sabato 27 agosto 2011

Verdi Edission: Jerusalem

Jerusalem venne rappresentata all’opera di Parigi il 26 novembre 1847. E’ il primo grand-opéra dal catalogo verdiano e non si può che concordare con Julien Budden, il quale afferma che qualsivoglia compositore italiano mirasse a grande carriera e fama internazionale dovesse comporre un’opera per l’Accademia.

Verdi vi approdò, artisticamente parlando, molto prima dagli altri italiani proprio perchè gli altri italiani non c’erano più. Rossini non componeva melodrammi da quasi quattro lustri, Donizetti attendeva la morte e Bellini, invece, la traslazione nel duomo di Catania. Rimaneva è vero Mercadante ritenuto, però, superato e provinciale. La chiamata per comporre un titolo per l’Operà arrivo nei pieni cosiddetti anni di galera e dopo un solo quinquennio di carriera. I raffronti con i tempi delle chiamate di Rossini o Donizetti sono significativi.
Verdi vi rispose come aveva risposto Rossini ovvero adattando un titolo precedente del proprio catalogo. La scelta cadde su Lombardi, che vennero trasportati dalla diocesi ambrosiana a quella di Tolosa, e poi in Terra Santa, e che costituivano il soggetto più adatto (forse in uno con Attila) per una simile operazione, attesa la presenza di due fra gli elementi tipici del grand-opéra, ossia la vicenda amorosa contrastata e posta sullo sfondo di un grande avvenimento storico. Si aggiungeva un altro topos del melodramma francese ossia lo scontro religioso, anche se gli scontri religiosi cari ai compositori francesi erano, attesa la loro confessione religiosa, quelli con il Giudaismo o la Riforma.
Segnalo e rimando, naturalmente a tre titoli, non recenti della critica musicale per una approfondita conoscenza dell’opera ossia Massimo Mila “la giovinezza di Verdi”, Charles Osborn “tutte le opere di Verdi” e da ultimo Julien Budden “Le opere di Verdi”.
Un primo spunto di riflessione, diversi da quelli tradizionali dall’ ascolto dei Lombardi trasformati in Jerusalem potrebbe essere la verifica se nelle operazioni di rifacimento Verdi si sia dimostrato all’altezza del maestro insuperato ossia di Rossini. Si tratta di valutare se Verdi avesse nei confronti della propria produzione quello stesso spirito critico del genio pesarese, che trasformando Maometto in Siege e poi Mosè in Egitto in Moise e Pharaon dimostrò di conoscere benissimo i punti meno felici dei titoli napoletani, ove per meno felici si intenda quelli meno idonei al grand-opéra. Dinanzi all’impianto con qualche spostamento tonale delle arie di Pagano, trasformato da crudo signorotto dell’alto Milanese in Roger, conte di Tolosa o anche all’idea di trasferire a chiusura del secondo atto di Jerusalem il duetto d’amore del terzo dei Lombardi, offrendolo al pubblico, che conosceva e delirava per il duettone degli Ugonotti o per quello del quarto atto di Favorita, Verdi appare quanto meno ingenuo. Il compositore che fa sempre “sentire la vanga”, direbbero i detrattori di Verdi, capitanati da Rossini medesimo.
Un altro spunto di riflessione è, invece, analizzare come Verdi aderisca ai topoi dal grand-opéra. E se i ballabili sono quel che sono in raffronto a quelli inventati da Rossini e soprattutto da Meyerbeer, Verdi se la cavò egregiamente riproponendo una scena di carattere sacrale come la maledizione, che chiude il primo atto e che scende, ad opera del legato pontificio, sul capo dell’amoroso Gaston, falsamente ritenuto reo di omicidio. Precisiamo infondata l’accusa, tentato omicidio il reato compiuto e non già da Gaston, ma da Roger, che, poi, vagherà per le zone circumvicine la santa Ierosolima, penitente ed in attesa di redenzione, che giungerà con la morte per la libertà del Santo Sepolcro.
E’ pacifico come Verdi si ispiri al modello, insuperato, della maledizione del Cardinale Brogni al finale terzo di Juive. E’ una scelta, che nasce dall’ampiamento strumentale e corale del finale primo di Lombardi, dettata dall’esigenza di fare mostra di sapienza del comporre come imponeva il gusto dell’Academie e come, spesso in carenza di inventiva musicale, ben esemplificava il sommo autore di grand-opéra ossia Meyerbeer. Certo che l’assenza di una prima parte di basso cui affidare la maledizione (è Roger primo ed unico basso) privilegia l’aspetto corale. L’anatema affidato alla voce singola del basso ha, però, ben altra potenza tragica.
Ancora meglio le innovazioni in adesione al gusto del grand-opéra funzionano nel finale terzo con la scena della degradazione e condanna a morte di Gaston e con l’incipit del quarto atto con il coro della processione. Nella prima situazione drammatica ,che principia con una lugubre marcia funebre i richiami al finto funerale di Dom Sebastien ed ancora all’introduzione del quinto atto di Juive sono indiscutibili. Poi Verdi si erge e rivela autore italiano, scrivendo un numero per il cantante in guisa di grandioso finale. Questa scelta di fonte italiana e non francese non ha precedente nel grand-opéra, atteso che il finale primo di Favorita con al marziale cabaletta “si, lo sento Iddio mi chiama” non ha né la tensione drammatica né la complessità compositiva del finale terzo di Jerusalem. In fondo Verdi sostituisce alla grande prima donna del melodramma all’italiana il tenore, vero protagonista del grand-opèra e rende l’omaggio estremo al grande Duprez, che poco dopo Jerusalem abbandonò la carriera. Sotto il profilo musica le e drammaturgico rileva come Verdi, utilizzando, appunto una tipica struttura dell’opera italiana - la grande scena tragica- ed aggiungendovi elementi tipici del grand–opéra, ossia masse corali con differenziate funzioni drammaturgiche, altri personaggi, che interloquiscono ora col protagonista ora con il coro, sottolineature orchestrali (come i colpi di gong e grancassa quando le armi di Gaston vengono infrante) crei il momento più suggestivo ed innovativo del rifacimento. Forse il solo che possa, disponendo di un grande tenore, far preferire Jerusalem in luogo di Lombardi.
I coro dei lombardi –miseri ed assettati per richiamare il Giusti- era troppo ben riuscito per giustificarne non solo l’espunzione, ma soprattutto sconsigliava trasferimenti ad altra situazione drammaturgica, suggerendo solo modifiche e perfezionamenti. Venne, infatti, riproposto anche con identica situazione scenica. Ai Lombardi si sostituiscono i francesi, anch’essi alla ricerca di ristoro nell’arsura desertica. Ma il grand-opéra imponeva utilizzi ben più nuovi e spregiudicati ed allora all’apertura del quarto atto Verdi mise mano al coro dei Lombardi ampliandolo e consentendo al coro di Parigi, di fatto un doppio coro, di primeggiare. Aveva fatto lo stesso alla scena sesta dell’atto secondo, utilizzando la banda del teatro.
Rimane, poi, un ulteriore spunto motivo di riflessione ovvero i rimaneggiamenti della vocalità. Taluni fanno parte della tradizione, altri servono a riflettere. Alla tradizione di trasportare secondo le esigenze e peculiarità del cantante va ascritta la stesura, tutta verso il basso ed in autentica chiave di basso, del ruolo di Roger. Già qualche riflessione offre la parte di Helene, la Giselda dei Lombardi, ripensata per Julian van Gelder, che evidentemente non disponeva delle qualità davvero straordinarie di virtuosismo e legato ad altissima quota di Erminia Frezzolini, tanto che la grande scena “se è vano il pregare” risulta abbassata di un tono.
E, poi, rimane il punto più interessante ovvero a vocalità di Duprez. Duprez l’inventore del do di petto il tenore, che, secondo la tradizione, all’opposto di Rubini cantò sul capitale e bruciò la propria dote vocale. Che Duprez abbia avuto carriera relativamente breve è indiscutibile ove paragonata a quella di Rubini o di Domenico Donzelli (cito questi cantanti perché furono i due opposti, cui Duprez, cantante di scuola italiana, cercò di ispirarsi), su come cantasse realmente Duprez non possiamo sapere, perché l’espressione “do di petto” è gergale e perché le parti scritte da Donizetti per Duprez, integro vocalmente ossia Edgardo e Fernando, sono oggi fra le più difficili da eseguire per la congiunta esigenza di canto elegiaco e di canto aulico e di forza. Certo è che il cantante per cui Verdi predispose il rifacimento di Lombardi è tale da reggere affrontare e squillare negli acuti estremi (vedi gli inserimenti del do4 per giunta in pianissimo all’aria del secondo atto e del si nat in fortissimo alla chiusa della scena della degradazione) e di cantare con alternanza di vigore e grazia come accade al grandioso finale terzo. Intaccata sembra, invece ,la capacità di Duprez di reggere tessiture acute come erano state quelle dei ruoli donizettiani. Ma siamo sinceri oggi Jerusalem è più oggetto di studio che non già, come dovrebbe di rappresentazione teatrale per la mancanza di un Gilbert-Louis Duprez.



Giuseppe Verdi

Jerusalem



Atto I

Introduzione - Gianandrea Gavazzeni (1963)

Non, ce bruit ce n'est rien...Adieu, mon bien-aimé -Jaime Aragall & Leyla Gencer (1963)

Ave Maria, ma voix te prie - Leyla Gencer (1963)

Avant que nous partions...Je tremble encore - Emilio Salvoldi, Giangiacomo Guelfi, Jaime Aragall & Leyla Gencer (1963)

Viens, ô pécheurrebelle!...Vous priez vainement...Oh dans l'ombre - Samuel Ramey (1995)

Mais quel tumulte...Monstre! Parjure! Homicide! - Malcolm King, Anthony Roden, Kenneth Collins, June Anderson, Malmfrid Sand, David Hoult (1983)


Atto II

Grace, mon Dieu! - Samuel Ramey, Ruben Broitman (1995)

Loin des croisés...Quelle ivresse! - June Anderson, Malmfrid Sand, Anthony Roden (1983)

Ô mon Dieu! Ô mon Dieu, vois nos misères! - Zubin Mehta (1995)

L'émir auprès de lui m'appelle...Je veux encore entendre - Jaime Aragall (1963)

Prisonnier, dans Ramla...Hélène! O ciel Gaston! - Alessandro Maddalena, Jaime Aragall & Leyla Gencer (1963)


Atto III

O belle captive...Balletti - Edward Downes (1983)

Que m'importe la vie...Mes plaintes sont vaines...Non, votre rage, indigne outrage - Leyla Gencer, Jaime Aragall, Emilio Salvoldi (1963)

Bonus: Que m'importe la vie...Mes plaintes sont vaines...Non, votre rage, indigne outrage - June Anderson (1983)

Barons et chevaliers...Oh douleur! Oh mes amis - Jaime Aragall, Antonio Zerbini, Virgilio Carbonari, Franco Ghitti (1963)


Atto IV

Voici de Josaphat, la lugubre vallée - Samuel Ramey (1995)

Saint ermite, c'est vous?...Dieu nous sépare, Hélène! - Jaime Aragall, Leyla Gencer & Jaime Aragall (1963)

La bataille est gagnée! - Mirella Fiorentini, Leyla Gencer, Emilio Salvoldi, Antonio Zerbini, Jaime Aragall, Giangiacomo Guelfi, Franco Ghitti (1963)

1 commenti:

pasquale ha detto...

sempre intessanti e istruttivi questi post che scrivi,come gli ascolti che servono sempre per tenere le orecchie allenate per i confronti e il sapere apprezzare le qualità di un cantante.