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mercoledì 10 agosto 2011

Verdi Edission: Traviata. Le Violette "pesanti"

Potremmo definirle le Violette di grande cabotaggio, ossia le voci avvezze al Verdi cosiddetto pesante, quello di Forza del destino, Ballo in maschera, Don Carlo e Aida, in alcuni casi anche a Wagner, magari (colmo dell'orrore) in traduzione italiana. Ovviamente la selezione, perché di selezione si tratta, non comprende i soprani testimoniati dai dischi a 78 giri, che saranno oggetto di una, anzi, più puntate a loro dedicate in esclusiva.

Anni fa, in occasione di un riallestimento scaligero del celebrato spettacolo della Cavani, avevamo dedicato ascolti e riflessioni alle Violette soprani di agilità. La scelta era motivata dalla presenza in cartellone di una delle ultime esponenti di questa corda, allora più che oggi in grado di rinverdire, sia pure in parte e limitatamente a determinati titoli, i fasti di paleolitiche e oggi quanto mai inopportune colleghe. Le stesse che oggi certa critica, di nulla avvertita se non di se medesima e dei desiderata degli uffici stampa dei teatri, si diverte a ritrarre come un nido di usignoli meccanici, cui si contrapporrebbe una nuova generazione di cantanti benedette dal disco, e per ciò stesso ben più preparate e incomparabilmente più espressive. La portabandiera di questa nouvelle vague del canto verdiano si è esibita lo scorso mese in un noto festival europeo, appunto nel ruolo di Violetta, con tale e tanto esito da indurci, da un lato, a riconsiderare sotto nuova luce non già l’arte sublime di una Fanny Heldy, ma il solido e onesto mestiere di una Margherita Carosio, dall’altro, a stendere, appunto, queste brevi considerazioni sulle Violette “pachidermiche”.
L’uso delle virgolette non è aleatorio. A parte qualche suono un poco sgallinacciato della Caniglia sui passaggi di agilità in “Un dì felice eterea”, passaggi che battono in massima parte su una zona a dir poco ostica per la voce di soprano (quella che segue il passaggio superiore: sol-sibem4), le Violette considerate dimostrano assoluta facilità nella gestione del registro acuto, ad esempio nella salita al labem4 di “solinga ne’ tumulti” oppure nell’esecuzione dei do5 ribattuti nella coda del finale primo. Si ascolti Antonietta Stella, seppur priva del mibem sovracuto di tradizione (e anche qui il pensiero vola a tanti usignoli moderni, che meglio farebbero ad astenersi da simile nota, visto che i problemi iniziano sul labem4 del cantabile, su cui la voce si incrina, quando non si spezza semplicemente). E se è vero che Renata Tebaldi abbassa di un semitono il tempo di mezzo e la susseguente cabaletta, nel duetto con il baritono non ha difficoltà ad attaccare a piena voce, ma senza urla o stridore di denti, il labem4 di “che a lei il sacrifica”. Così come facile, sicura e luminosa è la salita al la4 di “tu accoglila oh Dio” nella grande aria del terzo atto, eseguita dalla Tucci così come da Gilda Cruz-Romo.
Ma il pregio maggiore di queste Traviate “pesanti” risiede altrove, ossia nella possibilità di rendere piena giustizia alla scrittura verdiana. Fin dal brindisi di presentazione Violetta si esprime per ampie frasi che chiamano in causa la zona della voce compresa tra il fa3 e il sol4: si consideri ad esempio l’esclamazione “Ah perché venni incauta”, che per tre volte si ripete nella scena della festa di Flora, e ogni volta con la sua "brava" forcella, che andrebbe sempre onorata, quando non ampliata con altri mezzi espressivi (stentando, rubati e così via). Ebbene in questa ottava abbondante la protagonista deve non solo sfoggiare un legato degno di questo nome, ma è chiamata a esprimere, a dire, a cambiare accento e colore quasi a ogni frase. Non a caso il personaggio è l’unico tra quelli del repertorio verdiano che le più celebrate dive del Verismo abbiano stabilmente frequentato. Ne citiamo una soltanto, ma paradigmatica: Magda Olivero. Invitiamo i lettori ad ascoltare le Violette proposte e a confrontarle con le attuali capofila dell’espressività verdiana: c’è di che rimanere edificati, o allibiti, a seconda dei casi.
E tralasciamo pure, considerandola acquisita e scontata (ma forse pecchiamo di ingenuità), la Violetta giustamente celebrata di Maria Callas, che nel 1952 si può ancora permettere il lusso, che altri non mancheranno di definire pacchiano e plebeo, di chiudere il secondo atto con uno spettacolare mibem sovracuto, ma nei minuti che precedono canta e fraseggia come pochissime altre prima di lei e quasi nessuna dopo, restituendo in uno la determinazione morale e il crollo psicologico del personaggio, ma ascoltiamo ad esempio Rosa Ponselle, certo non la più raffinata delle cantanti ma letteralmente inarrestabile e incontenibile nell’esibizione di una colonna di suono, che è poi una colonna di fiato, di fronte alla quale i pur impressionanti compagni di palcoscenico poco o nulla possono. O ancora il timbro aureo e malioso di una Tebaldi o di una Caniglia (la seconda maggiormente composta della prima, che non si perita di introdurre, con discutibile artificio naturalistico, singhiozzi e colpi di tosse nel confronto con il mancato suocero e nel successivo straziante colloquio con l'ignaro Alfredo), o l’accento, giusto e castigatissimo, di una Tucci e di una Stella, o ancora la voce dolcissima e mesta della Cruz-Romo.
E pazienza se ci toccherà leggere, come di sicuro leggeremo, che quelli della Grisi sognano e pretendono una Violetta giunonica o, per citare l'usato vocabolario, sussiegosa matrona, che canta come Kundry o Brunnhilde. Cari signori, le vostre Kundry e Brunnhildi, come pure le Violette a voi care, dovrebbero interpretare solo una parte nel titolo verdiano, quella di Annina. In fondo anche Flora, nella scena con il marchese al secondo atto, qualche quartina l’ha in partitura!


Giuseppe Verdi

La traviata


Atto I


Dell'invito trascorsa è già l'ora...Libiam ne' lieti calici - Frederick Jagel & Rosa Ponselle (1935)

Un dì felice, eterea - Beniamino Gigli & Maria Caniglia (1939)

E' strano, è strano...Ah, fors'è lui...Sempre libera - Renata Tebaldi (1952), Antonietta Stella (1955)


Atto II

Madamigella Valery?...Dite alla giovine - Rosa Ponselle & Lawrence Tibbett (1935), Renata Tebaldi & Gino Orlandini (1952)

Dammi tu forza, o cielo...Amami Alfredo - Renata Tebaldi (1952), Gabriella Tucci (1963)

Alfredo! Voi...Di sprezzo degno...Alfredo, Alfredo - Rosa Ponselle (con Frederick Jagel, Elda Vettori, Alfredo Gandolfi - 1935), Renata Tebaldi (con Giacinto Prandelli, Liliana Pellegrino, Nunzio Gallo - 1952), Maria Callas (con Giuseppe di Stefano, Pietro Campolonghi - 1952)


Atto III

Teneste la promessa...Addio del passato - Gabriella Tucci (1963), Gilda Cruz-Romo(1973)

Parigi, o cara...Gran Dio! Morir sì giovine - Beniamino Gigli & Maria Caniglia (1939), Cesare Valletti & Maria Callas (1951)

Ah, Violetta!...Prendi, quest'è l'immagine - Maria Caniglia, Beniamino Gigli & Mario Basiola (1939)



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lunedì 2 novembre 2009

Mese verdiano XIV: Son giunta. Quarta puntata: Anita Cerquetti, Antonietta Stella, Gabriella Tucci

Prima dell'alba allorchè un convento maschile di stretta osservanza quale i francescani conventuali si prepara alla nuova giornata con la preghiera giunge sul piazzale antistante il sacro recinto un cavaliere.

Nella realtà si tratta di una donna e di nobilissima, quanto decaduta prosapia, che assorbita dai rimorsi per un amore interraziale, colpevole cagione, crede, della morte violenta del proprio padre chiede asilo fisico e, prima ancora morale e psicologico, alla severa regola francescana per espiare i propri cospicui e seriali peccati di cui si autoaccusa.
La scena si snoda secondo un'assoluta fedeltà alla liturgia penitenziale. Prima della penitenza, che potrebbe essere verace, utilizzando i termini del Cardinale Federigo Borromeo circa quella -inumama secondo l'attuale sentire- elargita alla monaca di Monza, la donna rende al Superiore del convento una totale e completa confessione, condicio sine qua non per una penitenza, appunto, verace. Di quelle che le signore accorse la sera del 2 febbraio 1869 alla Scala di Milano per certo avranno definito "ona bela confession, che la lava giò tuttscos".
Alla confessione segue l'amministrazione della Santa Comunione, il conforto del pane agnelico e la vestizione dell'eremita, che intraprende il cammino di redenzione.
Molto dopo sarebbe anche arrivato Freud, ma il rimorso, il pentimento, la sete di penitenza e la brama di redenzione di Donna Leonora di Vargas hanno una forza, quella della fede popolare, ed una presa sul pubblico, che poche scene d'opera hanno nel rappresentare il rapporto con il Sacro. Solo, in altra temperie culturale e poetica, la preghiera del popolo ebraico sulle sponde del Mar Rosso.
Correva l'anno 1957 quando al convento (che era poi uno studio RAI) giunse Anita Cerquetti.
La scrittura centralizzante, da soprano Falcon (quali erano sia la Barbot che la Stolz) conveniva perfettamente alla Cerquetti il cui tallone d'Achille furono sempre gli acuti estremi, spesso forzati e fissi. E così per i detrattori della Cerquetti possiamo anche dire che così suonano sia il si nat del recitativo sulla esclamazione conclusiva, che più ancora quella di "la sua figlia a maledir". Frase tutt'altro che agevole proprio perché il si nat (per giunta coronato) è posto alla fine di una lunga frase, che richiede anche l'esecuzione di una forcella. Nel duetto con il Padre Guardiano alla chiusa del moderato "Sull'alba", complice Sanzogno la Cerquetti taglia la ripetizione di alcune battute conclusive, risparmiandosi un si bem. Il taglio è di tradizione e solo Mitropoulos lo riapre. Per contrasto la parte richiede un registro medio e grave facile e sicuro e la Cerquetti suona sempre sonora ora dolce ora risoluta su frasi che vanno dal do4 in giù e spesso richiedono attacchi sul si nat sotto il rigo. Mai un suono opaco, mai un suono non calibrato e sostenuto dal fiato.
La voce della Cerquetti è perfetta per il personaggio. Il timbro è nobilissimo e l'accento ispiratissimo. Le corde del rimorso, del dolore espresse come si conviene ad una dama di rango trovano nella Cerquetti un'interprete di assoluto riferimento. Aggiungiamo, poi, un particolare Verdi richiede a Leonora di Vargas una ampiezza e cavata fenomenali, disseminata come è la parte di forcelle alcune previste per un notevole numero di battute.
Siccome qualcuno che ci addita, per la nostra attenzione ai segni di espressione quali Beckmesser dell'opera, quando, se non con il melodramma, ma con l'altrui opinione il Beckmesser è proprio lui, preciso che il rispetto del segno di espressione previsto dall'autore, l'aggiungerne dei propri, l'ampliare il senso di quelli previsti non è affatto edonismo, ma rispetto dell'autore, interpretazione e talora, con il sostegno della tecnica assurgere al rango di artisti. Nel caso di Anita Cerquetti, pur con i difetti della zona acuta, la parola ARTE può coerentemente esser spesa.
La scena di Leonora de Vargas è il misto di eleganza, vigore e dolcezza che rendono la prima sezione della scena di altissimo livello, è il connubbio fra la dote e l'espressione, che fanno della monumentale ragazza marchigiana, che sul finire degli anni '50 venne a "dire la sua" nella lotta Callas-Tebaldi, un esempio monumentale (qui nel senso originario del termine) di accento verdiano.
Spartito alla mano possiamo rilevare come la Cerquetti non manchi un appuntamento con le forcelle previste da Verdi, alla chiusa del recitativo d'entrata rispetta alla perfezione l'indicazione "morendo" sulla frasetta "a tant'ambascia" e siccome la frase cade anche sul primo passaggio della voce femminile per i cultori di questi dettagli tecnici abbiamo anche un'esemplare esecuzione dell'operazione. La grande dote della Cerquetti si dispiega, poi, nella sezione conclusiva dell'aria dove Verdi prevede una serie di crescendo sulla parola - essenziale per la predisposta penitente- di "espierò". Questo per la cronaca è "cantare sulla parola". E siccome canta sulla parola Anita Cerquetti sul "pietà signore", dove Verdi prevede una forcella dal piano al forte, amplifica il senso del'invocazione eseguendo anche la forcella non prevista dal forte al piano. Questo significa interpretare. Arrivata alla chiusa dell'aria ossia il "non mi lasciar signor" la Cerquetti per rispettare l'indicazione "con più forza" attacca la frase piano e progressivamente spiega la propria privilegiata qualità e quantità vocale. Posso essere vociomane? Grande Ani'!!!!.
E l'ammirazione prosegue nel corso del dramma quando la Cerquetti, confitente, esegue un rallentando non previsto, ma di grande forza espressiva su "fin le belve" (re4 fa4), rende, per virtù di canto la raccomandazione verdiana di "salvati all'ombra di questa..." o l'attacco del più mosso "tua grazia sorride", che rende con la voce l'idea della serena redenzione raggiunta con il conforto della Fede, sino all'attenzione per tutti i segni di espressione "f" e l'accento del "plaudite o cori angelici". Questo ricompensa un paio di si nat piuttosto fissi e spinti.
Aggettivi, superlativi assoluti vanno spesi per la preghiera finale, che non superando un sol acuto consente al timbro dolce ed aureo della signora Cerquetti di chiudere la scena ed avviarsi alla redenzione.
Siccome l'interprete ed il fraseggiatore non si dovrebbe limitare al canto si devono ascoltare certe frasette come "un'infelice", autodefinizione di Leonora, che bussa al convento, "vergin m'assisti", di Leonora in attesa del Superiore e della Confessione, "Darmi a Dio", risposta di Leonora al Padre Guardiano, che investiga, come prescrivevano le norme del Concilio di Trento l'animus poenitendi o l'assunto "E' fermo" circa la perpetuità del voto e la seguente forcella sul "bontà divina" dal la al fa diesis. Repetita juvant: Grande Anì!
Premetto non che la grandezza di esecutrici e di interpreti manchi ad Antonietta Stella e Gabriella Tucci. Anzi ascoltare due cantanti che all'epoca dei loro successi furono, spesso, ritenute non al livello delle grandissime serve a valutare quei tempi, confrontadoli agli attuali.


Al convento della Madonna degli Angeli Antonietta Stella giunge con l'accompagnamento di Dimitri Mitropoulos e sia detto subito vi incontrerà un confessore ed un frate portinaio, che praticano la più autentica malagrazia del canto. Tale da mettere a dura prova qualsivoglia vocazione.
Il maestro Mitropoulos aveva interpretato in maniera esemplare qualche anno prima con Renata Tebaldi l’opera verdiana. Il maestro Mitropoulos, uno dei più grandi direttori d’orchestra mai esistiti proprio in quanto tale non aveva affatto idee preconcette e prestabilite sullo stacco dei tempi, modificabili a seconda del cantante di cui disponeva. Per quel che può interessare e contare tale opinione circa la qualità di un direttore è condivisa da Richard Bonynge, stando a quanto dichiarato dallo stesso qualche giorno or sono dai microfoni della Rai.
Per sincerarsi della grandezza basta ascoltare la realizzazione della medesima scena disponendo appunto della Tebaldi e della Stella.
Mitropoulos stacca in generale tempi veloci ed asciutti. La scelta consente ad una voce, che oggettivamente e soprattutto secondo i canoni del tempo, non era di autentico soprano drammatico, di essere, comunque, drammatica E ce ne accorgiamo subito quando il suono della Stella suona un poco spinto sul forte del sol diesis di "sangue" del recitativo, mentre subito dopo l’esecuzione del piano su “non reggo a tanta ambascia” è di grande presa emotiva e prepara l’esecuzione dell’aria dove l’allegro assai moderato è molto sostenuto e vibrante, ma la voce della Stella rende l’indicazione “come un lamento” di Verdi.
E’ evidente per superare il singolo esempio che con questo tempo, ad avviso del concertatore la cantante riusciva a rendere nel migliore dei modi quanto previsto da Verdi. Ad esempio e nelle frasi “espierò” e nel primo attacco di “pietà di me signor” la Stella suona un poco piatta, nel confronto con la Cerquetti, ma arrivati all’indicazione “con passione” su “non m’abbandonar” direttore e soprano eseguono un rallentando che coglie, dato il timbro dolce e femminile della protagonista, l’indicazione verdiana.
Della Stella nell’aria sono da ammirare la facilità con cui scende al registro grave e la dizione perfetta, scolpita, mai esagitata con la quale rende certe frasi come “ che come incenso ascendono a Dio” ossia “fede conforto e calma”, elementi che conpensano la mancanza della straordinaria dote timbrica in quella zona della Cerquetti.
Arrivati alla sezione conclusiva dell’aria Mitropoulos e la Stella danno luogo ad una esecuzione di grande carica e tensione: rispetto assoluto delle indicazioni dell’autore alla prescrizione “con più forza” dell’ultimo “non mi lasciar soccorrimi signor” e del seguente “deh non m’abbandonar” con Mitropoulos, che stringe moltissimo sugli ultimi “pietà signor” a rendere lo sconvolgimento interiore di Leonora. La quale è poi nervosa ed inquieta (e qui Antonietta Stella è irresistibile) in frasi come “chiedo il Superiore” autoritaria, come si conviene ad una dama di nobile schiatta per di più in veste di cavaliere.
Nel duetto per esaltare autore e doti naturali della protagonista Mitropoulos attacca piano l’allegro agitato “infelice delusa reietta”. In questo modo gli acuti squillanti e facili della Stella segnano il punto di più alta disperazione e tensione del brano. I punti esclamativi per direttore e soprano si impongono, al pari delle riprovazioni per il pessimo padre Guardiano. Pessimo vocalmente, ma accompagnato da un Mitropoulos, che rende perfettamente l’indicazione di “solenne” prevista alla frase “Guai per chi”. Certo per rendere indicazioni dell’autore e stacchi del direttore ci sarebbero voluti colossi come Pasero o Mardones. Inutile dire che una cantante lirica come la Stella rende compiutamente, nel generale rispetto dei segni di espressione, indicazioni come “dolcissimo” all’inizio del cantabile “più tranquilla l’alma sento”.
Nell’andante mosso “ Se voi cacciate questa pentita” Antonietta Stella non ha – perdonate la ripetizione- la straordinaria opulenza della zona medio grave della Cerquetti e la frase “Salvati all’ombra” ne risente nel senso che il soprano perugino non è ispirata come la corregionale. Arrivata alla chiusa della sezione “chi tal conforto mi toglierà” grazie ad un rallentando di Mitropoulos prepara un’esecuzione del “poco più mosso” aderente al dettato dell’autore ed al momento scenico.
L’ansia interiore di questa Leonora ritorna alla frasetta “Andiamo”, che precede la sezione conclusiva del duetto e la intensa scena della vestizione. A riprova che, almeno nel repertorio tradizionale (credo soprattutto grazie alla grande tradizione dei ripassatori e preparatori di spartito, che oggi abbiamo dimenticato completamente)l’eloquenza di fraseggio non fosse appannaggio di un solo soprano e, tanto meno un'invenzione dei soprani del dopo Callas, che alle prese con Leonora di Vargas non saranno in grado di eguagliare la triade oggi proposta. Quanto alla sezione finale del duetto, eseguita ab integro, la Stella è ancora attentissima al rispetto dei segni di espressione previsti e chi volesse munirsi di spartito potrà anche verificare che le idee del compositore risultino amplificate dalle scelte dinamiche del soprano e della bacchetta. Come sempre gli acuti della Stella sono facili e radiosi.
Arrivati alla scena della vestizione il vero protagonista diventa il direttore. Era accaduto lo stesso anche a Firenze. Il tempo a Vienna è sostenutissimo, nessuna indulgenza quando gli archi attaccano il tema di Leonora a tempi allargati, ma al tempo stesso la scena ha l’austerità e la solennità che la vestizione di un religioso richiede. Mitropoulos era uomo religiosissimo e di grande cultura spirituale. Credo si senta nell’evocazione del clima conventuale, molto caro ad un ortodosso. Il vero tallone d’Achille è il basso. Quando, poi, attacca il tema della “vergine degli angeli” con l’indicazione di sottovoce orchestra e coro rendono l’idea della pace ormai conquistata dall’inquieta protagonista, che rispetta le indicazioni di piano e forte previste e, per smentire chi ritiene Antonietta Stella discreta cantante e mediocre interprete, non si canta affatto addosso. Per lei cantano orchestra, coro e, soprattutto direttore.


La terza penitente, che giunge all'immaginario convento della Madonna degli Angeli è Gabriella Tucci. Siamo a New York, 1965, ripresa della Forza del destino sotto la guida di Nello Santi (il braccio sicuro!), star della serata Franco Corelli, arduo confronto per la protagonsta femminile i cui termini di paragone si chiamano Milanov e Tebaldi nel recente passato, Leontyne Price in contemporaneo.
La voce della Tucci non aveva l'opulenza straordinaria di Anita Cerquetti e neppure il timbro di Antonietta Stella. Tecnica, musicalità e resistenza erano quelle della professionista di una solidità oggi persa e dimenticata, che consentivano la sistematica esecuzione del Verdi pesante ad una cantante, che soprano lirico drammatico non era. In difetto non si giustificherebbero un repertorio vastissimo e trent'anni di carriera nei massimi teatri del mondo, Metropolitan più di ogni altro.
Allora si parlava con sufficienza di una cantante come la Tucci, oggi del professionismo e del mestiere solidissimo di una Tucci siamo privi e, quindi, spendiamo parole come artista, diva, interprete per soggetti quali la signora Fleming, che dopo il verismo potrebbe anche approdare al tardo Verdi.
Tanto per incrementare gli incassi e diseducare le orecchie degli ascoltatori. Gabriella Tucci, invece, educa e forma l'ascoltatore, pur non essendo una fuoriclasse.
L'esecuzione della grande scena di Leonora di Gabriella Tucci -ripeto solidissima professionista- consente di comprendere a chi non era nato o non andava all'opera nel 1965 perchè Forza, Aida, Ballo, Chenier, Tosca fossero rappresentante in ogni teatro senza alcun problema o patema d'animo. Erano, appunto il repertorio.
E trattandosi di esecuzione di opera di repertorio si alternano colpi da artista a normale esecuzione. Arrivata al convento la preoccupazione di soprano e direttore è quello di essere drammatici. Conseguenza la Tucci, soprano lirico, risulta un poco enfatica nel recitativo; l'enfasi porta a qualche acuto spinto come il sol diesis di "sangue", mentre al si nat l'attacco è un po' duro, poi la cantante smorza la nota. Prodezza ed effetto di notevole drammaticità. Solo che per saperlo fare bisogna anche saper dove mettere la voce. Sentire sempre in confronto gli acuti della celebrata signora Fleming o di Violeta Urmana. Nella prima sezione dell'aria i segni di espressioni sono molto parzialmente eseguiti. Arrivata, però, nell'elemento più consono alla propria voce, la seconda sezione dell'aria il "deh non m'abbandonar", la Tucci inizia ad esprimere l'ansia di pentimento e redenzione di Leonora. Facilissimi gli acuti, senza difficoltà e cattivo gusto la discesa nella zona medio grave della voce. Santi non è Mitropoulos. Anche lui stringe nelle ultime invocazioni. Alla fine applausi, anzi ovazioni. Meritatissime.
Nelle battute di conversazione con Melitone è chiaro che il timbro privilegiato della Tucci è già sufficiente per essere la tormentata ed impaurita donna, che chiede asilo fisico e morale. Sentire "fama pietoso il dice" e "Vergin m'assisti".
Essere varie significa cambiare colore della voce passando dalle frasi finali dell'invocazione al brevissimo "un segreto".
Nell'esecuzione del duetto Gabriella Tucci canta bene, l'interprete è accorata e misurata, arrivata al primo si nat di "sua figlia a maledire" emette una nota facilissima e penetrante. La "zampata" arriva al "Darmi a Dio". Sul si naturale centrale di "Dio" un rallentando rende l'enfasi dell'eccesso di desiderio di espiazione, che anima donna Leonora. Verdi nulla indica. Ripeto e chiedo scusa di certa insistenza, questa è la frase, che colpisce l'ascoltatore, non è l'effettaccio è rendere il momento drammatico, sensazione che si ripete nel contrasto fra la frase "salvati all'ombra" e il successivo "voi mi scacciate".
Che Gabriella Tucci fosse un soprano lirico emerge nella conclusione del duetto con il padre guardiano dove le prime frasi si giovano del timbro dolce ed angelico, ma lo slancio drammatico richiesto e verdiano per eccellenza costringono la cantante a qualche acuto un po' spinto e forzato coma accade con il si nat.4 di "grazie". Accorciata la sezione conclusiva, squillante e fermissimo il si nat. 4 della chiusa. Ovvio che la Tucci canti benissimo la Vergine degli angeli.
Morale: nessuno dei bassi anche se porta l'insigne nome di Boris Christoff può eguagliare Pasero, Pinza e Vaghi, uno -Kreppel- sarebbe da protesta. Dei diriettori Mitropoulos è un gigante, un esempio. Gli altri solidissimi professionisti; non perdono mai cantanti ed orchestra. Le tre protagoniste sono ciascuna variamente la declinazione della voce d'oro italiana o all'italiana, del fraseggio sempre preciso, eloquente, congruo al momento scenico e drammatico.
Soprattutto ci ricordano il significato culturale del melodramma italiano.
Grazie a queste ormai ultrasettantenni ex ragazze dell'Italia centrale, che nella realtà, arrivate al convento, avrebbero esclamato "so' qua"!





Gli ascolti

Verdi - La forza del destino


Atto II

Son giunta!...Madre, pietosa Vergine...Chi siete?...Più tranquilla l'alma sento...Se voi scacciate questa pentita...Sull'alba il piede all'eremo...Il santo nome di Dio Signore...La Vergine degli Angeli

1957 - Anita Cerquetti (con Boris Christoff & Fernando Corena - dir. Nino Sanzogno - RAI)

1960 - Antonietta Stella (con Walter Kreppel & Karl Doench - dir. Dimitri Mitropoulos - Opera di Stato, Vienna)

1965 - Gabriella Tucci (con Giorgio Tozzi & Elfego Esparza - dir. Nello Santi - Met, New York)

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giovedì 20 novembre 2008

Serie B a chi ?!? - quarta puntata


Nel panorama lirico degli anni '50 e '60 si segnalarono pure per diverse ragioni, due giovani voci di soprano lirico guadagnandosi via via una carriera teatrale di prim'ordine : Rosanna Carteri e Gabriella Tucci.
Entrambi soprani lirici per natura, percorsero vie in parte diverse, la prima sempre si mantennne nel repertorio del soprano lirico affrontando anche ruoli da lirico leggero, mentre la seconda, forse anche per la qualitàdella dote vocale, si spinse verso il repertorio del soprano lirico spinto e drammatico.

Rosanna Carteri, veronese di nascita e padovana d'adozione, studia pianoforte fin da bambina e da subito rivela una spiccata propensione per la musica e l'arte del canto. Le prime apparizioni in concerti vocali avvengono addirittura durante la minore età mentre il debutto vero e proprio avviene a Caracalla nel 1949, a soli diciannove anni, come Elsa nel Lohengrin. Ammesso e non concesso che la nostra Rosanna non avesse il vizio-vezzo di cavarsi qualche anno. Un debutto che fece puntare gli occhi sul talento del giovane soprano, che si guadagnò subito grande fama e scritture nei principali teatri italiani oltre che numerose esibizioni ed incisioni per la RAI, all'epoca con una vera e propria stagione lirica al suo attivo. A Rosanna Carteri toccò, fra l'altro, l'onere della prima opera televisa prodotta dalla Rai: Traviata nel 1956. Non dimentichiamo che il soprano veronese era davvero una bellissima ragazza. Il repertorio praticato, come già detto, era quello del soprano lirico : Mimì, Violetta Valery, Suzel dell'Amico Fritz, la Matilde del Guglielmo Tell (interpretata in anni in cui, vale la pena ricordarlo, l'alternativa potevano essere colleghe del calibro di Renata Tebaldi o Gabriella Gatti), la Manon di Massenet, Liù, Magda di Civry de La rondine pucciniana, ma anche ruoli ritenuti più da lirico-leggero come la Giulietta Capuleti, Susanna ne Le nozze di Figaro, Adina, Norina, Linda di Chamounix, Zerlina, Lucieta nei Quatro Rusteghi. Interpretando questi ruoli miete successi in molti teatri italiani affermandosi definitivamente come una delle più interessanti cantanti della sua generazione. La carriera della Carteri continua fra successi fino al 1966, quando dopo un Otello a Parma, decide di ritirarsi per la famiglia. Un ritorno alle scene avviene nella stagione 1971/1972 con alcuni concerti, l'esecuzione dello Stabat Mater e della Petite Messe Solennelle di Rossini e un'ultima recita di Traviata.
Il successo di Rosanna Carteri fu, dunque, immediato e di grande portata, e le ragioni di questo successo vanno ricercate in una voce dal bellissimo timbro, corposa, piena, governata da una solida tecnica e da grande professionismo, che consentirono alla Carteri di poter sostenere i ritmi di una grande carriera e di mantenersi sempre all'altezza della sua fama. Questo professionismo e questa serietà sono oggi motivi che rendono la Carteri come modello d'eccezionalità forse anche più che per la straordinaria dote vocale.
Gli ascolti proposti vanno a corprire praticamente tutto l'arco della carriera di Rosanna Carteri e il suo repertorio, permettendoci di analizzarne e ascoltarne pregi e difetti.
Nel finale di Suor Angelica si apprezza la sicurezza del canto della Carteri. Nella prima parte la salita ai due temibili do di La grazia è discesa dal Cielo, viene risolta abbastanza bene, anche se si rileva un pò di tensione. Nonostante gli ufficiale vent'anni all'epoca della registrazione (una delle prime per i microfoni della RAI, in seguito stampate per la Fonit Cetra) la Carteri mostra una voce rotonda e piena al centro, cui una corretta tecnica permette di scendere abbastanza agevolmente (i mi in primo rigo di "Suor Angelica ha sempre una ricetta" sono suoni raccolti e immascherati) e di mantenere una notevole sicurezza di linea pur in una parte pesantissima ( a rigre da lirico spinto) come Suor Angelica, addirittura proibitiva per una debuttante, salvo che essa possieda una solidissima tecnica. L'accento è, poi, semplice, curato nella dizione, tratto tipico della grande tradizione di canto italiano, ma efficace, attento, mai caricato o inappropriato al momento drammatico. Si percepisce che il modello a cui la Carteri guarda sono la Tebaldi e la Caniglia, le due Voci per eccellenza della sua genereazione e di quella precedente, a questo forse è riconducibile un certo aprire i suoni al centro in cerca di maggiore ampiezza, cosa che spesso porta a pregiudicare i primi acuti, che risultano spinti.
Interessante è l'ascolto dell'aria di Sinaide dal Mosé di Rossini, interpretata alla RAI nel 1956 sotto la direzione di Tullio Serafin in compagnia di Nicola Rossi-Lemeni, Anita Cerquetti e Giuseppe Taddei. Nonostante il ruolo sia scritto in tessitura da mezzo acuto la tradizione esecutiva italiana degli anni 30-50 era solita affidarlo ad una voce più leggera (da contrapporre al soprano drammatico inteprete di Anaide) e, quindi, anche più facile nell'eseguire i passi più acuti della parte. La voce della Carteri in questo ascolto appare sontuosa per la bellezza della dote vocale, davvero regale, e ammirabile per la sicurezza con cui scende nella zona bassa del pentagramma (pur ricorrendo al registro di petto, i suoni sono raccolti e mai spinti, e quindi mai aperti e volgari) per, poi, salire ad acuti di rara luminosità. Anche i passi vocalizzati sono risolti con grande professionismo pur non avendo la precisione o lo slancio di altre interpreti, contemporanee o di poco seguenti.
Veramente bellissimi sono gli ascolti pucciniani, fra cui bisogna segnalare il duetto del primo atto di Madama Butterfly con Carlo Bergonzi. Non so quale sia stata l'effettiva frequentazione teatrale col ruolo per la Carteri, certo dall'ascolto ci troviamo di fronte ad un'esecuzione pressoché ideale. La voce bellissima, piena, da autentico soprano lirico è ideale per Butterfly, ben rendendo l'aspetto di gioventù che il personaggio deve mantenere ma capace di reggere l'orchestrale e la scrittura pucciniana, spesso impervia. Nel duetto la Carteri si distingue soprattutto nella seconda parte, per l'attenzione ai segni d'espressione e per un legato d'alta scuola che le permette di essere seducente ed espressiva con accento semplice ma efficace, sostenuto com'è dalla salda linea di canto.
Ideale è la sua Mimì, giustamente uno dei suoi cavalli di battaglia, che brilla per virtù vocali ed espressive. La Carteri è attentissima ai segni d'espressione che Puccini spande a larghe mani in tutta la parte, esegue con attenzione i vari "ritenuto" e tutti i segni di legatura, anche quelli fra due note come nel caso del mi e del re di "involgi tutto quanto in un grembiale") che la Carteri risolve con un piccolo portamento. La voce è in grado di alternare soavi pianissimi, di grande effetto ed espressione, come su "a intesser finti fior", o il secondo "se vuoi", mentre sul primo "se vuoi" e sul finale "se vuoi serbarlo a ricordo d'amor" la voce si espande in tutta la sua pienezza per dare a Mimì quella che è e sarebbe la sua vera voce.

Di più lunga durata e più vasto repertorio fu la carriera di Gabriella Tucci, la quale dopo aver terminato gli studi presso l'Accademia di Santa Cecilia nella nativa Roma vince il Primo Premio del Concorso Internazionale di Canto di Spoleto che le permette di debuttare dapprima come Suzel nel 1951 e poi come Leonora de La forza del destino accanto a Beniamino Gigli l'anno seguente. Facendosi notare per la bellezza della voce unita a quella della figura Gabriella Tucci comincia la sua carriera lirica che prima la vede impegnata in una onerosa gavetta (che la stessa Tucci in numerose interviste ha sempre riconosciuto come una fortuna, fonte di esperienza e maturazione professionale) che la porta a debuttare numerosi importanti ruoli in provincia (Traviata, Otello, Faust fra gli altri) e a rivestire seconde parti in importanti produzioni accanto a grandi primedonne (Anna nel Nabucco accanto a Maria Caniglia nel 1951, Glauce in Medea accanto a Maria Callas a Firenze, Venezia e Roma, I Cavalieri di Ekebù con Gianna Pederzini). Il successo internazionale viene raggiunto nel 1959 anno in cui dapprima si fa notare come interprete di Otello, Traviata e Carmen a Tokyo (di cui esistono anche delle riprese video), incide I pagliacci accanto a Mario Del Monaco per la Decca e debutta alla Scala in Boheme e Carmen. L'anno seguente altri due importanti debutti fra i mille impegni : il debutto al Metropolitan Opera House come Madama Butterfly e il debutto al Covent Garden in Tosca. La carriera di Gabriella Tucci procede così fra la giusta gloria e un repertorio gravoso che le fa alternare Butterfly, Boheme, Traviata, Don Giovanni (sia come Donna Anna, sia come Donna Elvira) ad Aida, Trovatore, Tosca, Puritani, Rigoletto, Andrea Chénier, Un ballo in maschera, opere che interpreta nei maggiori teatri internazionali e soprattutto al Met, dove la Tucci canta abitualmente fino al 1972 in tre/quattro produzioni all'anno. L'ultima fase della carriera è fatta di apparizioni più diradate rispetto ai massacranti ritmi mantenuti per più di venti anni fino ad allora, ma la vedono ancora impegnata in ruoli come Butterfly, Liù, Mimì, Leonora della Forza del destino, Aida, addirittura il debutto come Rosina nel Barbiere di Siviglia nel 1979 e due ultime opere nel 1988, Suor Angelica e Un ballo in maschera al Central Park di New York City, ma anche e soprattutto una intensa carriera come concertista.

Gabriella Tucci, come molte colleghe sue contemporanee, è un emblema di professionismo vocale, un'Artista seria e scupolosa che, forte di una dote naturale eccezionale per bellezza e duttilità e di una tecnica ferrata e sicura, ha potuto reggere i ritmi di una carriera internazionale in un repertorio vastissimo (e spesso più pesante del dovuto, la Tucci essendo per natura un soprano lirico, lirico-spinto più che un vero soprano drammatico) mantenendo sempre alto il proprio livello esecutivo.
Neanche Gabriella Tucci era priva di difetti. Anche in lei è possibile notare come soprattutto al centro si volesse aiutare la Natura, già di per sè molto generosa, cercando di rendere i centri appunto più sontuosi aprendo un pò il suono (sul modello della Tebaldi probabilmente), col risultato di scoprire poi i primi acuti (in ispecie sol e la), non sempre belli. Questo è possibile notarlo per esempio nell'entrata di Butterfly dove però, se i primissimi acuti appaiono un pò spinti, la Tucci è, però, in grado di chiudere con un re bemolle attaccato piano e rinforzato. Prodezza che ripete nel do dei Cieli azzurri proposti, la cui esecuzione è da manuale, tanta è la facilità del canto e l'accuratezza dell'espressione, lirica e dolente, con grande attenzione alle indicazioni dello spartito.
Anche in Butterfly è possibile notare una accuratezza nel seguire le indicazioni dello spartito oltre che una grande cura della dizione e dell'espressione drammatica, mai sacrificata al canto, anzi molto sicuro, tanto da permetterle di rendere benissimo l "allargando" che Puccini prescrive sul la naturale di "Ei torna e m'ama", con grande effetto per il pubblico che giustamente prorompe in una meritatissima ovazione per la Tucci.
Altro interessantissimo ascolto è il Tu che le vanità dal Don Carlos, da una registrazione in-house del Metropolitan diretto da Claudio Abbado. La Tucci propone una Elisabetta più sul versante lirico che drammatico, ma la registrazione permette di capire benissimo quanta e di che qualità fosse la voce della Tucci, sontuosa al centro e soprattutto in alto proiettatissima e ampia, tanto da reggere facilmente l'orchestrale verdiano, con vero effetto di "grandioso" in più punti, come prescritto da Verdi.
Particolarmente bello è il Libera me Domine del Requiem verdiano. Con una voce lirica, ma importante la Tucci pone grande attenzione ai segni di dinamica, è bravissima soprattutto ogni qual volta alla voce è richiesto di smorzare o rinforzare i suoni. Nella prima parte del Libera me Domine la Tucci propone un'esecuzione molto dolce e lirica, è bravissima poi nella sezione centrale, Requiem aeternam, dove è ammirevole la saldezza della Tucci nel cantare piano, mantenendo la voce sempre sul "dolcissimo" prescritto da Verdi ma riuscendo a smorzare e rinforzare a piacimento i suoni, concludendo poi con un si bemolle di rara bellezza e pienezza sonora. Nell'ultima parte è possibile notare invece qualche acuto spinto e ghermito (due la naturali) laddove è chiamata a cantare su coro e orchestra con forza, prima di salire nel finale ad un sicuro e svettante do.

Rosanna Carteri e Gabriella Tucci sono state e restano due cantanti ai loro tempi di fama e grande carriera, oggi, in sede di riesame e ripensamenti, eccezionali, mirabili per la serietà con cui hanno saputo affermarsi come grandi Primedonne del loro tempo non tanto con atteggiamenti divistici quanto piuttosto con la saldezza del loro canto e la serietà con cui erano solite presentarsi in teatro. Le loro carriere, come quelle di molte cantanti ( e ci limitiamo, per ora a quelle italiane) di cui abbiamo parlato dovrebbero perciò giustamente essere prese come modello e fonte di ispirazione per molti cantanti, divi affermati o giovani debuttanti, del nostro, (misero?) presente.

Gli ascolti

Rosanna Carteri

Puccini - La bohème
Atto III - Donde lieta uscì (1952)

Puccini - Madama Butterfly
Atto I - Viene la sera...Vogliatemi bene (con Carlo Bergonzi - 1960)

Puccini - Suor Angelica
La grazia è discesa dal Cielo (1950)

Rossini - Mosé
Atto II - Ah! D'un'afflitta il duolo...Calma quell'ira e cedi (con Gianni Jaja - 1956)

Rossini - Stabat Mater
Inflammatus et accensus (1972)

Verdi - La traviata
Atto II - Invitato a qui seguirmi...Alfredo, Alfredo (con Nicola Filacuridi & Carlo Tagliabue - 1955)

Verdi - I vespri siciliani
Atto V - Mercé dilette amiche (1960)

Gabriella Tucci

Puccini - Madama Butterfly
Atto II - Una nave da guerra!...Scuoti quella fronda di ciliegio (con Helen Vanni - 1962)

Rossini - Guglielmo Tell

Atto II - S'allontanano alfin...Selva opaca (1957)

Verdi - Il trovatore
Atto IV - Ecco la torre...D'amor sull'ali rosee...Miserere (con Franco Corelli - 1964)

Verdi - Don Carlos
Atto IV - Tu che le vanità (1968)

Verdi - Aida
Atto III - Qui Radames verrà...O patria mia (1962)

Verdi - Messa di Requiem
Libera me Domine (1963)

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domenica 16 novembre 2008

Fiorenza Cedolins lascia l'Aida a Barcellona


Giunge da Barcellona la notizia del forfait del soprano Fiorenza Cedolins, prevista come Aida al Gran Teatre del Liceu, dove pochi mesi fa aveva cantato la Norma di Bellini. Attendono ora il soprano friulano prossimi impegni come i debutti nel ruolo di Magda ne La rondine di Puccini, spettacolo inaugurale della Stagione 2008 di Venezia, Paolina nel Poliuto di Donizetti a Bilbao, Lucrezia Borgia a Torino, Maddalena di Coigny in Andrea Chénier al Teatro alla Scala di Milano.

Offriamo come consolazione di questo forfait quattro Aide, non annoverate fra le grandissime : Maria Pedrini, Gabriella Tucci, Lucine Amara, Gilda Cruz-Romo. Buon ascolto!

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