Nel cammino a ritroso nella storia del canto sopranile l’ascoltatore italiano si trova dinanzi ad una sorta di “muro di Berlino”, rappresentato dai soprani lirici e lirici spinti attive sulle scene dei teatri tedeschi ed austriaci fra il 1925 ed il 1950. E’ una schiera copiosa e, di fatto, sconosciuta al pubblico italiano, spesso accompagnata da qualche fraintendimento e da qualche preconcetto tramandato, ma indimostrato. Il preconcetto inerisce soprattutto le qualità interpretative di questa pleotora di frau robuste e di fisico e di voce, che rispondono ai nomi di Meta Seinemeyer (1895-1929), Tiana Lemnitz (1897-1994), Maria Muller (1898-1958), Maria Nemeth (1897-1967) Margarete Teschemacher (1903-1959) e Maria Reining, (1903-1994) attive soprattutto a Berlino, Monaco, Dresda, Vienna, alcune anche a Bayreuth.
Al nutrito gruppo, per origine, si dovrebbe aggiungere Elisabeth Rethberg (1894-1976) la cui carriera e fama fu principalmente americana e precisare che, pure, Maria Muller frequentò teatri americani fra cui il Met (con più di duecento serate) per seguire, poi, il richiamo della patria, che nel caso di specie fu soprattutto quello della sacra collina, frequentata dal soprano con fedele assiduità.
Nonostante il patto d’acciaio praticarono pochissimo o per nulla i teatri italiani. A prescindere dal problema, non indifferente, linguistico l’Italia con Rosetta Pampanini, Claudia Muzio, Bianca Scacciati e le giovani Caniglia e Cigna e Favero era non solo autosufficiente, anzi autarchica, vista la politica del regime, ma anche pronta all’esportazione almeno verso gli Stati Uniti.
Il soprano cosiddetto lirico tedesco cantava Wagner lirico (comprese, però, Sieglinde e Senta) Verdi (soprattutto quello tardo Otello, Aida, Ballo, Forza, ma anche don Carlos), ed il repertorio allora contemporaneo sia tedesco che italiano (in lingua originale all’estero in tedesco in patria) ovvero Strauss, Puccini, Mascagni oltre a Mozart (soprattutto Contessa e Donna Elvira), Weber e alcuni titoli del repertorio francese.
Della superficiale conoscenza e di fraintendimenti cadde vittima anche Rodolfo Celletti, su Musica (n° 34, anno 1984) recensendo una compilation della Seinemeyer e della Retheberg.
La carriera di Meta Seinemacher fu sfolgorante. Debuttò direttamente al Charlottenburg di Berlino nel 1918 a ventitrè anni. Calcò, poi, tutte le scene dei maggiori teatri tedeschi. Ospite fissa a Dresda dal 1923 partecipò alla prima assoluta del doktor Faust di Busoni (1925) alle prime locali di Forza del destino (1924) ed Andrea Chenier.
Non cantò a Bayreuth; nel 1923 prese, però, parte ad una onerossima tournee wagneriana nel Nord America (compreso il Mahnattan di New York, ossia il diretto concorrente del Met) in compagnia di autentici fuori classe quali Schorr, List, Kipnis e, uber alles, Heinrich Knote, che, a distanza di tre lustri, rinverdì i successi avuti al Met di Caruso. Nel 1924 debuttò al Colon di Buenos Ayres e lo stesso anno affrontò per la prima volta il Covent Garden, sempre nel repertorio tedesco. In patria, invece, eseguiva spessimo quello italiano e francese. Oltre al repertoria del soprano lirico-spinto eseguiva, spesso parti di lirico puro cantando Micaela, Mimì, Antonia dei Contes d'Hoffmann, Contessa delle Nozze, Pamina, Eva ed Elsa di Brabante.
L'incisione della morte di Isotta e la presenza in repertorio di Donna Anna (allora indiscusso appannaggio dei soprani drammatici) lasciano prevedere che nell'intenzioni della cantante vi fosse l'approdo a ruoli di maggior spessore e vigore drammatico, se la morte l'avesse colta a soli 34 anni nel 1929.
Le registrazioni della Seinemaeyr vanno da 1918 al 1929, ossia a pochi mesi prima della morte.
Il timbro, tenuto conto delle limitazione delle registrazioni acustiche quando si trattava di captare ampiezza e sonorità, è bello e caldo, spontaneamente nobile e femminile.
Pagine come il duetto d'amore dell'Otello (Pattiera è splendido, per inciso) o la canzone del salice dell'Otello sono, date le caratteristiche naturali,realizzazioni felici sia sotto il profilo vocale sia interpretativo.
Quando la scrittura vocale lo richiede la Seinemeyer lega i suoni a qualsiasi altezza come accade nell'aria di Agathe. E' una Agathe dalla voce di una rotondità, dolcezza e morbidezza, oggi dimenticate,attese le soubrette, magari di estrazioen baroccara che eseguono il ruolo.
Lo stesso accade in clime poetico e vocale differente con la grande aria di Maddalena "La mamma morta". La cantante è assolutamente scevra da ogni effetto cosiddetto verista della maggior parte delle esecuzioni (a meno che non si trattasse di una Farneti o di una Muzio). I suoni nella zona medio bassa sono coperti, sorvegliati e, per conseguenza, sonori, vedasi la frase "fu in quel dolore che a me venne l'amore" dove la voce sale con costanza di posizione e grande dolcezza e dolorosità accento o la facilità di frasi come "porto sventura". La facilità di canto fa da contraltare ad una dizione italiana tutt'altro che inappuntabile e soprattutto ad una scansione poco italiana. Sempre esemplare la frase "fu in quel dolore che a me venne l'amore", dove il fa di amore è smorzato da manuale.
Facilissimi gli acuti, sia pure con qualche sospetto di fissità.
Il dubbio di acuti un poco fissi compare anche nella pagina più famosa fra quelle incise dal soprano tedesco, l'arrivo di Leonora de Vargas al convento della Madonna degli Angeli. Per inciso Forza del destino fu l'opera preferita dalla Seynemeyer. Nelle battute di recitativo quando la voce gravita sulla zona bassa della voce la cantante scende benissimo, anche se l'accento su "la mia orrenda storia" può sembrare inerte. Più che altro la cantante è compassata e preoccupata di non emettere suoni sgradevoli in basso. Appena la voce sale al mi fa di "mio fratello" la cautela esibita nella zona medio grave da i propri frutti con suoni timbrati e penetrantissimi e per contro il passaggio dal medium al grave sulla frase "di mio padre intriso" è eseguito alla perfezione. La cantante rispetta l'indicazione di morendo su "in tant'ambascia", che precede l'aria, così facendo la cantante, ossia l'interprete, passa dal clima teso del recitativo a quello dell'aria, per la quale Verdi prescrive come un lamento. Nella prima parte dell'aria coabitano rispetto dei segni di espressione ed accento remissivo e castigato pur con l'opulenza della voce del soprano autenticamente verdiano. In linea di principio nell'esecuzione tutti gli accenti delicati e dolenti servono, come giusto, a preparare ed esaltare i momenti di tensione, senza soverchia fatica per la voce. In questo senso basti l'ultimo "pietà Signor" prima del con passione previsto sul "non m'abbandonar".
Oltretutto la cantante sostiene senza fatica (il tempo scelto è abbastanza lento) le lunghe frasi, prescritte legate, anche se in zona di passaggio benchè sul mi 4 in particolare compaiano suoni un po' fissi.
Si capisce perchè la cantante ritenesse Forza la sua opera prediletta. Si capisce, del pari, perchè cantanti coma Meta Seinemeyer, sopratutto al gusto latino del tempo, potessero sembrare gelide e compassate o, quanto meno, prive di un autentico accento drammatico.
Inappuntabili però, appaiano il canto ed il gusto della Seinemeyer quando canta l'aria di San Giusto del don Carlos. Visto, poi, il travisamento cui il personaggio è stato fatto oggetto negli ultimi quarant'anni (una sorta di Mimì all'Escorial) l'autentica voce di soprano spinto e l'accento nobile ed ispirato ed un legato, che non mostra cedimento innanzi alle frasi di lunga arcata e l'esecuzione di piani e forcelle illuminano l'ascoltatore sull quella che dovrebbe essere la vocalità ed il gusto verdiano.
Della medesima "razza" sia vocalmente che tecnicamente ed interpretativamente Margarete Teschemacher.
Nata a Colonia studiò nella medesima città dove debuttò quale Micaela nel 1924. I primi anni di carriera si svolsero in buoni teatri come Dortmund, Stoccarda e Mannheim. La carriera internazionale arrivò nel 1934 con il debutto al Colon di Buenos Ayres ed al Covent Garden (Contessa delle Nozze e Donna Elvira), contestualmente all'approdo nei grandi palcoscenici tedeschi come Dresda, Salisburgo, Monaco, Berlino e Vienna sino alla Scala, al Liceu di Barcellona ed al Lyric Center di Chicago.
Anche la Teschemacher era un lirico spinto, che, talvolta, faceva il lirico ed anche il Falcon. Non per nulla la registrazione più famosa del soprano di Colonia è il "duettone" degli Ugonotti con Marcel Wittrich (che, sia detto per inciso, fu, con il bulgaro Teodor Mazaroff, l'ultimo esempio di tenore ottocentesco che abbia calcato i palcoscenici del mondo).
Anche la Teschemacher brilla sopratutto come esecutrice e può essere giudicata compassata e convenzionale come interprete e lo poteva sembrare più ai suoi tempi che non nei miseri attuali dove Adina canta il Requiem di Verdi o la Tosca.
Prendiamo il duetto dell'Olandese volante. La voce è quella giusta di Senta dolce e penetrante al tempo stesso. Non ci sono difficoltà vocali, che preoccupino questa Senta dolcissima nell'incipit del duetto, che sono di scrittura piuttosto centrale, capace nella chiusa di un si naturale sul forte facilissimo con tanto di scala discendente dal suono saldo e timbrato.
Come esecutrice verdiana invita ad una generale riflessione estensibile agli altri soprani tedeschi della stessa generazione e della precedente. Ossia che per il tardo Verdi possa bastare un cosiddetto lirico spinto a condizione che abbia una tenuta saldissima sul primo passaggio e una disposizione tecnica, che consenta di cantare dal piano al forte senza difficoltà. Diversamente la voce si sganghera, gli acuti diventano urla e la prima ottava o sorda o parlata. E nulla possono escamotage come acuti estremi voluminosi o preziose, quanto leziose filature.
Quindi abbiamo un'Aida dall'accento nobilissimo (frutto in equa misura della qualità naturale e della compentenza tecnica), capace di piani consoni al personaggio,che non è Manon o Giulietta Capuleti, ma una voce che nel corso della serata è chiamata a reggere concertati come quello del trionfo, con suoni bassi sempre morbidi e raccolti - vedasi nei cieli azzurri il "mai più", acuti facili come il famoso do eseguito anche con la forcella - dal forte al piano, però- e se la concitazione nell'incipit del "ritorna vincitor" è un poco di maniera arrivata alla lamentazione "come raggio di sol" questa Aida è giustamente ispirata ed animata. Anzi verdianamente animata.
Assolutamente identica l'impostazione della Valois. La voce è squillante e morbida in alto, in basso suona un poco vuota, ma l'emissione è esemplare. Il meglio sotto il profilo interpretativo viene nelle frasi patetiche, illuminate da piani e pianissimi. Ripeto con voce e peso verdiani non da Massenet.
Senza essere una virtuosa la Teschemacher se la cava anche in brani, che prescrivano qualche passo di agilità come la grande scena di Rezia e la chiusa della Czardas del Fledermaus, entrambe provenienti da esecuzioni integrali. Le armi migliori sono sempre il suono morbido e la saldezza di emissione, esibite nell'incipit della czardas dove, senza avere nella fase conclusiva il gusto ed il piglio della famossissima registrazione della Rethberg, la Teschemecher regge in chiusa un ritmo indiavolato ed chiude con un re nat facile. Tenuto anche conto che proviene da un soprano cosiddetto spinto, assidua Aida, Tosca e Sieglinde.
Per capire la mentalità del tempo nella gestione della carriera vale la pena di ascoltare gli estratti del Faust. La parte di Margherita è per tradizione di soprano lirico, per giunta chiamata anche ad eseguire qualche passo acrobatico al famoso valzer, sicchè è stata ed è affidata a soprani provenienti dalle file delle colorature, magari in quella fase della carriera in cui i sovracuti rappresentano un arrischio. Poi molte Margherite di questa categoria alla scena della chiesa ed al finale con orchestre pesanti e partner tronituanti (Méphistophélès, in particolare) sono costrette a forzare e gridare per essere sentite.
La Teschemacher soprano spinto, che gioca al lirico puro può prendersi il lusso nei panni della fanciulla goethiana di esibire cavata e dolcezza al duetto d'amore (il partner Helge Rosveange è per opulenza di voce, qualità interpretative di quelli che non perdonano), regge un tempo lentissimo alla scena della chiesa e svetta nel finale su orchestra, dotatissimi partner e sonore schiere angeliche.
Scusate se è poco, poi, possiamo anche censurare che questa Margherita manca di candore e della convenzionale svenevolezza della fanciulla irretita dal demonio, ma è una delle più salde e sicure che le registrazioni, dal fonografo al cd, testimonino.
Gli ascolti
Meta Seinemeyer
Mozart - Le Nozze di Figaro
Atto III - Dove sono i bei momenti (1927)
Weber - Der Freischütz
Atto II - Leise, leise, fromme Weise (1926)
Wagner - Tristan und Isolde
Atto III - Mild und leise (1928)
Verdi - La forza del destino
Atto II - Son giunta...Madre, pietosa Vergine (1926)
Verdi - Don Carlo
Atto V - Tu che le vanità (1927)
Verdi - Otello
Atto I - Già nella notte densa (con Tino Pattiera - 1928)
Atto IV - Piangea cantando nell'erma landa (1926)
Giordano - Andrea Chénier
Atto II - Ora soave (con Tino Pattiera - 1926)
Atto III - La mamma morta (1925)
Margarete Teschemacher
Weber - Oberon
Atto II - Ozean! Du Ungeheuer (1937)
Meyerbeer - Les Huguenots
Atto IV - O ciel! où courez-vous? (con Marcel Wittrisch - 1932)
Gounod - Faust
Atto III - Il se fait tard (con Helge Rosvaenge & Georg Hahn - 1937)
Atto IV - Seigneur, daignez permettre (con Georg Hahn - 1937)
Atto V - Alerte!...Anges purs, anges radieux (con Helge Rosvaenge & Georg Hahn - 1937)
Wagner - Der fliegende Holländer
Atto II - Wie aus der Ferne längst vergangner Zeiten (con Hans Hermann Nissen - 1936)
Verdi - Don Carlo
Atto V - Tu che le vanità (1937)
Verdi - Aida
Atto I - Ritorna vincitor! (1938)
Atto III - Qui Radames verrà...O patria mia (1938)
Strauss II - Die Fledermaus
Atto II - Klänge der Heimat (1938)
Al nutrito gruppo, per origine, si dovrebbe aggiungere Elisabeth Rethberg (1894-1976) la cui carriera e fama fu principalmente americana e precisare che, pure, Maria Muller frequentò teatri americani fra cui il Met (con più di duecento serate) per seguire, poi, il richiamo della patria, che nel caso di specie fu soprattutto quello della sacra collina, frequentata dal soprano con fedele assiduità.
Nonostante il patto d’acciaio praticarono pochissimo o per nulla i teatri italiani. A prescindere dal problema, non indifferente, linguistico l’Italia con Rosetta Pampanini, Claudia Muzio, Bianca Scacciati e le giovani Caniglia e Cigna e Favero era non solo autosufficiente, anzi autarchica, vista la politica del regime, ma anche pronta all’esportazione almeno verso gli Stati Uniti.
Il soprano cosiddetto lirico tedesco cantava Wagner lirico (comprese, però, Sieglinde e Senta) Verdi (soprattutto quello tardo Otello, Aida, Ballo, Forza, ma anche don Carlos), ed il repertorio allora contemporaneo sia tedesco che italiano (in lingua originale all’estero in tedesco in patria) ovvero Strauss, Puccini, Mascagni oltre a Mozart (soprattutto Contessa e Donna Elvira), Weber e alcuni titoli del repertorio francese.
Della superficiale conoscenza e di fraintendimenti cadde vittima anche Rodolfo Celletti, su Musica (n° 34, anno 1984) recensendo una compilation della Seinemeyer e della Retheberg.
La carriera di Meta Seinemacher fu sfolgorante. Debuttò direttamente al Charlottenburg di Berlino nel 1918 a ventitrè anni. Calcò, poi, tutte le scene dei maggiori teatri tedeschi. Ospite fissa a Dresda dal 1923 partecipò alla prima assoluta del doktor Faust di Busoni (1925) alle prime locali di Forza del destino (1924) ed Andrea Chenier.
Non cantò a Bayreuth; nel 1923 prese, però, parte ad una onerossima tournee wagneriana nel Nord America (compreso il Mahnattan di New York, ossia il diretto concorrente del Met) in compagnia di autentici fuori classe quali Schorr, List, Kipnis e, uber alles, Heinrich Knote, che, a distanza di tre lustri, rinverdì i successi avuti al Met di Caruso. Nel 1924 debuttò al Colon di Buenos Ayres e lo stesso anno affrontò per la prima volta il Covent Garden, sempre nel repertorio tedesco. In patria, invece, eseguiva spessimo quello italiano e francese. Oltre al repertoria del soprano lirico-spinto eseguiva, spesso parti di lirico puro cantando Micaela, Mimì, Antonia dei Contes d'Hoffmann, Contessa delle Nozze, Pamina, Eva ed Elsa di Brabante.
L'incisione della morte di Isotta e la presenza in repertorio di Donna Anna (allora indiscusso appannaggio dei soprani drammatici) lasciano prevedere che nell'intenzioni della cantante vi fosse l'approdo a ruoli di maggior spessore e vigore drammatico, se la morte l'avesse colta a soli 34 anni nel 1929.
Le registrazioni della Seinemaeyr vanno da 1918 al 1929, ossia a pochi mesi prima della morte.
Il timbro, tenuto conto delle limitazione delle registrazioni acustiche quando si trattava di captare ampiezza e sonorità, è bello e caldo, spontaneamente nobile e femminile.
Pagine come il duetto d'amore dell'Otello (Pattiera è splendido, per inciso) o la canzone del salice dell'Otello sono, date le caratteristiche naturali,realizzazioni felici sia sotto il profilo vocale sia interpretativo.
Quando la scrittura vocale lo richiede la Seinemeyer lega i suoni a qualsiasi altezza come accade nell'aria di Agathe. E' una Agathe dalla voce di una rotondità, dolcezza e morbidezza, oggi dimenticate,attese le soubrette, magari di estrazioen baroccara che eseguono il ruolo.
Lo stesso accade in clime poetico e vocale differente con la grande aria di Maddalena "La mamma morta". La cantante è assolutamente scevra da ogni effetto cosiddetto verista della maggior parte delle esecuzioni (a meno che non si trattasse di una Farneti o di una Muzio). I suoni nella zona medio bassa sono coperti, sorvegliati e, per conseguenza, sonori, vedasi la frase "fu in quel dolore che a me venne l'amore" dove la voce sale con costanza di posizione e grande dolcezza e dolorosità accento o la facilità di frasi come "porto sventura". La facilità di canto fa da contraltare ad una dizione italiana tutt'altro che inappuntabile e soprattutto ad una scansione poco italiana. Sempre esemplare la frase "fu in quel dolore che a me venne l'amore", dove il fa di amore è smorzato da manuale.
Facilissimi gli acuti, sia pure con qualche sospetto di fissità.
Il dubbio di acuti un poco fissi compare anche nella pagina più famosa fra quelle incise dal soprano tedesco, l'arrivo di Leonora de Vargas al convento della Madonna degli Angeli. Per inciso Forza del destino fu l'opera preferita dalla Seynemeyer. Nelle battute di recitativo quando la voce gravita sulla zona bassa della voce la cantante scende benissimo, anche se l'accento su "la mia orrenda storia" può sembrare inerte. Più che altro la cantante è compassata e preoccupata di non emettere suoni sgradevoli in basso. Appena la voce sale al mi fa di "mio fratello" la cautela esibita nella zona medio grave da i propri frutti con suoni timbrati e penetrantissimi e per contro il passaggio dal medium al grave sulla frase "di mio padre intriso" è eseguito alla perfezione. La cantante rispetta l'indicazione di morendo su "in tant'ambascia", che precede l'aria, così facendo la cantante, ossia l'interprete, passa dal clima teso del recitativo a quello dell'aria, per la quale Verdi prescrive come un lamento. Nella prima parte dell'aria coabitano rispetto dei segni di espressione ed accento remissivo e castigato pur con l'opulenza della voce del soprano autenticamente verdiano. In linea di principio nell'esecuzione tutti gli accenti delicati e dolenti servono, come giusto, a preparare ed esaltare i momenti di tensione, senza soverchia fatica per la voce. In questo senso basti l'ultimo "pietà Signor" prima del con passione previsto sul "non m'abbandonar".
Oltretutto la cantante sostiene senza fatica (il tempo scelto è abbastanza lento) le lunghe frasi, prescritte legate, anche se in zona di passaggio benchè sul mi 4 in particolare compaiano suoni un po' fissi.
Si capisce perchè la cantante ritenesse Forza la sua opera prediletta. Si capisce, del pari, perchè cantanti coma Meta Seinemeyer, sopratutto al gusto latino del tempo, potessero sembrare gelide e compassate o, quanto meno, prive di un autentico accento drammatico.
Inappuntabili però, appaiano il canto ed il gusto della Seinemeyer quando canta l'aria di San Giusto del don Carlos. Visto, poi, il travisamento cui il personaggio è stato fatto oggetto negli ultimi quarant'anni (una sorta di Mimì all'Escorial) l'autentica voce di soprano spinto e l'accento nobile ed ispirato ed un legato, che non mostra cedimento innanzi alle frasi di lunga arcata e l'esecuzione di piani e forcelle illuminano l'ascoltatore sull quella che dovrebbe essere la vocalità ed il gusto verdiano.
Della medesima "razza" sia vocalmente che tecnicamente ed interpretativamente Margarete Teschemacher.
Nata a Colonia studiò nella medesima città dove debuttò quale Micaela nel 1924. I primi anni di carriera si svolsero in buoni teatri come Dortmund, Stoccarda e Mannheim. La carriera internazionale arrivò nel 1934 con il debutto al Colon di Buenos Ayres ed al Covent Garden (Contessa delle Nozze e Donna Elvira), contestualmente all'approdo nei grandi palcoscenici tedeschi come Dresda, Salisburgo, Monaco, Berlino e Vienna sino alla Scala, al Liceu di Barcellona ed al Lyric Center di Chicago.
Anche la Teschemacher era un lirico spinto, che, talvolta, faceva il lirico ed anche il Falcon. Non per nulla la registrazione più famosa del soprano di Colonia è il "duettone" degli Ugonotti con Marcel Wittrich (che, sia detto per inciso, fu, con il bulgaro Teodor Mazaroff, l'ultimo esempio di tenore ottocentesco che abbia calcato i palcoscenici del mondo).
Anche la Teschemacher brilla sopratutto come esecutrice e può essere giudicata compassata e convenzionale come interprete e lo poteva sembrare più ai suoi tempi che non nei miseri attuali dove Adina canta il Requiem di Verdi o la Tosca.
Prendiamo il duetto dell'Olandese volante. La voce è quella giusta di Senta dolce e penetrante al tempo stesso. Non ci sono difficoltà vocali, che preoccupino questa Senta dolcissima nell'incipit del duetto, che sono di scrittura piuttosto centrale, capace nella chiusa di un si naturale sul forte facilissimo con tanto di scala discendente dal suono saldo e timbrato.
Come esecutrice verdiana invita ad una generale riflessione estensibile agli altri soprani tedeschi della stessa generazione e della precedente. Ossia che per il tardo Verdi possa bastare un cosiddetto lirico spinto a condizione che abbia una tenuta saldissima sul primo passaggio e una disposizione tecnica, che consenta di cantare dal piano al forte senza difficoltà. Diversamente la voce si sganghera, gli acuti diventano urla e la prima ottava o sorda o parlata. E nulla possono escamotage come acuti estremi voluminosi o preziose, quanto leziose filature.
Quindi abbiamo un'Aida dall'accento nobilissimo (frutto in equa misura della qualità naturale e della compentenza tecnica), capace di piani consoni al personaggio,che non è Manon o Giulietta Capuleti, ma una voce che nel corso della serata è chiamata a reggere concertati come quello del trionfo, con suoni bassi sempre morbidi e raccolti - vedasi nei cieli azzurri il "mai più", acuti facili come il famoso do eseguito anche con la forcella - dal forte al piano, però- e se la concitazione nell'incipit del "ritorna vincitor" è un poco di maniera arrivata alla lamentazione "come raggio di sol" questa Aida è giustamente ispirata ed animata. Anzi verdianamente animata.
Assolutamente identica l'impostazione della Valois. La voce è squillante e morbida in alto, in basso suona un poco vuota, ma l'emissione è esemplare. Il meglio sotto il profilo interpretativo viene nelle frasi patetiche, illuminate da piani e pianissimi. Ripeto con voce e peso verdiani non da Massenet.
Senza essere una virtuosa la Teschemacher se la cava anche in brani, che prescrivano qualche passo di agilità come la grande scena di Rezia e la chiusa della Czardas del Fledermaus, entrambe provenienti da esecuzioni integrali. Le armi migliori sono sempre il suono morbido e la saldezza di emissione, esibite nell'incipit della czardas dove, senza avere nella fase conclusiva il gusto ed il piglio della famossissima registrazione della Rethberg, la Teschemecher regge in chiusa un ritmo indiavolato ed chiude con un re nat facile. Tenuto anche conto che proviene da un soprano cosiddetto spinto, assidua Aida, Tosca e Sieglinde.
Per capire la mentalità del tempo nella gestione della carriera vale la pena di ascoltare gli estratti del Faust. La parte di Margherita è per tradizione di soprano lirico, per giunta chiamata anche ad eseguire qualche passo acrobatico al famoso valzer, sicchè è stata ed è affidata a soprani provenienti dalle file delle colorature, magari in quella fase della carriera in cui i sovracuti rappresentano un arrischio. Poi molte Margherite di questa categoria alla scena della chiesa ed al finale con orchestre pesanti e partner tronituanti (Méphistophélès, in particolare) sono costrette a forzare e gridare per essere sentite.
La Teschemacher soprano spinto, che gioca al lirico puro può prendersi il lusso nei panni della fanciulla goethiana di esibire cavata e dolcezza al duetto d'amore (il partner Helge Rosveange è per opulenza di voce, qualità interpretative di quelli che non perdonano), regge un tempo lentissimo alla scena della chiesa e svetta nel finale su orchestra, dotatissimi partner e sonore schiere angeliche.
Scusate se è poco, poi, possiamo anche censurare che questa Margherita manca di candore e della convenzionale svenevolezza della fanciulla irretita dal demonio, ma è una delle più salde e sicure che le registrazioni, dal fonografo al cd, testimonino.
Gli ascolti
Meta Seinemeyer
Mozart - Le Nozze di Figaro
Atto III - Dove sono i bei momenti (1927)
Weber - Der Freischütz
Atto II - Leise, leise, fromme Weise (1926)
Wagner - Tristan und Isolde
Atto III - Mild und leise (1928)
Verdi - La forza del destino
Atto II - Son giunta...Madre, pietosa Vergine (1926)
Verdi - Don Carlo
Atto V - Tu che le vanità (1927)
Verdi - Otello
Atto I - Già nella notte densa (con Tino Pattiera - 1928)
Atto IV - Piangea cantando nell'erma landa (1926)
Giordano - Andrea Chénier
Atto II - Ora soave (con Tino Pattiera - 1926)
Atto III - La mamma morta (1925)
Margarete Teschemacher
Weber - Oberon
Atto II - Ozean! Du Ungeheuer (1937)
Meyerbeer - Les Huguenots
Atto IV - O ciel! où courez-vous? (con Marcel Wittrisch - 1932)
Gounod - Faust
Atto III - Il se fait tard (con Helge Rosvaenge & Georg Hahn - 1937)
Atto IV - Seigneur, daignez permettre (con Georg Hahn - 1937)
Atto V - Alerte!...Anges purs, anges radieux (con Helge Rosvaenge & Georg Hahn - 1937)
Wagner - Der fliegende Holländer
Atto II - Wie aus der Ferne längst vergangner Zeiten (con Hans Hermann Nissen - 1936)
Verdi - Don Carlo
Atto V - Tu che le vanità (1937)
Verdi - Aida
Atto I - Ritorna vincitor! (1938)
Atto III - Qui Radames verrà...O patria mia (1938)
Strauss II - Die Fledermaus
Atto II - Klänge der Heimat (1938)
26 commenti:
Peccato che la povera Seinemeyer abbia perso la vita talmente giovane (nemmeno 35 anni) per quello che credono sia stata la leucemia. Provarono in tutti i modi di aiutarla ma a nulla valse l'impegno anche dei suoi amici donare sangue, ecc ecc.
Di bello si può dire che nel poco tempo vissuta artisticamente, ha comunque lasciato una forte traccia di sé. Persino Giordano dopo essersi ascoltato la sua Maddalena dal vivo si proclamò soddisfattissimo. Se non erro, esiste anche la registrazione in lingua tedesca de "La mamma morta..." fatta un pò prima di questa versione in originale. Grazie di averla ricordata cosi' teneramente.
La Teschemacher. Aha! Allora quando si sa usare la tecnica e ci si conosce la propria voce si può allargare il repertorio!
Sentire la facilità di emissione di questa straordinaria voce è sempre un piacere. Devo dire che ascoltare la famosa Czardas mi ricorda sempre la prima volta che ebbi modo si ascoltar questo pezzo su un vecchio LP dedicato a Lotte Lehmann che la cantava anche lei con gusto irrefrenabile. Chissà se il mondo avesse vissuto in pace in questi secoli quante cose sarebbero diverse anche nel mondo un pò più "effimero" de l'arte, della musica e della cultura in generale.
Ad ogni modo... L'ascolto dei brani di queste due signore e oserei dire delle signore quest'epoca (ho anche una splendida Rosenkavalier con Reining, Gueden, Jurinac, Weber, Dermota... sempre pre von Karajan & Co.) ci insegna che non erano casi isolati o limitati a soprani o paesi o chissà al quale marchio di vitamina che prendevano, marchio di orologio che portavano, profumo che si spruzzavano ecc., ecc.
Anche i loro colleghi non erano da meno. Cosa possiamo imparare da tutto questo? Come mai sono riusciti impartire l'arte loro alla generazione successiva e quella generazione però non è riuscita trasmettere altro che la voglia di essere "diversi" e basta?
Come mai non siamo riusciti a cogliere quello che c'era di buono (o di ottimo) da loro e applicarla alla modernità del mondo musicale/vocale dagli anni '70 in poi? Mica ci sarà stato una ribellione sessantottina anche nelle classi di canto mentre si toglievano i reggiseni e si fumava apertamente la marijuana?
Io sono troppo vecchio per farlo (o forse no, ma non so se avrei la voglia...) ma ci sarebbe da scrivere una bella tesi su questo soggetto. Il problema è che bisogna avere il coraggio di denunciare l'odierno mondo moderno, molto più effimero, di pubblicità, marketing ecc. e andare contro tendenza. CORAGGIO! Se no tocca a questo povero vecchietto farlo... e se lo fccio io non risparmio nessuno!
Caro Scattare, che paura! Purtroppo la sua analisi, al di là di alcune difficoltà legate alla reale comprensione grammaticale del testo, è un po' troppo semplicistica... Non si va al di là del banale "si stava meglio quando si stava peggio" o "non esistono più le mezze stagioni" e così via...
Sì, scrivo di getto e talvolta so solo io quello che voglio dire ma penso abbia colto l'idea generale. E' semplice perchè, appunto, bisogna scrivere un bel trattato sul tema. Scusa la confusione...
scattare: in senectute veritas!
Velluti: lasciando da parte per un attimo le mezze stagioni, vogliamo comparare le due signore oggetto del post a Gundula Janowitz, della quale Donzelli ti può narrare la meravigliosa performance nel Fidelio scaligero, e Julia Varady? per tacere delle loro eredi spirituali ancora oggi in carriera...
@scattare: Bravo! Ti leggo sempre volentieri. Che partano le denunce!
Caro Tamburini, al di là di serate no, la Janowitz è stata una grande cantante, e soprattutto la sua rilevanza in certo repertorio è documentata, a differenza di queste signore di cui possediamo qualche (incompleta) registrazione non so fino a che punto fededegna per n intero arco di carriera... Sulla Varady non so che dire... Quello che ho ascoltato mi piace abbastanza (credo un Idomeneo della fine degli anni'70).
P.S. Noto con piacere come si ergano subito avvocati a redarguire quando ciò conviene alla CAUSA... Comprendo la solidariteà derivante dall'appartenenza a una certa classe anagrafica, ma suvvia... Un po' di ironia non guasterebbe ogni tanto!!!
Caro Velluti,
la Janowitz è stata una cantante di voce gradevole, sebbene "corta" e non di rado fissa, e di gusto manierato, più che sorvegliato. Può sembrare una grande cantante (magari in Mozart e nella liederistica, perché nel repertorio italiano...lasciamo perdere) solo se la confronti con quello che è venuto dopo, ma se la metti di fianco a una Teschemacher, a una Rethberg, a una Lemnitz o a una Steber, per uscire dal bacino germanico, fa proprio una magra figura. Ma è di sicuro meglio della Varady in Fischer-Dieskau (El Signur li fa, poeu li cumpagna, el macarun cun la lasagna, si diceva una volta).
Quanto all'abbondanza di testimonianze discografiche, come sempre è frutto della casualità, degli azzardi, delle coincidenze, e a volte della scarsa competenza dei soggetti preposti al casting. Che una Janowitz sia entrata spesso in sala d'incisione, assai più spesso di una Gencer o di un'Olivero, poco o nulla dimostra circa la qualità del suo canto.
Ascoltati, se già non l'hai fatto, "queste signore". E buon divertimento.
Per la Janowitz parlavo proprio del repertorio liederistico... Il suo Schubert è molto interessante... Per quanto concerne la fissità dell'emissione, non credo che le signore da voi postate siano troppo lontane da certo gusto tedesco di cui la Janowitz è esempio abbastanza preclaro... Nel repertorio italiano è certamente vero che la Janowitz è inudibile... Ma devo dire che, di solito, le cantanti mitteleuropee, nel repertorio italiano, almeno in generale, mi convincono poco...
gundula janowitz, sorridente e paciosa, tipo proprietaria di gasthof dell'alta austria, è una delle erbe del nutrito e scipito mazzo di cantanti del post signora legge (al secolo elizabeth schwarzkofp), la quale con mossette, moine, sorrisetti ha impestato il canto dei paesi middleeuropei spacciando per stile la maniera. Maniera che era il suo unico mezzo per affrontare un repertorio che la vocina di soprano coloratura corto le avrebbe consentito.
Le altre componenti dello scipito mazzetto middleuropeo rispondono ai nomi di edith mathis, julia varady, trudelise schmith, arleen auger, ileana cotrubas per citare le prime, ma non le sole. Cantavano tutte con voce bianca, emissione aperta, suoni fissi. Il tutto spacciato per STILE, applicato a Mozart, lieder, Haydn etc...
Siccome le ho sentite tutte posso assicurare che nella migliere delle ipotesi ti annoiavi.
Se poi ascoltavi una sena jurinac, una grummer e su sino alla lieder o a lotthe lehmann la reazione era un poco più sanguigna, sempre che orecchie e cervello non fossero anestetizzate e perdute dal fascino delle dive o divette di salisburgo e, più in generale DG.
Quanto a frau gundula (a 45 praticamente finita) non posso non raccontare l'imbarazzante, fissa, fischiante, stonata e di scarso volume leonore scaligera, sottola guida di Bernstein in nome del quale le venne risparmiata la riprovazione del pubblico. Devo anche aggiungere che, atteso che al peggio non vi è mai limite, il pubblico scaligero venne "premiato" vent'anni dopo circa con la leonore di waltraude meyer.
Alla prossima l'esilerante Elettra di Julia Varady.
ciao dd.
Ci sono tante cose che leggo con piacere, in questi "dibattiti" a commento dei sempre stimolanti post proposti.
Quel che però leggo con sempre maggior fastidio, sono le polemiche sulle sgrammaticature altrui... Cerchiamo per favore di evitare queste piccinerie, e se non si è d'accordo con qualcuno si cerchi di argomentare la propria diversa visione, piuttosto di attaccarsi a pretesti così fanciulleschi. E poi, il bello del web è anche quello dello scrivere di getto, se dovessi ogni volta mettermi a rileggere tre volte quel che scrivo, limando ogni cosa fino allo sfinimento... mi passerebbe la voglia di scrivere!
grazie
perchè lo sgrammaticato, il pessimo dattilografo sono io
sai penso in bergamasco e sono nato in epoca di penne d'oca, inchiostro e sabbia (del Brembo) per asciugare l'inchiostro.
ciao e grazie come sempre per l'apprezzamento
dd
ps adesso però è donna giulia grisi che attende Tue risposte
dd
Io invece penso in veneziano e mi faccio la traduzione simultanea!
Caro DD,
però la Testanera si scrive Schwarzkopf.....eddai un po' di ripetto!
Certo che anche le fiabe su queste Legehennen di varia taglia e colore...........ufffffff
Ma quante palle ci hanno propinato gli unni invasori DG!!!
Resistiamo
g
ODDIO!!!
Ci sono cantanti che sono "Artiste" in cui sia tecnica, sia fraseggio, sia stile sono tutt'uno...poi ci sono le altre:
La Schwarzkopf, la Janowitz, la Auger, la Mathis e la Cotrubas sono le altre (aggiungerei anche le odiosissime Jo, Battle e Hendricks).
Voci carine, elegantissime, musicali, ma gelide e asettiche come obitori, fisse come treni, dal fraseggio finto e diabetico, prive di un barlume di anima o umanità, voci tutta "testa" e niente cuore.
Una qualunque nota della Stader, della Grummer, della Della Casa, della Steber, della Zeani, addirittura la Studer di quando cantava bene, le supera!
La Varady mi ha impressionato positivamente come Senta, Elsa e (udite udite) Abigaille, e nonostante sia discutibile le riconosco l'intelligenza artistica.
Non avevo notato che tutte erano figlie della DG...apperò...
Marianne Brandt
DD, lo sai, ho una perversa passione per la Meier che tu non mi perdoni, ma che io sbandiero e la sua Leonore è forse la migliore di oggi (so già cosa ti frulla in capo dopo questa mia affermazione ^_^) e nel video di Valencia è DIVINA!!!
eheheheheh
Marianne Brandt (nessuno è perfetto)
Grazie a Donzelli dei bellissimi ascolti, per me quasi tutti "nuovi", come al solito commentati con la grande perizia (e l'orecchio, se mi permette) che lo contaddistingue.
Tra le due dive raccontate...non c'è che l'imbarazzo della scelta. Se dovessi esprimere una preferenza, andrebbe alla Seinemayer (che mi sembra meno algida. Comunque "vengan pure" le cantanti algide se sono queste o, la Rethberg). In effetti, mi state sempre più facendo innamorare e STIMARE i cantanti "germanici" di quell'epoca. Questo malgrado i miei "favoritismi" per quelli "italici" (del resto essendo stato assiduo di letture lauri-volpiane, mi sarebbe stato difficile non farmi venire di questi "pregiudizi".). Ad esempio, nella Mamma Morta, i "problemini" che ci sono nella dizione (del resto naturali), sono ampiamente emendati da una linea di canto suberba, timbro e colore bellissimi e una respirazione PERFETTA.
Pur continuando a preferire nello stesso brano la "metafisica" Muzio, la Seinemayer da proprio una lezione di Canto.
PS Sono ancora un "giovanotto"... e "odio" gli avvocati: perciò avrò bene il diritto di dire, assieme a justmile ;-)
W Scattare (che tra l'altro "invidio" non poco per il suo curriculum di ascoltatore...)
Saluti, MB
Cara Marianne,
quella Meyer......quella Meyer, una carriera senza una sola nota buona....me nemmeno per sbaglio! Che miracoli fa il teatro a volte, vero????
caro battistini,
la scoperta delle cantanti di scuola e carriera tedesca (rethberg esclusa, visto la carriera e le incisioni americane) è stata piacevole per me nel tempo.
Le trovo generalmente più composte e corrette delle cantanti italiane, magari meno varie nel fraseggio. oltretutto alcune e le sentirai la prossima volta sono straordinariamente moderne nel fraseggio.
alla prossima ciao dd
Per Gabriele Brunini: la mia era solo una stoccatina ironica... "Suvvia così terribil inver non vi facea! Qui nulla v'ha di tragico!". Per quanto concerne le argomentazioni non vedo che cosa avrei dovuto argomentare: non sono entrato nel merito di nulla. A me la Janowitz nel repertorio liederistico piace (e lì non è che ci vogliano chiassà quali acuti!), mentre - in generale - non amo le cantanti tedesche nel repertorio italiano. Talune fissità, talune rigidezze di dizione e di fraseggio, talune "scivolate" nella linea di canto le sento poco idiomatiche. Tutto qui.
Per Marianne Brandt: credo che paragonare la Schwarzkopf alla Battle sia un po' troppo. La Marescialla della "testa nera" è un classico, così come la sua Donna Elvira (straordinariamente ammirata da un Furtwaengler, direttore da voi additato spesso come modello di grandezza). La linea di canto della Elisabeth era di grande luminosità, con legato eccellente, acuti di tutto rispetto (nemmeno tanto fissi) e, soprattutto, mezze voci di straordinario nitore per quanto concerne la posizione nella maschera. Ma vogliamo scherzare davvero? Battle e Schwarzkopf? Evidentemente non ho orecchie... Capisco che sulla grande austriaca ci possano essere nuvoli neri legati alle sue frequentazioni passate con regimi tutt'altro che liberali, così come è facile speculare sulla sua unione con Legge e la parallela ascesa nei cataloghi EMI. Ma, ciò non ostante, dire che la Elisabeth cantasse male o avesse una voce brutta mi sembra davvero il colmo. Per non parlare poi del fraseggio: la sua Contessa è una sorta di MUST del teatro mozartiano. Difficilmente riesco ad immaginare attacco più idiomatico e centrato di quello della splendida austriaca in "E Susanna non vien?"... Mi spiace... Valutare le cantanti solo sul tonnellaggio mi sembra miope... E anche dalle registrazioni live la voce della divina Elisabeth sembra tutt'altro che cigolante o poco centrata o - più generalmente - piccola... Stando alle testimonianze dei cilindri a me sembrano più zanzarine le varie Sembrich, Tetrazzini o Raisa... Ricordo poi il suono delle note gravi della Schwarzkopf: nella sua Liù (certamente personaggio pochissimo riuscito dal punto di vista espressivo, ma cantato comunque bene), a parte il vero e proprio momento estatico rappresentato dalla frase "Perchè un dì, nella reggia, mi hai sorriso" (con un pp davvero raggiante), i bassi di "Ei perderà SUO figlio" e "io l'ombra di UN SOrriso) suonano perfettamente appoggiati, proiettati, immascherati e perfettamente legati sulla colonna d'aria al resto del timbro... A ciò si unisca, e concludo per evitare di scocciarvi troppo, un certo fondo acidulo nel timbro che io trovo di grande fascino (fascino che la donna - a prescindere dall'artista - possedeva in doti assolutamente fuori dalla norma rispetto a certe sue goffe colleghe).
Sia detto per inciso: l'Oberon della Teschemacher è davvero stupendo (a parte l'aria, che è davvero una meraviglia...). Quasi regge il confronto con un'esecuzione della Price che adoro (sarà poco "filologica"... Ma chi se ne frega!)
Ed anche la romanza del III atto di Aida della Teschemacher è notevolissima: l'arcata prima del do è tutta d'un fiato così come lo spartito vuole ;)... Peccato solo che l'acuto non sia in pp come prescrive Verdi. Ma la voce è una meraviglia :)
Solo due cose per Velluti:
1) nessuno qui ha detto che la Schwarzkopf cantasse male per via delle sue simpatie "nere". Germaine Lubin, Erna Berger, Maria Müller, tutte piuttosto "in tono" con Berlino e Vichy, sono esempi preclari di arte canora, la sola che interessi in questa sede ("Un artista si giudica per quello che fa in scena", diceva Ebe Stignani).
2) la Raisa una zanzarina? ma nella Turandot cantava il title role, mica Liù. Quanto alla Marescialla, credo che lo stesso autore avrebbe preferito, alla tua Testanera, la nostra Rosa. Del resto Strauss aveva un debole per le Marescialle italiane di gusto e di stile, se non d'origine (vedi Muzio). E comunque la Sembrich e la Raisa erano grandi in virtù non solo e non tanto delle loro voci, ma della loro tecnica, che discendeva da modelli saldissimi quali Lamperti e Barbara Marchisio. La Schwarzkopf ha fatto invece ben poco tesoro degli insegnamenti della sua maestra, come potrai appurare da un qualsiasi ascolto di Maria Ivogün (pure lei tutt'altro che zanzarina, per inciso).
ciao
AT
Caro Tamburini, la Berger era sì una zanzarina... Con quella vocetta fissa, sussieguosa, a tratti stonacchiata, con vocali allargate nel centro, corta in acuto (soprano leggero senza sovracuti... Che tristezza...). Dico semplicemente che non comprerei mai un Flauto magico con la Berger (i suoi fa sono un orrore)... Se a voi piace, tant'è. Tenetevi la statuina viennese... A mio parere è impossibile ogni confronto con la Schwarzkopf sia per bellezza di voce, sia per vastità di repertorio... Ma di che stiamo parlando?
A mò di esempio si ascolti questa esecuzione, a mio parere uno dei must del teatro mozartiano:
http://www.youtube.com/watch?v=cEQUNUVPqk4
E certo qui la Elisabeth non ha nessuna difficoltà a stare accanto alla Ludwig... Il che è, già di per sè, una garanzia...
Caro Velluti,
voce chioccia, corta, manierata, stonata... praticamente hai descritto l'Elisabetta! :D
Sono consapevole dei limiti della Berger. La stessa consapevolezza, beninteso, dimostrava l'interessata, che a parte qualche sporadica Mimì, Violetta e Gilda, seppe stare nel repertorio che le spettava (Zerlina, Sofia e Susanna, mica Elvira, Marescialla e Contessa come la signora Legge, che si piccava pure di cantare Wagner!) e, dopo, nella liederistica, vedi l'Italienisches Liederbuch inciso a sessant'anni, in cui la voce è ancora fresca - è vero anche che i brani in questione insistono su tre-quattro note centrali, le stesse con cui Elisabeth Legge deliziava il pubblico scaligero avvolta nei lini (lugubri bende) della Biki.....
Quanto ai sovracuti, la giovane Berger li aveva eccome. Se poi per giudicarla prendi qualche recita di Zauberflöte del '50 o giù di lì, beh....... aveva cinquant'anni, e come dice la Callas, i sovracuti li fai finché ce li hai!
Dopo avere ascoltato la Schwarzkopf e le sue moine, sento un bisogno impellente di Sena Jurinac... il resto non dico!
Per Velluti.
Grazie dei commenti.
Se leggi bene il mio commento non ho affatto paragonato la "Testanera" alla "Battaglia", quest'ultima messa appunto tra parentesi e affiancata dalla Jo e dalla Hendricks, ecco a loro paragono la Battle.
Vedi, come ho scritto la "Testanera-Legge" ha voce preziosa, elegante, musicalissima, ma è, a mio modo di vedere ed udire, una cantante manieratissima, tra una statuina di capodimonte nella forma ed una lastra di ghiaccio nella sostanza; in più la trovo talmente cerebrale da annoiarmi, la sua stessa Marzelline sembra ironica e briosa come un medico legale che seziona un cadavere.
Ma ripeto è gusto mio!
Mi fa piacere che piacesse al grande Furt, mi fa anche piacere che fosse nelle grazie della Flagstad (nonostante Elisabeth avesse nei suoi confronti parole non proprio gentilissime), ma anche la Te Kanawa era amata da Solti oppure la Tomowa-Sintow da Karajan, ma questo non fa di loro cantanti fantasiose e piena di energia, senza nulla togliere alla bellezza del suono.
Per me, purtroppo nel caso di questi soprani, si tratta di solo suono, bello e algido.
Con rispetto
Marianne Brandt
Cara M. Brandt, de gustibus non disputandum est ebbe a dire Cicerone, e sul tuo gusto personale non posso intervenire. Ma è cmq giusto, e di questo ti ringrazio per la franchezza e la oggettività, che venga rilevata la bellezza di suono e di voce della Sig.ra Legge.
Caro Tamburini, sulla Berger non so che dire... Quello che ho sentito non mi piace proprio... La voce è anche parecchio querula e linfatica e non ha l'algida purezza di quella della Sig.ra Legge. Poi sai... Non ho avuto modo di sentirle dal vivo, quindi non so dire quale delle due in teatro fosse più sonora. Ma non posso non ricordare il Così fan tutte di Cantelli, Le nozze di Giulini e il Don Giovanni di Karajan senza dare un pensiero a colei che di quelle tre incisioni è stata parte di certo non fondamentale ma cmq importante... E quelle, spero su questo non ci sia da discutere, sono certamente tappe fondamentali della discografia mozartiana di tutti i tempi...
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