
Nuova e lussuosa produzione firmata Jean-Louis Martinoty, solita ambientazione atemporale con richiami settecenteschi, qualche forzatura e una scena finale ben gestita (anche se donna Elvira agghindata da Suor Sorriso poteva esserci risparmiata).
Quanto ai singoli artisti, li elenchiamo in ordine crescente di decoro dimostrato e di conseguente meritata attenzione.
I divi d’Arcangelo ed Esposito, padrone e servo, si rifanno alle caccole e all’approssimazione dei Raimondi e dei Corena, senza peraltro possederne la "canna" vocale. D’Arcangelo canta con voce bitumata, larga ma non ampia né sonora (l’orchestra lo sommerge ad esempio nel finale I e nella scena della dannazione), sfalsettante a ogni tentativo di nuance (serenata). Esposito, voce da baritono brillante prestata a un ruolo da basso vero (inesistente il sostegno armonico offerto dal cantante negli ensemble, fin dall’introduzione), sfoggia nell’aria del catalogo il catalogo, appunto, dei propri malvezzi: suoni nasali e malfermi in acuto, difficoltà nel legato, parlati e cachinni indegni di un teatro di provincia. Misteri dello star system.
Altro mistero è come possano i Wiener Philharmoniker risultare svogliati e poco amalgamati in una partitura che dovrebbero conoscere anche capovolta. Inutile attendersi brio e colori da Franz Welser-Möst, neo Generalmusikdirektor del Teatro, ma almeno andare a tempo! Ottimi, per contro, i solisti in scena nei due finali.
Ulteriore mistero e rinnovate riflessioni impone la prova di Albert Dohmen, reputato specialista wagneriano, quale Commendatore. Prova che risulta illuminante circa il livello del canto wagneriano, specializzato e specializzando, di oggi. Quando erano affidati alle cure di cantanti wagneriani, ma non solo, del calibro di Journet o List, i Commendatori mostravano altra diginità, sia da vivi che da morti.
Ildikó Raimondi quale Elvira sostituiva praticamente all’ultimo Roxana Constantinescu, spartita dal cartellone dopo le prime recite (la première, trasmessa dalla radio austriaca, può forse illuminare in proposito). Ci asteniamo da commenti, se non per rilevare che l’intonazione non dovrebbe costituire un tratto negoziabile, a qualunque stadio della preparazione di un ruolo.
Saimir Pirgu si rifà agli Ottavio languidi e linfatici di certa tradizione deteriore, che però sfoggiavano di solito maggiore dolcezza e minore titubanza sul passaggio di registro.
Sylvia Schwartz è la classica Zerlina formato soubrette, garbata ma non sempre corretta sotto il profilo dell’intonazione. Se imparasse a respirare correttamente, ne trarrebbe sicuro giovamento. Anche Adam Plachetka (Masetto), la voce più omogenea e l’interprete più misurato del cast, potrebbe risultare maggiormente sonoro e quindi più incisivo se appoggiasse con maggiore costanza ed evitasse oscuramenti artificiali del timbro. Le premesse per una carriera ci sono, a ogni modo.
Sally Matthews porta assai bene il lutto ed è una voce, per gli standard odierni. Non è un soprano drammatico, ma oggi le donn’Anna di questo tipo sono rarissime, per non dire estinte. Le manca, per risultare convincente, una tecnica che le consenta di non gridare sul secondo passaggio (recitativo della scoperta del cadavere del padre), di cantare piano senza sfalsettare, di non emettere suoni tubati (Rachen-Arie) e di evitare scivolate d’intonazione (picchettati sul la naturale nel rondo). Come e più che per Plachetka, auguriamo anche a lei una pausa di riflessione. Salutare per tutti, in primis per gli addetti alla gestione delle voci, massime giovani.
Gli ascolti
Mozart - Don Giovanni
Atto I
Ma qual mai s'offre, o Dèi...Fuggi, crudele, fuggi - Maria Reining & Julius Patzak (1936)
Madamina, il catalogo è questo - Georg Hahn (1936)
Ah fuggi il traditor - Ilva Ligabue (1970)
Fin ch'han dal vino - Karl Hammes (1936)
Atto II
Vedrai carino - Mafalda Favero (1941)