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venerdì 22 aprile 2011

Stagioni 2011-12, la Quaresima perpetua. Stazione sesta: Gran Teatre del Liceu di Barcelona

Una dozzina di titoli per la prossima stagione lirica catalana, come a Milano. Una miscela di repertorio, modernità e settecento, all’insegna dell’accontentare un po’ tutti i gusti del pubblico, con star del momento, d’antan, cantanti di medio livello e nn, anch’essi miscelati secondo opportunità.


Potrebbe anche leggersi in chiave “Guest vs Home”, come ben esemplifica il cast di Bohème, che comincia con un quartetto di stelle e semistelle, più o meno fresche, su cui campeggia la diva Angela ( come in Scala ), ma in apertura ancora con F. Cedolins, per finire con cantanti spagnole più o meno note. Stesso principio per i tenori, a discendere nel nome, nella qualità non saprei, non conoscendo quelli in coda al gruppo, tutti sotto l’egida di una bacchetta spagnola, Victo Pablo Perez, regia di Del Monaco.
Colpisce la topica inaugurale, ossia che dei due cast migliori della stagione, Faust e Linda, il primo venga “sprecato” per una selezione concertistica dell’opera. Passi per il dubbio Erwin Schrott, deludentissimo alle ultime apparizioni, ma il duo protagonista è interessante e meritava la produzione integrale con tutti i crismi necessari all’inaugurazione. Inspigabile poi il doppio cast per una versione concertistica in selezione. Nella Linda Florez sarà piuttosto leggero ma a fianco di una partner, di gran moda in questo momento, dalla voce piccola piccola ed imprecisa nella coloratura, saprà ben figurare come sempre. Certo, Donizetti vorrebbe altre voci ed altro tipo di fraseggiatori, ragionando more tradizione, ma coi tempi che corrono sarà certamente un trionfo, in stile catalano. Secondo cast alla spagnola, con la riapparizione di Mariola Cantarero e, soprattutto, di Ismael Jordi, che nella Borgia fiamminga di un paio d’anni fa mi aveva assi bene impressionato.
Il Liceu propone anche quella meraviglia di Pelleas et Melisande di Debussy affidandosi alle suggestioni cromatiche e ai climi rarefatti di Bob Wilson. Al di là degli interpreti vocali, forse il nodo principale della produzione sarà la bacchetta. Con un’orchestra di non altissimo livello, forse sarebbe stato meglio rivolgersi fuori casa. Interessanti anche la proposta di un‘opera del celebre Martin I Soler, Il Burbero di Buon Cuore, affidata alla direzione di Savall e ad Irina Brook, come pure di Una tragedia fiorentina e il Nano di Zemlinsky, affidati alla direzione di Marc Albrecht, bacchetta esperta nelle opere del Novecento. Del tutto inutili le Nozze di Figaro, affidate alla direzione di Rousset, come pure le poche recite del Flauto Magico, produzioni senza motivi di interesse nè ragioni di proposizione dati i cast.Rileviamo l'assenza di fantasia della direzione artistica nelle scelte.
L’Adriana avrebbe meritato una bacchetta naturalmente più fascinosa e con le mani più in pasta nei melismi del verismo italiano che non il signor Benini, anche perchè il trio delle protagoniste è, per ragioni svariate, spontaneamente privo del fascino, o meglio, dell’allure che Adriana presuppone. Il gruppetto delle signore prescelte si trova male in arnese vocalmente, gli acuti o ballano o non ci sono ( evabbè, tanto Adriana di acuti ne ha pochetti...), volume ...insomma, timbro...meglio un tema di riserva, ma, sopratutto, non c’è più voce ferma e legata sul centro, o per dissesto precoce, o per obsolescenza, o per vizio antico. E chi fraseggerà allora? I Maurizio di R. Alagna e F.Armiliato, assieme a Carlo Ventre, completano la sequenza tipo all star. E' certo che delle malcapitate Adriane che turneranno con lei, la signora Zajick farà polpette, magari con un sugo un po’ pesante, ma pur sempre ...polpette! Quanto alla seconda Bouillon, M. Cornetti, anche se a volte tende a lasciarsi andare oltre il buon gusto, avrà comunque qualche arma, arrugginita, da usare contro la malcapitata di turno, mentre sulla carta meno dotata per lo scontro sarà Elisabetta Fiorillo.
Con l’Aida la direzione del Liceu ha predisposto un cast “classico”, Amneris e Radames ultra dejà vùe, D'Intino/Komlosy - Giordani, e la più solida ( forse all’epoca della stesura della stagione, oggi un po’ meno... ) delle all star americane, Sondra Rodvanovsky, di certo carente in legato e dolcezza, ma con la prodezza del do smorzato nei “Cieli Azzurri”, cui il secondo cast della Havemann non credo farà ombra alcuna Sottodimensionato rispetto alla figlia l’Amonasro di Z.Lucic, mentre ormai da datare col radiocarbonio 14 quello del secondo cast di J.Pons, che gioca per gli Home, seconda produzione per lui al Liceu dato che sarà anche Michonnet in primo cast. Guiderà il plotone il maestro Palumbo.
Stagione di concerti di canto brevissima, con la triade Florez, Pape e Stemme, da sentire solo il primo, mentre a lato spiccano i 50 anni di Liceu di Montserrat Caballè e, nella stagione concertistica, la serata haendeliana con P. Jaroussky con un complesso baroccaro tedesco.












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martedì 8 giugno 2010

Stagioni 2010-11. La Spagna, prima puntata: Gran Teatre del Liceu, Barcelona

Continuano le nostre analisi e “vaticini” con cui ci avventuriamo negli oscuri meandri delle nuove stagioni teatrali, attraverso oroscopi ed epifanie, nuove e vecchie glorie, scandali annunciati e opere in concerto, in quest’epoca “aurata” dell’opera.
Tocca alla Spagna, nella veste di uno dei suoi più rappresentativi e gloriosi teatri: il Gran Teatre del Liceu di Barcellona.

Colpiscono le scelte eterogenee del repertorio, gli accostamenti di stili e di epoche, la possibilità di conoscere nuovi compositori, la ricchezza dei recital e dei concerti e le numerose iniziative culturali volte a coinvolgere e accontentare tutte le fasce di età del pubblico.
Colpisce anche la massiccia presenza di autentici veterani dell’opera, alcuni impiegati in ruoli principali, altri in parti di fianco o semplici camei.
Colpisce la voglia di stupire a tutti i costi attraverso il “Regietheater”, oscillando pericolosamente tra scandalo e vera vita teatrale, contrasto questo che desta più di un sospetto pubblicitario, ma che è comunque amministrato con abilità grazie ad un intelligente gioco di coproduzioni, che noi italiani dovremmo studiare e imparare.
Certo, molti sono titoli risaputi, già apparsi nel recente passato del Liceu: eppure il numero di recite complessive e l’ampio ventaglio dei cast schierati (nomi non sempre all’altezza, sia chiaro) permettono al Teatro di rimanere aperto per buona parte dell’anno e di “vivere” assieme al suo pubblico come dovrebbe sempre essere.

Il Liceu ha scelto di allestire per l’avvio della propria stagione l’ “Ifigenia in Tauride” di Gluck, ma nella seconda versione viennese in tedesco del 1781 in un allestimento curato dalla compianta Pina Bausch e Jürgen Dreier già visto a Wuppertal ed al Sadler's Wells Theatre di Londra e risalente al 1974. Si tratta di uno spettacolo che fonde Opera e Danza e che vede nei solisti la presenza di cantanti cantanti come i soprani tuttofare Elisabete Matos e Danielle Halbwachs, i tenore in ascesa Nikolai Andrei Schukoff e Norbert Ernst. Dirige il Maestro Jan Michael Horstmann, direttore generale del Mittelsächsisches Theater di Friburgo e molto attivo nei teatri di aria tedesca.

Ma la vera inaugurazione operistica spetta all’attesissima “Carmen”, non tanto per i cast schierati, quanto per la regia affidata al “trasgressivo” Calixto Bieito; e scandalo sarà senza alcun dubbio! Banale, risaputo, di maniera, tradizionalissimo scandalo annunciato. Una coproduzione, che se saremo “fortunati”, potremo ammirare anche noi scandalizzati (o meglio, annoiati) anche in Italia presso il Teatro Regio di Torino ed il Teatro Massimo di Palermo, coproduzione in occasione della quale Bieito ha rielaborato un precedente e premiato spettacolo montato nel 1999 per il Festival de Peralada e per il Teatro Auditorio San Lorenzo del Escorial. In molte interviste il regista si è rimproverato per non aver avuto il coraggio, nel ‘99, di andare fino in fondo con le proprie idee, poiché allora non padroneggiava con la stessa disinvoltura di oggi il linguaggio dell’opera: povero Calixto! Speriamo di tutto cuore che a Barcellona riesca a dare sfogo al suo estro: già a Peralada Bieito insisteva sull’uso smodato di violenza, alcool, sesso e sangue, temi cardini della sua “poetica”, entro i limiti di una scena vuota ambientata in Marocco in cui campeggiavano cabine telefoniche, basi militari e la sagoma del toro ideata da Osborne… il solito minestrone, insomma, che vorrebbe essere scandaloso e che nella nostra contemporaneità non è altro che tradizione già ammuffita. Con queste premesse ovvio che i cantanti passino assolutamente in secondo piano: per Carmen, alla discreta vocalità di Beatrice Uria-Monzon, si alterneranno Jossie Perez, la nostra Anna Caterina Antonacci, reduce da lusinghieri successi nello stesso titolo, e Maria José Montiel; gli amabili resti di Roberto Alagna e Neil Schicoff, affiancati dalle voci più “giovani” di Brandon Jovanovich, Fabio Armiliato e German Villars, presteranno il loro canto a Don Josè; se inspiegabile risulta l’ascesa e la scelta di un soprano come Marina Poplavskaya, che sarà presente su prestigiose ribalte, ancora meno interessanti risultano le presenze di Barbara Haveman, della prezzemolina Maria Bayo, altra cantante che pellegrina da un repertorio all’altro senza darsi pace, di Ainhoa Arteta e Ainhoa Garmendia per l’incarnazione di Micaela; Escamillo avrà le voci ed i corpi di Erwin Schrott, sperando che non scambi il Toreador con il Fonzie di “Happy Days”, di Jean-François Lapointe, dello sgraziato Kyle Ketelsen, e di Angel Odena. La bacchetta sarà quella di Marc Piollet, Generalmusikdirektor del Teatro di Wiesbaden, il quale in anni recenti è riuscito a portare la sua orchestra a livelli di eccellenza in un repertorio che va da Mozart fino al ‘900 passando per il romanticismo tedesco.

Si prosegue in ottobre con “Pierino e il lupo” di Prokofiev e con due recital: uno di Violeta Urmana, impegnata in brani di Duparc, Mahler, Strauss e accompagnata al piano da Jan Philipp Schulze, e l'altro di Jonas Kaufmann in un programma che associa Richard Strauss e Franz Schubert, mentre al piano Helmut Deutsch presterà il suo sostegno musicale.

A novembre altra opera e altro scandalo!
Per la “Lulu” di Berg, il Liceu ci informa che “La tematica dell’opera e la drammaturgia di Olivier Py (il regista) potrebbero offendere la sensibilità di alcuni spettatori”.
Ringraziamo il Teatro. In Italia si sarebbero già mossi Moige, Codacons, schiere di prelati e varie associazioni in difesa dei diritti. In effetti la produzione già vista al Grand Théâtre de Geneve ha destato scalpore e ovvio scandalo per i suoi contenuti espliciti e le sue provocazioni, arrivando addirittura a far parlare pubblico e critica di pornografia.
Py non è nuovo a questi “mélange” tra mondo dell’hard e l’opera, si sa, il confine tra melodramma e porno in questi anni è andato assottigliandosi: basterebbe dare un’occhiata ai suoi “Contes d’Hoffmann”, alla “Damnation de Faust” o al suo “Tannhäuser” ricchi com’erano di nudi e coiti più o meno consumati al proscenio.
Il cast è vocalmente perfetto per una tal regia, schiera un sopranino, ormai assoluto, come Patricia Petibon, che dopo i trascorsi baroccari e mozartiani è decisa a contaminare con la sua stramba vocalità anche Lulu; intorno a lei il buon Michael Volle, i consunti veterani Franz Grundheber e Julia Juon, ed il tenore Poul Groves.
Dirige Michael Boder, in passato assistente di Riccardo Muti e Zubin Mehta, e molto legato alla musica del ‘900, e abile narratore del repertorio tedesco di Strauss, Schoenberg e Berg e dei compositori contemporanei.

Nello stesso mese parte l’encomiabile e divertente iniziativa che il Liceu ha adottato per far avvicinare i bambini, i giovani e le famiglie al mondo del melodramma, attraverso una serie di adattamenti e riletture di opere di chiara fama come “Il barbiere di Siviglia”, “Cenerentola”, “Flauto magico”, “Così FUN tutte”, “El retablo de Maese Pedro”, affidate a compagnie teatrali di nuova generazione come la “Tricicle”, la “Compañía Etcétera” o quella di Joan Font.

Per il ciclo “Òpera al Foyer”, spazio alle nuove composizioni con l’opera in un atto “Into the Little Hill” del compositore britannico, allievo di Messiaen, George Benjamin, andata in scena la prima volta nel 2006 all’Opéra Bastille. Dirige Franck Ollu mentre agiranno sulla scena Susan Bickley e Claire Booth.

Il “Falstaff” previsto per dicembre vedrà sul podio Fabio Luisi, già direttore a Dresda e a Monaco del medesimo titolo, mentre Peter Stein si occuperà dell’ironico ed elegante allestimento coprodotto con la Welsh National Opera e l’Opéra National di Liegi, che ha già collezionato recensioni lusinghiere. Il cast riunito sarebbe stato soddisfacente, forse, cinque o dieci anni fa; ma oggi di fronte alle non esaltanti e recentissime prove dei singoli, come accogliere, se non con apprensione, Ambrogio Maestri, Fiorenza Cedolins, Ludovic Tézier, Mariola Cantarero ed Elisabetta Fiorillo? Una curiosità: il dottor Cajus sarà interpretato dall’inossidabile Raúl Giménez, già presente nelle recite parigine dirette da Gatti.

Sarà, però il mese di gennaio a offrirci una succosa leccornia, che a noi del blog desta moltissimo interesse: il 2011 si aprirà, dunque, con il sublime Donizetti di “Anna Bolena”, una nuova produzione a cura di Rafel Duran, regista teatrale figlio dell’Istituto del Teatro di Barcellona, attivissimo nel teatro sperimentale contemporaneo. Rinunciataria la vigile bacchetta di Stefan Anton Reck, concertatore di fiducia della primadonna Edita Gruberova da lui diretta, negli ultimi anni, in “Norma”, “Lucia di Lammermoor” e “Lucrezia Borgia”, prende il suo posto il meno interessante Andriy Yurkevych, che in Italia (non) si è fatto notare nella “Maria Stuarda” napoletana e nel “Falstaff” romano. La ghiottoneria inoltre darà la possibilità al pubblico di assistere allo scontro diretto tra le due ultime autentiche grandi Regine del “Belcanto”! I due cast schierano, infatti, nel ruolo del titolo, Edita Gruberova e Mariella Devia! In principio era previsto il debutto nel ruolo di un’altra italiana, ma poco sovrana belcantista, Fiorenza Cedolins il cui Donizetti non è sicuramente il fiore all’occhiello dei suoi ultimi approcci viste le recenti prove in “Maria Stuarda” e, addirittura, “Poliuto”. Chi in questo appassionante regal duello uscirà vincitrice? Speriamo di farvelo sapere! Il resto del cast è meno interessante: alla professionalità tenorile di Josep Bros, sarà affiancata la vocalità più acerba di José Manuel Zapata che ha personalità, supportata, però, da voce non esattamente estesa e controllata; al gelo siderale della “superstar”, solo sulla carta, Elina Garança, si alternerà l’incostanza mezzosopranile di Sonia Ganassi; Carlo Colombara e Simón Orfila interpreteranno Enrico VIII sperando che nel frattempo abbiano risolto le diffuse durezze delle ultime performance; Sonia Prina si prenderà per l’occasione una vacanza dal “Barocco” per interpretare il paggio e musico Smeton: chissà, magari le faranno suonare uno strumento originale del 15f6 per non farle venire troppa nostalgia.
All’ultimo Verdi verrà affiancato, in Febbraio, l’ultimo Wagner: “Parsifal”, in un nuovissimo allestimento in coproduzione con l’Opernhaus di Zurigo, curato da Claus Guth, regista che ha il difetto di ambientare quasi tutte le sue produzioni all’interno di una abitazione su più livelli, accessoriata di un’ampia scalea e di sdoppiare uno o più personaggi rendendo l’azione leggermente faticosa; possiede invece il pregio di saper muovere i cantanti in maniera logica e coerente nonostante una certa freddezza formale. Le nuove speranze del canto tenorile wagneriano Klaus Florian Vogt e Simon O’Neill (prossimo Siegmund in Scala) daranno volto al protagonista; Hans-Peter König ed Eric Halfvarson (il “nuovo” ed il “vecchio”) si occuperanno della solennità del vecchio Gurnemanz; i lamenti di Amfortas saranno affidati al veterano Alan Held e a Boaz Daniel che ha recentemente deluso sia come Wolfram a Torino sia nell’ “Ernani” a Chicago; a Daniel, assieme a John Wegner, spetterà l’onere di mutare Amfortas in Klingsor nel cast alternativo, secondo una prassi che si sperava desueta e superata; scellerata invece la scelta delle voci per Kundry: Anja Kampe timbro chiaro, tecnica allo sbaraglio, fraseggio incerto se non isterico e la tagliente e corrosiva Susan Bullock, temperamentosa quanto si vuole, ma già messa alla frusta nell’Elektra fiorentina. Dirige Michael Boder che torna sul podio del Liceu a distanza di pochi mesi dalla “Lulu”.
Dopo un concerto della nuova “starlettina” scovata dalla DG, Measha Brueggergosman, patrocinata da Peter Eötvös, ecco giungere in aprile l’accoppiata verista “Cavalleria rusticana-Pagliacci”. Sicuramente non una rarità, ma che farà parlare di sé più per la regia di Richard Jones che per il lato musicale (direzione di Daniele Callegari) e canoro. Si tratta di un allestimento in coproduzione con l’ENO, più volte ripreso negli ultimi anni, in cui “Cavalleria rusticana” è riletta alla luce di una Italia squallida e claustrofobica anni ’30, mentre “Pagliacci” si gioverà della tradizione fumettistica e comico-televisiva inglese anni ’70, arricchita da citazione tratte dagli spettacoli di Tommy Cooper e di Bernard Manning. Prevedibile il cast: Santuzza sarà interpretata dalla traballante Ildiko Komlosi, dall’affidabile Luciana D’Intino, presente anche in Scala, e dall’abrasiva Paoletta Marrocu; Turiddu da Marcello Giordani, dal declinante José Cura e da José Ferrero; Marco di Felice, già scialbo Foscari a Milano, sarà Alfio coadiuvato nelle recite successive da George Gagnidze, fresco trionfatore al Met grazie alla sua interpretazione di Scarpia in “Tosca”, e da Vittorio Vitelli, cantante già conosciuto a Barcellona, che lo scorso anno ha inaugurato la stagione con una sciagurata produzione di “Trovatore”; Mamma Lucia in questo contesto diventa un omaggio ad una artista stagionata e temperamentosa (ma decisamente stagionata) come Josephine Bartsow.
In “Pagliacci” tornano Giordani e Cura nel ruolo di Canio, mentre in terzo cast è previsto Piero Giuliacci, tonante di voce, ma ruvido nello stile; Angeles Blancas dopo Abigaille, Carlotta Nardi, Elettra, Rachel, Amelia Grimaldi e prima di Aida, ci riprova con Nedda, ruolo forse più nelle corde di un soprano dalla vocalità soave come quella di Inva Mula prevista in secondo cast, mentre terza scelta è rappresentata da Olga Mykytenko, pucciniana di fede, ma che non disdegna il Verdi di “Traviata” e “Masnadieri” o il Donizetti di “Lucia di Lammermoor”; tornano anche Gagnidze e Vitelli per affrontare Prologo e Tonio, preceduti, però, da Carlos Alvarez.

Torna anche Villazón, non si sa in che condizioni visto il suo recente Nemorino ed il sospetto di prevedibile forfait dietro l’angolo… ancora bisogna vedere se arriva in Scala! Ad accompagnarlo Michael Hofstetter, direttore di strenua ed indefessa fede “baroccara”, colpevole dell’orrido verdicidio pseudo filologico compiuto sul “Trovatore” a Ludwigsburg con la complicità di Simone Kermes.
Altri scandali a maggio con l'inoffensivo - in apparenza - Singspiel di Weber “Der Freischütz”, che nelle mani di un regista come Peter Konwitschny si trasformerà in un giocattolo cervellotico e demistificato nel suo allestimento già varato all’ Hamburgische Staatsoper. Buona la scelta dei due protagonisti, Peter Seiffert, Petra Maria Schnitzer, e dell’Eremita in cui potrà emergere il carisma e la scura vocalità l’amato Matti Salminen; qualche perplessità la desta il resto della compagnia (Ofèlia Sala, Albert Dohmen, Rolf Haunstein), e tutto il secondo cast (Lance Ryan, Soile Isokoski, Elena de la Merced). Marc Albrecht, esperto conoscitore dell’opera tedesca e non solo, dirigerà il tutto.
La stagione prosegue con un recital del controtenore Andreas Scholl, il quale si produrrà in brani che spazieranno da Purcell a Dowland, da Händel a Campion, fino ad Haydn, accompagnato al piano da Tamar Halperin, e con un concerto di Diana Damrau in un repertorio di coloratura diretta da Josep Pons con l’Orchestra del Gran Teatre del Liceu in formazione da camera.
In giugno sarà la volta di Paul Dukas con la sua “Ariane et Barbe-bleue”, allestimento di Claus Guth (la solita casa) in coproduzione con l’Opernhaus di Zurigo diretto dall’emergente Stéphane Denève, che potremo ascoltare alla Scala nel prossimo “Faust”. Interessante la scelta dei protagonisti: Ariane sarà affidata alle voci opulente, ma graffianti di Eva Maria Westbroek e Jeanne Michèle Charbonnet; Barbe Bleue potrà contare sull’esperienza (anche troppa) di José van Dam.

Con la messa in scena dell’opera in due atti di Charles Agustí “Lord Byron”, in collaborazione con lo Staatstheater di Darmstadt, prosegue il viaggio nei territori dell’opera contemporanea che il Liceu sta affrontando per dare la possibilità al proprio pubblico di scoprire lo stile dei compositori del nuovo millennio, permettendo alla composizione, grazie alle coproduzioni, di poter entrare nei circuiti di altre importanti ribalte al fine di avere maggior fruibilità: qualità permettendo.

Con “Tamerlano” di Haendel e “Daphne” di Strauss in luglio la stagione del Liceu arriva al suo compimento.
Entrambi i titoli saranno rappresentati in forma di concerto e potranno contare su interpreti “specializzati”, cosa non sempre foriera di virtù come vedremo.
William Lacey, direttore che predilige il “Barocco”, ma che non disdegna Mozart, Offenbach e Puccini, proporrà i controtenori Bejun Mehta e Max Emanuel Cencic, già passati al setaccio in questo Blog, nei ruoli di Tamerlano e Andronico; la voce delicata di Sarah Fox darà vita ad Asteria, personaggio che l’ha già vista impegnata su molte ribalte; Anne Sofie von Otter, in piena svolta vocale che l’ha condotta negli ultimi anni ad approfondire e accostare arditamente Haendel, Lully e Wagner, sarà Irene; in più un “giovane” baritenore di belle speranze scelto per Bajazet, che sta bruciando velocemente le tappe affrontando compositori e stili diversi in cui emergono i nomi di Gluck, Haendel, Wagner ed il Verdi maturo: Placido Domingo.
Speriamo non si bruci!
Per valorizzare una musica sfuggente e fragile, come quella concepita da Strauss per “Daphne”, ci vorrebbe una voce meno insipida di quella di Ricarda Merbeth; due tenori ben più robusti e differenziati nel timbro di Burckhard Fritz e Rainer Trost; una voce più fonda e vellutata di quella multiuso di Janina Baechle; un accento più vario rispetto alla monotonia di Robert Holl. Mi auguro solo che il direttore, Pablo González, ami la partitura almeno quanto la apprezzò ai suoi tempi Sawallisch.


Gli ascolti

Gluck - Iphigénie en Tauride

Atto I

O toi qui prolongeas mes jours - Sena Jurinac (1965)

Bizet - Carmen

Atto III

Je dis que rien ne m'épouvante - Rosanna Carteri (1955)

Wagner - Parsifal

Atto II

Amfortas! Die Wunde! - Isidoro de Fagoaga (1930)

Leoncavallo - Pagliacci

Atto I

Recitar!...Vesti la giubba - Miguel Fleta (1927)



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giovedì 11 marzo 2010

La fille du régiment in diretta da Barcelona

Radio Rai ha portato nelle nostre case, ieri sera, la Figlia del reggimento allestita dal Gran Teatre del Liceu. Si tratta della medesima produzione già vista a Vienna, Londra, New York e San Francisco, con la regia di Laurent Pelly che traspone la vicenda ai tempi della Belle Epoque. Cambiano le bacchette, cambiano le primedonne (prima la Dessay e la Damrau, ora Patrizia Ciofi), ma, con mirabile coerenza, il clima musicale resta comunque più legato ad Offenbach che al Bergamasco.

La direzione è affidata a Yves Abel, che tre anni fa diresse il titolo in Scala con il medesimo protagonista maschile. L'ouverture è fracassona, priva di finezza nell'enunciazione del tema del reggimento, il suono - specie quello degli archi - invariabilmente cupo e assai poco morbido. Una fotocopia del ricordo "live". Alla faccia delle presunte deformazioni operate dalla radio. Nel resto dell'opera abbiamo un'orchestra monocroma e impacciata, cori (soprattutto quello femminile nell'introduzione al primo atto) al limite dell'amatoriale e accompagnamenti alle arie tendenzialmente slentati, che offrono un ben povero servizio al canto. Perché, lo diciamo senza tema di smentite, il vero interesse di questa opera risiede nelle grandi pagine dedicate alla voce.
Marie è Patrizia Ciofi. La Ciofi gode fama, meritata, di cantante seria e di grande musicalità. Volendo però intendere in senso ampio la serietà richiesta a un professionista, in ogni settore, sarebbe dovere della signora Ciofi sospendere per un po', o concludere, la carriera. Le prove più recenti (Viaggio a Reims, Traviata, Tancredi) sono accomunate da una voce fioca e velata, in perenne difetto di appoggio, con il risultato che, al primo tentativo di mezzoforte, il soprano è costretto a spingere e di conseguenza a gridare. Gli acuti, soprattutto quelli aggiunti con generosità degna di miglior causa alla fine delle arie, sono sistematicamente tirati, a volte anche calanti (scena della lezione dove la signora senza fatica canta alla baroccara), nella zona del passaggio compaiono suoni fissi (canzone del reggimento) e in fascia centro-grave la voce semplicemente non c'è e la cantante, non potendo fare altrimenti, è costretta a parlare (scena con Sulpice). A ciò si aggiunga che, ove sia chiamata a cantare in assieme (duetto con Tonio, finale primo - in cui Marie deve "tirare" il concertato -, terzetto), la voce si fa ancora più larvale e di fatto svanisce nel nulla. Sappiamo che la Ciofi gode del favore e dell'affetto di ammiratori pronti a perdonarle qualunque menda vocale in nome di una non meglio specificata "espressività" insita nel canto della signora. A questi ammiratori, che sappiamo intenti a scorrere queste righe, chiediamo: vi sembra che la Marie querula e lagnosa, inevitabile portato del canto della Ciofi, abbia qualcosa che spartire con il personaggio brillante e patetico ideato da Donizetti? Poi si ha il coraggio di criticare June Anderson, che aveva acuti schiacciati, ma quanto a voce, presenza scenica, phisique du role e garbo musicale si assestava su tutt'altri livelli!!!
Svariati mondi vocali separano questa Marie dal suo Tonio, sebbene Juan Diego Flórez torni a questo personaggio (uno dei suoi più riusciti) con meno baldanza e più cautela rispetto al passato. La voce è sempre molto smilza, qua e là compaiono suoni nasali e il vibrato si fa più pronunciato nel corso della serata appena cerca di "dar volume" alla voce, ma l'interprete è giustamente molto misurato e supera con grazia gli ostacoli - non insormontabili - della parte. L'aspetto più interlocutorio è la gestione del legato, soprattutto quando si tratta di conciliare gli acuti (certo la zona più propizia al tenore peruviano) e i centri. Se gli acuti sono facili, come nell'aria del primo atto (bissata a furor di pubblico), la discesa al centro nelle frasi che separano i do si produce a prezzo di suoni aperti, mentre se il brano insiste in zona centrale, come nell'assolo del secondo atto, risulta problematica la scalata agli estremi del pentagramma. Certo, volendo fare i passatisti fino in fondo potremmo osservare che Kraus, anche in vecchiaia, dispensava nella sola aria del secondo atto una tale quantità di colori e nuances, quale il buon Flórez non ci regala nel corso dell'intera serata. Ma è anche vero che ogni cosa esiste in un contesto e anche rispetto a quello deve essere considerata e valutata. Con i magri tempi che corrono, quella di Flórez è una signora prestazione.
Pietro Spagnoli (Sulpice) è come al solito molto tenorile e in difetto di eleganza, ma la parte assai limitata lo espone poco, e quanto meno ci grazia dalle cadute di gusto che caratterizzavano la prova di Carlos Alvarez nella medesima regia.
Male, malissimo Victoria Livengood (subentrata all'ultimo minuto ad Ann Murray vedova Langridge, ed è la sua sola giustificazione), che scambia la Marchesa per un personaggio da avanspettacolo. Forse la dirigenza del Liceu avrebbe dovuto fare appello all'amore patrio della signora Caballé.
La parte della Duchessa, per il solito terreno di dive canore in fase "anta", è in questa produzione assegnata a un attore di prosa, Ángel Pavlovsky, specialista in parti "drag". Non sappiamo quale sia stato l'effetto della trovata in teatro. Per radio risultava assolutamente anodino, malgrado la recitazione caricata.
Chiudiamo, com'è nostro costume, con qualche ascolto. Per memoria e comparazione. Checché ne dicano i nostri censori, la memoria del passato (non solo dei pregi, ma anche dei difetti e dei limiti) è il solo elisir di lunga vita del teatro d'opera. Per questa ragione proponiamo, fra le altre, una Marie che fu una grande Lucia di Lammermoor ma anche Aida, Amelia del Ballo e persino Isotta e Carmen. Fu anche una celebrata interprete pucciniana e straussiana, il che dovrebbe fugare ogni dubbio sul peso vocale della signora. Possiamo discutere degli acuti, tendenzialmente fissi (anche facendo la tara all'anno di registrazione), ma la saldezza al centro e la qualità del legato, oltre alla sapiente gestione delle dinamiche, lasciano esterrefatti.
Dimenticavo: anche Jadlowker, con la sua voce naturalmente brunita che rimanda fin dall'attacco a personaggi di ben altro calibro, è raffinato e assolutamente sontuoso.



Gli ascolti

Donizetti - La fille du régiment


Atto I

Chacun le sait, chacun le dit - Margarethe Siems (1911)

Quoi! Vous m'aimez? - Frieda Hempel & Hermann Jadlowker (1909)

Atto II

Rataplan - Marcella Sembrich (con Charles Gilibert & Marie van Cauteren - 1903)

Pour me rapprocher de Marie - John McCormack (1910)

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domenica 16 novembre 2008

Fiorenza Cedolins lascia l'Aida a Barcellona


Giunge da Barcellona la notizia del forfait del soprano Fiorenza Cedolins, prevista come Aida al Gran Teatre del Liceu, dove pochi mesi fa aveva cantato la Norma di Bellini. Attendono ora il soprano friulano prossimi impegni come i debutti nel ruolo di Magda ne La rondine di Puccini, spettacolo inaugurale della Stagione 2008 di Venezia, Paolina nel Poliuto di Donizetti a Bilbao, Lucrezia Borgia a Torino, Maddalena di Coigny in Andrea Chénier al Teatro alla Scala di Milano.

Offriamo come consolazione di questo forfait quattro Aide, non annoverate fra le grandissime : Maria Pedrini, Gabriella Tucci, Lucine Amara, Gilda Cruz-Romo. Buon ascolto!

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giovedì 24 luglio 2008

Stagioni prossime venture: La Spagna


Ormai da tempo nota la composizione della stagione 2008-2009 nei maggiori teatri spagnoli (Real di Madrid, Liceu di Barcelona, Opera di Bilbao, Campoamor di Oviedo, Pérez Galdós di Las Palmas), il panorama iberico si prospetta, al pari di quello francese e londinese analizzato da Duprez, a dir poco desolante. Non certo per la quantità di proposte, sempre e comunque superiore a quella di teatri italiani dalle risorse altrettanto (se non più) importanti, bensì per la qualità di un'offerta che assai di rado coniuga arditezza di proposte e lungimiranza di distribuzione vocale, per tacere di quella artistica in senso lato.

Basta uno sguardo ai titoli per accorgersi della poca fantasia dei curatori dei cartelloni: se fra gli autori premozartiani fanno timidamente capolino solo Monteverdi, Purcell (la solita Dido & Aeneas) e Haendel (con schiere di baroccari, sul palco e in buca), di Mozart impera la trilogia dapontiana (nessuna traccia non dico dei capolavori seri, ma ben più banalmente dei Singspiel), Rossini è limitato al canonico Barbiere (a Oviedo, con un Almaviva che è squittente caricatura di un tenore di grazia) e Donizetti alle opere comiche (Don Pasquale, affidato per giunta ai partecipanti di un workshop del Teatro Real istruiti da Ernesto Palacio [sic], e Figlia del Reggimento). Se Verdi è maggiormente presente e risponde all'appello il solito Janacek (ormai il vero autore à la page di questi anni), Bellini e Gluck mancano del tutto (assenti non dico Norma o Pirata, bensì i più abbordabili Capuleti), Wagner e Strauss sono ridotti ai soliti titoli (soprattutto il secondo, con l'ennesima Arianna a Nasso dal cast ben poco attraente) e di Puccini, malgrado le celebrazioni, si vedranno Turandot e Bohème (titoli non proprio bisognosi di riscoperta). Persino l'opera francese, a eccezione della "sivigliana" Carmen (peraltro incautamente affidata a una Ganassi che non ha certo lo charme richiesto dal ruolo, per tacere del resto), latita. Importante, come usa dirsi, la presenza di titoli novecenteschi e/o inediti, specie in teatri come il Real e il Liceu, ma ci sono forti dubbi sulla qualità del canto che simili titoli possano richiedere e conseguentemente proporre al pubblico.

Non che negli altri repertori le cose vadano splendidamente, per inciso, attestato che i più quotati interpreti di un ruolo da vertigine come Riccardo nel Ballo in maschera sono rispettivamente un tenore dalla voce un tempo magnifica e ormai appannata e dal forfait facile e un microbico cantante assai più adatto a Paisiello che non agli eroi verdiani, frequentati con stolida assiduità anche sulle scene dei nostri teatri. Per non parlare del Duca di Mantova, altro ruolo a forte rischio di rinunce last minute, schiacciato com'è fra tenori di brillante ascendenza contraltina che poco o punto sanno di vocalità e accento verdiani (e che per giunta faticano assai sul passaggio e oltre) e voci deliberatamente bloccate allo stato brado, malgrado un'agenda che porrebbe seri problemi anche a cantanti tecnicamente ben più ferrati.
Non si creda però che la corda tenorile sia l'unica a conoscere serie difficoltà nel repertorio verdiano: in campo femminile assistiamo a un'altalena di orchi e passerotti, voci liriche un tempo dignitose, quando non sontuose, ormai svuotate e rinsecchite, precocemente senili nel timbro e nel vibrato, quando non svociate e ululanti senz'altro.

A proposito di difficoltà. Non sfugge certo che il teatro di Bilbao, saggiamente, ha scritturato per opere di grande richiamo come Figlia del reggimento e Carmen due cast, il primo "all star" e il secondo di giovani di belle speranze: è bello avere fiducia nelle nuove leve, ma, alla luce di recenti prove (e mancate prove) delle massime star mondiali, abbiamo ragione di credere che non sia tanto la fiducia ad animare i responsabili dell'iniziativa, quanto il timore di non avere un rimpiazzo pronto in caso di abdicazione in extremis.

Un dettaglio curioso, nella follia generale, è il debutto di una baroquiste di lungo corso e provata fede come Véronique Gens nei Maestri cantori di Norimberga (Liceu di Barcellona). Come possa una voce delicata (per usare un termine neutro) e avvezza agli striminziti complessi "su strumenti originali" pensare di oltrepassare le bordate dell'orchestra wagneriana, è cosa difficile da comprendere. Peccato che a dirigere l'opera non siano stati convocati filologi del calibro di Herreweghe o Spinosi, essendo il tutto affidato a un più tradizionale - ma assai meno chic - Sebastian Weigle, cui spetterà l'arduo compito di non ridurre la Gens a una mima. Il percorso inverso percorre invece, nel medesimo teatro, Vesselina Kasarova, dai troppo onerosi eroi en travesti del melodramma rossiniano e belliniano al più abbordabile Nerone di Monteverdi. Spericolata invece Patrizia Ciofi, quasi afona nei recenti Capuleti parigini: le stagioni spagnole la vedranno impegnata come Gilda, nel debutto come Cleopatra nel Giulio Cesare haendeliano (una parte sontuosa e virtuosistica che le sarebbe stata forse dieci anni fa, e nemmeno allora perfettamente) e in un concerto-omaggio a Puccini, al fianco di colleghi del calibro di Paoletta Marrocu, Maria Guleghina e Roberto Aronica (è il caso di dire: povero Puccini).

E a proposito di concerto, gli amanti del "nuovo che avanza" non si faranno certo sfuggire le rinnovate esibizione di pezzi di storia del canto come Jaime Aragall e Juan Pons (quest'ultimo ormai assurto al rango di reperto archeologico). E infine, ça va sans dire, Edita Gruberova, impegnata al Liceu in due concerti solistici, uno con orchestra, dedicato alle arie di bravura di Mozart, e l'altro liederistico, con accompagnamento di pianoforte. Ma quella della signora Gruberova è una lezione di tecnica ferrea e conseguente longevità vocale che molte colleghe (e colleghi) paiono prendere in scarsa considerazione.


Gli ascolti

Beethoven - Fidelio
Atto II: Gott! Welch Dunkel hier - Wolfgang Windgassen

Donizetti - La fille du régiment
Atto I: Pour mon âme - Chris Merritt

Monteverdi - Il ritorno d'Ulisse in patria
Atto I: Di misera Regina - Gabriella Gatti

Rossini - Il barbiere di Siviglia
Atto I:
Largo al factotum - Armand Crabbé
Dunque io son - Ewa Podles & Mikael Melbye

Verdi - Rigoletto
Atto II: Parmi veder le lagrime - Rockwell Blake

Verdi - Un ballo in maschera
Atto I: Di' tu se fedele - Tino Pattiera

Wagner - Tannhäuser
Atto III: O du, mein holder Abendstern - Herbert Janssen

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martedì 4 marzo 2008

Lucrezia Borgia a Barcellona: Arsenico e vecchi merletti


Nel desolato panorama d'oggi, la parabola di Edita Gruberova ha del miracoloso: a sessantuno anni - e in carriera da quaranta - la signora ha un ritmo lavorativo da far invidia a colleghe e colleghi tanto più giovani di lei. Mentre i trenta-quarantenni arrancano per arrivare a fine recita e cancellano produzioni onde "riposare" la voce, la cantante ceca inanella concerti (in cui alterna e dosa con saggezza Lieder e pagine d'opera) e produzioni liriche (eclettiche anche queste: ad Ariadne auf Naxos e Puritani si affiancano Devereux e Norma) e arriva ad annunciare, per il 2011, nientemeno che una ripresa di Anna Bolena. E trova anche il tempo di preparare un debutto ambizioso e per certi versi assolutamente folle come Lucrezia Borgia! Il Corriere della Grisi non ha potuto fare a meno di volare a Barcellona per assistere all'ultimo (ma non ultimo, ne siamo certi) peccato di vecchiaia di Frau Edita.
La signora ha evidentemente studiato, e tanto: l'impegno è sempre massimo, tanto sotto il profilo vocale quanto interpretativo, che poi nel caso della Gruberova (in questo veramente "old style") coincidono perfettamente. La signora coglie di Lucrezia soprattutto il lato di madre trepida e sventurata, trasformando l'altera duchessa di Ferrara in una composta signora dell'alta borghesia che al massimo potrebbe vendicarsi delle amiche che spettegolano su di lei mettendo il pepe nelle loro tazze di tè. Persino l'abito scelto per il concerto (una mise pesca-rosa da matura cresimanda) appare non tanto inadeguato, quanto del tutto indifferente allo spessore tragico del personaggio. Ed è di conseguenza soprattutto nei cantabili (Com'è bello, M'odi ah m'odi) che Edita (come la chiama, anzi la invoca a gran voce, il devotissimo pubblico del Liceu) dà il meglio di sé, sfoggiando una voce ancora ben salda al centro e inserendo, fra un portamento e l'altro, prodezze tecniche che hanno, oggi, pochi o punti termini di paragone (un esempio per tutti: il la bemolle acuto nel finale del prologo, attaccato in pianissimo, tenuto allo spasimo e rinforzato), testimonianza della capacità, languente ma non spenta, di piegare la propria voce agli effetti desiderati (per quanto di dubbio gusto). Anche i sovracuti, tradizionale tallone d'Achille della Gruberova anni 2000, appaiono più saldi del consueto (tranne l'ultimo, attaccato bene ma sporcato in chiusura). Semmai questa matura Lucrezia mostra la corda, malgrado raggiusti e puntature, nei recitativi e ovunque sia necessario sfoderare un minimo sindacale di accento imperioso (Son la Borgia: ma de che?), per tacere delle ossute variazioni di Era desso il figlio mio, in cui è scontato, ma non per questo scorretto, rimpiangere l'impeccabile vocalizzare di una Sutherland a fine carriera.
Nei panni di Gennaro, Josep Bros fornisce una prova corretta e priva di brividi (in ogni possibile senso). La voce, ben proiettata al centro, è sufficientemente morbida, nonostante risulti a più riprese alquanto nasale. Il fenomeno si avverte in maniera spiccata nell'aria aggiunta T'amo qual s'ama un angelo, in cui la scrittura, decisamente alta, fa emergere più di una tensione, particolarmente negli acuti ghermiti con visibile - e udibile - sforzo. Confortante, comunque, la solidità di questo onesto professionista, in un'epoca che eleva agli altari ben più modesti idoli.
E veniamo alla grande delusione della serata. Ewa Podles non esibisce più che una voce smilza smilza, che facilmente sparisce nei "tutti" e ovunque non appena l'orchestra oltrepassi il mezzoforte. La tessitura centrale di Maffio (cui si aggiungono, tradizionalmente, non poche impennate all'acuto) fa a pugni con quel che resta di una vera voce di contralto: la signora freme e sbuffa, agitandosi in modo piuttosto scomposto e compromettendo la qualità dell'emissione. Eufemistico parlare di registri disomogenei: si fatica a trovare due note, anche prossime, che non sembrino assemblate a partire da voci differenti. Si aggiunga la parsimonia (questa davvero sospetta) di variazioni nel celebre brindisi, che il pubblico applaude vigorosamente forse più per tradizione che per convinzione.
Ildebrando d'Arcangelo, voce piccola perché maldestramente proiettata, corta in alto e fioca in basso, è un Duca Alfonso un grandino sopra il comprimariato (e fatto salvo il giovane e gentile aspetto).
Comprimari tremendi, a eccezione del Gubetta di Roberto Accurso.
Stefan Anton Reck sceglie tempi spediti (richiesta della Diva?) e scarse finezze (ma con un'orchestra, e soprattutto un coro, come quelli del Liceu non c'è da aspettarsi copia di raffinatezze), conducendo abilmente in porto l'operazione "Edita Borgia", un'operazione improbabile cui neppure la Diva (che pure annuncia una ripresa in forma scenica per il 2009 a Monaco) sembra credere sino in fondo.

Lucrezia Borgia
dramma tragico in un prologo e due atti
libretto di Felice Romani
musica di Gaetano Donizetti

versione in forma di concerto

Alfonso d'Este - Ildebrando d'Arcangelo
Lucrezia Borgia - Edita Gruberova
Gennaro - Josep Bros
Maffio Orsini - Ewa Podles
Jeppo Liverotto - Roger Padullés
Apostolo Gazella - Alberto Feria
Ascanio Petrucci - Francisco Santiago
Oloferno Vitellozzo - Jordi Casanova
Gubetta - Roberto Accurso
Rustighello - Bülent Külekçi
Astolfo - Bálint Szabó
Servitori - Xavier Comorera, Pierpaolo Palloni
Una voce - Mariano Viñuales

Orchestra Sinfonica e Coro del Gran Teatre del Liceu
Direttore - Stefan Anton Reck
Maestro del coro - José Luis Basso

Gran Teatre del Liceu, Barcellona
1 marzo 2008

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