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mercoledì 17 agosto 2011

Seduzione al convento. Seconda puntata: le veriste

Il secondo gruppo di seduttrici al convento di san Sulpizio fa sorgere il dubbio che tutte anche Licia Albanese che, pure canta in lingua originale, in realtà approdino a qualche santuario nostrano, sia ad esempio l’abbazia di Pomposa per la ferrarese Mafalda Favero, sia Chiaravalle per la Petrella o San Giovanni Rotondo per Licia Albanese. Per certi versi fa eccezione Adelaide Saraceni, argentina, che proveniva dalle fila dei soprani leggeri.

E’ italiano e consono al gusto del tempo fra il 1930 ed il 1950 l’accento di tutte queste Manon. L’idea di fondo è una situazione scenica di grande e dichiarato erotismo.
Non che le interpreti francesi esulino da questa idea, semplicemente la esprimono differentemente come cantanti italiane o di scuola e carriera italiana faranno nel periodo successivo. I nomi di Raina Kabaiwanska e Madga Olivero si impongono.
Trattando di queste Manon con Tamburini abbiamo più volte pensato che le grandi assenti o meglio il tassello che manca a documentare la storia dell’interpretazione di Manon in Italia siano le registrazioni della seduzione della Storchio e della Carelli.
Entrambe celeberrime interpreti, ma la Storchio praticava, a detta dei contemporanei e da quel poco che documentano le registrazioni, un canto elegante e attento ad evitare esagitazioni. Basta leggere quello che nella propria autobiografia scrive la Toti, che studiò o quanto meno passò la parte con la Storchio medesima e che le avrebbe suggerito di evitare le esagitazioni di altre interpreti (facile pensare alla Favero) coeve. Per contro basta leggere in “voci parellele” i riferimenti di Lauri Volpi a certi suggerimenti della Carelli, che era la direttrice, ritirata da tempo, del Costanzi dove il giovane tenore affrontò l’abate des Grieux in compagnia di Rosina Storchio, prossima alla fine della carriera.
Alle prese con la scena della seduzione della Manon entrambe le cantanti hanno un rapporto conflittuale con i segni di espressione e di dinamica previsti dall’autore.
Forse l’anno anche con un corretto passaggio di registro inferiore a sentire i suoni o aperti o afoni della Albanese nel recitativo accompagnato che precede l’ingresso di Des Grieux . La voce non è messa bene al centro soprattutto nella zona do4 mi 4 e la voce suona magra e vuota. Nella stessa zona Mafalda Favero suona più aperta, ma il timbro è assai più ricco e sontuoso.
A cominciare dalla fase iniziale "Oui c'est moi" che prevede un diminuendo sul sibem do centrale di "moi" sino al "c’est moi" conclusivo, che previsto nella zona la – sol, dà luogo, in entrambe le cantanti, ad un bel suono di petto.
Nella frase "Oui je fus cruelle" (in italiano “si cruda fui e son spietata”) di tutte le indicazioni è rispettata solo quella di crescendo, in entrambi i casi con copioso sfoggio voce. I "dolce", "rallentando" e "diminuendo" sono travolti dalla foga erotica di Manon. Il famoso "temperamento". Non dimentichiamo che Licia Albanese era alunna della Baldassarre Tedeschi, una delle più "autorevoli" Manon della propria generazione.
L’indicazione " avec des larmes" di "hélas, hélas" è resa nel senso più naturale del termine.
Quando Manon attacca la sezione clou della seduzione il "n’est plus ma main" e Massenet prescrive "avec charme" Licia Albanese, almeno, esibisce voce dolce e accento castigato e rispetta alcune indicazioni di stentando, ma il do centrale di “ecoutez moi” è la perfetta rappresentazione del suonaccio di petto del soprano verista, che esibisce temperamento e foga, anche perché nella zona centrale il timbro della Albanese suona piuttosto secco ed acidulo. Mafalda Favero, assolutamente estroversa, opta per un concetto di charme per nulla aderente al senso che abbiamo di questa parola anche se il timbro della cantante di Ferrara è spontaneamente rotondo e il tempo molto più lento ed indugiante staccato giova all’esecuzione e compensa l’eccesso di estroversione. Arrivate la tre quartine vocalizzate, che dovrebbero rendere l'ansimo di Manon, la Favero è precisa nell’esecuzione, mentre l’Albanese pasticcia. Il rallentando finale" n’est plus Manon" che dovrebbe essere l’espressione dell’estenuato erotismo è eliminato in entrambe le esecuzioni, ma il "ff" previsto c’è tutto. E puntuale scatta l’applauso del pubblico. Manon ha colpito e travolto non solo Des Grieux, ma e soprattutto il pubblico.
Completano questa passerella di Manon “veriste” (le virgolette, con quelle che abbiamo udito negli ultimi giorni in riva all’Adriatico, sono doverose) due celebri e celebrate interpreti, con quella di Massenet, della Manon di Puccini, Adelaide Saraceni e Clara Petrella. Donne avvenenti, dotate di sufficiente presenza scenica per incarnare una peccatrice irredenta credibile anche sotto il profilo scenico. Eppure nel loro canto non sentiamo se non in misura ridotta gli stridori, le disuguaglianze, la fatica immane del canto, che caratterizza tante presunte belcantiste del nostro presente. Sentiamo semmai un canto un poco meno vario e ispirato, se paragonato a quello ben altrimenti espressivo di una Favero, ma ad esempio nella frase “Sì crudele fui e spietata”, con attacco sul fabem4 e discesa al fabem3 la voce della Petrella non accusa “buchi” di sorta e nella sezione che comincia “La tua non è la mano che mi tocca” la Saraceni smorza con grande facilità il fa4 di “tocca” (nota spesso disagevole per quei soprani, che non posseggano un perfetto controllo del passaggio superiore) e lo stesso vale per il sol4 di “la mia bocca”, mentre le indicazioni di “pianissimo” su “Non mi odi più” e “Scordato hai tu” sono rispettate e realizzate con una voce di grande dolcezza, davvero ammaliante, tanto che è facile comprendere la repentina caduta del Des Grieux di turno. Impressionano poi le libertà agogiche e, nello specifico, il gioco dei rubati, che amplifica il dettato dell’autore in una visione che assegna all’interprete un ruolo di primo piano nella scansione delle frasi musicale, spesso ridotte a enunciazioni metronomiche, che privano la pagina di ogni possibile dissoluto fascino. Ancora, la Saraceni osserva con maggiore puntualità le forcelle previste (ad esempio su “deh mi guarda” con salita dal do centrale al la4) e sfoggia una maggiore saldezza in zona acuta, laddove la Petrella esibisce qualche suono un poco duro, salvo poi riscattarsi con un’ampiezza nella fascia medio-grave (si ascolti “Negare a me potresti il tuo perdon”: sol3), che realizza compiutamente l’idea di una Manon più esperta mondana che ingenua ex collegiale. Scontato poi osservare come entrambe le signore optino, in chiusa, per la soluzione acuta, salendo a un sibem4 facile e saldo quanto il resto delle rispettive gamme vocali. E non è poco, se si considera che né la Petrella né la Saraceni furono considerate, ai loro tempi, cantanti e tanto meno interpreti di primaria grandezza. Oggi, Manon così protervamente sensuali e al tempo stesso insinuanti, delicate ed esperite nell’arte della seduzione (così come un Des Grieux splendidamente cantato e dagli acuti svettanti e protervi, come quello che Ferruccio Tagliavini oppone alla Petrella) coglierebbero trionfi epocali e nessuno potrebbe insinuare il dubbio che quella di Massenet sia, come certe di Rossini, una partitura debole e poco ispirata.
Domenico Donzelli ed Antonio Tamburini.


Gli ascolti

Massenet - Manon


Atto III

Toi! Vous!...N'est-ce plus ma main

Adelaide Saraceni & Piero Pauli (1933)

Mafalda Favero & Beniamino Gigli (1937)

Licia Albanese & Giuseppe di Stefano (1951)

Clara Petrella & Ferruccio Tagliavini (1955)

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martedì 19 luglio 2011

Seduzione al convento. Prima puntata: lacerti di seduzione.

Dopo il prologo donzelliano, abbiamo scelto di affidare la prima puntata di "Seduzione al convento", dedicata alle Manon più "antiche", a un affezionato lettore del nostro Corriere, che per l'occasione depone i panni dell'acuto e intransigente polemista per iniziare a rivestire quelli del critico e studioso della vocalità. Non meno acuto e altrettanto intransigente. E' con gioia che cediamo la parola a Giambattista Mancini.

La prima rappresentazione di Manon, all’Opéra-Comique nel gennaio del 1884, vide nei panni della protagonista il soprano belga Marie Heilbron (1851-1886), allieva di Duprez, voce lirica con buone qualità sceniche ed attoriali. La cantante, che nel ’67 aveva creato all’Opéra-Comique un altro ruolo massenettiano ne La grand’tante, si trovava ora, tornata sulle scene dopo un temporaneo ritiro, a fare da rimpiazzo alla prima scelta di Massenet, impedita all’ultimo momento da alcuni intralci contrattuali. Nondimeno, la fisionomia definitiva di Manon si sarebbe delineata solo di lì a qualche anno, quando, già morta la giovane Heilbron, il compositore incontrò il soprano californiano Sybil Sanderson (1864-1903), per cui la parte subì alcune alterazioni poi incorporate nell’edizione definitiva. La collaborazione tra i due fu proficua, e proseguì con la creazione dei title roles in Esclarmonde e Thaïs. Formatasi nella prestigiosa scuola parigina di Mathilde Marchesi, la Sanderson possedeva una voce cristallina, ben versata nell’agilità e fornita di una grandissima estensione, unita ad intense doti d’interprete.
A questo modello originale di soprano massenettiano pre-verista, si riferisce l’ascolto qui proposto della svedese Sigrid Arnoldson (1861-1943), che incide la scena della seduzione di Saint-Sulpice nel 1910, anno in cui, imminente il ritiro, la voce attraversava già un certo declino. Come la Sanderson, anche la Arnoldson – istruita inizialmente a Stoccolma dal padre tenore - si perfezionò a Parigi con Mathilde Marchesi, studiando anche con il pianista ed impresario Moritz Strakosch (colui che trent’anni prima aveva lanciato la carriera della giovanissima allieva nonché cognata Adelina Patti, in America). La Marchesi, allieva del Garcia, come insegnante si era fatta portavoce in tempi romantici della tecnica di canto classica, licenziando allievi in grado di affrontare i repertori più disparati. Soprano d’agilità tendente al lirico, soprannominata dalla critica “the new Swedish Nightingale” per la somiglianza con la grande Jenny Lind (altra famosa allieva del Garcia), la Arnoldson cantava abitualmente opere come Barbiere, Don Giovanni (Zerlina), Lakmé, Ugonotti (Margherita di Valois), Mignon, Traviata, Faust, Roméo. L’assolo di Manon nel duetto di Saint-Sulpice, brano di carattere lirico, fa risaltare non solo l’impeccabile e virtuosa esecutrice, ma anche le qualità dell’interprete, evidenziando come il cantare secondo le regole non comporti affatto l’appiattimento dell’espressione ad un freddo accademismo, e dimostrando anzi come solo nel rispetto delle buone maniere vocali possa pienamente realizzarsi quanto scritto sullo spartito e voluto dal compositore. Le frasi larghe ed appassionate che introducono il “N’est-ce plus ma main”, imperniate su di una tessitura centrale in cui emergono le parabole in zona medio acuta (sentire la metafora del volo dell’augel), sono scandite con suono intenso ma sempre controllato, accento partecipe pur senza eccessi, colori appropriati, oltreché con minuzioso rispetto delle forcelle e dei rallentando, rappresentando in modo convincente e sfaccettato il rimorso di una giovane donna che chiede perdono con costernazione quasi pletorica, probabilmente già intuendo che l’amante non potrà resistere alla tentazione di tanta seduzione. La voce, che all’epoca dell’incisione non possedeva più l’estensione e la freschezza timbrica giovanili, conserva ancora un colore molto morbido, appare sicura al centro e ben timbrata in zona grave (la discesa al re in prima ottava, nota di puro petto, è vellutata, senza crepe), facile nella salita agli acuti, pur viziati da un principio di fissità (sicuramente accentuata dalla tecnica primitiva della riproduzione). La seduzione vera e propria è cantata con un uso accorto e strumentale dei portamenti a discendere, sfruttati a fini espressivi ove le legature di frase lo consentono, onde suggerire un maggior richiamo sensuale; l’articolazione fluida e sul fiato della parola (in un francese impeccabile, scioltissimo) le consente un legato di qualità strumentale che disegna una linea di canto molto pulita, in cui il gioco delle pause, dei rallentando e delle note ritenute, dei continui crescendo e diminuendo, degli accenti e dei respiri, si sviluppa con infallibile quadratura musicale. Molto efficace, e senza una minima ombra di caricatura, è l’uso dei diversi registri e dell’effetto “chiaro-scuro” nello sbalzo dalla zona medio-acuta ai fa centrali ribattuti (sulle parole “Rappelle toi…” ed “Ecoute moi”) mentre si ravvisa la pregevole abilità della virtuosa quando il climax della seduzione giunge al culmine, sull’attacco scoperto del SI bemolle di “N’est-ce plus ma voix”, fatto precedere da un mezzo respiro come scritto in partitura, e preso senza portamento o acciaccatura, con un suono di testa precisissimo, dolce e cristallino. Quella della Arnoldson, senza essere un’interpretazione di quelle che fanno la storia, è prima di tutto una lezione esemplare di stile sobrio e fedeltà al testo, scevra da manierismi, effettacci e bamboleggiamenti vari. Avremmo gradito solo un impiego di tempi più insinuanti e carezzevoli, ed un ricorso più marcato al rubato, il che sarebbe bastato a fare di questa Manon una più sensuale adescatrice, meno gentildonna compita.
Con i primi decenni del Novecento verrà tuttavia a delinearsi un approccio interpretativo – nel dramma musicale verista in primis, e al contempo nel repertorio lyrique e pucciniano – diverso rispetto allo stile che caratterizzò i primissimi esecutori di quei repertori, legati ancora ai principi tecnici e stilistici ottocenteschi. Il modello che fece scuola fu quello di Emma Carelli - che a sua volta si inseriva sul solco tracciato dalla vessillifera Bellincioni – mentre cantanti come Hariclea Darclée (erede delle prime donne ottocentesche, accostatasi al repertorio lirico e verista ma sempre lontana dalle realizzazioni impetuose delle autentiche veriste) non segnarono nessuna tendenza.

Troviamo tutti gli stilemi di questa nuova vocalità nell’incisione di Giuseppina Baldassarre-Tedeschi (1881-1961), appartenente a quella schiera di soprani lirici e lirico-spinti che si specializzarono in un repertorio misto tra il Verismo, Puccini e l’opéra lyrique, seguendo ed esasperando le formule interpretative venute in auge con la Carelli. Sentiamo quindi la scansione incisiva della parola e l’accentazione marcata (con conseguente depauperamento del legato), il fraseggio aggressivo, tagliente ed insinuante (con frequenti sconfinamenti nell’effetto plateale, come ad esempio sulle parole “non mi scacciar, non mi scordar”, in cui la ricerca esasperata di un suono e di un accento realisti produce un effetto quasi caricaturale), le inflessioni aperte e bamboleggianti nel registro grave e centrale, l’abuso dei suoni di petto (sentire la voce poitrinée nella discesa al RE su “ai vetri del verone”), l’emissione costantemente tesa, forzata e talvolta sguaiata, i martellamenti sui primi acuti (il SI bemolle è ghermito con veemenza quasi brutale), il piglio generalmente aggressivo. E’ una Manon assatanata, esageratamente sensuale, tanto da risultare rozza e plateale, soprattutto nel confronto con il Des Grieux del tenore Manfredi Polverosi, stilisticamente e vocalmente assai più garbato. Una Manon unidimensionale, che con la sua violenta concitazione e la sua immediata passionalità esprime un amore di natura esclusivamente carnale, privo di dolcezza e di sentimentalità. E’ bene però precisare che pur nel sovvertimento, per ragioni stilistiche ed espressive, delle buone maniere vocali, il canto della Baldassarre-Tedeschi è comunque retto da una salda preparazione di fondo, tale da consentirle talune efficaci effusioni belcantistiche (il LA acuto in pianissimo di “negli occhi miei sì pieni un dì d’incanto”, oppure i brevi vocalizzi, snocciolati con perfetto slancio e mordente).

Sulla medesima falsariga si pone la versione di Florica Cristoforeanu (1887-1960), soprano romeno che prima di passare al registro mezzosopranile affrontò il repertorio del soprano lirico-spinto (Tosca, Butterfly, Fedora, Adriana ecc.). L’incisione si segnala soprattutto per la presenza dell’ottimo Des Grieux del giovane Giovanni Malipiero, un rappresentante della scuola vocale pre-verista, in grado di reggere senza sforzo il peso orchestrale, la tessitura tesa e il carattere veemente del quadro di Saint-Sulpice. La Cristoforeanu mostra suoni aperti e sguaiati in basso (soprattutto sulla vocale “a”), un suono vibrante, intensissimo, tagliente, soprattutto negli scatti repentini verso la zona acuta (assordante la salita al la bemolle acuto ritenuto di “con ala disperata”), un fraseggio ansimante e singhiozzante che non rispetta i respiri scritti sullo spartito ma almeno evita le esagerazioni plateali della Baldassarre-Tedeschi.

Tutt’altro tipo di Verismo è quello della cagliaritana Carmen Melis (1885-1967), oggi ricordata quasi esclusivamente per essere stata la maestra di Renata Tebaldi, ma in effetti autentica belcantista per formazione tecnica (era stata allieva di Cotogni e di J. de Reszke), cantante-attrice dalla voce tendente al lirico o lirico-spinto, specialista del repertorio pucciniano e della giovane scuola. Il suo è un Verismo che guarda più al sentimentalismo larmoyant di una Rosina Storchio, anziché alla concitazione ansante di una Carelli, un verismo languido ed elegante, in cui si esprime benissimo la vena intimistica del dramma borghese massenettiano. La sua incisione dell’acme della scena di St-Sulpice si pone a nostro giudizio quale assoluto paradigma di espressività, gusto e stile. La dizione è scanditissima ma non intacca la bellezza della linea di canto e la naturale dolcezza di un timbro capace di flettersi a squisite colorazioni chiaroscurali da pastello; l’accento ed il fraseggio, pur commossi e partecipi e talvolta addirittura brucianti, sono sempre pertinenti e non sfociano mai nella forzatura plateale, risultando pertanto assai credibili e variegati. Il tempo indugiante, il marcato ricorso al rubato, gli stessi silenzi nelle pause e nei respiri tentennanti, sprigionano una forte carica di erotismo e sensualità. Perfetto è il gioco dei pianissimi e dei rinforzamenti, dei portamenti strascicati e delle legature, in una linea essenziale, pulita ed intrinsecamente espressiva poiché scevra da qualsiasi forzatura di suono o d’accento. Tra quelle qui proposte, questa è l’unica interpretazione di Manon che riesca ad esprimere in modo del tutto compiuto sia il carattere voluttuoso, raffinato ed insinuante della giovane cortigiana, sia la sentimentalità della donna innamorata, sinceramente triste e pentita. Qui davvero è il caso di dire, utilizzando quella frase altrove così abusata, che sembra di sentire cantare la parte per la prima volta.

Giambattista Mancini


Gli ascolti

Massenet - Manon


Atto III

Toi! Vous!...N'est-ce plus ma main

Sigrid Arnoldson (1910)

Giuseppina Baldassarre Tedeschi & Manfredi Polverosi (1922)

Carmen Melis (1926)

Florica Cristoforeanu & Giovanni Malipiero (1930)

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giovedì 16 giugno 2011

Seduzione al convento. Prologo

Al convento di San Sulpizio, dove un giovane e, si presume, avvenente ragazzo ha deciso, ben conscio di quel che abbandona pronunciando i voti, giunge una donna, anzi una ragazza di diciasette anni, considerata già una delle più affascinanti di Parigi e decisa più che mai a strappare l’abate des Grieux, suo ex amante alla vita consacrata. Quello che accade è facilmente intuibile perché dinnanzi alla rievocazione dell’amore la vocazione alla vita consacrata si dissolve ed il giovane ritorna alla sconsiderata vita con la giovane ben più scriteriata e sconsiderata di lui.

La scena di San Sulpizio è nel capolavoro di Massenet la più drammatica e pregnante. Prima di sentirla dal vivo mi è stata raccontata e da chi aveva avuto la fortuna -credo intorno al 1918, ossia all’età di Manon- ed il privilegio di vederla cantata e prima ancora recitata ed interpretata da Rosina Storchio.
Consideriamo quale significato di assoluto ed autentico peccato potesse assumera, allora più di oggi, la profferta amorosa di una donna giovane, ma non più rispettabile, in un parlatorio di un convento e rivolta ad un novizio.
La narratrice, non più giovane, ma molto compresa dello spirito di Manon non poteva che, con gli occhi luccicanti, soffermarsi e accennare con la voce rotta dall’emozione del ricordo le frasi salienti della seduzione “non ha per te più baci la mia bocca “non son più Manon”.
Anche nella traduzione gli intenti non lasciano spazio a nessuna fantasia tanto meno se la nostra pia dama precisava che la Manon era in ginocchio (anzi in ginougiouni, perchè la narrazione avveniva in milanese) e culminava con la frase “lu el tira via el coularin “ e canta “io vivo per te solo “ e “ el va via cun le” . Il peccato la perdizione il richiamo dell’amore nella forma più esplicita aveva trionfato in spregio della sacralità del luogo e dell’abito di des Grieux.
Il racconto rende l’esatta percezione che il pubblico italiano della prima metà del novecento della scena di san Sulpizio come una seduzione di intensità e peccaminosità pari a quelle di Carmen e Dalila. Possiamo anche aggiungere che talune interpreti molto in voga nella prima metà del novecento incrementassero il tasso di erotismo del personaggio trasformandola da scriteriata e sconsiderata ragazzina che non si ferma dinnanzi alla scelta dell’ex amante in esperta e navigata meretrice, magari non adolescenziale nell’aspetto e nella voce.
Questo serve quale spunto di riflessione perché dal giugno 2011 al giugno 2012 abbiamo deciso di proporre una cospicua serie di scene della seduzione, passando dal convento della Madonna degli Angeli, spagnolo paradigma del luogo di espiazione e conversione a quello di San Sulpizio, francese, dove espiazione e conversione vengono presto abbandonate.
La discografia è veramente ricca perché quello di San Sulpizio è, fra i quattro duetti degli innamorati, il più completo sotto il profilo musicale, drammatico e vocale, tanto che l’assolo di Manon “la mia non è la mano” è stato anche registrato ai primordi del fonografo quale brano a sé stante e come tale, vista la fama delle esecutrici viene, infatti, proposto. Come spesso accade nel repertorio francese valicare le Alpi ovvero attraversare la Manica significava traduzione ed applicazione degli stilemi e dei gusti dell’opera italiana e per opera italiana negli anni ’90 dell’ottocento poteva significare incontro con il Verismo. Utilizzo la formula dubitativa perché se da un lato l’eroina in terra italiana incontrò la patrone del Verismo ovvero Emma Carelli, dall’altro incontrò anche e soprattutto Rosina Storchio. Di entrambe mancano le registrazioni della scena di San Sulpizio. Emma Carelli ha, però, inciso l’aria del secondo atto il “picciol desco”.
Non è conservato alcunchè della Storchio. Possiamo, però, dalla autobiografia di Toti dal Monte, che “passò” la parte con il soprano mantovano avere una testimonianza dell’idea interpretativa della Manon italiana più famosa del primo ventennio del XIX secolo e poi, intendiamoci, fra le affermazioni di castigatezza di canto e la realizzazione pratica ne corre non poco, tenuto conto che eleganza, castigatezza possono avere realizzazioni differenti nel tempo. Certo Giuseppina Baldassarre Tedeschi, Licia Albanese e sopra tutte Mafalda Favero sono l’incarnazione della Manon carnale, verista assatanata di des Grieux, ma non sono la sola realizzazione del personaggio posta in essere in quel periodo. Lo insegnano le realizzazioni anche dell’età della pietra del fonografo perché basta sentire Sigrid Arnoldson per avere una Manon forse un poco compita, forse un po’ gran dama, ma che smentisce che la Manon sofferente e per sbaglio zoccola sia un’invenzione degli ultimi anni. E l’ascolto delle registrazioni antiche smentisce ancor più la faciloneria ed ignoranza oggi di prassi fra critica e pubblico; Carmen Melis esemplifica come una diva verista, con vizi e vezzi del verismo, adusa a titoli ben più onerosi della eroina massenetiana, possa essere dolce, raffinata e sensualissima al tempo stesso.
Buona perversione a san Sulpizio.



Massenet - Manon

Atto II


Allons, il le faut...Adieu, notre petite table - Emma Carelli (1904)


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mercoledì 5 novembre 2008

Il soprano prima della Callas, terza puntata: Mafalda Favero e Licia Albanese. Ripensamenti

Dopo l’ascolto delle registrazioni, vuoi in studio vuoi pirata, di Mafalda Favero e Licia Albanese forse un po’ di revisionismo ci può anche stare. O almeno un ripensamento, tenuto conto delle prestazioni che incensate dive oggi spacciano al pubblico.
Intendiamoci bene né la Favero, la Mafalda per il pubblico scaligero, nè l’Albanese possono essere assunte a distanza di settant’anni circa dal loro debutto come modelli di canto e di stile.

Per l’attacco della Favero, Manon, seduttrice nel convento di San Sulpizio, anche ascoltando la registrazione del 1937 aggettivi quale verista, sguaiata e censure sui suoni aperti al centro sono lecite ed ammissibili. Le osservazioni sono analoghe per la Violetta di Licia Albanese, nonostante l’accompagnamento di Toscanini. E non è il caso di scomodare due autentiche fuoriclasse coma l’Olivero (di poco più giovane) o Claudia Muzio per esemplificare differenza di tecnica e di gusto.
Però furono due assolute celebrità, colonne portanti la Favero della Scala e la Albanese del Met, applauditissime e graditissime secondo il gusto del tempo. Quel gusto che le stesse cantanti o le loro coetanee solevano sintetizzare nella frase " noi sì che eravamo tutte temperamento" con ciò contrapponendosi alle esecuzioni, a loro giudizio, gelide, distaccate e scolastiche delle dive del post Callas. Avessero ascoltato chi le aveva precedute, ad esempio una Farneti, una Storchio, ma anche una Farrar, avrebbero dovuto rivedere il proprio giudizio. Ma è risaputo il cantante d’opera tende alla propria mitizzazione, anche se non posso fare a meno di ricordare la Favero nel ridotto della platea della Scala che ad un giovinetto, che si scioglieva in elogi per la sua Manon (era stata pubblicata da poco quella del debutto scaligero di Di Stefano) sorridente disse: "io trovo che Mirella Freni sia la più grande in Manon".
Furono, quindi, immagini del gusto imperante al loro tempo nel genere del soprano lirico. Come lo saranno nel genere spinto la Caniglia e la Milanov ed in quello drammatico la Cigna.
Protagoniste assolute: la Favero, dopo il debutto nel 1926 con Liù e il tradizionale rodaggio in provincia, provincia che, però, comprendeva teatri allora difficili come Parma, debuttò in Scala nel 1930 e vi rimase sino alla stagione 1949-’50. Di poco successivo il ritiro dalle scene avvenuto nel 1953.
Ridotta la carriera internazionale. La Favero cantò al Covent Garden nel '38 il ruolo di Liù e al Met si trattò di toccata e fuga con due recite di Mimì nel 1938, cui si devono aggiungere apparizioni in Sud America prima del secondo conflitto mondiale ed in Spagna dopo gli eventi bellici.
Almeno per un decennio il repertorio della Favero fu quello del soprano lirico cui si aggiungevano ruoli cosiddetti di soubrette come Zerlina e Susanna, cantate alla Scala la prima nel 1930 e nel 1945, la seconda nel 1938. Si tenga conto che in quella categoria rientravano anche per la convenzione del tempo la Carolina del Matrimonio segreto, la Norina del don Pasquale e, ruolo assolutamente desueto, Adele del Conte Ory, che la Favero cantò, se non mi sbaglio a Torino e al Maggio Fiorientino.
Nella seconda fase della carriera la Favero affrontò, non nel teatro milanese dove era comunque monopolista dei ruoli di soprano lirico, sporadicamente Violetta (il primo atto era sempre un problema per soprani non particolarmente estesi in alto), Tosca e soprattutto Adriana, Manon di Puccini e nella fase finale Zazà, ruolo adatto alle condizioni contingenti vocali ed interpretative della Favero in fine carriera.

I ruoli per cui Mafalda Favero era la Favero furono principalmente Mimì, Manon di Massenet e Butterfly, di cui la cantante ebbe, nei teatri italiani, l'esclusiva dopo il ritiro della Pampanini, ed alla cui vocalità ha sicuramente sacrificato anni di carriera.
La testimonianza di una Butterfly tardiva (1947 a Ginevra) è, però, significativa non solo dell’esecuzione delle arie, meglio testimoniate nei brani in studio, ma del personaggio piuttosto scevro e da leziosaggini e da esagitazioni drammatiche.


Butterfly com Mimì e Violetta di Traviata fu anche un topos della Albanese. Licia Albanese non ebbe l’affermazione e la fama immediata della Favero. I primi anni di carriera della cantante pugliese (nata nel 1909 e, quindi, prossima al secolo di vita, dopo aver per decenni indicato nel 1913 la propria data di nascita) furono connotati sia dalla ricerca del repertorio che di teatri, che potessero essere i "suoi" teatri con incursioni persino nel grand opéra con la Ines di Africana nel 1937 a Roma e la presenza in tutti o quasi i teatri italiani, Scala compresa dove l'Albanese debuttò nel 1938, senza esserne una star. Non dimentichiamoci che nel massimo teatro milanese doveva confrontarsi con Mafalda Favero.
Solo con il debutto al Met nel 1940 e nel ruolo di Butterfly l’Albanese trova il suo teatro. Anche lei nel primo decennio si limita al repertorio del lirico puro (Boheme, Faust, Pagliacci, Susanna, Traviata), cui alla fine degli anni ‘40 si aggiungono Tosca, Manon di Puccini, Adriana. Solo che a differenza della Favero la carriera della Albanese, idolatrata dal pubblico americano (non dimentichiamo l’origine meridionale della cantante) prosegue sino alla chiusura del vecchio Met e altrove sporadicamente sino agli anni '70. Sono prestazioni che trovano la loro ragione, appunto, nell’idolatria di cui il pubblico americano fa oggetto taluni cantanti.
Le condizioni in cui la Albanese si ritirò sono documentate dalla registrazione dell'aria di Liù del 1974. L'anno dopo la coetanea Olivero avrebbe debuttato in Tosca al Met.

Allora se ascoltiamo una registrazione di Mafalda Favero stando alla tradizione dovremmo ascoltare una vocetta sgradevole, nessuna dinamica, lazzi e vizi.
Gli ascolti ridimensionano la mitologia. In primo luogo, soprattutto tenuto conto di quello che ascoltiamo da almeno trent’anni, la voce della Favero non è affatto una vocetta. Basta sentire come regge l’orchestrale di Butterfly (anche se la tradizione vuole che talvolta il soprano ferrarese pretendesse qualche riduzione orchestrale) e non sentiamo affatto una brutta voce. Anzi sentiamo in natura la schietta voce del lirico dotata di un timbro davvero bello e gradevole nella zona medio alta.
Nell’esecuzione dell’Ave Maria la Favero non esibisce la voce sontuosa della Caniglia, Desdemona di riferimento del tempo, ma le attuali titolari devono inchinarsi dinanzi a questa esecutrice che, a smentire le tradizionali dicerie, è anche piuttosto varia ed ispirata e castigata nell’accento.
Allo stesso modo l’aria di Lodoletta "Flammen perdona" o il racconto di Mimì esibisce frasi da grande interprete attenta a rendere la poetica delle piccole cose, per usare la felice metafora pascoliana, attraverso un considerevole gioco di piani e pianissimi. Certo quando arriva il momento ritenuto drammatico o di grande slancio le note che cadono sul passaggio inferiore suonano aperte. Come pure nel racconto di Mimì frasi che interessano la tessitura medio alta ("Mi piaccion quelle cose", "il profumo dei fiori") svelano tensione. Gli acuti sono però sicurissimi.
Come sono sicurissimi gli acuti di Licia Albanese nella scena della Chiesa del Faust, dove oltretutto senza bamboleggiamenti o inutili ricorsi ad accenti plateali la cantante rende il senso della fanciulla, ormai irretita dal Maligno e terrorizzata.
Alle prese con la scena della seduzione della Manon entrambe le cantanti hanno un rapporto conflittuale con i segni di espressione e di dinamica previsti dall’autore.
A cominciare dalla fase iniziale "Oui c'est moi" che prevede un diminuendo sul sibem do centrale di "moi" sino al "c’est moi" conclusivo, che previsto nella zona la sol dà luogo, in entrambe le cantanti, ad un bel suono di petto.
Nella frase "Oui je fus cruelle" di tutte le indicazioni è rispettata solo quella di crescendo, in entrambi i casi con sfoggio di grande voce. I "dolce", "rallentando" e "diminuendo" sono travolti dalla foga erotica di Manon. Il famoso "temperamento". Non dimentichiamo che Licia Albanese era alunna della Baldassarre Tedeschi, una delle più "autorevoli" Manon della sua generazione.
L’indicazione " avec des larmes" di "hélas, hélas" è resa nel senso più naturale del termine.
Quando Manon attacca la sezione clou della seduzione il "n’est plus ma main" e Massenet prescrive "avec charme" Licia Albanese, almeno, esibisce voce dolce e accento castigato; la Favero assolutamente estroversa opta per un concetto di charme per nulla aderente al senso che abbiamo di questa parola. Arrivate la tre quartine vocalizzate, che dovrebbero rendere l'ansimo di Manon, la Favero è precisa nell’esecuzione, mentre l’Albanese pasticcia. Il rallentando finale" n’est plus Manon" che dovrebbe essere l’espressione dell’estenuato erotismo è eliminato in entrambe le esecuzioni, ma il "ff" previsto c’è tutto. E puntuale scatta l’applauso del pubblico. Manon ha colpito e travolto non solo Des Grieux, ma e soprattutto il pubblico.
Questo è il canto generoso nella sua più autentica e completa declinazione.
Possiamo replicare, facilmente, che la Sills e la Kabaivanska rispettavano e superavano i segni di espressione e dinamica dell’autore, che Maria Chiara e Mirella Freni sfoggiavano grande qualità vocale e gusto assai più sobrio. Nessuno lo discute.
Mafalda Favero e Licia Albanese, interpreti spontanee e vere, ritenevano che Manon non fosse una scriteriata sedicenne, ma una esperta e navigata meretrice. Non che avessero tutti i torti loro e chi le ispirava in tal senso, ma il testo musicale e quello di Prévost propendono per l’inconscia e sconsiderata lolita.
Un elemento però è certo ed innegabile: Mafalda Favero e Licia Albanese, non solo come Manon, ma in ogni ruolo che affrontavano non baravano con il pubblico e la loro concezione (censurabile magari o, almeno, datata) del personaggio era coerente anche quando alla stessa sacrificavano l’ortodossia del canto (mai della respirazione) che altrove (fra gli esempi musicali vedasi Lodoletta o Bohème) praticavano.
L’ascolto nel raffronto con le generazioni successive ci insegna che quei suoni aperti, certi accenti plateali erano prima di tutto nell’ottica del tempo l’irrinunciabile interpretazione.
Perché qualunque appunto si può fondatamente muovere alla Favero ed alla Albanese, ma non quello di essere state nella loro ottica e nella loro epoca INTERPRETI.
Invito ad ascoltare cosa oggi si spaccia per una grande Manon o Mimì o Violetta, priva di una corretta respirazione, di una attenta preparazione musicale e di una idea interpretativa di fondo ed avremo le esecuzioni della Fleming, della Dessay o della Gheorghiu.


Gli ascolti

Mafalda Favero

Mascagni - Lodoletta

Atto III - Flammen perdonami

Massenet - Manon

Acte III - Toi!...Vous! (con Giuseppe Di Stefano - 1947)

Puccini - Madama Butterfly

Atto II - Ora a noi (con Scipio Colombo - 1947)

Verdi - La traviata

Atto I - Sempre libera (con Beniamino Gigli - 1940)

Verdi - Otello

Atto IV - Ave Maria

Licia Albanese

Gounod - Faust

Acte IV - Seigneur, daignez permettre (con Ezio Pinza - 1943)

Massenet - Manon

Acte III - Toi!...Vous! (con Giuseppe Di Stefano - 1951)

Puccini - La bohème

Atto I - Sì, mi chiamano Mimì (1938)

Puccini - Madama Butterfly

Atto III - Con onor muore...Tu! Tu! Piccolo Iddio (1941)

Puccini - Turandot

Atto III - Tu che di gel sei cinta (1974)

Verdi - La traviata

Atto I - E' strano...Ah! Fors'è lui...Sempre libera (con Jan Peerce - 1946)

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venerdì 5 settembre 2008

Stagioni prossime venture: Gli States


Le stagioni americane hanno sempre differito da quelle europee in più punti, vengono, per esempio, organizzate e annunciate con largo anticipo e, in passato, hanno saputo offrire spunti e occasioni interessanti non sempre colti se non in tutta Europa, perlomeno in Italia.
Nella stagione 1982/1983 per esempio, mentre in Italia si era agli albori del Rossini Opera Festival, la Carnegie Hall propose una serie di tre titoli rossiniani sotto il nome di Rossini Festival : Semiramide, La donna del lago e Tancredi, tutte con al centro la figura protagonistica di Marilyn Horne e accanto a lei Lella Cuberli, June Anderson, Frederica Von Stade, Chris Merritt, Dano Raffanti, Rockwell Blake. Stagioni (e terra) ricche però anche di contraddizioni, è notissima la riluttanza del Metropolitan, ossia del maggior teatro americano, di mettere in cartellone all'inizio degli anni 60 l'Adriana Lecouvreur per Renata Tebaldi (negata a Rosa Ponselle decenni prima) e di inscenare un Rossini serio nonostante le spinte di Marilyn Horne che riuscirono solo in una tardiva, ancorchè splendida, edizione di Semiramide.
Oggi quegli spunti e quelle contraddizioni si sono ampiamente rimescolati assieme dando vita a stagioni organizzate spesso e volentieri sul richiamo del big name in cartellone e di eventi annunciati che puntualmente si rivelano degli annunciati disastri, almeno ai nostri orecchi. La stagione 2008/2009 non fa, negli intenti, eccezione.
Cominciamo dalla capitale, che può vantare ben due stagioni operistiche, quella della Washington Opera e quella della Washington Concert Opera, e proprio nel teatro principale, diretto da Placido Domingo, uomo di agenzia da sempre e in ogni senso, abbiamo il primo evento della novella stagione, una nuova produzione di Lucrezia Borgia che, sulla carta, si preannuncia quantomeno "avventurosa", con protagonista Renée Fleming che torna nel sicuro suolo americano a interpretare per la terza volta il ruolo della venefica Lucrezia (nel decennale della trionfale tamburata milanese). Suo doppio sarà Sondra Radvanovsky, anche lei niente affatto intimorita dagli inciampi in cui era occorsa in quel di Las Palmas col ruolo donizettiano (prendendo magari ad esempio The Beautiful Voice e la sua nota esperienza milanese).
Il largo anticipo con cui vengono annunciate le stagioni americane da anche modo che i forfait comincino con largo anticipo e proprio nella Borgia vediamo che l'annunciato Giuseppe Filianoti come Gennaro è stato sostituito dall'esuberanza del giovane Vittorio Grigolo, cui si aggiunge un Ruggero Raimondi che torna ad Alfonso dopo 40 anni. E non vogliamo ricordare la famosa frase della bolognese Zia Fidalma! Sul podio lo stesso Placido Domingo. Sicuramente una proposta non banale e che possa passare inosservata e che, anche noi, siamo curiosi di ascoltare.
Il resto della stagione di Washington scorre poi sotto il segno della tradizione, tra l'inaugurale Traviata, Les pecheurs des perles con la coppia Charles Castronovo e Norah Amsellem (che ha impressionato l'America nella scorsa stagione con un'Elvira che non si credeva proprio si potesse eseguire così), Peter Grimes, Carmen, Siegfried e una Turandot con due protagoniste veramente "di grido" : Maria Guleghina, approdata da poco al ruolo pucciniano e Sylvie Valayre. A chiudere la stagione un altro "evento" popular che con la musica ha poco a che fare e che anzi la svilisce, la Petite Messe Solennelle con Andrea Bocelli diretta da Placido Domingo.
Per quanto riguarda invece la Waghington Concert Opera, specializzata nel riproporre in forma di concerto titoli desueti del grande repertorio, si ascolteranno la Maria Padilla di Donizetti con la giovane Leah Partridge e il veterano Bruce Ford come Don Ruiz (ruolo già cantato sempre negli States alcuni anni fa), Il giuramento di Mercadante, una vera rarità, affidata alla buona volontà non sempre bastante di Elizabeth Futral e del tenore James Valenti, di sicura avvenenza, e un concerto di Belcanto con Stephanie Blythe (nonostante i suoi approcci col Belcanto siano stati decisamente da dimenticare).

Dall'altra parte della costa troviamo San Francisco e la stagione della War Memorial Opera House, che si inaugura in settembre con Simon Boccanegra affidato al divo Dimitri Hvorostovsky e a Barbara Frittoli, che prosegue con titoli del Novecento da Die Tote Stadt e due opere moderne in prima esecuzione, Idomeneo affidato ad un cast di "specialisti", una produzione di Elisir d'amore con Inva Mula, Ramon Vargas e Alessandro Corbelli, Bohéme con Angela Gheorghiu (e a San Francisco avrà la fortuna di non scontrarsi ancora con Renata Scotto come successo lo scorso anno a Chicago, che ne impose, giustamente, la protesta), Tosca e infine La traviata con la neo-mamma Anna Netrebko.

Altra importante Traviata sarà quella della provincia americana di Santa Fe, che ospiterà il debutto-evento nel ruolo del titolo di Natalie Dessay assieme al tenore Pirgu e ai due Germont del marito Laurent Naouri e di Anthony Michaels-Moore. Un cast forse ideale per un Matrimonio segreto alla Piccola Scala. Produzione dell'amato Laurent Pelly che si presume la Diva vorrà rimordernare secondo la sua ben nota ottica stupendo come sempre i suoi ammiratori, e visti gli esiti di Lucia di Lammermoor e di La fille du régiment si immagina che l'estro di Natalie saprà sbizzarrirsi a maggior ragione con la Violetta di Traviata, distogliendo magari l'attenzione dalla resa vocale, sempre più in declino e sempre meno importante secondo gli ammiratori di Natalie, sublimata dalle doti attoriali (o circensi che dir si voglia).

Prima di questa Traviata la diva francese sarà a Chicago ad inaugurare la stagione della Lyric Opera come Manon di Massenet accanto al bel tenebroso dei tenori per eccellenza : Jonas Kaufmann. Inaugurazione evento anche questa che apre una stagione composta dai Pescatori di perle, che sarà terreno per altri "opera hunk", per dirla all'americana, come Eric Cutler e Nathan Gunn, che se non saranno capaci di duettare con sognanti mezzevoci nei momenti più importanti dell'opera potranno però mostrare con sicurezza muscoli e doti simili, purtroppo non vocali. Altri titoli : Porgy and Bess, Madama Butterfly (con l'americana Patricia Racette), Tristan und Isolde con quel che resta, e non alludiamo al peso, di Deborah Voigt e Clifton Forbis...e ci chiediamo se la cantante americana sarà in grado di portare a termine tutte le recite di Isolde nelle condizioni vocali in cui versa o se incapperà in qualche forfait come il passato Tristan del Met ha dimostrato (e come appunto le condizioni vocali preannunciavano...). Chiudono la stagione una produzione di Ratto dal serraglio e del tradizionale dittico Cavalleria rusticana & Pagliacci dove tra Vincenzo La Scola e Vladimir Galouzine nei ruoli tenorili, quale Santuzza si farà affidamento sullo stagionato professionismo di Dolora Zajick.

Prima di arrivare alla più importante stagione operistica americana, quella della Metropolitan Opera House, diamo un'occhiata ai titoli proposti da Eve Queler nell'ambito della stagione della sua Opera Orchestra of New York che, per quanto annunciato, proporrà La sposa dello Zar di Rimsky-Korsakov con Olga Borodina, Rienzi per la terza volta (evidentemente un titolo molto amato da Miss Queler) e Medea, che vedrà il debutto di Aprile Millo nel title-role. E in un presente di Theodossiou e di Michaels bene fa la Millo a togliersi la soddisfazione di debuttare Medea. Ma soprattutto vi sarà uno Special Event...Ferruccio Furlanetto in un omaggio a Ezio Pinza in cui intepreterà pagine da Boris Godunov, Don Quichotte (opera di Chaliapin ma mai di Pinza), Die Zauberflote, Don Carlo, Eugenio Onegin e altre. Ammiriamo l'idea di dedicare una serata ad Ezio Pinza, iniziativa lodevolissima, ma conoscendo Pinza e conoscendo Furlanetto forse si è scelto il cantante meno adeguato a ricordarlo!

Arriviamo infine alla stagione della Metropolitan Opera House, il tempio lirico americano per antonomasia. Inaugurazione di Gala come di consueto quest'anno con protagonista assoluta Renée Fleming, che si produrrà nel II atto della Traviata di Verdi, nel III della Manon di Massenet e nel finale di Capriccio di Richard Strauss, quelli che lei ritieni i suoi personalissimi cavalli di battaglia. Serata di Gala dicevamo, ma non solo, anche vero e proprio evento mondano, in cui la star testimonial della Rolex sarà vestita addirittura da Chrisian Lacroix, Karl Lagerfeld e John Galliano nei tre estratti e come se ciò non bastasse il giorno della prima verrà anche lanciato un profumo dal suggestivo nome "Renée". Un'inaugurazione che più mondana non si potrebbe pensare, con picchi di divismo da far arrossire soprattutto le giovani colleghe Netrebko, Gheorghiu ecc.
La stagione prosegue con la riproposta della ponchielliana Gioconda affidata a Deborah Voigt, già deludentissima al debutto tre anni or sono a Barcellona, e le osservazioni per il Tristano si ripropongono pedisseque, affiancata dalla Borodina, dalla Cieca di Ewa Podles e fra gli uomini Aquiles Machado (già presente nel 2006), Carlo Guelfi e James Morris, la Salome di Strauss in cui tornerà a spogliarsi Karita Mattila (che in febbraio invece vestirà i panni della Tatyana dell'Onegin), Traviata, Don Giovanni con Erwin Schrott e per alcune recite un Leporello d'eccezione, l'anziano Samuel Ramey (e dopo il Silva di Ferruccio Furlanetto avrà un sapore meno amaro, crediamo). Lucia di Lammermoor vedrà invece il debutto nel ruolo di Diana Damrau, che si è fatta carico di molte delle recite che Anna Netrebko ha dovuto cancellare per via della gravidanza, la diva russa ha annunciato però alcune recite in Febbraio assieme al consueto Rolando Villazon. Nello stesso periodo la bella Netrebko dovrebbe cantare anche alcune recite di Bohéme come Mimì. Dopo la Scala di Milano Daniel Barenboim porterà Tristan und Isolde anche al Met, senza Waltraud Meier con la coppia protagonistica Katarina Dalaymann/Peter Seiffert, mentre un altro divo wagneriano, Ben Heppner, reduce dai guai del passato Tristan del Met (guai, come abbiamo già detto, condivisi con Deborah Voigt), si cimenterà con l'Hermann della Dama di picche di Tchaikovsky accanto a Maria Guleghina (che riprende, dubbiosamente, il ruolo dopo molti anni mentre la condizione vocale consiglierebbe il title role) e Felicity Palmer, Contessa già nota al pubblico newyorchese.
Altra serata di puro glamour operistico si preannuncia La rondine di Puccini, con Angela Gheorghiu e il consorte Roberto Alagna, cui si alternerà Giuseppe Filianoti, in una produzione che nel ruolo di Rambaldo vedrà Samuel Ramey nelle insolite vesti pucciniane.
In Dicembre ennesimo evento operistico, la Thais con Renée Fleming, che riporterà il titolo al Met dopo 30 anni (l'ultima produzione essendo stata nel 1978 con Beverly Sills e Sherrill Milnes) che in aprile sarà anche interprete di Rusalka, altro suo cavallo di battaglia già intepretato al Met nel 1997 e nel 2004. La lunga stagione proseguirà poi con la ripresa dell'Orfeo ed Euridice di Gluck con il title role che tornerà alla voce di mezzosoprano (Stephanie Blythe) dopo l'esperimento David Daniels e la direzione di James Levine e Rigoletto con Alessandra Kurzak e Diana Damrau e ben tre tenori, Filianoti (che, crede chi scrive, bisserà il successo della Lucia), Beczala e Calleja e i baritoni Ataneli e Lucic, pronto a rinnovare anch'egli la squallida performance di Dresda, diretti da Marco Armiliato.
Abbiamo riportato sopra le incertezze che negli anni 60 un titolo come Adriana Lecouvreur faceva sorgere ad un manager pure di grande esperienza come Rudolf Bing, nonostante la presenza di una Diva e grandissima cantante come Renata Tebaldi, che con ragione impose il titolo, destinato ad altre grandi riprese al Met nel nome della stessa Tebaldi, di Montserrat Caballè, di Renata Scotto e Mirella Freni. Dopo tutte queste grandissime primedonne (e ricordando che la prima interprete al Met fu la bellissima Lina Cavalieri insieme a Caruso) maestre nel canto e nel fraseggio al Met Adriana torna con la voce di Maria Guleghina, che ben giustificherebbe i dubbi che erano di Bing, priva non solo della maestria vocale di una Freni e dei mezzi privilegiati della Tebaldi e della Caballè, ma soprattutto delle indispensabili doti di fraseggiatrice esperta (à la Scotto per intenderci) che la Guleghina non ha mai avuto, incline piuttosto all'urlo scomposto. Accanto a lei come Maurizio di Sassonia era previsto Marcelo Alvarez che invece nello stesso periodo sarà interprete di Manrico nel Trovatore, ruolo nel quale ha preso il posto dell'annunciato Salvatore Licitra, mentre il simpatico Marcelo sarà sostituito addirittura da Placido Domingo, che riprenderà al Met, 40 anni dopo, il ruolo del suo debutto nel teatro newyorchese....impossibile però non notare il declino delle partner di Domingo, Maurizio accanto a tutte le più grandi Adriane della storia capitatane da Magda Olivero! E in Marzo il Met proporrà una nuova serata di Gala per celebrare i 125 anni del teatro e i 40 anni del debutto di Domingo, con scene originali da alcune storiche prime produzioni del Met come Il flauto magico con scene di Chagall del 1967, il primo Parsifal del 1903, la prima assoluta della Fanciulla del West e il primo Faust inaugurale del Met del 1883...certo di quelle grandi produzioni veramente non sono rimaste che le scene!
Ultimi eventi del Met una nuova riproposta del Ring des Nibelungen diretto da James Levine con christine Brewer, Waltraud Meier, James Morris, una riproposta di Cavalleria/Pagliacci sempre con la Meier e Roberto Alagna, al debutto, credo, in Turiddu, mentre la consorte vestirà i panni di Adina, adatti ma forse tardivi, in compagnia di Rolando Villazon, che in mancanza della giusta vocalità crediamo compenserà con le consuete burle sceniche, il già citato Trovatore con Alvarez, Sondra Radvanovsky alternata ad Hasmik Papian (salvatrice della patria nella Norma dello scorso anno) e le due Azucene di Dolora Zajick (detentrice del ruolo al Met da un ventennio) e di Luciana D'Intino. Infine due titoli del Belcanto, la ripresa de La Cenerentola con Elina Garanca e l'attesissima nuova produzione di Sonnambula con i due divissimi Dessay e Florez con regia di Mary Zimmermann che ha già fatto parlare di sè (con la Dessay si può dire una garanzia ormai che l'opera verrà stravolta...genialmente ovviamente) perchè pare ambientata in una compagnia che prova La sonnambula e rivive le stesse situazioni...insomma la Dessay è pronta per sia per Mamma Agata (con qualche raggiusto - la parte della Primadonna essendo improponibile ormai) ma soprattutto per Pirandello alla Comedie Française!
Una stagione quanto mai ricca e pensata, si percepisce, secondo gli imperanti dettami di cui già abbiamo discusso qualche articolo fa che dimostrerà quali frutti il glamour operistico sa dare. Per conto nostro ci consoliamo confrontando una settimana del Met 1908:

17/12/1908 - Puccini/Le Villi (prima americana) - Alda, Bonci, Amato, Toscanini + Mascagni/Cavalleria rusticana - Destinn, Caruso, Amato, Toscanini
18/12/1908 - Wagner/Gotterdammerung - Fremstad, Burgstaller, Muhlmann, Hinckley, Toscanini
19/12/1908 - Donizetti/Lucia di Lammermoor - Sembrich, Bonci, Campanari, Spetrino
19/12/1908 - Bizet/Carmen - Gay, Martin, Farrar, Noté, Toscanini
20/12/1908 - Concert - Noté, Gay, Martin, Rappold, Didur, Spetrino
21/12/1908 - Verdi/Il trovatore - Martin, Eames, Amato, Homer, Spetrino
23/12/1908 - Wagner/Tristan und Isolde - Schmedes, Fremstad, Feinhals, Homer, Mahler

Gli ascolti

Bellini - La sonnambula - Prendi, l'anel ti dono - Nicolai Gedda & Renata Scotto

Cilea - Adriana Lecouvreur - La dolcissima effigie - Placido Domingo & Renata Tebaldi

Donizetti - Lucrezia Borgia - Maffio Orsini, signora, son io - Leyla Gencer, José Carreras & Tatiana Troyanos

Donizetti - Lucia di Lammermoor - Chi mi frena in tal momento? - Jan Peerce, Roberta Peters, Mario Zanasi & Nicola Moscona

Massenet - Thais - Dis-moi que je suis belle - Leontyne Price

Massenet - Manon - Je marche sur tous le chemins...Oui, dans le bois (Fabliau alternativo) - Bidù Sayao

Massenet - Manon - Toi! Vous! - Lucrezia Bori & Richard Crooks

Mozart - Die Zauberflöte - In diesen heil'gen Hallen - Ezio Pinza

Ponchielli - La Gioconda - La barca s'avvicina...Così mantieni il patto? - Zinka Milanov, Kurt Baum, Nell Rankin & Leonard Warren

Verdi - La traviata - E' strano...Ah, fors'è lui...Sempre libera - Vina Bovy

Verdi - La traviata - Qui desiata giungi...Di sprezzo degno - Rosa Ponselle, Frederick Jagel & Lawrence Tibbett

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mercoledì 14 maggio 2008

Le interviste: Shalva Mukeria

Fedeli all'impegno preso ed alle finalità che ci siamo dati con questa nostra infrequente rubrica, siamo riusciti finalmente ad incontrare Shalva Mukeria a Genova. Il tenore georgiano è fra i pochi giovani artisti che ci abbiano favorevolmente impressionato. Come potrete rendervi conto da voi, le sue parole sono state poche, prive di vanità e misuratissime, ma assai significative. Ci è parso un grande professionista che dà il giusto peso a ciò che più che conta nel suo mestiere, ossia la qualità del canto, inteso e praticato secondo le vecchie regole, quelle della grande tradizione tenorile romantica.


DD Lo studio del canto, come mai?
SM Ho studiato il canto per 12 anni. Oggi non si studia più così tanto. Lo studio del canto richiede pazienza. Ho cominciato a studiare ad Odessa, poi in Spagna, ma con un maestro georgiano che vive lì da 20 anni.

DD Poi lei era uno strumentista, se non sbaglio?
SM si un clarinettista. Lo strumento a fiato aiuta moltissimo per il sostegno della voce. (Nel parlare SM fa il gesto significativo del sostegno). Per collegare pancia e gola.

DD Ci sono stati dei modelli di cantanti?
SM Prima di tutto Pavarotti e Kraus. Però è impossibile prendere da uno solo. Impari da tutti. Da Kraus che fu per tutta la carriera molto “stabile” tecnicamente. Poi dai grandi come Schipa, Gigli, Lauri-Volpi, che affrontarono il repertorio più pesante dopo i trentacinque anni.

DD Fra gli ascolti ci sono anche i grandi tenori russi?
SM Si, ma non tanto, Lemeshev e certo Kozlowsky, sotto il profilo tecnico un grandissimo.

DD Smirnov, Sobinoff?
SM Sì, Smirnov.

GG Talvolta il suo timbro richiama quello dolce e giovanile di questi tenori, soprattutto con Edgardo.
SM Edgardo è il mio personaggio; soprattutto nel finale ho pensato molto prima se fosse il caso di farlo a voce più piena, poi, ho pensato che stava morendo e quindi l’espressione doveva essere quella, dolce e cantare piano e pianissimo
AT Infatti tutti hanno trovato splendido il finale, devo, però dire che il momento più emozionante è stata la maledizione al finale secondo.

DD E il repertorio?
SM Altre opere di Donizetti sicuramente, ho preparato a Vienna il Fernando di Favorita nella versione francese. Spero di poterlo fare presto. Poi il repertorio francese, Werther e soprattutto Des Grieux di Manon. Un sogno. Come un sogno era debuttare Arturo dei Puritani. Per Manon devo lavorare ancora. Kraus diceva che ci voleva un anno per una parte. A proposito di Manon devo dire che Schipa è stato un grandissimo tenore, unico.

DD Fra l’altro la voce in teatro era amplissima e grande. Cantava con partners come la Ponselle.
SM Questo è proprio un fatto di tecnica, con la tecnica può bastare una voce piccola, ma se il suono è alto si sente sempre. Questo è poi il segreto della scuola italiana di canto: la proiezione della voce.

DD Anche Edita Gruberova canta con questa tecnica, come è stato cantare con la Gruberova?
SM Bellissimo fare i Puritani, una grande primadonna. Ha una energia, una grande resistenza.

DD Sempre parlando di repertorio e Rossini?
SM Rossini e soprattutto il canto di agilità. Quelle di Rossini cioè quelle di forza non mi vengono sempre bene. Forse dovevo studiarle di più gli anni passati. Adesso potrebbe essere tardi. Però faccio lo Stabat e, soprattutto fra due anni Arnoldo del Tell. Parte difficilissima.

DD Un cantante con le sue cognizioni tecniche quanto tempo dedica alla tecnica?
SM Ancora tanto. Comincio alla mattina presto, alle otto o alle nove, un’ora di tecnica. Poi nel pomeriggio studio l’opera e mi preparo. Questo tutti i giorni salvo la domenica. Domenica è festa. Se ho recita la mattina venti minuti mezz’ora sempre di studio, poi ancora nel pomeriggio.
Però il mattino è il mattino. Al mattino arrivano “informazioni dall’alto”.

DD E quando prepara un ruolo?
SM Non credo si debba esagerare con la tecnica, ossia fermarsi sul solo dato tecnico. La tecnica è, poi, lo strumento per fare musica. Quanto il ruolo è tecnicamente imparato ed a posto arriva la musica ad aiutarti a preparare il ruolo.

DD Il ruolo nel tempo cambia?
SM Non cambia del tutto, ma devi essere pronto a cambiare al momento sul palcoscenico, certo entro i limiti del personaggio non penso si possa essere assolutamente identici tutte le sere e tutte le volte che si riprende un personaggio.

DD L’anno scorso c’è stato il debutto in Scala con Figlia del reggimento. Che ci racconta di questa esperienza?
SM La storia è molto semplice. Mi avevano sentito a Vienna, mi hanno chiesto un’audizione in Scala e mi hanno preso.

DD Certo, ma era emozionato, spaventato all’ingresso in scena?
SM Emozionato, contento al tempo stesso, ma ero ottimista sull’esito, mi sentivo pronto e preparato. Sicuramente quello che provavo era una serie di sentimenti.

GG Ha mai provato ad emettere gli estremi acuti utilizzando il falsettone, tipo Merritt o Gigli?
SM no non ho mai provato. Devo dire che lo sforzo maggiore nello studio è avere sempre il giusto sostegno per poter cantare piano e pianissimo. La scuola italiana parla di gola libera e fa sempre l’esempio della tecnica dello sbadiglio per garantire il controllo tecnico costante e sicuro. La cosa difficile è imparare a sentire la tua voce ovvero non basta mettere la bocca in un certo modo, ma associare alla posizione il suono giusto, sentire che il suono che emetti va bene. E un problema di tempo, di provare e riprovare. Infatti come ho detto prima non si può studiare due o tre anni, ma dieci anni..

DD Il problema dell’insegnante: dove arriva l’insegnante e dove, invece, è l’allievo?
SM Nei primi due o tre anni l’insegnante è essenziale. Poi spesso devi cercare l’insegnante. L’insegnante valido per me può non essere valido per un’altra persona. In realtà l’allievo deve conoscere l’insegnante e sapere che cosa l’insegnante può dare e cosa, invece, non può dare.
Servono molto anche i trattati di canto. Non bastano per imparare a cantare, ma sono un controllo ed una conferma di quello che fai. Spesso leggendo hai la prova di certe impressioni di certe cose che fai, ma che non sapevi spiegarti. E poi, naturalmente, il lavoro quotidiano di studio.

DD L’esercizio, vero, in fondo il cantante è un po’ artista ed un po’ atleta.
SM Vero per il controllo del fiato lo sport è utilissimo. Il nuoto soprattutto, ma anche il tennis.

DD Ritornando ai ruoli, ha mai pensato al Pirata?
SM No, è una parte difficilissima acutissima. Più dei Puritani. Arturo dei Puritani, però richiede, una maggiore ampiezza ed energia del Pirata.
A parte Favorita e Des Grieux, sto guardando Boheme, voglio provare. E’ una prova, un po’ come nello sport che si aumenta giorno per giorno. Sono fatalista, i ruoli spesso arrivano al momento giusto.

DD Se pensa a Rodolfo di Boheme, perché non il Cavaradossi di Tosca, lo hanno fatto anche tenori come Kraus e Schipa.
SM Per il momento è presto, non mi sento pronto. Devo aspettare. E poi chi può pensare di superare Corelli nel “Vittoria Vittoria”?

DD Non mi sembra il caso di preoccuparsi oggi di tenori che squillano non ne esistono più !!! A parte gli scherzi, domanda rituale, che impegni la aspettano?
SM Ancora Sonnambula nei prossimi giorni a Salerno con Annick Massis, poi Rigoletto in Spagna, Puritani a Palermo ed in Francia. E poi, nel futuro Guglielmo Tell.

DD Per questo incrociamo le dita.

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