Cos’è Norma? Norma è uno dei più grandi capolavori del melodramma italiano: modello imitato e ammirato (persino da Wagner, solitamente assai schizzinoso verso l’opera italiana). Cavallo di battaglia e banco di prova delle più grande primedonne del passato, remoto e prossimo: dalla Pasta alla Malibran, alla Grisi, sino alle più recenti Callas, Sutherland, Caballè, Sills, Bumbry (taccio delle “dive” dei giorni nostri e delle loro interpretazioni). Norma è un’opera difficile, lunga – se eseguita integralmente – ricca, sontuosa. Titolo mai uscito dal grande repertorio, palestra di vocalità e tecnica. Norma è tante cose, tranne un’operetta da improvvisare. Oggi è difficilissimo produrre una Norma decente, è un problema oggettivo, o meglio una triste realtà, alla quale molti teatri (Scala compresa) si sono dovuti adeguare: testimonianza, questa, inconfutabile dell’evidente decadenza del livello in cui oggi versa l’arte lirica.
Come spiegare altrimenti, il fatto per cui sino a 50 anni fa, titoli come Norma ricorrevano per più stagioni e in più teatri in Italia e nel resto del mondo (con cast che, se letti oggi, fanno commuovere e sembrano davvero delle favole, dei miti), mentre oggi gli stessi titoli appaiono in via d’estinzione? E c’è chi si ostina a parlare, oggi, di età dell’oro del canto! Come se i quattro berci che servono ad eseguire uno Janacek à la page o un Britten o un Wagner “epurato” dal buon canto, bastassero a far gridare a chissà quali miracoli… Titolo ormai sparito, si diceva, eppure il Circuito Lirico Lombardo – con i consueti mezzi scarsi o scarsissimi – decide di inserire Norma in un cartellone presentato, secondo un sistema di turnazione, a Cremona, Como, Pavia, Brescia (e pure Pisa e Trento), per una dozzina recite in 3 mesi, tutte affidate, incoscientemente, al medesimo cast (salvo per Adalgisa). Manco fossimo negli anni d’oro della Callas! Ammirevole sforzo di volontà, dunque, da premiare oppure avventato esercizio velleitario? Testimonianza di una salutare ostinazione artistica (che dimostrerebbe quanto si possa fare, anche con poco) o “passo più lungo della gamba” da parte di chi sa già in partenza di non potere e volere far di meglio? Direi, alla fine, semplicemente hýbris, come dicevano gli antichi greci… Già, perché l’indulgenza solita, doverosa nel momento in cui si giudica una produzione “di provincia” (che unisce oltre alla consueta scarsità di mezzi, una dignità, spesso, non riscontrabile altrove), il merito dato all’impegno, il plauso agli sforzi immani nel cercare di rappresentare uno spettacolo quantomeno dignitoso e in cui gli stessi artisti dimostrano di credervi, non possono in alcun modo giustificare l’improvvisazione! Se non si dispone di molti mezzi, vi è un mare di altri titoli, alla portata di ugole e bacchette con evidenti problemi tecnici e musicali. Ma che senso ha, e che servizio si può fare alla cultura, al teatro, al pubblico pagante, al Bellini buonanima, affidare a Silvia Dalla Benetta il ruolo della sacerdotessa druida, palesemente non alla sua portata: una voce piccola, acida, gonfiata nei centri per simulare un corpo altrimenti inesistente ed un’autorità soltanto da immaginare, che regala un grottesco Casta Diva, in perenne debito d'ossigeno (e come spesso accade in casi simili, tirato a lento dagli sconsiderati tempi dell'insipiente bacchetta), che ghermisce ogni acuto sbiancando un timbro già insipido, che indulge in mezzi parlati ed effettacci veristi, che in nessun modo è in grado di rendere la dimensione sacrale e autoritaria del personaggio? Come si può affidare il baritenorile ruolo di Pollione ad un Francesco Anile sguaiato, stonato, volgare, che canta solo di gola e che bercia i pochi acuti che la parte gli impone, con voce malferma e incontrollata nel centro e con bassi esangui? Per tacere della Adalgisa di Alessandra Palomba: sotto la soglia della decenza. I duetti con Norma erano un'autentico strazio! Giusto l'Oroveso di Luca Tittoto si salva, ma credo per demeriti altrui più che per virtù proprie. Inqualificabile la direzione di Daniele Rustioni: pesante, grezza, volgarissima (spesso sembrava di essere ad una padanissima sagra della salsiccia), con tempi incoerenti, veloci e lenti nei momenti sbagliati. Orchestra priva di controllo, dalle entrate sporche e scombinate e dalle frequentissime stonature: inqualificabile quella del flauto nell'introduzione di Casta Diva (e pensare che la stessa orchestra aveva dato impressione diametralmente opposta nella precedente Figlia del Reggimento). Tagli da anni '50 (tutti i da capo, diverse code orchestrali, parte dei cori). Regia assente (ognuno sul palco faceva un pò quel che gli pareva) e scene di grande bruttezza (ridicolo lo scudo di Irminsul - formato parmigiano appeso - che suona senza essere sfiorato). Assolutamente inspiegabile il successo di pubblico: vien da pensare che la gente, alla fine (e non solo in campo musicale), ha quel che si merita.
Come spiegare altrimenti, il fatto per cui sino a 50 anni fa, titoli come Norma ricorrevano per più stagioni e in più teatri in Italia e nel resto del mondo (con cast che, se letti oggi, fanno commuovere e sembrano davvero delle favole, dei miti), mentre oggi gli stessi titoli appaiono in via d’estinzione? E c’è chi si ostina a parlare, oggi, di età dell’oro del canto! Come se i quattro berci che servono ad eseguire uno Janacek à la page o un Britten o un Wagner “epurato” dal buon canto, bastassero a far gridare a chissà quali miracoli… Titolo ormai sparito, si diceva, eppure il Circuito Lirico Lombardo – con i consueti mezzi scarsi o scarsissimi – decide di inserire Norma in un cartellone presentato, secondo un sistema di turnazione, a Cremona, Como, Pavia, Brescia (e pure Pisa e Trento), per una dozzina recite in 3 mesi, tutte affidate, incoscientemente, al medesimo cast (salvo per Adalgisa). Manco fossimo negli anni d’oro della Callas! Ammirevole sforzo di volontà, dunque, da premiare oppure avventato esercizio velleitario? Testimonianza di una salutare ostinazione artistica (che dimostrerebbe quanto si possa fare, anche con poco) o “passo più lungo della gamba” da parte di chi sa già in partenza di non potere e volere far di meglio? Direi, alla fine, semplicemente hýbris, come dicevano gli antichi greci… Già, perché l’indulgenza solita, doverosa nel momento in cui si giudica una produzione “di provincia” (che unisce oltre alla consueta scarsità di mezzi, una dignità, spesso, non riscontrabile altrove), il merito dato all’impegno, il plauso agli sforzi immani nel cercare di rappresentare uno spettacolo quantomeno dignitoso e in cui gli stessi artisti dimostrano di credervi, non possono in alcun modo giustificare l’improvvisazione! Se non si dispone di molti mezzi, vi è un mare di altri titoli, alla portata di ugole e bacchette con evidenti problemi tecnici e musicali. Ma che senso ha, e che servizio si può fare alla cultura, al teatro, al pubblico pagante, al Bellini buonanima, affidare a Silvia Dalla Benetta il ruolo della sacerdotessa druida, palesemente non alla sua portata: una voce piccola, acida, gonfiata nei centri per simulare un corpo altrimenti inesistente ed un’autorità soltanto da immaginare, che regala un grottesco Casta Diva, in perenne debito d'ossigeno (e come spesso accade in casi simili, tirato a lento dagli sconsiderati tempi dell'insipiente bacchetta), che ghermisce ogni acuto sbiancando un timbro già insipido, che indulge in mezzi parlati ed effettacci veristi, che in nessun modo è in grado di rendere la dimensione sacrale e autoritaria del personaggio? Come si può affidare il baritenorile ruolo di Pollione ad un Francesco Anile sguaiato, stonato, volgare, che canta solo di gola e che bercia i pochi acuti che la parte gli impone, con voce malferma e incontrollata nel centro e con bassi esangui? Per tacere della Adalgisa di Alessandra Palomba: sotto la soglia della decenza. I duetti con Norma erano un'autentico strazio! Giusto l'Oroveso di Luca Tittoto si salva, ma credo per demeriti altrui più che per virtù proprie. Inqualificabile la direzione di Daniele Rustioni: pesante, grezza, volgarissima (spesso sembrava di essere ad una padanissima sagra della salsiccia), con tempi incoerenti, veloci e lenti nei momenti sbagliati. Orchestra priva di controllo, dalle entrate sporche e scombinate e dalle frequentissime stonature: inqualificabile quella del flauto nell'introduzione di Casta Diva (e pensare che la stessa orchestra aveva dato impressione diametralmente opposta nella precedente Figlia del Reggimento). Tagli da anni '50 (tutti i da capo, diverse code orchestrali, parte dei cori). Regia assente (ognuno sul palco faceva un pò quel che gli pareva) e scene di grande bruttezza (ridicolo lo scudo di Irminsul - formato parmigiano appeso - che suona senza essere sfiorato). Assolutamente inspiegabile il successo di pubblico: vien da pensare che la gente, alla fine (e non solo in campo musicale), ha quel che si merita.
11 commenti:
proprio in questi giorni stavo riprendendo alcuni ascolti di norma, in particolare quella della sills e della gencer, interpretazioni tanto vituperate, anche da certa critica (vedi L' opera in CD e video. Guida all'ascolto di tutte le opere liriche
Autore Giudici Elvio). ma io mi sono detto: vabbè che non siamo proprio davanti al ruolo di riferimento siamo tutti d'accordo, ma almeno le signore cantavano, anche senza per forza lasciare il segno... senza fare del revisionismo storico, però almeno allora quando si cantava si cantava e basta...
(PS. ma questo chi è?!?!)
chi è javier fuentes? Un cecilio bartoli sorto dalla folta schiera di coloro che credono il teatro d'opera un gigantesco cage aux folles.
credo che Norma sia una parte talmente complessa, perchè grande era la protagonista della prima, che possa stare a soprani di caratteristiche differenti. Scontato questo. Ciascuna privilegia un aspetto. In sede di assoluto revisionismo devo anche dire che l'ascolto di una edizione napoletana (1952 Maria Pedrini protagonista) paradigma della Norma pre Callase in raffronto con la Norma di Torino 1975 (Renata Scotto debuttante nel title role) rende l'idea che la parte impone soprani di un certo colore e di un certo tonnellaggio. E' solo un pensiero a voce alta
ciao dd
infatti, di tonnellaggio si tratta come dici bene tu, donzelli. ma allora nascono legittimi dubbi circa la preparazione in termini di cultura musicale dei cantanti odierni: ma a chi salterebbe in mente, sapendo di essere giovane e quasi sconosciuta, di interpretare norma? mah...
facciamo un po' di conti come ama farli gualerzi o i suoi seguaci. La callas debuttò norma a 25 anni, ne aveva 32 la cigna (allora era la piena maturità) e la debuttò a vigevano, 27 la ponselle, tralasciamo i 24 di giulia grisi o i 23, credo della malibran.
Da ultimo l'Anitona della lirica ne aveva 25.
Un cantante tecnicamente rodata che abbia voce e disposizione di voce al genere lirico spinto può se canta con la giusta cautela e non si fa prendere la mano convivere almeno tre lustri con la sacerdotessa belliniana.
prima o poi credo ci prenderemo la briga di esaminare anche tutte le norme. Segnalo subito una dolorosa mancanza: Frieda Leider, che vestì, emula di Lilli Lehmann i panni della sacerdotessa a Berlino molte volte negli anni '20.
ciao dd
numeri alla mano, hai ragione! non mi ero reso conto in efetti della "precocità" delle norme passate... comunque torno a dire che un po' di cautela nell'approcciare un titolo così mi sembra doverosa...
cos'è questa porcata?
un uomo che canta Norma? ma come si permette?
perché il fatto che esista una letteratura e una vocalità controtenorile, con alcuni degni e grandi rappresentanti, debba far sentire autorizzati all'esistenza i sopranisti e i contraltisti che poi fanno ste schifezze e fanno sembrare anche i controtenori ridicoli poi ?
non mi capaciterò mai di cosa possano essere capaci.
Immenso Ftha per curiosità guarda il repertorio di questo sopranista.
http://www.javierfuentes.net/repertoire.html
certo sarebbe veramente osceno vedere una recita intera di Norma cantata da un sacerdote,invece della sacerdotessa,come la mettiamo con Pollione? e i figli chi l'ha fatti?...
Eheheheheh
Una leggenda ci narra che il basso-baritono Antonio Tamburini durante una rappresentazione di "Elisa e Claudio" di Mercadante a Palermo, iniziò a cantare in "falsetto" per contrastare il vociare molesto di un pubblico indisciplinato che non gli permetteva di interpretare al meglio il personaggio di Arnoldo.
Il pubblico rimase talmente colpito dalla padronanza con cui Tamburini utilizzava questo particolare registro da scatenare l'entusiasmo del pubblico che invece iniziò a contestare aspramente il soprano, evidentemente meno dotato, Caterina Lipparini (famosa per aver creato il ruolo di protagonista dell'opera "Otto mesi in due ore" di Donizetti), la quale furibonda lasciò recita e teatro.
Tamburini per ovviare al problema dell'abbandono della primadonna, indossò il costume di quest'ultima e cantò la parte di Elisa, riuscendo nel virtuosismo di "duettare con se stesso" cantando contemporanemente nel duetto tra Arnoldo ed Elisa sia da basso-baritono che da soprano!!!
Smacco per la Lipparini e travolgente il successo del pubblico che obbligò l'artista a ballare addirittura con le mitiche Taglioni e Rinaldini.
Nacque così l'idea di Mamma Agata, baritono, per le "Convenienze ed inconvenienze teatrali" donizettiane...sempre secondo la leggenda!
Dubito che Fuentes sia capace di una simile impresa, per quanto mitica, visto come "canta"...
Mi spiace per la Dalla Benetta, che la natura avrebbe destinato a ruoli molto, ma molto meno impegnativi di Norma (o anche Gulnara, o Giselda, o Gilda, o Semiramide che vedo nel suo repertorio), ma che si ostina a cantare.
La sua Gilda modenese con Nucci e Hong fu calamitosa e il ricordo che ho della sua voce collima con la descrizione che ne ha fatto Duprez nella sua recensione.
Marianne Brandt
ASLICO ha un grande coraggio presentare certe opere come le presentano e rappresentano. Certo è considerata "provincia" e su questo non ci piove. Ma finché è Don Pasquale, Elisir, Bohéme ecc, ecc. con la scusa di far debuttare giovani...
Comunque beccano sovvenzioni statali, regionali, comunali ecc ecc. Poi c'è il concorso con bando ufficiale ecc ecc. Soldi soldi soldi. Qualcuno deve pagare orchestra, solisti, coro, allestimenti, registi, tecnici, trasferte, ecc, ecc.
Poi, scusate il cambio argomento...
Se uno ha una voce in categoria spinto, drammatico, ecc, ecc, e SA CANTARE con una tecnica studiata alla giusta età DEVE iniziare debuttare ruoli "adatti" verso una certa età. L'errore rimane nel dire che devono cantare Rossini, Donizetti, ecc, ecc, finché non siano pronti cantare il loro repertorio, per tenere la voce "leggera".
Balle!
Devono inziare la "palestra" muscolare per poi essere pronti affrontare le loro opere per il resto della loro vita! Se no, tenendoli sempre lontani dal loro vero repertorio si rovinano definitivamente!
Il segreto sta nel fatto che devono sapere come cantare e devono conoscere bene le loro voci magari avendo un insegnante di canto (NON un'agente, un "manager", un direttore artistico, ecc, ecc...) che li consiglia sul da fare o NON da fare!
Ah, è un discorso lungo da fare ma allo stesso momento semplice. Ognuno deve cantare con la propria voce non imitando la voce di altri. 'na parola... et cetera, et cetera.
Ho finito per ora!
Ero presente alla recita di ieri sera e concordo assolutamente con la recensione di Duprez: nonostante il clima natalizio ho avuto l'impressione che si trattasse di uno scherzo di carnevale! Ma i direttori artistici non si vergognano?
avete totalmente ragione....sconvolgente che questa signora con quella voce ben educata ma francamente sgradevole si avvicini a certo repertorio. e poi non capisco come si possa dire emergente una cantante di quasi 40 anni...se non ha avuto successo fino ad ora, di certo vorrà dire qualcosa
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