discografia del titolo avrebbe consentito non una, ma almeno dieci puntate dedicatele. E non è escluso che in futuro il Flauto torni a visitare queste pagine.
Per il momento ci limitiamo ad osservare che i contrasti esasperati, tanto nella dinamica orchestrale quanto nelle scelte agogiche, che compongono e sostanziano il respiro teatrale dell’Ouverture, non sono certo un portato della filologia baroccara. Troviamo la stessa brillantezza, l’identica passione per la contrapposizione anche violenta fra la solennità degli accordi, associati alla figura degli Iniziati, e la vivacità del successivo tema fugato, nelle esecuzioni dirette dai cosiddetti maestri di tradizione. Certo il suono orchestrale non ha la secchezza di rigore presso i nomati stilisti e il contrappunto è spesso, malgrado le precarie condizioni di registrazione, molto più netto ed esatto.
Quanto alle voci, a parte due o tre eccezioni, non abbiamo certo sfoderato l’argenteria, ossia i capisaldi del vinile dedicati all’opera mozartiana. Abbiamo optato per un buon livello medio. Anzi, diciamo pure medio-alto per quanto attiene il versante femminile, specie per la figura di Pamina, parte di nulla difficoltà vocale e che, per risaltare a dovere, necessita di un legato, e a monte di un controllo del fiato, di prima qualità. Dote che oggi si fatica a ritrovare, e non solo fra le esecutrici di musica barocca o assimilate.
Liberi di vederla come preferite, ma questo modesto saggio di interpretazione mozartiana non vuole offrire nuovi chiodi alla croce del melomane, anche e soprattutto in via di formazione. Vuole essere, semmai, un invito, l’ennesimo ma non certo l’ultimo, a non sostare nella proverbiale prima osteria, che è poi quasi sempre quella di più recente conio, bensì a cercare l’albergo che maggiormente si confaccia al gusto personale, senza per questo perdere di vista la memoria storica. Memoria che, a ben vedere, è l’unica dote richiesta, assieme a un po’ di orecchio, a un pubblico d’opera che voglia davvero definirsi tale.
Buon ascolto.

Gli ascolti

Wolfgang Amadeus Mozart

Die Zauberflöte



Ouverture - Bruno Walter (1942), Wilhelm Furtwängler (1949), Otto Klemperer (1962)

Atto I

Zu Hilfe! Zu Hilfe - Charles Kullman, Eleanor Steber, Maxine Stellman & Anna Kaskas (1942), Walther Ludwig, Gertrud Grob-Prandl, Sieglinde Wagner & Elizabth Höngen (1949)

Dies Bildnis ist bezaubernd schön - Jacques Urlus (1915)

O zittre nicht - Joan Sutherland (1962), Christine Deutekom (1968)

Wie stark ist nicht dein Zauberton - Jacques Urlus (1915)

Schnelle Füsse...Es lebe Sarastro! - Irmgard Seefried, Karl Schmitt-Walter, Peter Klein, Josef Greindl, dir. Wilhelm Furtwängler (1949)

Atto II

O Isis und Osiris - Pol Plançon (1905), Alexander Kipnis (1942), Ezio Pinza (1945)

Der Hölle Rache - Joan Sutherland (1962), Christine Deutekom (1968)

In diesen heil'gen Hallen - Pol Plançon (1905), Alexander Kipnis (1942), Tancredi Pasero (1943), Ezio Pinza (1945)

Ach ich fühls - Tiana Lemnitz (1937), Sena Jurinac (1956)

Ein Mädchen oder Weibchen - Giuseppe Taddei (1956)

Bald prangt, den Morgen zu verkünden - Eleanor Steber, Genevieve Warner, Paula Lenchner & Hertha Glaz (1950), Sena Jurinac, Lorenza Mitra, Dodi Protero & Laura Macario (1956)

Nur stille, stille...Die Strahlen der Sonne - Peter Klein, Wilma Lipp, Gertrud Grob-Prandl, Sieglinde Wagner, Elizabeth Höngen & Josef Greindl, dir. Wilhelm Furtwängler (1949)



5 commenti:

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Ascolti splendidi devo dire: con alcune punte di eccellenza assoluta. Importante e utile questo post e questa appendice d'ascolti: il passato è e sarà sempre, strumento indispensabile per capire il presente (che non è da demonizzare o da esaltare tout court)! La realtà - a differenza di quanto ripetono certe vulgate "baroccare" (soprattutto le più intransigenti: anche se oggi FINALMENTE, si assiste ad un ripensamento generale nello specialismo barocco) - è molto più varia e sfaccettata. L'idea di un Mozart pre barocchista ridotto ad una lettura iper romantica, con orchestrone wagneriane e passo pachidermico, è falsa e fuorviante. Certo vi sono letture decisamente pesanti e sacrali, ma i più grandi direttori (anche quelli dell'idea del Flauto come un'opera filosofica), sapevano ben distinguere Mozart da Wagner. E poi accanto a Furtwangler e Klemperer (in realtà diversissimi) ci sono interpretazioni assai distanti (Walter, Karajan...) da loro. Insomma il Mozart del passato non è il monolite wagnerizzato e falsificato che taluno ci rappresenta.

Marco ha detto...

Buongiorno, amici. Vorrei aggiungere una annotazione ai due bei scritti che sono stati dedicati a quella "luce meridiana" (l'espressione è di Mario Bortolotto, risalente al tempo in cui Bortolotto faceva ancora lo storico della musica e non il narciso collezionista di citazioni)che è rappresentata dalla "Zauberfloete" nella storia dell'opera. Ora, io sono completamente d'accordo sul fatto che l'epoca prefilologica delle interpretazioni di quest'opera non assomiglia per niente a un monolite; comprende in sé realtà diverse e perfino opposte. Questo stato di fatto coinvolge proprio una prospettiva storica. Io tempo addietro sono entrato in una vivace polemica con alcuni interventi apparsi sul forum di "Operadisc". Gli scritti in questione erano, mi sembra, di Matteo Marazzi. Essi sostenevano che in una certa epoca si forma un indirizzo interpretativo prevalente il quale, per così dire, assorbe in sé ogni possibile diversità. Si crea in questo modo una sorta di contesto omogeneo il quale, per dirla in termini politici, reprime ogni forma di dissenso. Ora questo storicismo assoluto secondo me è completamente falso; è un modo singolare di guardare il divenire storico, un modo che assomiglia più a Giuseppe Stalin che a Benedetto Croce.

Marco ha detto...

Perché in un periodo storico possono coesistere esigenze interpretative non conformi reciprocamente. Per esempio, Furtwaengler e Krauss sono contemporanei; ma fra i loro stili c'è un abisso. Marazzi sosteneva anche che quello stile prevalente veniva poi superato e reso inattuale da quella cesura su cui si basava l'epoca seguente. Anche su questo argomento io non sono affatto d'accordo. Penso invece le interpretazioni musicali condividano perfettamente il destino delle creazioni artistiche. Come queste ultime nascono nella storia ma sono capaci di parlare al di là della loro epoca, nello stesso modo le interpretazioni veramente grandi nascono in un'epoca ma non si riducono ad essa, esprimono esigenze che hanno le loro radici in un tempo precedente e al contempo sono in condizione di essere contemporanee a un futuro, a qualsiasi futuro. In questo modo la storia perde il suo carattere di necessità lineare e si frastaglia in una ricchezza infinita, come è giusto che sia. Non si possono appiattire i fenomeni che nascono in un'epoca.

Marco ha detto...

Così è per la storia della "Zauberfloete" in epoca prefilologica. Duprez giustamente ha ricordato Klemperer e Furtwaengler. Faccio questo esempio volentieri perché mi ricordo che Marazzi, parlando di interpretazione wagneriana, sosteneva il carattere innovativo di Simon Rattle in confronto al passato rappresentato da Klemperer, Furtwaengler e Barenboim. Anche in questo caso agiva l'appiattimento consueto. Lasciamo da parte Barenboim, il cui carattere epigonico è fin troppo evidente. Ma Klemperer e Furtwaengler? Mai si videro idee stilistiche più diverse, tant'è che è impossibile riportare l'uno all'altro. Furtwaengler, incarnazione dello spirito romantico, fatto di urgenze improvvise ed oasi di pace ultraterrena, "improvvisatorio" nel senso più alto del termine. E però Klemperer. La sua estetica si riporta chiaramente alla "Neue Sachlichkeit" (Nuova Oggettività) di marca hindemithiana, fatta di massima cura dell'architettura complessiva e di analisi spasmodica del dettaglio. Un'estetica che negli ultimi anni di Klemperer era approdata ad un classicismo assoluto, che dava l'apparenza (ma era solo apparenza) di una somparsa dell'interprete; un esempio per tutti, la sublime incisione del "Lied von der Erde" mahleriano. Ma questi stili possono parlare a noi ( e a chi non parla il "Fidelio" di Furtwaengler?) proprio perché ognuno di loro non pretende di rappresentare monoliticamente un'epoca, è modesto, non ambisce a soppiantare nulla di quanto viene prima e di quanto viene dopo. Analogamente a quanto accade nella creazione musicale; i "Vier letzte Lieder" di Strauss sono esattamente contemporanei delle ultime opere di Schoenberg.
Cordiali saluti
Marco Ninci

Domenico Donzelli ha detto...

vado ben oltre a dimostrare che molti degli odierna ascoltatori che presumono fare anche i critici farebbero meglio a dedicarsi ad altro
Proprio in questi giorni sono riuscito a trovare il frammento del don giovanni di salisburgo 1935 dove canta giannina arangi lombardi e walter è divesissimo da quando due anni dopo accompagnò la rethberg. eppure è semère walter eppure è sempre molto bravo.....
anzi the best

ciao dd