L’ultimo numero della rivista Classic Voice, propone – annunciata sin dalla copertina – un’intervista “doppia” alla coppia Dessay & Pirgu, in occasione dell’imminente debutto della diva nei panni di Violetta Valery, tra i cactus di Santa Fe, New Mexico, e con il tenore albanese nel ruolo dell’amato Alfredo. Le domande, invero, non oltrepassano mai quel limbo di superficialità e banalità tipico di siffatte occasioni, a mezza via tra il celebrativo (della star) e il promozionale (dell’evento), tuttavia la lettura risulta abbastanza interessante e – relativamente ad alcune dichiarazioni del soprano francese – sorprendente.
A domanda circa l’esistenza di una o più tecniche di canto, infatti, la Dessay risponde testualmente: “Penso che esista una sola tecnica; ma siccome le voci sono diverse, i risultati possono variare. La tecnica standard è quella italiana, con la voce che si espande salendo. Consente la massima flessibilità nella più ampia gamma di repertorio”.
E ora? Non era la stessa Dessay a sostenere che non fosse necessario cantare in maschera e che quella italiana fosse solo una tecnica e nemmeno la più importante (e comunque non quella adatta per il barocco filologizzato)? Non era proprio lei ad essere additata – in certi ambienti – come la “campionessa” di un altro modo di cantare “più moderno, più alla moda, più internazionale” rispetto alla provinciale e reazionaria scuola italiana (che solo “biechi e ottusi” passatisti - usi a imperversare loggioni che taluni vorrebbero normalizzati - si ostinerebbero ancora a considerare condicio sine qua non di ogni repertorio, e additati, per questa ostinazione, ad esclusivi colpevoli dell'assenza dei pretesi big del canto dai palcoscenici nazionali)? Forse una revisione tardiva di certe posizioni che tanto sono à la page nel mondo musicale francese (vittima più di altri delle odierne manie baroccare), dovuta, magari, al fatto che lontana dal patrio suol non è più costretta ad assecondarne i dogmi e i deliri (per ottenere gli applausi della critica d’oltralpe - e di certa critica nostrana che nasconde il proprio isterismo con senili conversioni e incoerenze)? O forse si è resa conto che – in un momento “difficile” della sua carriera (non per mancanza di successo, ma per necessario ripensamento di repertorio) – proprio nella perfezione di quella tecnica – tanto trattata, sino all'altro ieri, con sufficienza e irrisione – vi è l’unica e possibile cura a certi problemi vocali, che nemmeno i fans più ortodossi fingono più di non sentire (e quella tecnica la Dessay, prima di cadere vittima dei suoi stessi pregiudizi, la padroneggiava come poche cantanti del presente)? Oppure si tratta di una captatio benevolentiae nei confronti di quell’ambiente liquidato da taluni con il termine “vociomane” (in accezione spregiativa, s'intende), in vista dell'azzardato debutto in Traviata e dell’inevitabile strascico di polemiche, discussioni e “battaglie” che tale debutto necessariamente comporterà? O forse una nuova maturazione, dovuta al tempo che passa e alle ultime esperienze canore: deludenti rispetto alle aspettative – e di ciò la prima ad esserne conscia non può che essere la Dessay stessa? Comunque sia, qualunque siano le motivazioni recondite o palesi, se in mala o buona fede, se per calcolo opportunistico o umile sincerità, stavolta la diva si merita un applauso a scena aperta, con lancio di rose e richiesta di bis!
Gli ascolti
Auber - Manon
Atto I
Bourbonnaise (C'est l'histoire amoureuse) - Adelina Patti (1895)
A domanda circa l’esistenza di una o più tecniche di canto, infatti, la Dessay risponde testualmente: “Penso che esista una sola tecnica; ma siccome le voci sono diverse, i risultati possono variare. La tecnica standard è quella italiana, con la voce che si espande salendo. Consente la massima flessibilità nella più ampia gamma di repertorio”.
E ora? Non era la stessa Dessay a sostenere che non fosse necessario cantare in maschera e che quella italiana fosse solo una tecnica e nemmeno la più importante (e comunque non quella adatta per il barocco filologizzato)? Non era proprio lei ad essere additata – in certi ambienti – come la “campionessa” di un altro modo di cantare “più moderno, più alla moda, più internazionale” rispetto alla provinciale e reazionaria scuola italiana (che solo “biechi e ottusi” passatisti - usi a imperversare loggioni che taluni vorrebbero normalizzati - si ostinerebbero ancora a considerare condicio sine qua non di ogni repertorio, e additati, per questa ostinazione, ad esclusivi colpevoli dell'assenza dei pretesi big del canto dai palcoscenici nazionali)? Forse una revisione tardiva di certe posizioni che tanto sono à la page nel mondo musicale francese (vittima più di altri delle odierne manie baroccare), dovuta, magari, al fatto che lontana dal patrio suol non è più costretta ad assecondarne i dogmi e i deliri (per ottenere gli applausi della critica d’oltralpe - e di certa critica nostrana che nasconde il proprio isterismo con senili conversioni e incoerenze)? O forse si è resa conto che – in un momento “difficile” della sua carriera (non per mancanza di successo, ma per necessario ripensamento di repertorio) – proprio nella perfezione di quella tecnica – tanto trattata, sino all'altro ieri, con sufficienza e irrisione – vi è l’unica e possibile cura a certi problemi vocali, che nemmeno i fans più ortodossi fingono più di non sentire (e quella tecnica la Dessay, prima di cadere vittima dei suoi stessi pregiudizi, la padroneggiava come poche cantanti del presente)? Oppure si tratta di una captatio benevolentiae nei confronti di quell’ambiente liquidato da taluni con il termine “vociomane” (in accezione spregiativa, s'intende), in vista dell'azzardato debutto in Traviata e dell’inevitabile strascico di polemiche, discussioni e “battaglie” che tale debutto necessariamente comporterà? O forse una nuova maturazione, dovuta al tempo che passa e alle ultime esperienze canore: deludenti rispetto alle aspettative – e di ciò la prima ad esserne conscia non può che essere la Dessay stessa? Comunque sia, qualunque siano le motivazioni recondite o palesi, se in mala o buona fede, se per calcolo opportunistico o umile sincerità, stavolta la diva si merita un applauso a scena aperta, con lancio di rose e richiesta di bis!
Gli ascolti
Auber - Manon
Atto I
Bourbonnaise (C'est l'histoire amoureuse) - Adelina Patti (1895)
7 commenti:
Mi sento di dover riportare una delle tante dichiarazioni in merito della signora, a che non si dica che volutamente fraintendiamo et consimilia...
"In Francia sino a qualche anno fa c'era l'abitudine di cantare nella masque, nella maschera, nel naso.....E' sbagliato e poi a me non piace neanche. Io cerco di cantare sempre più nel corpo,sempre più giù, giù, giù, fino ai piedi.E' un modo di cantare che a calore alla voce. MA solo con lo studio si raggiunge questo obbiettivo. Lavoro, fatica,sono le mia parole d'ordine......."
da "Lyrica", agosto 1997, pg 21
Possiamo altresì commentare che gli esiti del suo studio in effetti si sono visti, in voce e malanni accessori e derivati da queste teorie. A mettersi la voce sotto ai piedi c'è riuscita perfettamente, perchè ora pare una corda da bucato lisa. Vedremo se e come farà ora a riportarla nella maschera....
Ma cosa vuoi che riporti nella maschera! La Dessay non sapeva nemmeno quello che diceva nella dichiarazione che tu quì citi dalla rivista Lyrica comme non sapeva quello che diceva nella recente intervista. La Dessay sproloquia e delira, parla a vanvera, oggi dice una cosa e domani il suo contrario. E' lunatica come è lunatico il suo modo di cantare.
Mi sembrano giudizi privi di fondamento. La Dessay piace sempre e comunque. Puo' essere considerata un fenomeno discografico ma nel repertorio francese rimane inimitabile ed apprezzata dai numerosissimi fan.
"La Dessay piace sempre e comunque."
Ma a chi?
"nel repertorio francese rimane inimitabile ed apprezzata dai numerosissimi fan"
Beati loro.
Noi preferiamo Vina Bovy, Mado Robin e Renée Doria.
Si, mi scusi, non mi sono espressa bene, piace sempre e comunque ai suoi numerosi fans che ne apprezzano la voce e la capacità interpretativa, il fraseggio e anche la bellezza. Anzi, aggiungo che, personalmente, la trovo gradevole anche nel repertorio italiano, con la sua tecnica e la sua particolarità di emissione. Naturalmente è un parere squisitamente personale, mio, e penso di condividerlo con i fans (che sono proprio numerosi dal numero delle vendite discografiche, la Sig.ra Dessay infatti ha venduto e vende moltissimo. Naturalmente posso essere additata di non capirci nulla di canto lirico, anche se sono diplomata in canto e pianoforte, la mia è una pura e squisita scelta di gusto personale. Grazie.
Ma anche i fan, se hanno le orecchie e un minimo di onestà intellettuale, devono riconoscere che la Dessay di oggi ha poco che spartire con quella di quindici anni fa, la cantante che dal vivo arrivava a toccare il la bemolle sovracuto (Contes d'Hoffmann a Lione), mentre invece oggi, dal la acuto in su, sono solo urla, e non sempre intonate... e tacciamo del registro basso inesistente e del legato precario in fascia centrale. Le testimonianze, in studio e live, non mancano. Con la voce ridotta così, anche l'interpretazione più sconvolgente rimane allo stato di abbozzo. Posto che comunque un'interpretazione come quella della recente Sonnambula al Met, tutta sospiri e mossette (ascoltare - e vedere - per credere i video di Youtube), è il contrario di un'interpretazione sconvolgente.
Il fatto che la signora venda moltissimo, è più che altro titolo di merito per la sua casa discografica, che promuove al meglio l'immagine della cantante.
Non ho avuto l'occasione, purtroppo, di ascoltare dal vivo la Sig.ra al Met, nella Sonnambula e dai vari video in circolazione si puo' intuire che sta prendendo confidenza con un repertorio diverso dal genere vocale che l'ha resa famosa in tutto il mondo per la particolarità con cui riusciva a destreggiare il registro sovracuto, e mi riferisco non solo tecnicamente ma anche scenicamente e ancor di piu' nel fraseggio. Le parti estreme di coloratura infatti spesso e volentieri riscontrano fraseggi di comodo che non sempre sono fedeli alla volontà del compositore, e questo accade soprattutto in interpreti del genere dei primi anni del novecento. Personalmente preferisco la Dessay a certe interpretazioni di puro carattere personale che si discostano da cioò che è scritto. Devo pero' ammettere che la Sig.ra Dessay mi sembra tuttavia lontana dal portare in scena una Sonnambula al Met, "tutta sospiri e mossette" ( bisognerebbe approfondire la scelta registica in merito, forse).
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