Ah! Se c’è una cosa che gli americani sanno fare è la confezione!
Prendiamo i siti di due teatri ad esempio: la Lyric Opera of Chicago e la San Francisco Opera.
Tutto è attraversato da un gusto moderno e accattivante e un bel lavoro di design: colori appropriati, effetti ottici non invadenti, foto curatissime, patinate, photoshoppate, ammiccanti, drammatiche, eppure essenziali, facilità nell’accedere alle pagine… tutto estremamente seducente, tutto deve trasmettere al lettore l’altissima qualità celata nel contenuto della stagione proposta e tutto deve lasciar pensare che “meglio di così non potreste desiderare!”.
Poi, ahimè, superato lo stupore per lo splendore tecnico “del pacchetto” esso va scartato e occorre guardarci dentro per soddisfare la vista, il palato e soprattutto le orecchie… soprattutto se il contenuto si rivela la solita burletta!
A Chicago, ad esempio, si parte con “Les contes d'Hoffmann”, opera accompagnata dalla bacchetta dell’esperto nel repertorio francese Emmanuel Villaume già ascoltato a Torino nel medesimo titolo e dalla regia rodatissima di Nicolas Joël; dunque non un nuovo allestimento, ma una produzione già vista in giro per il mondo e partita dal Teatro Real di Madrid! Ottimo, a mio giudizio, presentarsi con un allestimento che fa risparmiare un bel po’ le casse del teatro!
Ma cosa ci stia a fare nel ruolo del visionario protagonista la vocalità leggera e fragile di Matthew Polenzani, in cerca evidentemente del salto di qualità verso ruoli più maturi dopo i molti Mozart, Faust di Berlioz, Edgardo, Nemorino, Alfredo, Chevalier des Grieux etc, resta un mistero!
Cosa ci stia (ANCORA!) a fare ciò che resta della vocalità che definire stremata è già un complimento molto perplesso, dell’attempato e indomabile James Morris nel ruolo dei quattro demoni, fa comprendere la poca fantasia, e la poca accortezza di chi assembla i cast!
“Lucia di Lammermoor” secondo titolo in cartellone, presenta un cast in cui brilla Giuseppe Filianoti che recenti ascolti lasciano con l’amaro in bocca e molte, moltissime perplessità, affiancato da Susanna Phillips, non proprio adattissima a questo repertorio, che difatti frequenta poco alternando ruoli pucciniani a quelli mozartiani, ma soprano di casa sui palcoscenici americani ed evidentemente ritenuta, attraverso non si sa quale criterio, affidabile. Nel ruolo di Enrico il cartellone propone Gabriele Viviani: leggero, per non dire trasparente, già nel ruolo di Belcore in Scala figurarsi nel ben più temperamentoso Enrico Ashton. Se la direzione di Massimo Zanetti potrebbe sorprendere (parlo sia in positivo che in negativo, ovvio), fa piacere ritrovare un’artista come Catherine Malfitano nelle vesti di regista: in carriera l’attrice prevaleva nettamente sulla cantante, quindi c’è da sperare in una visione di sicura presa e caratterizzazione.
Ferruccio Furlanetto, dismessi gli abiti del basso verdiano di cui sicuramente non è l’incarnazione, indossa quelli più maestosi di “Boris Godunov” ruolo forse più vicino alla sua voce così personale, accompagnato dal caratterista Stefan Margita (Shuisky) e dai cavernosi e non ortodossi bassi Andrea Silvestrelli e Raymond Aceto (Varlaam e Pimen), diretti dal veterano Andrew Davis, direttore che ritroviamo anche nell’opera successiva: “Ariadne auf Naxos” funestata dalla ostinata presenza di Deborah Voigt già disastrosa Brunnhilde al Met figuriamoci cosa riuscirà a inventarsi per sopravvivere a Ariadne, in questo coadiuvata dalla Zerbinetta di Anna Christy simpatico sopranino lieve e aguzzo già impegnata nell’Olympia nei “Contes” inaugurali, dal mezzosoprano Alice Coote, militante nel barocco, ma che non disdegna ruoli come Charlotte, Maffio Orsini, Octavian, Marguerite, Hänsel e del bel tenore Brandon Jovanovich scuro di colore e gutturale di emissione regia tradizionale di John Cox.
La “Tripletta” di Andrew Davis, direttore già del “Boris” e dell’ “Ariadne” si conclude con Die Zauberflöte, il cui cast è stato scelto sotto l’egida della “leggerezza” (Cabell, Castronovo, Groissbock, Degout), forse per non disturbare troppo.
Immagino già le anime candide fibrillare per l’attesissima (?) apparizione di Sondra Radvanovsky nel ruolo di “Aida”, che certamente cambierà la storia dell’interpretazione della schiava etiope scardinando ogni nostra più piccola certezza; sorte che purtroppo non potrà condividere Hui He solo perché… canta e interpreta meglio della blasonata collega! Compagni di questa “rivoluzione” saranno Marcello Giordani e Salvatore Licitra, a cui auguriamo di riprendersi dal brutto incidente di cui è rimasto vittima, mentre la principessa egizia vedrà l’alternanza del contralto Jill Grove, momentaneamente orfana di Erda, e quel crogiuolo di urla strazianti rappresentato dall’inspiegabile Anna Smirnova, il tutto per le cure del Maestro Renato Palumbo.
Le stesse anime di cui sopra potranno deliziarsi con i pettorali del bel Nathan Gunn nel successivo titolo “Show Boat” di Jerome Kern e se saranno anche fortunate da essere intrinsecamente “baroccare” raggiungeranno vette di puro godimento con il conclusivo “Rinaldo” di Handel diretto da Harry Bicket, che schiera alcune tra le massime superstar di questo martoriato repertorio: David Daniels, Sonia Prina, Luca Pisaroni, Julia Kleiter, Iestyn Davies e l’emergente Elza van der Heever, soprano che vaga di ruolo in ruolo, di epoca in epoca alla ricerca di una sua possibile collocazione.
Che meraviglia!
Il “pacchetto” di San Francisco ci prepara ben altre delizie!
Che dire della “Turandot” inaugurale, diretta da Nicola Luisotti e che vede nei ruoli principali una decomposta Irene Theorin ed il Calaf dei nostri giorni (?), il “sicuro e intonato” Marco Berti? Sicuramente “grandi emozioni”: le stesse se non maggiori di quelle che scatenerà non solo la Premiere mondiale di Christopher Theofanidis “Heart of a Soldier”, recitata più che cantata da due campioni come Thomas Hampson e William Burden, ma soprattutto la “Lucrezia Borgia” successiva, la quale scatenerà i più inauditi deliqui grazie all’inspiegabile ostinazione belcantista di Renée Fleming, ad un Francesco Meli il cui timbro sedurrà più della tecnica, ad un ormai immancabile Vitalij Kowaljow che trapassa da Wagner, Verdi a Donizetti con virtuosismo pari ai disastri ottenuti sia in uno che nell’altro. Complice di tale vortice di commozioni il Maestro Riccardo Frizza, direttore feticcio della diva americana! Contenti loro!
Torna Luisotti con ben tre titoli: “Don Giovanni” con la regia del nostro Gabriele Lavia, sempre in formato “light-recitativo” che schiera la leggerezza di Serena Farnocchia, Marco Vinco e soprattutto l’evanescente Topi Lehtipuu che aprirà nuovi orizzonti “interpretativi-acrobatici” più che canori; una “Carmen” formato “grandi emozioni”… e nulla più, con Kate Aldrich, nella speranza che la salute vocale l’assista, e il corretto Thiago Arancam; finalmente la ripresa del trionfale e caciarone “Attila” scaligero il quale merita un discorso a parte: davanti a certe locandine ci si chiede se certi cantanti prima di firmare un contratto aprano o no lo spartito per sincerarsi se le proprie caratteristiche vocali si adattino o no alla parte in questione, oppure se tali scelte siano dettate solo in base alla presunzione o all’ambizione in forza delle quali si venga spinti ad accettare di tutto; bene, con questa premessa e dopo i recenti flop scaligeri, la nuova stella canora Oksana Dyka, che avrebbe dovuto sfondare in America grazie a questa Odabella, e Dio solo sa come avrebbe potuto cavarsi dall’impaccio di una parte micidiale come la vergine guerriera viste le enormi difficoltà già manifestate come Nedda, Tosca, Aida etc. ha visto preferirsi l’emergente e poco esaltante Lucrezia Garcia, fortemente voluta dal direttore e già diretta nel medesimo ruolo; stesso trattamento nei riguardi di Ramon Vargas in favore del più docile e monolitico Fabio Sartori e di Diego Torre. Nessun problema invece per la presenza di Ferruccio Furlanetto, il quale ha evidentemente preferito il palcoscenico di S.Francisco a quello milanese.
Se il “Xerses” diretto da Patrick Summers, tra le decadenze di Daniels ed una Prina intubata, può almeno risollevarsi con la presenza salvifica di Susan Graham, il successivo “Nixon in China” di John Adams schiera Simon O’Neill, tremendo Siegmund scaligero e altrettanto Parsifal a Bayreuth, nel ruolo di Mao Tse-tung nella speranza che la voce non crolli nella solita consolidata afonia dopo l’emissione di due note.
Conclude la stagione “Die Zauberflöte” che si farà notare per la fisicità di Nathan Gunn, lo stridore di Albina Shagimuratova e i frammenti di Kristinn Sigmundsson.
Molti ci rimproverano di fare con questi pezzi delle recensioni preventive, di distruggere le stagioni senza averle prima ascoltate, che fosse per noi i teatri dovrebbero chiudere, di provare noi a prendere un teatro e mettere insieme titoli, cantanti direttori e registi, e via farneticando, senza rendersi conto che i cantanti di cui scriviamo almeno, noi, ci siamo presi il disturbo di ascoltarli e non solo in mp3 o tramite Youtube; io chiedo, non tanto ai fan facebookari viziati da indigestioni di cuoricini e salamelecchi, cosa ci sia da salvare in queste stagioni e soprattutto se si domandano con quali criteri vengano assemblati i cast … soprattutto se, scartato un pacchetto tanto bello e curato, ci troviamo davanti ad un prodotto riciclato.
Prendiamo i siti di due teatri ad esempio: la Lyric Opera of Chicago e la San Francisco Opera.
Tutto è attraversato da un gusto moderno e accattivante e un bel lavoro di design: colori appropriati, effetti ottici non invadenti, foto curatissime, patinate, photoshoppate, ammiccanti, drammatiche, eppure essenziali, facilità nell’accedere alle pagine… tutto estremamente seducente, tutto deve trasmettere al lettore l’altissima qualità celata nel contenuto della stagione proposta e tutto deve lasciar pensare che “meglio di così non potreste desiderare!”.
Poi, ahimè, superato lo stupore per lo splendore tecnico “del pacchetto” esso va scartato e occorre guardarci dentro per soddisfare la vista, il palato e soprattutto le orecchie… soprattutto se il contenuto si rivela la solita burletta!
A Chicago, ad esempio, si parte con “Les contes d'Hoffmann”, opera accompagnata dalla bacchetta dell’esperto nel repertorio francese Emmanuel Villaume già ascoltato a Torino nel medesimo titolo e dalla regia rodatissima di Nicolas Joël; dunque non un nuovo allestimento, ma una produzione già vista in giro per il mondo e partita dal Teatro Real di Madrid! Ottimo, a mio giudizio, presentarsi con un allestimento che fa risparmiare un bel po’ le casse del teatro!
Ma cosa ci stia a fare nel ruolo del visionario protagonista la vocalità leggera e fragile di Matthew Polenzani, in cerca evidentemente del salto di qualità verso ruoli più maturi dopo i molti Mozart, Faust di Berlioz, Edgardo, Nemorino, Alfredo, Chevalier des Grieux etc, resta un mistero!
Cosa ci stia (ANCORA!) a fare ciò che resta della vocalità che definire stremata è già un complimento molto perplesso, dell’attempato e indomabile James Morris nel ruolo dei quattro demoni, fa comprendere la poca fantasia, e la poca accortezza di chi assembla i cast!
“Lucia di Lammermoor” secondo titolo in cartellone, presenta un cast in cui brilla Giuseppe Filianoti che recenti ascolti lasciano con l’amaro in bocca e molte, moltissime perplessità, affiancato da Susanna Phillips, non proprio adattissima a questo repertorio, che difatti frequenta poco alternando ruoli pucciniani a quelli mozartiani, ma soprano di casa sui palcoscenici americani ed evidentemente ritenuta, attraverso non si sa quale criterio, affidabile. Nel ruolo di Enrico il cartellone propone Gabriele Viviani: leggero, per non dire trasparente, già nel ruolo di Belcore in Scala figurarsi nel ben più temperamentoso Enrico Ashton. Se la direzione di Massimo Zanetti potrebbe sorprendere (parlo sia in positivo che in negativo, ovvio), fa piacere ritrovare un’artista come Catherine Malfitano nelle vesti di regista: in carriera l’attrice prevaleva nettamente sulla cantante, quindi c’è da sperare in una visione di sicura presa e caratterizzazione.
Ferruccio Furlanetto, dismessi gli abiti del basso verdiano di cui sicuramente non è l’incarnazione, indossa quelli più maestosi di “Boris Godunov” ruolo forse più vicino alla sua voce così personale, accompagnato dal caratterista Stefan Margita (Shuisky) e dai cavernosi e non ortodossi bassi Andrea Silvestrelli e Raymond Aceto (Varlaam e Pimen), diretti dal veterano Andrew Davis, direttore che ritroviamo anche nell’opera successiva: “Ariadne auf Naxos” funestata dalla ostinata presenza di Deborah Voigt già disastrosa Brunnhilde al Met figuriamoci cosa riuscirà a inventarsi per sopravvivere a Ariadne, in questo coadiuvata dalla Zerbinetta di Anna Christy simpatico sopranino lieve e aguzzo già impegnata nell’Olympia nei “Contes” inaugurali, dal mezzosoprano Alice Coote, militante nel barocco, ma che non disdegna ruoli come Charlotte, Maffio Orsini, Octavian, Marguerite, Hänsel e del bel tenore Brandon Jovanovich scuro di colore e gutturale di emissione regia tradizionale di John Cox.
La “Tripletta” di Andrew Davis, direttore già del “Boris” e dell’ “Ariadne” si conclude con Die Zauberflöte, il cui cast è stato scelto sotto l’egida della “leggerezza” (Cabell, Castronovo, Groissbock, Degout), forse per non disturbare troppo.
Immagino già le anime candide fibrillare per l’attesissima (?) apparizione di Sondra Radvanovsky nel ruolo di “Aida”, che certamente cambierà la storia dell’interpretazione della schiava etiope scardinando ogni nostra più piccola certezza; sorte che purtroppo non potrà condividere Hui He solo perché… canta e interpreta meglio della blasonata collega! Compagni di questa “rivoluzione” saranno Marcello Giordani e Salvatore Licitra, a cui auguriamo di riprendersi dal brutto incidente di cui è rimasto vittima, mentre la principessa egizia vedrà l’alternanza del contralto Jill Grove, momentaneamente orfana di Erda, e quel crogiuolo di urla strazianti rappresentato dall’inspiegabile Anna Smirnova, il tutto per le cure del Maestro Renato Palumbo.
Le stesse anime di cui sopra potranno deliziarsi con i pettorali del bel Nathan Gunn nel successivo titolo “Show Boat” di Jerome Kern e se saranno anche fortunate da essere intrinsecamente “baroccare” raggiungeranno vette di puro godimento con il conclusivo “Rinaldo” di Handel diretto da Harry Bicket, che schiera alcune tra le massime superstar di questo martoriato repertorio: David Daniels, Sonia Prina, Luca Pisaroni, Julia Kleiter, Iestyn Davies e l’emergente Elza van der Heever, soprano che vaga di ruolo in ruolo, di epoca in epoca alla ricerca di una sua possibile collocazione.
Che meraviglia!
Il “pacchetto” di San Francisco ci prepara ben altre delizie!
Che dire della “Turandot” inaugurale, diretta da Nicola Luisotti e che vede nei ruoli principali una decomposta Irene Theorin ed il Calaf dei nostri giorni (?), il “sicuro e intonato” Marco Berti? Sicuramente “grandi emozioni”: le stesse se non maggiori di quelle che scatenerà non solo la Premiere mondiale di Christopher Theofanidis “Heart of a Soldier”, recitata più che cantata da due campioni come Thomas Hampson e William Burden, ma soprattutto la “Lucrezia Borgia” successiva, la quale scatenerà i più inauditi deliqui grazie all’inspiegabile ostinazione belcantista di Renée Fleming, ad un Francesco Meli il cui timbro sedurrà più della tecnica, ad un ormai immancabile Vitalij Kowaljow che trapassa da Wagner, Verdi a Donizetti con virtuosismo pari ai disastri ottenuti sia in uno che nell’altro. Complice di tale vortice di commozioni il Maestro Riccardo Frizza, direttore feticcio della diva americana! Contenti loro!
Torna Luisotti con ben tre titoli: “Don Giovanni” con la regia del nostro Gabriele Lavia, sempre in formato “light-recitativo” che schiera la leggerezza di Serena Farnocchia, Marco Vinco e soprattutto l’evanescente Topi Lehtipuu che aprirà nuovi orizzonti “interpretativi-acrobatici” più che canori; una “Carmen” formato “grandi emozioni”… e nulla più, con Kate Aldrich, nella speranza che la salute vocale l’assista, e il corretto Thiago Arancam; finalmente la ripresa del trionfale e caciarone “Attila” scaligero il quale merita un discorso a parte: davanti a certe locandine ci si chiede se certi cantanti prima di firmare un contratto aprano o no lo spartito per sincerarsi se le proprie caratteristiche vocali si adattino o no alla parte in questione, oppure se tali scelte siano dettate solo in base alla presunzione o all’ambizione in forza delle quali si venga spinti ad accettare di tutto; bene, con questa premessa e dopo i recenti flop scaligeri, la nuova stella canora Oksana Dyka, che avrebbe dovuto sfondare in America grazie a questa Odabella, e Dio solo sa come avrebbe potuto cavarsi dall’impaccio di una parte micidiale come la vergine guerriera viste le enormi difficoltà già manifestate come Nedda, Tosca, Aida etc. ha visto preferirsi l’emergente e poco esaltante Lucrezia Garcia, fortemente voluta dal direttore e già diretta nel medesimo ruolo; stesso trattamento nei riguardi di Ramon Vargas in favore del più docile e monolitico Fabio Sartori e di Diego Torre. Nessun problema invece per la presenza di Ferruccio Furlanetto, il quale ha evidentemente preferito il palcoscenico di S.Francisco a quello milanese.
Se il “Xerses” diretto da Patrick Summers, tra le decadenze di Daniels ed una Prina intubata, può almeno risollevarsi con la presenza salvifica di Susan Graham, il successivo “Nixon in China” di John Adams schiera Simon O’Neill, tremendo Siegmund scaligero e altrettanto Parsifal a Bayreuth, nel ruolo di Mao Tse-tung nella speranza che la voce non crolli nella solita consolidata afonia dopo l’emissione di due note.
Conclude la stagione “Die Zauberflöte” che si farà notare per la fisicità di Nathan Gunn, lo stridore di Albina Shagimuratova e i frammenti di Kristinn Sigmundsson.
Molti ci rimproverano di fare con questi pezzi delle recensioni preventive, di distruggere le stagioni senza averle prima ascoltate, che fosse per noi i teatri dovrebbero chiudere, di provare noi a prendere un teatro e mettere insieme titoli, cantanti direttori e registi, e via farneticando, senza rendersi conto che i cantanti di cui scriviamo almeno, noi, ci siamo presi il disturbo di ascoltarli e non solo in mp3 o tramite Youtube; io chiedo, non tanto ai fan facebookari viziati da indigestioni di cuoricini e salamelecchi, cosa ci sia da salvare in queste stagioni e soprattutto se si domandano con quali criteri vengano assemblati i cast … soprattutto se, scartato un pacchetto tanto bello e curato, ci troviamo davanti ad un prodotto riciclato.
24 commenti:
Giustissima la conclusione decicata ai fans facebookari e agli entusiasti a prescindere. Ai cantanti posso solo dedicare i versi de "L´avvelenata" di Guccini:
"Che cosa posso dirvi? Andate, fate.
Tanto ci sarà sempre, lo sapete,
un musico fallito, un pio, un teorete,
un giornalista o un prete
a sparare cxxxxte!"
che pesantezza...
vi sarete anche presi la briga di ascoltarli questi cantanti, ma i vostri (personalissimi) giudizi sempre preventivi sono: non potete avere la certezza che i cantanti in questione non abbiano cercato di migliorarsi con studio e impegno, che non abbiano approfondito una parte, o che il loro cimentarsi in determinati ruoli si rivelerà di sicuro fallimentare.
Quanto poi all'inadeguatezza di registi e allestimenti, lì davvero esagerate, come se poteste entrare nelle menti dei metteurs en scène e analizzarne in anticipo le intenzioni. Mi ricordo quando diceste che Gianni Amelio non era adeguato, per i suoi trascorsi registici, a occuparsi della Lucia a Napoli (per fare un esempio): che cavolo ne sapete voi che il realizzatore di film di taglio documentaristico non si ascolta tutto Donizetti e tutto Rossini quando sta a casa sua e ha una profonda sensibilità per questo genere di spettacoli?
Certo che sono personalissimi caro Nicola e io mi auguro sempre di essere smentita dai fatti... magari!
Ma dubito che la Fleming o Morris oppure Castronovo o Polenzani oppure Filianoti, la Theorin, Berti etc. compiano i miracoli davanti a certe prove anche recenti!
Se accadrà gioirò, finalmente, altrimenti pazienza: c'avevo visto giusto.
Per quanto riguarda le regie, nel mio pezzo sfioro soltanto l'argomento, ma sono sempre perplessa davanti alle prove di alcuni, anche grandi, registi cinematografici con l'opera e poche volte hanno davvero allestito cose splendide.
Mi auguro che Amelio (di cui stanno trasmettendo proprio ora il bellissimo "Porte aperte") ci stupisca in positivo perchè anche grande conoscitore di Donizetti.
La testa dei registi, in generale, sta diventando ahimè molto, molto prevedibile...
Marianne Brandt
Cara Marianne,
grazie per la risposta!
La cosa che sempre mi stupisce delle tue risposte è che, quanto sei (o sembri) infervorata nel redigere le tue recensioni, tanto sei pacata e garbata nello scrivere ai bloggers...
Un caro saluto e buon ascolto,
Nicola
Caro Nicola,
sfortunatamente la maggioranza dei cantanti odierni che ritroviamo sui cartelloni delle prossime stagioni lasciano pochissima speranza per un miglioramento della gestione delle loro voci. Più che radicali siamo realisti. La strada che prendono questi cantanti non è quasi mai quella di una maturazione, di crescita. Mancano proprio gli elementi basilari per questo.
Quando c'è qualcuno che consideriamo essere un professionista, guardiamo anche con speranza ed ottimismo verso i suoi futuri impegni. Ma casi come una Stoyanova sono rari, purtroppo.
Come ho già avuto occasione di precisare in passato, la mia competenza in fatto di canto non è nemmeno lontanamente paragonabile alla vostra.
Suppongo quindi che le mie reazioni ai vostri articoli siano causati dall'ingenuità del neofita, che non vuole e non può credere che tutto vada a rotoli...
Nicolaaaaaaa......un cantante una volta che lo hai sentito, con le orecchie aperte dico, sai come canta e cosa puo' fare in questo o quel titolo.
Mi hai alzato una battuta, e cioe' che c' e' da domandarsi con quali orecchie vengano ascoltate certe voci, perche' a leggere l'ultimo ventennio di stampa ci sono cantanti per i quali le recensioni paiono solo casualmente riferite a loro.
A presto
secondo me il fatto è che sempre più spesso, almeno per quanto riguarda la stampa di maggior diffusione, la redazione di articoli relativi a spettacoli lirici è affidata a persone che non sono appassionate/esperte di lirica, storia del teatro, canto, etc. Avviene quindi che non ci sia poi molta differenza tra giornalisti siffatti, mandati a vedere il tal spettacolo senza la preparazione adeguata, e un pubblico il cui metro di giudizio consiste sostanzialmente nella valutazione di due fattori: a) il cantante "ha una bella voce"; b) il cantante emette degli acuti [molto spesso b) è causa di a)].
Purtroppo ormai la musica lirica è molto lontana dalla gente, che nella maggioranza dei casi va a teatro per passare una serata diversa o perché fa chic: in questo caso, non essendo le loro orecchie abituate a un certo tipo di ascolto, è molto facile far credere a un gran numero di persone che il cantante x, benché mediocre, sia in realtà un fuoriclasse: tanto, fa gli acuti... (basta vedere su youtybe i video postati da un tipo che ha fatto vari collage con tutti gli acuti della Sutherland, come se la sua arte si riducesse ai finali delle arie!)
Nicola, sai che hai appena scritto il commento più grisino che possa esistere? :))))
Saluti,
GP
Hai ragione, Nicola.
Personalmente, sono convinta che la responsabilità dell'attuale stato dell'arte gravi in particolar modo sul fattore b), perché il fattore a) ne rappresenta solo un corollario: basterebbe infatti un pubblico un poco meno farlocco e un poco più consapevole per ridicolizzare certi critici e giornalisti, che si troverebbero così nelle mani una scomoda patata bollente da gestire. In altre parole, sarebbero costretti a chiedersi fino a che punto potrebbe spingersi la loro disponibilità ad allargare, giorno dopo giorno, mese dopo mese, la forbice ridicolamente chiasmica tra un pubblico critico e un critico senza cultura d'ascolto. Purtroppo ho sentito in Scala - teatro in cui venivano fischiati cantanti per una presa di fiato arbitraria - gridare "Bravo!" a Brownlee subito dopo una stecca. Le speculazioni - e i desiderata - non possono ahinoi che confidare nel lungo periodo.
Alla prossima.
Carlotta
lo prendo come un complimento!
Nicola... benvenuto tra i grisini,hai appena scoperto di esserlo.
Cara Marianne,
la parte conclusiva del tuo post ha solleticato la mia fantasia.
Propongo a te e ai tuoi colleghi una sfida: compilare quello che voi ritenete il miglior cartellone possibile con cantanti vivi e attivi per un fantomatico "Teatro Grisi". Sarei estremamente curiosa di vedere cosa ci proporreste!
Ps. il mio commento non ha alcun intento polemico (pur trovandomi in varie occasioni, ma non sempre, in disaccordo con le vostre recensioni, rispetto il vostro punto di vista)
Caro Pasquale, che dire... scopro con piacere di essere un grisino: spero di essere all'altezza del mio titolo e, soprattutto, di imparare tanto!
Cara Aspasia, tu vuoi mettere il dito nella piaga! Questo sito e' interessato a come si canta piu' che ai cantanti, ossia al problema dell'allontanamento del canto odierno dai modi e dalla tecnica che regge la tradioone lirica. Tu ci chiedi una stagione che vedrebbe qualche espnente della specie in estinzione, sopravvissuti e anomali del presente, occupare piu' ruoli. Sarebbe monotonissimo. E triste. Diversamente potremmo compilare una stagione che collocherebbe in ruoli assai diversi da quelli praticati nella realta' molti cantanti famosi. Ma sarebbe uno scegliere paradossale o una ragione del minor male, non certo una scelta artisticamente fondata e convinta.
Sarebbe un amplificare il senso di questo sito controcorrente, ossia che il canto di scuola e' estinto o quasi............
Credi che chi ci legge capirebbe?
Cara Giulia,
mettere il dito nella piaga è il mio sport preferito!
Capisco il tuo discorso sulla monotonia, mentre ritengo che il "ricollocare" certi elementi di spicco del panorama attuale (chiamiamolo pure salvare il salvabile, se preferisci) secondo me sarebbe un'operazione simpatica (e magari istruttiva per i nomi chiamati in causa, non poniamo limiti alla provvidenza...) e i vostri lettori abituali la troverebbero interessante.
Comunque era solo una mia idea, ci mancherebbe...
credo che il mestiere piu' difficile oggi nel campo del teatro sia quello di predisporre un cartellone. Ieri era quello di scritturare per tempo i grandi cantanti, oggi quello di cercare il meglio sulla piazza che corrisponde al peggio di tempi nemmeno troppo lontani. I casi sono solo due: o ci si accontenta di ciò che passa il convento oppure si chiude la lirica. Altra alternativa? I dischi .
Cara Aspasia, sarai accontentata! Oltre che responsabile delle conseguenze...hehehe.....una bella Muette de Portici con la Dessay nel ruolo della Muta potrebbe essere un buon inizio....
Prossimissimamente su questo sito.
tra l'altro una Muette de Portici è in programma a Parigi verso aprile-maggio all'Opéra Comique... quanto mi piacerebbe andarci! Ma, pur passando gran parte dell'anno a Parigi, non credo sarà facile, i biglietti si esauriscono in men che non si dica!
Cara Giulia,
quale onore! Ringrazio sentitamente!
purtroppo cara Marianne "Lyric Opera di Chicago" non vedrà Salvatore Licitra,quando hai scritto il post gli hai fatto gli auguri,ma Giordano non lo avrà come compagno di questa "rivoluzione",in compenso al coro celeste si è aggiunta un altra degna voce.
Carissima, continuo a leggerti, scrivi benissimo, per me è un piacere.
Sei comunque troppo prevenuta: sei o non sei la + ortodossa?!
Qualche piccola osservazione sul bell'articolo: Deborah Voight,eccellente a Zurigo in Ariadne e vista e sentita perfino a NYC nella Valchiria, dove mi è sembrata in forma assai smagliante,il solo problema è che lei non è e non sarà mai Brunhilde!!
Simon O'Neill sarà stato terribile per te e ti rispetto, ma a me è piaciuto.La Fleming: sentita a Roma con Pappano, 4-5 anni fa, con gli ultimi Lieder Straussiani ed era non alla frutta, ma al digestivo!Poi a Vienna in un esemplare Capriccio, poi Baden Baden con memorabile Marescialla, poi di nuovo in Capriccio a New York: MERAVIGLIOSA! A Zurigo è stata per me la miglior Violetta tra quelle viste, sia musicalmente che come interprete!Ha una voce particolare, che può non piacere, ma è una grande e professionale Artista.La sentirò prossimamente a Baden Baden nel debutto nell'Ariadne con Thieleman e a Vienna in Arabella; ma sì il belcanto se lo può permettere!Infine Kowaljow, per me alla Scala con la giusta Voce per Wotan; tutti i grandi Wotan storici avevano un voce con quel timbro scuro-lontano che io ho risentito in lui; Renè Pape è per me un bluff in tale parte! Cordialmente. Fab.
Ciao Fab,
credo che tu il tedesco non lo sappia. Diversamente, ti saresti accorto che Kowaljow nella Walküre scaligera aveva una pronuncia simile a quella degli immigrati turchi in Germania.
Forma smagliante la Voigt?
LA VOIGT del 2010/2011 ???
Ma sei sicuro di averla sentita in Brunnhilde???
E che mi dici della sua Minnie sempre dal Met?
Se vuoi possiamo ascoltare insieme gli audio di quelle "smaglianti" recite così mi indichi i punti in cui la voce è in forma... tra una nota spaccata ed una stecca s'intende! :-D
A te sarà piaciuto Simon O'Neill, e rispetto benissimo il tuo gusto, ma le stonature, i cali d'intonazione, le frasi spezzate, il II° atto accennato, la respirazione inesistente, il fraseggio nullo, la voce da Mime a me proprio non sono andati giù e oggettivamente tutto questo non fa di lui un gran Siegmund quando tranquillamente si sarebbe potuti optare per un Botha o magari un Ventris, non irreprensibili, ma certamente più sicuri e timbrati.
La Fleming quando è nel suo ambiente (Strauss, tra le altre cose) piace anche a me; ma quando attacca col "belcanto", ahinoi, sfiora molto spesso il grottesco come dimostrano il video dell'Armida del Met, ma anche le varie "Lucrezia Borgia" che ha cantato ostinatamente sempre con lo stesso risultato: un flop decretato, non da noi, ma dal pubblico.
Kowaljow ha voce emessa tra stomaco e gola, oltre ad essere prosaico, dalla pronuncia "esotica", noiosissimo, al limite con la stonatura sempre, ed io che l'ho visto e sentito 3 volte dal vivo e non solo in Wotan posso dire che è andato peggiorando di recita in recita: non mi pare proprio, tra l'altro, che Thomas Stewart, Hotter, Schorr, Adam, London etc. cantassero come lui...
Va bene l'eccesso di ottimismo, ma "contenemo lo scandalo" ;-)
Marianne Brandt
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