
mercoledì 5 gennaio 2011
Novità verdiane 2: il Requiem di Muti

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Gilbert-Louis Duprez
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lunedì 3 gennaio 2011
Concerti di Capodanno 2011
La Fenice di Venezia, di concerto con la dirigenza Rai, si è assunta da qualche anno a questa parte il compito, non sapremmo dire se più oneroso o inutile, di offrire un’alternativa patriottarda, per non dire autarchica, al concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker. Ha quindi proposto un programma basato interamente (almeno nella seconda metà del concerto, trasmessa dal primo canale della televisione di Stato) su celebri ouverture, cori e brani solistici del repertorio operistico italiano, o meglio, cantato in lingua italiana.
Piuttosto originale è apparsa anche la scelta di Baden-Baden, quasi esclusivamente basata su pagine dal tono piuttosto cupo, poco adatte alla circostanza augurale ma molto adeguate (almeno questi erano, verosimilmente, i desiderata degli estensori del programma) alle caratteristiche vocali della prescelta primadonna. Peraltro la signora avrebbe dovuto essere accompagnata dal maggior tenore del momento, se questi non avesse annullato all’ultimo la propria partecipazione.
Maggiormente nel solco della tradizione gli altri concerti, allietati da discorsi augurali e brindisi votivi. E a questi brindisi, che supponiamo seguiti (e in alcuni casi, preceduti) da abbondanti libagioni, ci uniamo noi del Corriere, proponendovi alcuni dei brani dei concerti in questione (trasmessi da diverse televisioni e prontamente ripresi da Youtube) affiancati da altre esecuzioni delle medesime pagine. A Capodanno, come in ogni altro giorno, l’ascolto comparato fornisce eccellenti spunti di riflessione!
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Antonio Tamburini
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sabato 1 gennaio 2011
Concerto di Capodanno - Tito Schipa a New York (1962)

Buon ascolto e Felice 2011 dal Corriere della Grisi!!!
Gli ascolti
Tito Schipa - Concerto d'addio agli Stati Uniti
Town Hall, New York
27/11/1962
Pianoforte: Albert Carlo Amato
Schubert: Ave Maria
Schubert: La serenata
Scarlatti: Pirro e Demetrio - Rugiadose, odorose ("Le Violette")
Haendel: Semele - Where'er you walk
Donizetti: L'elisir d'amore - Una furtiva lagrima
Donizetti: Don Pasquale - Povero Ernesto...Cercherò lontana terra
Flotow: Martha - M'apparì
Bixio: Torna piccina mia
Palacios: A Granada
Ruiz: Desesperadamente
Di Capua: I' te vurria vasa'
Bixio: Vivere
Tosti: Marechiare
Barthélemy: Chi se nne scorda cchiù
Scarpelli-Schipa: Manolita
Vento: Torna
Tosti: Malia
Cilea: L'Arlesiana - E' la solita storia (Lamento di Federico)
Massenet: Werther - Pourquoi me réveiller
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Domenico Donzelli
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venerdì 31 dicembre 2010
Il Trillo di fine anno
“….Molti sono i difetti del trillo che bisogna sfuggire….quel trillo che si fa sentir sovente, ancorché fosse bellissimo, ora non piace; quel che si batte con disuguaglianza di moto dispiace; il caprino fa ridere, perché nasce dalla bocca come il riso, e l’ottimo nelle fauci; quel che non è prodotto da due voci in terza disgusta; il lento annoja; e il non intonato spaventa….”.
Esistono forse oggi grandi trillatori? Ovunque si cerchi, uomini, donne, terzo sesso et seguenti ( vocale beninteso! ) di ogni sorta di falsettista e similcastrato che sia, tutti mal trillano o non trillano per niente, e ciò ad onta dell’odierna moda baroccara. Anzi proprio i signori praticanti del canto settecentesco fanno il peggior scempio di una delle figure, forse la più nobile e distintiva, del canto d’agilità: “ Chi ha un bellissimo trillo , ancorché fosse scarso d’ogni altro ornamento, gode sempre il vantaggio di condursi senza disgusto alle cadenze, ove perlopiù è essenzialissimo; E chi n’è privo ( o non l’abbia che difettoso ) non sarà mai gran Cantante benché sapesse molto……che lo Scolaro giunga ad acquistarlo eguale, battuto, granito, facile e moderatamente veloce, che sono le sue qualità più belle…”, lo dice sempre il nostro Pier Francesco Tosi, e dopo di lui il Mancini, quindi il Garcia etc.. Con buona pace degli isterici trillamenti dentali tipo macchina da cucire delle dive del barocco femminile e femmineo, come dei gorgoglii ingolfati dei moderni travesti del belcanto.
Figura nobile e nobilitante del canto, quello di scuola, cui la letteratura d’epoca dedicava ampio spazio, classificati in otto gruppi perlopiù, variamente definiti, e dettagliate note di tecnica esecutiva. Ritenuto espressamente “indispensabile compimento” delle cadenze, more Sutherland tanto per intenderci, poteva ritrovarsi scritto dal compositore e/o inserito dall’esecutore in brani dal carattere più disparato, dal comico al tragico, dall’isterico all’astratto. Rabbia, nevrosi, sublime distacco, la figura si fletteva ad ogni genere di scrittura, grazie alla varietà dei modi esecutivi possibili che i grandi cantanti sapevano dominare. Trillavano tutti nel mondo di Rossini, il tenore tragico e comico, eroe positivo e negativo, contraltino o baritenore; trillava l’amoroso en travesti come già aveva fatto il castrato prima di lui; trillava l’eroina tragica come il soprano assoluto; trillavano i bassi, come Mosè e Maometto II.
Si trillava anche con Bellini e Donizetti. Norma esprimeva la rabbia contro Pollione per Adalgisa a suon di trilli, prima di sfogarsi nell’acuto, ma trillava anche il nobile Don Alphonse nel cantare il proprio innamoramento per Favorite. Trillava Bolena nella tragica salita al patibolo, ma ancor più spericolati i trilli dell’amato Percy, nella medesima situazione.
Con Verdi la figura divenne ancor più funzionale alla caratterizzazione di certi lati dei personaggi, come la componente aristocratica della figura del marchese di Posa, o quella astratta e favolistica del personaggio di Leonora del Trovatore come il di lei contraltare, Azucena, nell’allucinato ricordo dell’infanticidio nel fuoco che arde e stride ancora nella sua mente. Avevano già trillato prima di loro l’innamorata Amalia dei Masnadieri, la luciferina Lady nello spettrale brindisi del banchetto, la sanguinaria Abigaille. Anche Violetta si rianima in punto di morte eseguendo dei trilli, mentre la dolce Gilda, tutta presa dai suoi pensieri amorosi, esce di scena su un lungo trillo tenuto in “morendo”. Si trillò a lungo, dunque, nel post belcanto ma anche in ossequio ai modi del Grand-Opéra, come Elena del Bolero dei Vespri. Prima di lei avevano trillato gli interpreti degli Ugonotti, dal gigantesco Marcel nel “Piff paff”, poi nel duetto con Valentine; la ieratica Fides di Prophète, e prima ancora di loro Eudoxie di La Juive ed Elvira di La Meutte. La Marguerite del Faust di Gound aveva trillato nell’Opéra Lyrique per la felicità di vedersi adornata di gioielli; Mignon e Philine trillarono più tardi per la gioia all’Opéra Comique.
Nel corso dell’Ottocento poi lo stilema ebbe ancora vita in situazioni particolarissime ma stupefacenti. Il lato selvaggio di Brünnhilde venne accentuato, nell’ Hojotoho, dalla scrittura di trilli; ne La regina di Saba di Goldmark la seduzione della schiava in simulate vesti regali si incentrava sull’esecuzione dell’arcaica figura; la pazzia di Margherita del Mefistofele finì per affidarsi anche alla nevrotica esecuzione di trilli come da tempo tutte le alienate del melodramma, Lucia in primis, grazie agli inserimenti delle intepreti.
Gli antichi sapevano articolare in forma assai più estesa il fatto che il trillo di grande qualità esecutiva fosse peculiarità del canto di grande tecnica: noi oggi ci limitiamo a tramandare che una voce in ordine trilla con facilità, le altre no. E potremmo quasi fare del trillo il parametro di analisi delle moderne voci per verificare quanto si sappia o non si sappia cantare oggi. Ancora elettrizzati dai trilli ostentati e galvanizzanti di un Blake o di una Dupuy (la Scala ben ricorda la messa di voce sul trillo ribattuto, attaccato di spalle al pubblico nella ripresa della cabaletta della cavatina di Malcolm nella Donna del Lago) o, prima ancora, dai leggendari mezzi trilli della Sutherland nel tragico rondò di Borgia come nel “Notte terribile, notte di morte” di Semiramide, attendiamo da molto tempo che nasca qualcuno in grado di trillare come loro. In un mondo dove i punti coronati nelle opere di belcanto vengono il più delle volte cestinati alla “tantonessunoseneaccorge”, ci rendiamo conto di avere anacronistiche pretese, destinate a rimanere vane! Vi pare questa l’epoca per aspettarsi un trillo ben eseguito? O di attendersi un trillo “mordente”? O un mezzo trillo? O un trillo “cresciuto”? Un trillo ribattuto? O “calato”? O un trillo “raddoppiato”? Di aspettarsi che una voce maschile, magari grave, trilli al di fuori del repertorio belcantista?
La perdita della tradizione esecutiva, ed ancor prima tecnica, è documentata con evidenza nella storia del disco. Strepitosa trillatrice Frida Leider, trillatrice wagneriana ma anche nel canto verdiano, ed altrettanto stupenda Rosa Raisa, in una delle più belle ed emozionanti esecuzioni del “D’amor sull’ali rosee”, o la famosissima esecuzione dello "Stride la vampa” della Onegin, la più fedele esecuzione della scrittura verdiana. Eppure sono gli uomini i più impressionanti per noi oggi. Il Don Alphonse di Endrèze stupisce per la perfezione esecutiva del trillo, che, unitamente alla linea musicale, dà al suo canto un vero status regale, come pure stupisce la facilità esecutiva di Plancon. Di Jadlowker abbiamo già parlato altre volte, ed è lì da ascoltare, in “Fuor del Mar” o nella cadenza dell’aria di Raoul. Così come trillavano i soprani spinti e drammatici, trillavano i tenori di forza, come prova Leo Slezak nell’”Ah si ben mio”, un medicamento per le orecchie, dopo la ridicola e maldestra esecuzione che ci è toccato sentire in quel di Parma recentemente.
Certo, quando si pensa ai trilli stupendi esibiti nella pazzia di Margherita da Magda Olivero, che con il belcanto nulla ebbe che fare, vien da pensare al rimando di Garcia all’esecuzione della messa di voce, rimando certo non casuale: strepitosa esecutrice di forcelle di ogni tipo Magda Olivero, guarda caso abile trillatrice all’occorrenza.
Il passato insegna e racconta, per iscritto e per audio: quanto a trilli lo spettatore di oggi può esercitare solo l’arte della memoria.
Gli ascolti
Rossini - Mosè
Atto II
Eterno, immenso, incomprensibil Dio...Celeste man placata - Nazzareno de Angelis (1927)
Rossini - La donna del lago
Atto I
O quante lagrime - Martine Dupuy (1986)
Bellini - La sonnambula
Atto II
Ah! Non credea mirarti - Adelina Patti (1906)
Donizetti - Lucia di Lammermoor
Atto III
Ardon gl'incensi - Amelita Galli-Curci (1917)
Donizetti - Lucrezia Borgia
Atto II
Il segreto per esser felici - Ernestine Schumann-Heink (1909)
Era desso il figlio mio - Joan Sutherland (1972)
Donizetti - La favorite
Atto II
Jardins de l'Alcazar...Léonor, viens - Arthur Endrèze (1932)
Meyerbeer - Les Huguenots
Atto I
Plus blanche que la blanche hermine - Hermann Jadlowker (1912)
Meyerbeer - L'Africaine
Atto II
Sur mes genoux - Margarethe Matzenauer (1912)
Verdi - Il trovatore
Atto II
Stride la vampa - Sigrid Onegin (1922)
Atto III
Ah! Sì, ben mio - Leo Slezak (1906)
Atto IV
D'amor sull'ali rosee - Rosa Raisa (1918)
Gounod - Philemon et Baucis
Atto I
Au bruit des lourds marteaux - Pol Plançon (1905)
Goldmark - Die Königin von Saba
Atto II
Lockruf - Selma Kurz (1925)
Bizet - Carmen
Atto II
Halte là! - René Lapelletrie (1919)
Wagner - Die Walküre
Atto II
Hojotoho! - Frida Leider (1927)
Boito - Mefistofele
Atto III
L'altra notte in fondo al mare - Magda Olivero (1962)
Venzano
Oh! Che assorta - Luisa Tetrazzini (1913)
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Giulia Grisi
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mercoledì 29 dicembre 2010
Stagioni prossime venture: Parma vs. Pesaro
Il discorso è già stato fatto e forse il commento alle due stagioni d’opera e festival, che si piccano di "fare cultura" e di restaurare il perduto è assolutamente inutile. Basterebbe il comparato ascolto degli attuali prodotti con quelli di quaranta anni or sono senza alcun commento per essere esaustivi della attuale situazione.
Allora per farla breve un teatro come il Regio di Parma che anche in stagione ordinaria vorrebbe (sul dovrebbe ho molti dubbi) onorare in primis Verdi ossia quel genius loci, che con Parma e dintorni ebbe sempre il rapporto del nemo propheta in patria offre Forza del destino. Ovviamente in edizione 1869 ossia quella che Verdi predispose per la Scala; la affida ad un direttore che con Verdi, salvo poi che per Verdi non si intenda fragore e rumore, non ha rapporti di sorta. Tanto meno con un Verdi che alterna a momenti sublimi altri, come la lunga serie di scene di colore, difficili da reggere e rendere per ogni bacchetta. Anche assai più dotata di un Gelmetti.
Protagonista femminile Daniela Dessy, giustamente confermata dopo l’encomiabile prova dei Vespri perché cantante di voce autenticamente verdiana ossia salda, ampia e di grande cavata oltre che dalla dinamica sfumata e varia. Mica una gelida matrona come la Tebaldi e la Cerquetti per anticipare categorie e terminologie che il critico autore del più pesante libro della storia dell’esecuzione discografica spanderà e spenderà per la protagonista. Quanto al protagonista maschile Hong mi permetto solo di ricordare - a me stesso, naturalmente - che il tenore di Forza è parte assolutamente centrale (non per nulla fu l’ultimo titolo di Verdi aggiunto al repertorio da Caruso e rimase sino alla fine in quello di Gigli e Bergonzi) e che, per contro, se ha una qualità il signor Hong sono gli acuti estremi. Scusate, ma in origine avevate previsto l’edizione di San Pietroburgo pensata per Tamberlick ? Non che Hong sia neppure lontanamente parente al tenore drammatico di marca ottocentesca!
A Roberto Scandiuzzi il ruolo del padre guardiano. Ricordo che è lo stesso cantante che ha ricoperto il ruolo nella recente esecuzione fiorentina. Il resto non dico. Che comodità, talvolta, il librettese! Leggendo, poi il nome di Carlo Lepore quale fra Melitone confesso di aver dubitato o che si tratti di una versione alternativa alle note o baroccara comparate la scrittura assolutamente baritonale di Melitone con tanto di fa acuti e le qualità vocali e frequentazioni dello scritturato artista.
Quanto al Naso di Sŏstakovič -credo- la prima difficoltà per il pubblico locale sarà quella di pronunciare il nome dell’autore. Il titolo, però, è assolutamente interessante. Dobbiamo, però, per attirarci un’ulteriore dose di strali e di taccia di ignoranti rilevare come in una stagione di tre titoli si debba dubitare dell’opportunità di proporre questo ed aggiungiamo con una importata dal teatro secondario della terra di origine del direttore principale del festival. Non credo di dire nulla di nuovo e o di strano perché internet a questo serve e poi con ben altra cognizione di causa vi ha già provveduto altro bloggista nel proprio e nel corso della conferenza stampa di presentazione della stagione. Lo fa solo per consentire ai giornalai e pennajoli di dire che la causa dei mali del teatro sono i blog!!!!
Al nuovo astro del pubblico parmigiano o meglio della dirigenza parmigiana Andrea Battistoni cui affidato il Barbiere di Siviglia di raccattato allestimento francese. Rossini, non si sa bene per quale motivo, è autore da giovani direttori come se districarsi fra scelte di filologia, di inserimenti testuali, di prassi esecutiva, di una delle scritture vocali più complesse e necessarie di accomodi sia, appunto, affare da debuttante o quasi.

Letto il cast credo che difficilmente i lettori e gli ascoltatori non si schiererebbero dalla parte di Tullio Serafin, paradigma -secondo Gossett- con la sua forbice facile dell’anti rossinismo. Magari qualcuno rimpiangerà pure le Rosine della Sayao o della Toti, i lazzi di Corena e il sempiterno taglio del rondò del Conte. Corsi e ricorsi storici? Buonsenso?
Quindi dell’annuciato programma di massima pesarese tralascio ogni commento sui concerti di cosiddetto bel canto e mi concentro sui due titoli principali.
Che ci fosse l’esigenza di una Adelaide di Borgogna dubito, tenuto conto del fatto che il titolo era già stato proposto qualche anno or sono, seppure in forma di concerto. Ed Adelaide non è certo titolo che deve essere rappresentato, a maggior ragione quando alcuni (Aureliano e Ciro) attendono ancora una prima rappresentazione pesarese e consentirebbero un più sicuro riparo alla protagonista en travesti, trattandosi nel caso del Ciro di parte scritta per la Marcolini, affidando l’onere della vocalità già autenticamente rossiniana al prescelto soprano Jessica Pratt, che sembra averne tutte le caratteristiche e qualità. Come per un lontano Falliero sarà una scelta casuale e non voluta. Le migliori insegna la storia di Pesaro.
A proposito anche l’altro titolo prescelto Mosè in Egitto evoca la felicità delle scelte casuali ed occasionali del Festival Rossini, ovvero la simpatica Gianna Rolandi che vestì i panni di Elcia nella ripresa del 1985. In questa futura edizione, invece, la scelta della protagonista femminile sembra rispondere alle scelte à la page del Festival per quanto riguarda il soprano Colbran ovvero affidarla ad una cantante che qualifichiamo come mezzo soprano. La Ganassi è alla terza o quarta esecuzione di parte Colbran. Fra la cantante reggiana e la spagnola non vedo, scrittura di Rossini e descrizioni coeve alla mano, alcun rapporto. Sonia Ganassi coi suoi acuti ghermiti l'agilità accennata è la negazione del canto rossiniano. Se a questo aggiungiamo che il canto senza tecnica non conserva, ma intacca il capitale vocale posso anche fare basta perchè le conclusioni sono ovvie e scontate. Ma questa è la moda e qualcuno troverà modo di apprezzarla, non quelli del Corriere, che sono almeno esterrefatti pensando che si annuncia il Mosè senza il protagonista. Ma anche questa è la perversione dei tempi il titolo per il titolo non il titolo per il cantante!!!! Mai lo avrebbero fatto Rossini, Donizetti ed anche il vituperato Tullio Serafin, che riesumò Armida, disponendo di un opulento soprano americano, di origine greca, che cantava con uno splendido accento scaligero (non nel senso del teatro, ma della città bagnata dall'Adige).
Gli ascolti
Rossini
Il barbiere di Siviglia
Atto II
Cessa di più resistere - Juan Francisco Gatell (dir. Alberto Zedda - 2010)
Verdi
La forza del destino
Atto I
Il Marchese di Calatrava - Rej Miville
Donna Leonora de Vargas - Caterina Mancini
Don Alvaro - Bruno Prevedi
Curra - Norma Dean
dir. Anton Guadagno
Philadelphia 1963
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Domenico Donzelli
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lunedì 27 dicembre 2010
Traviata con Edita Gruberova al Musikverein

Il 2013, anno verdiano, si avvicina e la Gruberova, da sempre oculata amministratrice di se stessa, può essere stata indotta alla riscoperta del titolo da un attento esame del parco soprani attualmente a disposizione di un teatro, che voglia allestire l’opera in questione. Quando cantanti in ascesa o magari in piena carriera, che hanno l’età per essere figlie o nipoti della signora Gruberova, cancellano o infermano con poco o nessun preavviso, è possibile preventivare, ovviamente a parità di cachet, l’utilizzo di una cantante certo usurata, ma tecnicamente scafata e quindi in grado di portare a termine una serata senza eccessivi patemi. Il problema è che il gioco, se può riuscire con certi ruoli (penso a Zerbinetta, che peraltro la Gruberova ha ufficialmente ritirato dal repertorio, oppure a Lucia, o ancora all’Elvira dei Puritani, parti che possono anche essere “suonate”, ossia risolte con il puro suono, e non presentano insormontabili esigenze interpretative), in altri casi risulta molto più complicato e, spesso, decisamente impraticabile.
Violetta, parte creata da Fanny Salvini Donatelli, soprano di coloratura che però cantava fra l'altro anche il Poliuto (a conferma del fatto che il soprano di coloratura dell’epoca era qualcosa di profondamente diverso da quello cui siamo abituati da almeno sessant’anni a questa parte), non solo presenta una scrittura marcatamente centrale, in alcuni punti decisamente bassa (scene di conversazione al primo atto, cui peraltro succedono le repentine incursioni all’acuto della grande aria – la bemolle di “solinga ne’ tumulti” e do ribattuti della cabaletta), ma richiede un fraseggio e un accento di alta scuola, specie per la cantante che non disponga di clamorosa dote vocale (non tutte possono essere Rosa Ponselle o Maria Caniglia!).
Ora, grande fraseggiatrice e grande attrice vocale, almeno nel repertorio italiano, la Gruberova non è mai stata, neppure nei suoi giorni migliori, e non è ragionevole né giusto pretendere che possa divenirlo ora. Purtroppo la signora appare anche priva della prudenza, o della furbizia, di colleghe di pari età e analoga natura vocale, e sceglie quindi di cantare Violetta adottando un fraseggio nelle intenzioni elettrico e nevrotico, nei fatti bamboleggiante e lezioso, perché sempre identico a se stesso, tanto nella scena della festa al primo atto, quanto nel confronto con Germont padre, nell'angoscia della festa di Flora come nell’attesa dell’ora suprema. Ovviamente un simile fraseggio non basta a mascherare, anzi impietosamente sottolinea, i limiti di una voce sempre perfettamente proiettata, udibile anche nei pianissimi generosamente profusi al terzo atto, ma stonacchiante in zona centro-acuta, fissa (aria del terzo atto, sciaguratamente proposta in versione integrale), malferma nei tentativi di suoni tenuti dal mf in su (“Gran Dio! Morir sì giovine”), in debito di ossigeno e quindi incapace di legare nei cantabili (sia al primo che al terzo atto, ma soprattutto nell’”Amami Alfredo”, che il pur generoso e amorevole pubblico viennese fa passare senza un solo applauso). C’è poi da notare che la Gruberova, anche in questo distante, da sempre, dal gusto italiano, sceglie di non adottare neppure una timida variazione al testo nel corso dell’intera serata, diversamente dai soprani di coloratura “a 78 giri”, che anche e soprattutto nelle cadenze e interpolazioni dimostravano tutta la grandezza dell’arte loro e giustificavano il proprio impiego nel ruolo.
Si salvano comunque dal disastro generale il brindisi al primo atto (in cui la voce è ancora sufficientemente fresca e riposata da consentire alla cantante di affrontare in souplesse la blanda scrittura vocalizzata), il largo del finale secondo (dato che la signora ricorda ancora come si faccia a “tirare” un concertato, pur con la sua voce non certo straordinariamente potente) e l’incipit del terzo atto, almeno fino all’arrivo del Dottore. Per il resto, scenda l’oblio e si chieda la signora quanto senso abbia seguitare con questa parte e preventivare, in una simile fase della carriera, nuovi ed onerosi debutti (Straniera a Monaco nel 2012).
I solisti di contorno sembravano scelti per fare da contorno, appunto, alla primadonna e sottolinearne, per contrasto, i meriti residui: un Alfredo (Pavol Breslik) di voce microbica (a meno di non emettere, come al terzo atto, suoni ben distanti dal canto, non solo lirico) e stonacchiante in zona di passaggio (specie nell’aria) e un Germont padre (Paolo Gavanelli) che ricorda i tragici “bassi” di matrice baroccara e canta con voce sì larga, ma emessa tutta sulla “u” e sovente fissa, oltre che simile, nel timbro, a suoni naturali che poco o nulla hanno di umano. Tralasciamo volentieri i comprimari, fra cui spiccano (si fa per dire) la veterana Marie McLaughlin, che passa da Violetta a Flora (era tempo), e il consunto Kurt Rydl, che nei panni del Dottore riesce a pasticciare uno dei suoi cinque interventi solistici.
Le note di merito, infine: per Adam Kim (Barone Douphol, bella voce cui auguriamo di maturare senza bruciarsi in un paio di stagioni, come avviene a tanti giovani promettenti) e soprattutto per il direttore Marco Armiliato. Quelle coinvolte nel progetto (Münchener Opernorchester und –Chor) non sono compagini stabili, ma formazioni create per l’occasione, eppure il risultato è di classe, vuoi per l’alta qualità dei musicisti coinvolti, vuoi per la capacità della bacchetta di costruire un “tutto” armonioso e coerente. Ne risulta una Traviata da manuale: brillante, a tratti sontuosa, magniloquente e sentimentale ma non priva di finezza e con pochi cedimenti a un gusto deteriore (solo l’invettiva del coro dopo la scena della borsa avrebbe potuto essere meno fragorosa e più incisiva). Con quello che sentiamo quasi ogni giorno in teatri, che millantano tradizioni verdiane di prima sfera, e da bacchette per le quali si sprecano i più ingombranti termini di paragone, questa Traviata è stata, almeno dal punto di vista orchestrale e corale, un’autentica boccata d’aria fresca.
Gli ascolti
Verdi - La traviata
Atto I
Ah, fors'è lui...Sempre libera - Marcella Sembrich (1908)
Atto II
Dite alla giovine - Frieda Hempel & Pasquale Amato (1914), Nellie Melba & John Brownlee (1926)
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Antonio Tamburini
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sabato 25 dicembre 2010
Buon Natale

Se risulterà saccente chiedo anticipata venia. Vuole essere, invece, un augurio veramente sentito.
Il primo augurio grande, profondo per i collaboratori del blog. Quelli operativi dal suo inizio o da tempi più recenti ed anche quelli -diciamo- in pectore, perchè le necessità e l'approfondimento impongono l'ausilio di nuove forze e di qualità. Meritano, lo dico riprendendo una polemica recente, rispetto ed attenzione perchè sono loro i futuri ascoltatori quelli cui è ormai passato il testimone per essere il pubblico competente e preparato di domani. E fanno veramente molto per esserlo pur in un'epoca di maestri, nel migliore dei casi, pessimi, più spesso disonesti ed irresponsabili. Alla loro età, grazie all'ausilio del mondo virtuale hanno una conoscenza della storia della musica, del melodramma, dell'interpretazione e della vocalità che, non solo per la contingenza, ci era sconosciuta.
Per questo sono, e non solo nell'hobby, preziosi anche con le loro esuberanze ed intemperanze dell'età e del legittimo desiderio di affermare il proprio potenziale in un mondo, che poco ha concesso a noi e nulla sembra promettere e garantir loro.
Coloro che li hanno etichettati "scherani" di Domenico Donzelli o, indicato Domenico Donzelli come "lupo alfa", come un branco, hanno mancato in primo luogo di un'educazione e finezza di animo e soprattutto di una minimale autocritica, in quanto anch'essi fanno parte di un branco, in posizione -magari-di lupa omega.
Proprio a costoro il secondo augurio di Natale che è un augurio di un pronto recupero della buona educazione, del senso del decoro e della decenza e, soprattutto, del rispetto, perché le opinioni del Corriere possono ben essere non condivise, ma non sono da essere fonte di ironia e caccia alle streghe. Non perché magari tali non siamo, ma perchè -loro malgrado - il mondo è popolato di streghe. Ove per streghe si intendono persone fuori dal coro, che, deluse della costante presa in giro, commentano la medesima con quel che è da sempre dato al pubblico: i fischi.
E' sentito l'augurio natalizio (e siamo al terzo) di riappropriarsi di decoro e rispetto verso il prossimo per chi, per propria univoca scelta, è divenuto inopportuno, sgradevole, nemico nel senso etimologico del termine solo per voler esserci, farsi vedere, esistere, col risultato di ammorbare il mondo virtuale con interventi costantemente inopportuni ed offensivi (e ne siamo addolorati) che nessuno crede goliardia, ma manifestazione di altro. E mi taccio. Prenda esempio da alcuni nostri sboccati detrattori, che hanno applicato il motto "un bel gioco dura poco" alle loro parodie. Auguri -quarta stazione augurale- anche a loro.
Auguri alla critica militante, scrivente e intanata nei teatri e festival, dei cui uffici stampa è diventata una venefica propaggine, che non potendo inneggiare agli spettacoli (spesso una minestra di magro del venerdì, per usare il linguaggio di Giannino Stoppani, alias Giamburrasca) è ridotta a rampognare il pubblico e ad aizzare i propri lettori verso chi esprima, more solito, la propria voce fuor del coro.
Hanno ottenuto di farsi compatire e di allietare le serate dei melomani con le loro facezie. Anche questo è un risultato.
Auguroni ai tre fori d'opera operativi in Italia. Nessuna ironia, come alcuno potrebbe pensare, perché con la responsabile di uno i rapporti sono vieppiù rafforzati in grazia di un post gratuito, cretino e di urfido gusto, prontamente e congiuntamente rintuzzato dalla responsabile medesima, che molto ci ha aiutato ai fini della salvaguardia dell'immagine personale offesa; un altro si occupa di un prodotto che solo nominalmente è simile al nostro ed il terzo, che -siamo sinceri- non può amare gli ingombranti Grisi, Grisini e Donzelli ha, però, posto un freno ad atteggiamenti compulsivi, che fanno sfigurare l'autore e che tanta pubblicità ci regalano!
Augurissimi ai cantanti d'opera. Moltissimi di loro ed i loro rappresentanti credono e scrivono che li maltrattiamo per divertimento e frustrazione di non calcare il placoscenico. Con l'occasione precisiamo che nessuno del Corriere ha mai provato a studiare canto (se mai alcuni hanno seri studi di uno strumento musicale). Spesso censuriamo non i limiti , ma le cause di questi stessi. Basta leggere. Qualcuno, sappiamo, ha lamentato maltrattamenti per cause metartistiche, amplificati e strumentalizzati da agenti e giornalai a corto di congruenti controdeduzioni. Qualcuno, invece, rischiarate le nubi, ed è il vero destinatario di questi auguri, ha recuperato alla grande e per il suo futuro artistico incrociamo le dita, ma ci starebbero ben più pregnanti scongiuri, ma si sa non sono all'altezza del rango di donna Giulia!!
E finalmente, da ultimi ma primi nel cuore, i nostri Lettori, sempre più numerosi, interessati a quanto scriviamo, a dibattere, anche a contraddire ma sempre dialetticamente, quelli che sono i nostri pensieri e le nostre idee, ma sempre tremendamente melomani, tanto da far saltare la notra chat per overdose di accessi la sera della scomparsa della nostra amatissima ed indimenticabile Dame Joan. Un tocco di malinconia per la sua scomparsa, come per quella di altre star e, soprattutto, di amici carissimi che per la prima volta non trascorreranno il Natale con noi, pur essendo sempre vivi nel nostro cuore.
Buon Natale a tutti, quindi! E se qualcuno abbiamo dimenticato, non se ne dolga: c'è sempre "el rebatin de Natal" e il carbone della Befana.
Domenico Donzelli
Gruber: Stille Nacht - Ernestine Schumann-Heink (1908)
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Domenico Donzelli
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