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domenica 20 marzo 2011

I Vespri Siciliani a Torino

Quando un governo afferma ripetutamente di voler riconoscere e premiare il merito individuale, quindi di essere contrario a finanziamenti distribuiti a pioggia che non attuino dei distinguo nell’operato di chi amministra, dovrebbe dare alle proprie enunciazioni anche una conseguente realizzazione nei fatti per essere credibile. Con i tagli al Fus si sono operate drastiche riduzioni delle possibilità di fare per tutti i teatri italiani, con limitatissime eccezioni individuate in realtà di grande fama internazionale. Giusto o sbagliato che sia, il principio guida adottato dal governo resta, per noi melomani, evidentemente in contrasto con le enunciazioni di principio, diversamente il Teatro Regio di Torino avrebbe dovuto essere la realtà prima italiana premiata per i fatti concreti e non per l’altisonanza del nome.


E’ tradizione che nel nostro paese quando si arrivi al momento di riconoscere a questo o a quello delle virtù superiori scattino tutta una serie di meccanismi da cui non riusciamo a liberarci causa l’abitudine antica a pensarla in un certo modo, dalle paure per le polemiche alle rivendicazioni sindacali o di parte, dai vincoli politici al sentito dire consolidato, ora pure la “logica del nome”, per cui di fatto si afferma sempre la legge del più forte (che non è sempre il migliore), l’agognata meritocrazia finisce chiusa nell’armadio e del meritevole tutti si scordano.
Eppure se si vuole che qualcosa cambi nel disastro generale, perché un segnale occorre darlo non solo al pubblico ma anche a chi i teatri gestisce, occorre premiare chi all’interno delle regole, uguali per tutti i teatri al nord come al sud, ha fatto meglio, senza creare scandalose voragini milionarie e riuscendo a mantenere un certo livello medio degli spettacoli.
La richiesta generica di ricolmare i tagli al Fus da parte di intellettuali e maestranze è lecita ma forse inattuabile nella realtà della nostra economia, perciò destinata a restare lettera morta, proclama retorico in favore della cultura minata dalle fredde leggi dell’economia. Forse lo è meno fare eccezione per chi è stato effettivamente virtuoso, riconoscendo ciò che il pubblico abituale dell’opera ha percepito con chiarezza dal teatro piemontese. Forse non sarebbe retorico e nemmeno eccezionale ma doverosa e giusta individuazione e premio per comportamenti non dico esemplari o perfetti, ma senz’altro migliori di altri tenuti in altri teatri, come ancora lo spettacolo di ieri sera, tutt’altro perfetto, ha dimostrato.
Smettiamo di fare eccezioni o di investire sempre sui potenti spreconi e cominciamo a farlo, al di là delle logiche politiche, per chi merita, per chi ha fatto meglio, per chi ha evidentemente saputo metterci qualcosa di più in ogni produzione, perché coro ed orchestra del Regio, dopo tanto Boris, tanto Parsifal e tanti Vespri possono ben stare orgogliosi a braccia alzate sulla scena, come hanno fatto alla recita del Parsifal cui ho assistito.
Ed anche con il forfait della diva protagonista ieri sera, il Regio è riuscito ad allestire uno dei must più difficili di Verdi e ad uscire dalla difficile prova con onore e dignità, allestendo una produzione funzionante sul piano musicale anche se non perfetta.

In primo luogo, i cantanti. Come finalmente ha detto apertamente il maestro Noseda nell’intervista radiofonica, senza cantanti l’opera non si fa, la buca da sola può suonare fin che vuole, ma se non si canta sulla scena, non si va da nessuna parte. Finalmente, ripeto, dato che i direttori d’orchestra moderni, non appena maturano una certa fama e notorietà, si fanno prendere dalla sindrome del “basto io..”: Noseda ha almeno riconosciuto che le cose non stanno così, e questo fa piacere.
Trovare interpreti all’altezza di uno spartito come i Vespri siciliani è sempre stata impresa difficilissima, perché soprattutto quelli di soprano e tenore sono due ruoli monstre della storia della vocalità. E mentre possiamo enumerare alcune straordinarie interpreti di Elena, sul ruolo di Arrigo conosciamo interpreti meno felici e famosissimi….assenti. E proprio sul ruolo di Arrigo Torino ha fatto la scommessa più azzardata della produzione, rivolgendosi fuori dal novero delle voci che normalmente praticano Verdi. Ha privilegiato l’esperienza ed un bagaglio tecnico oggi ignoto ai tenori verdiani, rischiando sul peso specifico e, soprattutto, sull’età del tenore prescelto. Già, perché i Vespri, oltre che pesanti sul piano drammatico per un ex contraltino rossiniano ( …oggi oramai tuttologo a tutti gli effetti ), hanno nella lunghezza smisurata una delle maggiori componenti di difficoltà della parte. Gregory Kunde, come abbiamo udito a Bergamo, soffre e mostra la corda e l’età se canta tessiture orizzontali di grande ampiezza, ma si trasforma, o meglio, maschera certi suoi odierni difetti legati alla lunghissima carriera, laddove la scrittura si muove e si impenna, come già nel Tell immediatamente successivo al Poliuto ( e potremmo riaprire la discussione su Nourrit Poliuto che sospendemmo per ritmo di blog ma…..). A meno della scena “Giorno di pianto”, centrale e per lui visibilmente faticosa ( impeccabile però l’esecuzione agitata della chiusa, ove i tenori di solito inciampano ), ha retto la parte con una scioltezza invidiabile ed impressionante se si considerano, poi, la sua natura vocale e la sua età, trovando anche accenti giusti ed una esecuzione precisa e mai brada. Qualche stonatura e/o forzatura in certi momenti come al duetto del II atto con Elena, nell’”Addio mia patria”, passaggi con certe sue legnosità sentite altre volte, ma nel complesso una prova impressionante, soprattutto al tremendo quarto atto. Il timbro è il solito, ma la perizia, facilità e la sicurezza esibite nella serata, Siciliana compresa, mi paiono dimostrare ….che i belcantisti di ieri erano cantanti incomparabili sul piano tecnico con quelli delle generazioni successive. Complimenti davvero.

Sostituta del secondo soprano originariamente prescelto, Tamar Iveri, e sostituta all’ultimo della titolare Rodvanovsky ( le protagoniste designate in origine non hanno smentito il pronostico che facemmo a settembre, all'epoca della presentazione della stagione, contrariamente a Gregory Kunde ), Maria Agresta ha stupito, andando oltre le aspettative. Non ho mai sentito questa cantante in teatro, e parlo per mero ascolto radiofonico. Ha gestito una parte che richiede una voce di peso ed estensione maggiori alla sua, che è meramente lirica, con pertinenza e bell’aplomb musicale, cercando sempre di non essere piatta ma di fraseggiare, come nell’”Arrigo, ah parli un core”. I suoi momenti migliori sono stati quelli in zona centro alta, gestiti con facilità nel passaggio superiore ( anche nel finale dell’”Arrigo, ah parli…” ha cercato le smorzature, non perfettamente riuscite ma comunque provate per cantare come si deve cantare il passo… ), meno in tessitura grave ove sul primo passaggio la voce non gira. Frasi davvero infelici quelle di petto e sguaiate precedenti l’aria nella scena del carcere ( e che Noseda avrebbe dovuto moderare ), meno sgradevoli certi passaggi nell’entrata, di scrittura assai grave, eseguita con compostezza. Però, pur con un mezzo leggero e forse nemmeno abbastanza ampio, è andata fino alla fine con sicurezza, si è ben disbrigata nel Bolero ( …senza trilli ), ha retto il peso dei concertati, il “Patria adorata” soprattutto, che spetta ad Elena tirare, anche con un centro spesso non perfettamente “coperto.” Sarò stata benevolente ieri sera, ma ho trovato serietà in questo approccio da parte di chi si è trovata in pole position in una simile occasione e con un simile ruolo. E non ho potuto fare a meno di pensare al recente Verdi festival, in cui la signora Agresta ha cantato senza esiti una Odabella che non dovrebbe cantare, mentre con Elena ieri sera ha voluto farci pensare di essere stata il miglior soprano passato da Parma da settembre ad oggi. Paradosso o realtà, stabilitelo voi.

Meno bene Procida e Monforte. Ildar Adbrazakov è un cantante per natura composto e statico, dalla voce bella ma non ampia e ricca. Ha dato vita ad un Procida corretto, ma incolore, per nulla statuario, perché vero basso di ampleur da Verdi non è. Nell’aria, infatti, ha anche forzato la voce per darle un corpo che non ha, ma è stato un canto innaturale e, per forza di cose, piatto, sempre forte. Quando il personaggio deve svettare, come nel concertato “Addio mia patria”, il basso russo non svetta, resta inerte, anche perché in alto la voce non ha proiezione.

Orribile Franco Vassallo. Ha un mezzo naturale di qualità ragguardevole, ma canta muggendo, dando di naso, digrignando il suono di continuo, gli acuti indietro. Ne è uscito un Monforte truculento, becero…una sventura per le orecchie cui il maestro Noseda avrebbe dovuto dire qualcosa, un suggerimento di moderazione. Spiace, in un mondo senza baritoni, che le poche voci di qualità siano gestite con siffatti limiti tecnici e, soprattutto, culturali, perché alla base di questo modo di intendere il canto in corda di baritono c’è un consolidato gusto deteriore. Eppure i dischi di Tagliabue, di McNeill, di Bruson, ma anche degli Zanasi etc sono disponibili in commercio, ed affrancherebbero questi cantanti, almeno in parte, dalla tradizione stile Carroli, Gavanelli.etc.. E starebbe anche alle bacchette dire loro qualcosa, come i Serafin o i Mitroupulos sapevano fare con i beceri incalliti alla Guelfi…

Gianandra Noseda ha diretto bene, assai meglio della Traviata dell’anno passato. Più a suo agio in una partitura di questo tipo, ha diretto con sicurezza, bello stacco di tempi, tensione drammaturgica, bel suono. Non mi è piaciuto nella seconda parte del secondo atto, quella che segue il duetto Elena Arrigo, e all’ingresso del quinto, cioè nelle scene di colore, prive di quelle suggestioni cromatiche tipiche del Grand’Operà e, soprattutto nel secondo atto, davvero pesante. Però ha dato un bel nerbo alle scene d’assieme come al preludio, ed ha accompagnato bene il canto ( forse un po’ lento per i cantanti la sezione centrale del duetto Arrigo Monforte..). Tutto però è stato diretto con sicurezza evidente, senza scollamenti, e conferendo all’opera la giusta cifra senza astrusità, fracasso, etc. Senza tante parole o annunci, una bella e convincente direzione di un maestro italiano più bravo che sponsorizzato.

Della retorica di Livermore, che ha profittato degli osannanti telecronisti Rai per scagliarsi contro i cosiddetti puristi e la loro supposta "voglia di alabarda" (sic), non voglio dire nulla. Ha scelto la via della lettura politica di un testo che ha un soggetto politico, quindi un'idea che in astratto aveva perfettamente senso. Concepire un'idea è cosa diversa dal fatto di poterla e saperla sviluppare. La realizzazione pratica mi è parsa più un omaggio alla nostra storia recente (omaggio connesso alle celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia) che non una effettiva rilettura d’attualità dei Vespri siciliani, che il regista ha dovuto forzare, e non poco, per infilarci dentro la propria visione, cadendo per giunta nei soliti cliché, ma, sopratutto, nell'ideologica equiparazione di un invasore straniero alla mafia: vespri siciliani e mafia anche sul piano storico nulla hanno in comune. Un esempio, poi, fra i molti possibili di abuso di chichè frusti e decotti, quello relativo al ruolo dei media : Elena canta il Bolero seguendo il "gobbo" e attorniata da ballerine che sembrano uscite da uno show di Renzo Arbore. Una idea così forte da risultare forzata, a tratti grottesca e involuta (i cattivi con la mascherina color carne, il finale che vorrebbe essere simbolico ed è solo raffazzonato e sbrigativo). Resta uno spettacolo a se stante, che però con il clima, le atmosfere e certi significati fortemente ottocenteschi insiti nei Vespri poco c’azzecca, per non dire che confligge apertamente. Ma l’occasione in cui la produzione ha avuto luogo era fortemente celebrativa, densa di significati attuali assai pregnanti, dunque, data l’occasione va bene così, ne accettiamo la retorica ma anche la superficialità ed i luoghi comuni. A condizione di non riscoprirli, identici a se medesimi, nella prossima regia, magari gluckiana o pucciniana.




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martedì 29 giugno 2010

Stagioni 2010-11: Regio di Torino e Verdi Festival

Modello di efficienza teatrale italiana, il Teatro Regio di Torino ha già pubblicato la sua stagione 2010-11 in anticipo sugli altri teatri di pari livello. Il Regio di Parma, da parte sua, ha reso nota da qualche giorno, con una conferenza stampa romana, i titoli del Verdi festival autunnale. Commentiamo insieme le due stagioni perché quella sabauda contempla, di fatto, una sorta di mini festival Verdi al proprio interno, annoverando ben tre titoli del maestro di Busseto su sette produzioni in cartellone.

Come ben sapete, non siamo soliti indagare i perché alla base delle scelte dei titoli, ragioni artistiche e culturali ispirate da celebrazioni, progetti di scambio, disponibilità di cantanti etc. Fautori dell’antico principio che le scelte dei titoli debbano maturare attorno alle personalità dei cantanti disponibili ed alle loro caratteristiche vocali, riteniamo comunque degno qualunque principio muova una direzione artistica, a patto che dìa luogo a spettacoli in grado di funzionare.
Quello dell’allestimento di opere verdiane è problema senza soluzione, legato alla carenza di cantanti, di alcune corde in particolare, che ormai paiono estinte. Si va in scena consapevolmente zoppi nei cast, perché Verdi è un must del repertorio e non se ne potrebbe accettare la dismissione come accadde, tra la fine del XIX e gli inizi XX secolo, per certi autori o certi titoli fondamentali del repertorio belcantista e del Grand-Opéra.

Colpisce la presenza da entrambe le parti un titolo raro e difficilissimo da allestire, come i Vespri Siciliani, di fianco ai più comuni Rigoletto e Traviata Torino, Trovatore ed Attila a Parma.
Sempre di target popolare gli altri titoli torinesi, dal Boris inaugurale nella versione senza l’atto polacco, Butterfly, Parsifal e la Lucia di chiusura.
Nelle corde di basso osserviamo la dura realtà del mercato delle voci: o buoni cantanti delle generazioni recenti, come il bravo signor Adbrazakov, Procida torinese, ma di scarso peso ed ampiezza per forza di natura vocale, come pure il meno quotato signor Anastassov su Boris, oppure anziani cantanti blasonati ma senescenti, come Kurt Rydl Titurel/ Gurnemanz. Idem dicasi per i baritoni, dove forse la qualità media espressa è ulteriormente inferiore a quella dei bassi, con il senescente Nucci sul Monforte di Parma, oppure giovani di scarsa ampiezza vocale, come il signor Vassallo sul Rigoletto ed il Monforte torinesi, o il signor Capitanucci su Germont, se non addirittura inadeguati per ragioni stilistiche, come il signor Sgura sul Conte di Luna. Si canta in modo sempre più ingolato, ci si è adattati alle voci gravi maschili fibrose, spesse ed indietro, direi che si addirittura maturato un moderno gusto per questo tipo di canto e così, pian piano, si è arrivati a non avere più sul mercato cantanti dotati della necessaria ampiezza, oltre che morbidezza e capacità di sfumare, idonee al repertorio verdiano e non solo. Comunque si scelga, non si riesce più ad essere all’altezza dei requisiti della parte.

Con le voci acute maschili và forse un fio meglio, ma la razionalità non pare governare tutte le scelte, in Verdi soprattutto. Il signor Alvarez torna a Parma per la terza volta nel volgere di pochi anni come Manrico. Ha sempre mancato di squillo e di vera eleganza nel fraseggio, ma, sebbene un po’usurato dalle scelte di repertorio degli ultimi anni, non sarà certo di molto al di sotto delle sue performances passate. Diversi, invece, i casi del signor Kunde e del signor Armiliato sull’Arrigo dei Vespri, il primo perché in debito di smalto, di intonazione in zona di passaggio, oltre che di vero accento verdiano ( ma se la ricorda la figuraccia di Chris Merritt a Milano??); il secondo perché manifestamente usurato nelle prove recenti di Genova ( la facile Tosca ) e di Wien ( la centrale ma pesante Forza ). Follia dei cantanti o disperazione delle direzioni artistiche? Scelte confortate più dall’esito del pubblico che da vera idoneità ai ruoli o vera qualità artistica, invece, quelle di tenori come il signor Secco o il signor Terranova in Verdi, piuttosto che del sign. Meli quale Edgardo: assenza di fantasia e di capacità propositiva, piuttosto una tendenza a fare della ruotine che garantisca il teatro da incidenti.

Ci son però corde, come quella dei soprani, ove sarebbe ancora possibile, al contrario, maturare scelte oculate ed appropriate, e non errori marchiani.
La sig Radvanovsky, con buona pace del suo nome d’agenzia, sta sulla Elena torinese in virtù dell’ormai antica performance parigina e non per le sue attuali virtù vocali, delle quali peraltro ha dato prova ( stonata e fissa )in quel di Genova un paio di stagioni or sono. Si alterna poi con una improbabile signora Iveri, dalla voce piccola, priva dei gravi come degli acuti, di capacità acrobatiche ignote e che al massimo potrà sfarfalleggiare leggiadra per lo spartito. In quel di Parma, peraltro, si aggirerà per la scena, quale Elena, l’ombra di una grande cantante al capolinea ( non me ne voglia la signora Dessì, che molto stimo ma…), dalla voce ormai compromessa oltre misura, pergiunta in una parte che richiede estensione, capacità di fraseggio e virtuosismo. Questo è caso assai diverso dal precedente, perché di diversa caratura è la cantante in questione, ma l’età vocale è qualcosa che non si può vincere o nascondere in eterno. E quello di mettere il pubblico davanti a grandi cantanti del passato, chiedendo l’applauso di stima e di affetto, e non per merito artistico ( vero Leitmotiv del cast del Vespri parmigiani ), non è ricetta poi così onesta... verso Verdi in primis.
La suggestione del nome come della fama mediatica influenza evidentemente le direzioni artistiche in misura palpabile. La signora Fantini, oggi senza dubbio la migliore Aida, Leonora di Vargas ed Elisabetta di Valois in circolazione ( e metto nel conto pure le star di agenzia signore Urmana e Stemme ) viene con poca avvedutezza collocata sulla Leonora del Trovatore, parte di vocalità assai diversa da quelle che la signora è solita praticare, tutta incentrata sul canto aereo e strumentale in acuto e fiorettature ostiche in punta di forchetta ( e che la signora, dal canto suo, ha accettato per rientrare su un mercato in cui le spetterebbe un suo spazio dati i soprani "spinti", soprattutto quelli che non ho nominato, che lo animano.. ), perché sulle future Forza e Aida invernali pare proprio già stiano la medesime e meno qualificate signore Dessì e Carosi. Scelte che non si possono certo mettere all’insegna dell’aver opzionato il meglio disponibile in commercio, ma solo della mancanza di riflessione sulle effettive performances vocali delle cantanti in questione. Per giunta su ruoli verdiani, in quel di Parma, laddove tutto è incentrato sulla conservazione della tradizione del canto verdiano e la valorizzazione degli artisti più capaci e specializzati in questo repertorio.
Della stessa suggestione del nome, in questo caso di quelli cosiddetti “d’agenzia”, soffre anche la stagione torinese. Oltre alla suddetta sign. Iveri, si propone la Violetta della sig Kurzak, soprano leggero di nessuna speciale attrattiva tecnica, timbrica e dpersonalità. Si esibisce nei più grandi teatri del mondo, certo, ma non è che nell’universo dei soprano leggeri sia cantante tale da dispensare l’impeccabile e gelida arte di una Devia o la straordinaria emotività ed espressività di una Sills…Idem dicasi per la signora Hui He, che della sua grande voce di qualche anno fa non ha poi saputo farsene gran chè, alla luce del tempo che passa, e per la quale forse non valeva la pena allestire questo titolo che della protagonista vive. Alla solida routìne che potranno offrire in coppia la signora Mosuc ed il signor Meli inLucia, tale da garantire il certo successo della produzione al pari della Traviata u.s., non mi pare che i due cast di Rigoletto e Traviata annoverino nomi in grado di assumere su di sé l’onere della serata e traghettarla in porto felicemente. Il signor Armiliato è bacchetta brava e saggia, ma, si sa, la bacchetta da sola non può nulla in quei titoli. La sola piccola curiosità sarà vedere cosa combinerà la signora Lungu alle prese con i graziosi picchettati e staccati di Gilda.
Quanto al Parsifal ed al Boris, la cui versione monca ci ha francamente un po’ stancato per i motivi che vi abbiamo altrove illustrato, osserviamo la presenza della signora Marianelli, nel piccolo ruolo di Ksenjia, dopo i dimenticati “fasti” delle Fiorille di qualche anno fa: le carriere da “gambero” non ci piacciono, nonostante noi si passi per cattivi. Noi lo scrivemmo ma…nessuno ci ascoltò.
Tra le bacchette, incuriosiscono il signor De Billy alle prese con Parsifal, il signor Noseda alle prese, oltre che con il suo amato Boris, con la gestione dei problemi vocali e drammaturgici del cast del Vespri; il signor Temirkanov nel Trovatore parmigiano…se apparirà in teatro.
Circa gli allestimenti, non dirò nulla. Come sapete, poco ci interessano, e non parlarne sarà la nostra forma di rimostranza contro lo strapotere degli allestitori ed i loro insostenibili costi.

http://www.teatroregio.torino.it/stagione/2010-2011

http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html?id=75435&pagename=129





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