lunedì 29 agosto 2011

Opera napoletana II. "Il matrimonio segreto"

La più nota delle opere di Cimarosa è celebre, fra l’altro, per essere uno dei pochi lavori del teatro per musica ad avere conosciuto – non è chiaro se alla prima assoluta ovvero a una delle prime repliche – l’onore di un bis integrale. “Il matrimonio segreto” venne infatti replicato integralmente nel corso della medesima serata.

Si potrebbe scorgere in questa circostanza un segno e anche una compensazione del destino, stante l’oblio assoluto e totale in cui versa, oggi, il catalogo del compositore aversano, “Matrimonio” incluso. E se per i titoli seri – vedi “Gli Orazi e i Curiazi” – l’oblio può essere in parte spiegato in ragione dell’assenza di virtuosi in grado di rendere giustizia a ruoli pensati per i più celebri evirati e le più scafate primedonne, il “Matrimonio” non presenta difficoltà vocali, che possano limitarne o disincentivarne la riproposta. E questo a maggior ragione in un mondo in cui “L’italiana in Algeri” viene ritenuta opera da studenti e “Il viaggio a Reims” uno spartito idoneo per un saggio di fine corso (e precisiamo, di un corso che dura a stento un mese). E certo al titolo di Cimarosa non fa difetto la qualità della scrittura musicale, che prefigura già, con i sommi esiti della scuola partenopea, l’imminente stagione rossiniana.
Cimarosa attese alla composizione dell’opera nel periodo in cui, ultimato il servizio presso la corte di Caterina di Russia, si accingeva a fare ritorno in Italia. La commissione, giunta dalla Corte imperiale di Vienna, e la notoria ammirazione di Cimarosa per il da poco scomparso Mozart funsero certo da stimoli per il compositore, che, nel genere comico, aveva già prodotto titoli quali “L’italiana in Londra”, “Giannina e Bernardone” e “I due baroni di Rocca Azzurra”. Basta ascoltare la superba Ouverture per rendersi conto di quanto i pregiudizi nei confronti della scuola italiana, ritenuta poco o nulla interessata a un trattamento dell’orchestra, che vada oltre il mero accompagnamento del canto, siano privi di fondamento: il carattere brillante della musica, la sapiente alternanza di “piano” e “forte” e l’orchestrazione sempre varia e cangiante rimandano inevitabilmente al modello delle “Nozze” mozartiane, modello osservato con rispetto e amore, ma non pedissequamente imitato.
Tutta italiana, anzi squisitamente partenopea, è la tenerezza dell’introduzione al primo atto, in cui gli sposi clandestini Carolina e Paolino cantano le loro speranze e i loro timori. In particolare emerge in questa scena di presentazione il carattere del giovine di negozio Paolino, parte di tenore che anticipa quelle di mezzo carattere dell’opera rossiniana, dal Giocondo della “Pietra del paragone” al Giannetto della “Gazza ladra”. La scrittura non molto fiorita (tranne che in alcuni punti, ad esempio nella parte conclusiva dell’aria del secondo atto, l’Andante sostenuto “Pria che spunti in ciel l’aurora”, brano spesso eseguito in sede di recital anche da tenori non avvezzi al titolo) non deve trarre in inganno: all’esecutore è richiesto un perfetto controllo del fiato, onde restituire tutta la malia dei cantabili (su tutti quello dell’aria già citata), reggere le esigenze del canto sillabato (stretta del finale primo), cantare sul passaggio superiore (“presto avrà fin la pena” al primo duettino con Carolina e “o povero me” all’entrata nel finale primo) senza stentare o falsettare, ma esibendo comunque il patetismo richiesto al delicato personaggio, ancora di sapore quasi arcadico. Analoghe esigenze presenta la sposina, cui spetta una spiritosa arietta di carattere (“Perdonate signor mio”) e un ruolo decisivo nella caricata galanteria del terzetto “Le faccio un inchino” così come nel vortice comico del finale primo, ma che nel resto dell’opera è connotata da un patetismo che ricorre, in particolare nel recitativo obbligato “Come tacerlo poi se in un ritiro” e nel successivo quintetto “Deh lasciate ch’io respiri”, a una scrittura d’impronta seria, di fatto anticipando la stagione del genere larmoyant. Nelle opere comiche di Cimarosa (così come in quelle di Mozart: si pensi ad esempio a “Smanie implacabili” in “Così fan tutte”) sono frequenti le parodie di scene e situazioni dell’opera tragica, ma in questo caso il sarcasmo cede il passo a una sincera simpatia nei confronti del personaggio, in cui si delinea quella figura femminile forte e determinata, sebbene perseguitata dalla sorte avversa, che sarà tipica dell’opera semiseria del primo Ottocento.
Comico e a tratti grottesco, proprio in forza di una scrittura vocale degna dell’opera seria, l’altro personaggio femminile di rilievo, quello della zia Fidalma, stagionata ma non doma vedovella, zia di Carolina e a sua volta invaghita di Paolino. La centralità del personaggio è rimarcata dalla presenza, alla prima viennese, di Dorotea Bussani, celebre interprete mozartiana, già creatrice di Cherubino e Despina, evidentemente a proprio agio nella tessitura marcatamente centrale di Fidalma. Il pezzo di sortita, in cui la zia illustra all’altra nipote, Elisetta, i vantaggi e sapientemente allude agli inconvenienti della vita matrimoniale, è risolta da Cimarosa con un’aria strofica che rimanda al genere pastorale, ma più solenne e pomposa: la voce del contralto intona un'ampollosa cantilena accompagnata dai garbati motteggi dell’orchestra. È l’apoteosi del non detto, dell’ammiccamento, signorile e di buon gusto, ma inequivocabile, della dissimulata malizia. Per noi del blog soltanto un’interprete ha saputo in massimo grado coniugare in questo ruolo la perfetta esecuzione vocale (che si compiace per giunta di un tempo largo non certo agevole da sostenere, anche per voci di ampia cavata) e la massima espressività, vale a dire un’espressività rispettosa, assieme al dettato dell’autore, del carattere e della forma mentis del personaggio. Alludiamo ovviamente alla signora Ebe Stignani, che certa critica ha tacciato di essere sussiegosa e matronale, non avvedendosi che proprio in queste doti risiede la grandezza di una simile caratterizzazione.
Grande rilievo hanno poi le due parti di basso: l’una, quella del Conte Robinson (interpretata a Vienna dal grande Francesco Benucci, primo Figaro mozartiano), anticipa i grandi ruoli di basso cantante del teatro rossiniano, Dandini in primis (basti confrontare la struttura delle rispettive arie di entrata), l’altra, quella del signor Geronimo, i bassi buffi dal Tobia Mill della “Cambiale di matrimonio” a Don Magnifico (l’aria di sortita, in cui comunica alla famiglia l’imminente fidanzamento di Elisetta con il Conte, è un vero gioiello anche sotto il profilo della strumentazione). Il duetto delle voci gravi, posto in apertura del secondo atto, costituirà il modello per l’opera italiana a venire, almeno sino al “Cheti cheti immantinente” del “Don Pasquale”. Ampie frasi con salti d’ottava (“ora vedete che bricconata/ora vedete che uom bilioso”), fitti sillabati (“qua risparmio del bell’oro/va l’amico ruminando”), incisi ostinatamente ripetuti (“m’ostinerò”), sino alla chiusa in cui le voci si inseguono riproponendo l’una i melismi dell’altra, tutto concorre a fare di questa pagina un’autentica occasione d’oro per due interpreti, che padroneggino gli strumenti del canto di scuola. L’effetto teatrale è a dir poco irresistibile. Così come grande effetto sortiranno, anche presso quella critica convinta che i concertati siano un’invenzione rossiniana (una “boutade” che rivela quanto persino il Mozart della trilogia dapontiana rimango, per molti, un mistero glorioso), i pezzi d’assieme, dal sospeso quartetto “Sento in petto un freddo gelo” al citato quintetto, dal celebre “Le faccio un inchino” sino ai finali d’atto, che sembrano anticipare rispettivamente il “Barbiere” e la “Scala di seta” (opera che può essere vista in fondo come un omaggio al genio di Cimarosa, proponendo una vicenda per molti versi analoga a quella del libretto di Bertati). Una più spiccata fantasia, un maggiore coraggio da parte dei signori sovrintendenti e direttori artistici, e magari l’interessamento di una delle tante “star” della lirica moderna potrebbero forse restituire al “Matrimonio” il posto che gli spetta di diritto nei nostri cartelloni. E tanto per chiudere con una nota di autentico passatismo, riportiamo la locandina del “Matrimonio” allestito al Teatro degli Italiani all’inizio del 1846: Fanny Tacchinardi Persiani (Carolina), Mario (Paolino), Teresa Brambilla (Elisetta), Marietta Brambilla (Fidalma), Luigi Lablache (Geronimo) e Prosper Dérivis (Conte Robinson).



Gli ascolti

Domenico Cimarosa

Il matrimonio segreto


Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater, 7 febbraio 1792


Ouverture - Leo Blech (1932), Arturo Toscanini (1943)

Atto I

Cara non dubitar...Io ti lascio perché uniti - Tito Schipa & Alda Noni (1949)

Udite, tutti udite - Sesto Bruscantini (1950), Enzo Dara (1980)

Le faccio un inchino - Graziella Sciutti, Eugenia Ratti & Ebe Stignani (1956)

E' vero che in casa - Fedora Barbieri (1949), Giulietta Simionato (1950), Ebe Stignani (1956), Lucia Valentini Terrani (1977), Carmen Gonzales (1980)

Senza senza cerimonie - Boris Christoff (con Alda Noni, Hilde Gueden, Fedora Barbieri, Tito Schipa & Sesto Bruscantini - 1949), Antonio Cassinelli (con Alda Noni, Ornella Rovero, Giulietta Simionato, Cesare Valletti & Sesto Bruscantini - 1950)

Sento in petto un freddo gelo - Franco Calabrese, Eugenia Ratti, Graziella Sciutti & Ebe Stignani (1956)

Perdonate signor mio - Margherita Rinaldi (1977)

Tu mi dici che del Conte - Sesto Bruscantini, Ornella Rovere, Giulietta Simionato, Alda Noni, Cesare Valletti, Antonio Cassinelli (1950)


Atto II

Se fiato in corpo avete - Sesto Bruscantini & Antonio Cassinelli (1950)

Sento, ohimè, che mi vien male - Graziella Sciutti, Ebe Stignani & Luigi Alva (1956)

Pria che spunti in ciel l'aurora - Tito Schipa (1949), Cesare Valletti (1950), Luigi Alva (1956), Juan Diego Flórez (2010)

Come tacerlo poi...Deh lasciate ch'io respiri - Graziella Sciutti (con Franco Calabrese, Eugenia Ratti, Ebe Stignani & Carlo Badioli - 1956), Alida Ferrarini (con Claudio Desderi, Margherita Guglielmi, Carmen Gonzales & Enzo Dara - 1980)

Il parlar di Carolina...Deh ti conforta, o cara - Franco Calabrese, Carlo Badioli, Graziella Sciutti, Ebe Stignani, Luigi Alva, Eugenia Ratti (1956)

3 commenti:

justsmile ha detto...

Ho sempre trovato quest'opera meravigliosa in tutti i sensi e sono felicissimo di vedere il post.
Grazie!
@teatri in tutto il mondo: SVEGLIAAAAAA!!!!!

Domenico Donzelli ha detto...

caro just mile un solo problema sono sei o cinque prime parti..... coi tempi che corrono!!!!!

Antonio Tamburini ha detto...

Donzelli ma questo è un problema che nessuno si pone quando si tratta di allestire il Viaggio a Reims... e i risultati si sentono!