sabato 15 novembre 2008

Caro nome: aria di coloratura o no?


In occasione della mia recensione al recente Rigoletto di Parma, mi scrisse un nostro affezionato lettore che, forse un po’ punto sul vivo per la mia descrizione della Gilda della sua beniamina cantante, tenne a precisare che la mia definizione del Caro nome quale aria prototipo del soprano di coloratura era inesatta, mal adattandosi alla genesi compositiva dell’aria stessa, per la quale, come a chiare lettere riporta il curatore dell’edizione critica nella prefazione allo spartito in commercio, Verdi avrebbe pensato e/o richiesto soprani di ben altra e diversa vocalità. Questione interessante quella posta dal nostro lettore, che ha innescato tutta una serie di riflessioni e di ri-ascolti di un’aria che, ahimè, non è certo tra quelle di mio gusto. Il mio amato Mario, infatti, fu il Duca per ben 53 sere, ma nonostante io fossi la più straordinaria virtuosa del mio tempo, ben mi guardai dal cantare Gilda!

Sulle scene moderne Gilda è appannaggio di soprani di coloratura ossia leggeri puri: nell’immediato presente voci quali la Devia, la Swenson, la Mosuc, la Rancatore, la Netrebko, la Rost, la Damrau….sono inequivocabilmente tali. Direi che soltanto la Anderson ha avuto, immediatamente a ridosso di questa generazione di soprani, un peso specifico nettamente superiore. Queste voci proseguono una tradizione antica un secolo, consolidatasi grosso modo ad inizio novecento, quando si affermò una sorta di stereotipo interpretativo che fece di Gilda una ragazza dalla voce purissima e dolce. Stereotipo tipico del soprano leggero che, come vedremo, rafforzò gli aspetti “di maniera” ( i cosiddetti “bamboleggiamenti” ) nell’età di Toti Dal Monte, celebre Gilda toscaniniana, che finì coll’accentuare a dismisura il lato infantile del personaggio. E’ vero, però, che l’assimilazione di Gilda al soprano leggero era di fatto già avvenuta prima della Toti, se non altro dal punto di vista statistico, con soprani delle generazioni delle Barrientos, Pareto, Galli Curci etc.. Successive alla generazione della Dal Monte per fattori timbrici e/o interpretativi furono poi la Pons, la Pagliughi, la Pons, la Carosio sino alla Peters, per certi aspetti che vedremo ormai distanti dalle dive a cavallo tra otto e novecento nel gusto e nel tipo di canto.

L’obiezione di Musicofilo si basa sul fatto che, accantonato il lato infantile, a Gilda possono ben spettare e spettano connotazioni drammaturgiche diverse da quelle angelicate e/o infantili, ossia quelle della ragazza che oscilla tra il dovere e la tentazione, che ha la maturità e la forza di affrontare il racconto della propria seduzione al cospetto del padre, che subisce la disillusione una volta scoperta l’identità del seduttore oltre che del padre ed il carattere per andare incontro all’estremo sacrificio per amore. Tutte sfaccettature che possono avere, come in effetti hanno avuto più volte in passato, rilievo drammatico più accentuato e rimarcato di quanto il soprano leggero possa incarnare per timbro e tipo di accento. Il melomane incontra, procedendo a ritroso con gli ascolti principali, le interpretazioni storiche più recenti di una Sutherland, di una Scotto, di una Zeani, di una Gencer, di una Callas, ossia di soprani che hanno cantato ( alcune in prima fase di carriera ) parti da soprano leggero o lirico leggero, ma che poi hanno avuto una evoluzione di repertorio ( più o meno forzata ) verso ruoli più pesanti. In questo le signore suddette meglio aderiscono nei fatti a quella che fu forse l’ideale vocale originario di Verdi, perchè più complete dal punto di vista dei mezzi espressivi e vocali.
Tutte, comunque, hanno subito, almeno in parte, il condizionamento dei modelli precedenti del leggero di coloratura nell’esecuzione della cavatina, alcuni anche evidenti e decifrabili, pur conferendo a Gilda altro e diverso sapore da quello meramente infantile.
Del resto il ruolo di Gilda è un grande ibrido dal punto di vista vocale. E’ vero che il Caro nome, sebbene possegga una certa varietà di modi interpretativi ben documentati in disco, resta per definizione un aria di vocalità da leggero di coloratura, presupponendo la capacità di eseguire agilità di grazia, che constano in trilli, scale ascendenti e discendenti, staccati/picchettati, serie di duine etc.. Nell’ambito del ruolo, però, non possono certamente considerarsi brani da soprano di coloratura intere porzioni del primo duetto con Rigoletto, la stretta del duetto con il Duca, il secondo duetto con Rigoletto, il terzetto con Sparafucile e Maddalena. Quale slancio sapessero dare la Callas, piuttosto che la Sutherland o la Gencer a brani come la Vendetta, l’ ”Addio, addio speranza ed anima”,o quale sofferenza profonda vi fosse nel canto di una Scotto o, di nuovo, di una Callas nel “Tutte le feste al tempio”, lo sapete bene tutti voi che leggete ed è inutile riparlarne.
Quello di mescolare nello stesso ruolo vocalità differenti quando non opposte fu, del resto, prerogativa delle scritture verdiane di ogni registro, soprattutto nelle opere degli Anni di Galera. Fatto notorio, univocamente interpretato dai musicologi come modalità prettamente verdiana, ed in questo innovativa, per meglio caratterizzare ogni sfaccettatura della psicologia dei personaggi. Niente di più lontano dalle concezioni dei compositori da belcanto.
E’ quindi possibile a Musicofilo affermare che il ruolo non è un topos da leggero di coloratura in ogni sua porzione; ma l’aria è certamente da leggero di coloratura, anche per il momento psicologico del personaggio.

Quanto poi al fatto che Verdi pensasse a cantanti quali la Frezzolini ( vi “pensasse” nel senso del “comporre per”, come nel mondo di Rossini o di Donizetti ) , le deduzioni a valle delle mie letture sarebbero queste.
Le testimonianze dirette di Verdi stesso, alcune riportate da Chusid nelle note critiche dello spartito, provano come alla Brambilla, prima interprete, si arrivò facendo di necessità virtù. Verdi aveva intrapreso la ricerca dei cantanti già prima di scrivere l’opera, anzi, ancor prima di avere individuato esattamente il soggetto per l’opera da comporre per la Fenice. Aspirava, e non a caso, alla Frezzolini, già prima interprete della difficile e non certo ben riuscita Giovanna d’Arco e prima ancora dei Lombardi. Del resto il Monaldi lo afferma con chiarezza che la grande cantante di quel momento, la sola che potesse e sapesse dare forma e sostenere con il proprio canto qualunque opera, anche la meno riuscita, era, per personalità e capacità tecniche, Erminia Frezzolini. La diva, però, era di certo indisponibile.
Al teatro, che si era già attivato a scritturare un soprano di proprio gradimento, la Sanchioli, Verdi aveva risposto con una lista di nomi in cui figuravano, quali alternative alla Frezzolini, la Barbieri Nini e la de Giuli Borsi. Ma questi nomi, grandi nomi!, Verdi li propose agli inizi del 1850. Ed in questa fase l’opera non aveva ancora né libretto né musica.
Altre indicazioni di possibili soprani per l’opera compaiono nelle fonti documentarie di circa 6 mesi dopo, tra agosto ed ottobre, come riporta sempre Chusid. Le signore nominate furono la Cruvelli, la Salvini Donatelli e la Brambilla, poi prescelta. Signore di vocalità diversa, di genere spinto la Cruwell ( perché questo era il vero nome ), da Attila a Nabucco, Ernani, Fidelio, Donna Anna, Vestale; più lirica la Donatelli , in quella fase ancora una belcantista, poi migrata su un repertorio più pesante, Ernani, Corsaro e prima creatrice, di lì a poco, di Traviata. Di fatto, però, nessuna delle due andava a genio a Verdi, la prima per i capricci e le bizze ( Nulla io posso dire della Cruvelli chè io non l’ho mai sentita. L’opinione generale è che sia una buona cantante ed una pazza donna. Ti dirò francamente che io non amo queste caricature della Malibran, che non hanno che le sue stravaganze senza avere nulla del suo genio …), la seconda proprio come cantante ( a lei Verdi imputò le colpe del fiasco di Traviata ). Di fatto restò papabile la sola Brambilla : In quanto alle altre due, voi conoscete Teresina Brambilla e sapete meglio di me se può convenire al vostro teatro…. Una scelta per esclusione, causa indisponibilità delle preferite. La Brambilla aveva una carriera prevalentemente russa e francese, ma di certo non di secondo piano, avendo sostenuto le prime parigine di Nabucco e di Ernani.
Lo dice Verdi stesso che in quel momento scrivere per le voci non era più come nel recente passato : Che importa se la Sanchioli non va bene! Se dovessimo badare a questo non scriveremmo più opere. Del resto con licenza di tutti, chi è il sicuro fra i cantanti del giorno? Cosa ci avvenne della prima sera d’Ernani col primo tenore dell’epoca? Cosa avvenne della prima sera dei Foscari con una delle prime compagnie dell’epoca? I cantanti non sanno farsi gli esiti per loro stessi….la Malibran, i Rubini, Lablache etc..non esistono più ….Addio addio… Si sa che con Verdi il rapporto compositore-cantante stava cambiando: forse i cantanti non erano più sufficientemente autorevoli per condizionare l’autore ai propri voleri, ma è chiaro che il compositore voleva comporre con minori condizionamenti, o meglio, libero nella ricerca degli effetti drammaturgici migliori. Quando la De Giuli Borsi chiese esplicitamente a Verdi un’altra aria per Gilda, da collocare non si sa bene in quale punto dell’opera, questi rispose di no, perchè l’opera era drammaturgicamente perfetta così. E sebbene la cantante fosse di tutto rispetto, Verdi non la accontentò.
Le vicende storiche provano, dunque, che Gilda fu pensata in se stessa e non per una voce specifica. I nomi di alcune primedonne uscirono dalla penna di Verdi quali artiste di rango e di grido, ma non in virtù della loro specifica vocalità. E Verdi affidò all’infinita serie di segni di espressione la resa drammaturgica che voleva, forzando la medesima voce a cantare secondo modi diversi durante la stessa serata.
Credo che l’affermazione di Verdi circa la cavatina di Gilda e contenuta nelle note critiche di Chusid “ non capisco dove vi sia agilità. Forse non si è indovinato il tempo che deve essere un allegretto molto lento. Con un tempo moderato e l’esecuzione tutta sottovoce, non ci può essere difficoltà”, che forse ha dato da pensare a Musicofilo come a me, debba essere messa in relazione da un lato alle capacità tecniche medie dei soprani del momento ed anche al fatto che Verdi non desiderasse mutare una cavatina, di cui era convintissimo, per accontentare i voleri di una primadonna ( in questo caso sempre la De Giuli Borsi ).
La questione del nome della prima interprete di Gilda pare vada collocata sullo sfondo di un periodo carente di grandi personalità sopranili che potessero stare al pari di un passato recente, fatto di Grisi, di Pasta…etc..Monaldi implicitamente risponde su chi fosse la tanto desiderata Frezzolini: una rara avis.! Lo scrisse anche Verdi, pur rivendicando apertamente un atteggiamento di maggiore indipendenza dai cantanti rispetto ai suoi predecessori. Doveva però servirsi di artisti che, per forza di cose, si erano formati alla scuola del belcanto, lo praticavano attivamente ed univano al precedente il nuovo e diverso repertorio, sebbene fossero ancora ben lungi a venire le distinzioni che sopraggiunsero con la fine del XIX secolo e l’esperienza del Verismo.

A riprova di questo, uno sguardo alle cronache parigine del nostro solito tempio operistico, il Théatre des Italièns, preso come cartina di tornasole di quanto accadeva anche in altri teatri europei ( si veda Napoli ad esempio o la stessa Scala ) ci mostra come a praticare la Gilda fossero, negli anni immediatamente successivi alla prima rappresentazione del Rigoletto, cantanti assai eterogenee per vocalità e personalità. L’opera, infatti, arrivò a Parigi solo nel ’57, dopo Trovatore e Traviata, finalmente protagonista, per due stagioni consecutive, proprio Erminia Frezzolini. Diva assoluta dell’opera italiana nella capitale francese in quegli anni, declinante ormai la Grisi, la Frezzolini si era già esibita come Giselda dei Lombardi, Fiordiligi di Così Fan Tutte..etc.. A fianco di Mario, la Frezzolini cantò una Gilda che fu definita poetica, di rara espressività, tenerezza ed energia. Ed il termine “energia” suggerisce la forza dell’accento drammatico, io credo. Alla ripresa del ’63 Gilda fu Maria Vitali, ufficialmente un soprano di coloratura, mentre due anni dopo la De La Grange, soprano leggero puro, criticata per aver troppo infiorettato l’aria di Gilda, a provare che il passaggio verso il coloratura era già in nuce da subito. Nel 1866, come in quello successivo, fu poi la divina Adelina Patti ad incarnare Gilda. Dopo parecchi anni la Patti si issò, complice anche una fama straordinaria, sul piano della vecchia Grisi per qualità vocale e bellezza, ma non pare ne avesse pari talento sul piano espressivo. La Patti in Gilda venne, infatti, molto apprezzata nella prima parte dell’opera ma criticata proprio per la mancanza di vigore drammatico nella seconda (!).
Nella stagione 1868/69 Gilda fu Gabrielle Krauss, soprano da Lucia,Sonnambula, Barbiere ma anche da Borgia, Trovatore, Ballo in Maschera, Fidelio.Nel 1870 vi fu Matilde Sessi, più vicina alla Patti che non alla Krauss per vocalità, quindi Emma Albani, Gilda nel 1876 e nel 1878, puro dei prototipi de coloratura puro.
Oggi mai affideremmo Gilda ad una Leonora di Fidelio, o ad una Amelia del Ballo, ma nemmeno ad una Giselda: di fatto l’ultima cha ha praticato una promiscuità di repertorio in linea con quanto accadeva nell’Ottocento è stata la superdotata voce di June Anderson, che si “limitò” al primo Verdi e con esiti criticati e criticabili, sia sul piano vocale che dell’accento.

L’ascolto di alcune tra le più celebrate Gilde rivela, nell’esecuzione del “Caro nome” analogie e differenze sul piano esecutivo che continuano a ripresentarsi con costanza dall’era dei 78 giri ad oggi.
Alcune paiono legate a variazioni di spartito, di cui l’edizione critica però non si è occupata; altre, invece, appaiono come mere prassi esecutive, perciò legate al gusto come alle capacità vocali di ciascun interprete.
Tra le grandi Gilde che incisero 78 giri, dove troviamo ancora documentate parte delle pratiche ottocentesche e parte delle nuove prassi di repertorio, troviamo, come in parte già detto,soprani leggeri puri,come la Barrientos, la Pareto, la Galli Curci, la Toti dal Monte, la Pagliughi, la Pons…etc, nonché soprani di maggior peso lirico, quali la Melba, la Tetrazzini, la Sembrich, la Hempel, la Kurz, come pure il caso fenomenale, che però non ci ha lasciato tra i brani di Rigoletto proprio la cavatina, di Giannina Russ, soprano drammatico a tutti gli effetti, sulla cui scia dovrebbero essere inserita anche la Milanov, che fu la Gilda di un terzo atto toscaniniano inciso in mono nel 1943 (quasi un ritorno del grande Maestro alle prassi vocali “pre Toti”) e la Callas.
Solo quest’ultima riprese davvero, in epoca più recente, il soprano drammatico d’agilità quale Gilda ( pur con evidenti differenze tra esecuzione in studio ed esecuzione live ); tutte più leggere come tasso drammatico le altre, dalle doppie incisioni della Scotto e della Sutherland ( per quest’ultima trattasi davvero di due Gilde assai diverse), dalla Sills alla Anderson, sino alla Dessì. Tutte a voi note.

L’ascolto degli audio, solo in parte proposti qui di seguito, mostrano una serie di differenze esecutive.
Possono essere legate alla disponibilità di spartiti diversi le seguenti prassi riscontrate:
1) le due quartine con salita al do acuto della battuta 41 su nome nella frase: "e fin l’ultimo sospir caro nome ", in edizione critica sono scritte con legatura solo sulle prime due note, ma eseguite talvolta anche legate, come si riscontra in taluni spartiti anche recenti. La tradizione esecutiva del passo è varia, in prevalenza staccato, con il do acuto a volte volutamente tenuto;
2) dopo la sequenza di duine di "e fin l’ultimo sospir, caro nome…" alla battuta 54 in edizione critica la salita do basso – la acuto è scritta staccata, come molte la eseguono. Talora essa viene eseguita legata secondo la lezione di taluni spartiti anche recenti.

Quanto alle prassi teatrali, osserviamo in primo luogo quella notissima dell’abbassamento di mezzo tono dell’intera cavatina, dovuta all’inserimento di una puntatura al mi bem sopracuto in chiusa, in sostituzione del trillo scritto da Verdi in morendo nell’ultima battuta di Gilda fuori scena. Mentre i soprani di età moderna la incidono in tonalità giusta nei dischi ufficiali per procedere, invece, all’abbassamento in teatro ( ad eccezione della Pons e della Devia nel 1981, entrambe live ), quelle dell’età del grammofono tendono a non ripristinare la tonalità esatta in studio, a documentare, di fatto la vera prassi teatrale da loro praticata.
Tutte le altre cavatine presentate sono abbassate di mezzo tono, con l’eccezione della Pareto, della Capsir e della Callas, che la eseguono addirittura un tono sotto ( devo queste verifiche al signor Tamburini ed al suo mirabile pianoforte ! ): nel loro caso, quello della Callas soprattutto, occorre tenere in considerazione la possibilità che intervenga anche una distorsione da riversamento, come già in altre occasioni (si pensi ad Armida o a Medea) e che l’abbassamento di tonalità potesse anche essere quello di tradizione.

L’aria viene eseguita tagliata nei dischi più vecchi ma non sempre. Anche qui le prassi sono diverse. La Melba taglia dalla battuta 46 alla 63, chiudendo di fatto l’aria sulla prima cadenza, dopo ah te sempre volerà , ed elidendo tutta la sequenza accentata e le duine a te volerà …fin l’ultimo sospir… e la chiusa dell’aria. Come lei taglia anche la Barrientos, mentre la Pareto e la Galli Curci tagliano dal punto coronato di battuta 38 per riprendere con la sequenza accentata di battuta 47, senza toccare la parte finale dell’aria. In età moderna solo la Zeani ripresenta questo stesso taglio. I tagli documentati dai dischi antichi erano perciò solo in parte legati ai ben noti limiti dei mezzi di incisione: riproposti in altri periodi assumono il significato di vere e proprie prassi esecutive del teatro.

Altra grande differenza tra le incisioni consiste nell’esecuzione dei trilli scritti. In certi casi anche cantanti provviste di buon trillo, come la Barrientos o la Melba, tendono a non eseguirli e/o a sostituirli all’interno dell’aria con acciaccature, per poi eseguire quello sul morendo finale. Altre eliminano questo stesso trillo finale, sostituendolo con una puntatura o addirittura con una scala di trilli e sopracuto finale, come la formidabile Callas di Mexico City, mentre eseguono quelli scritti all’interno dell’aria. La Tetrazzini addirittura ne inserisce di abusivi, a suo piacimento, al posto di quanto prescritto su “il mio desir” di battuta 27 e prima della serie di duine legate di “fin l’ultimo sospir”. Altre volte i trilli scritti sono eseguiti solo in parte, come fa la Sembrich che esegue un mix di trilli e acciaccature.

I tempi, invece, sono solitamente veloci nei soprani di inizi novecento, con la sola eccezione della Pareto, che dispensa forse l’esecuzione più fascinosa e perfetta della preistoria discografica, mentre in età moderna i tempi si fanno più ampi anche in teatro, sino all’esecuzione straordinaria della Callas. La Sutherland, numerose volte Gilda in teatro, sebbene legatissima alla tradizione del leggero di inizio secolo, ha sempre eseguito con tempo lento se non lentissimo la cavatina ( si veda la prima incisione ufficiale dell’opera, ove chiaramente si sforza di imitare la Galli Curci…. ), anche in teatro.

Sono frequenti, sia in età antica che in quella moderna, i rallentamenti: colpiscono quelli esageratissimi di una Hempel ( dove già l’introduzione orchestrale lascia presagire il continuo “allarga e stringi” che verrà..), o quelli della Sembrich su “a te sempre volerà” ( batt. 47- 49 ) ma restano una risorsa espressiva fondamentale delle voci non meramente leggere, come la Callas, la Gencer o la Scotto. I rallentamenti compaiono frequentemente nell’esecuzione di smorzature, non tanto quelle scritte da Verdi, quanto quelle inserite nella prima parte dell’aria, sulle legature indicate sul mi3-sol4-fa4 ( palpitar - le delizie…), fa3-re4-do4 ( amor - mi dei sempre…). Questi passi ci ricordano che anche ai soprani leggeri spetterebbero esecuzioni ricche sul piano di dinamico- espressivo: sempre la Pareto ( che smorza la prima legatura “palpitar –le delizie”, poi rallenta sulla seconda legatura “amor –mi dei sempre” ) e la Galli Curci ne eseguono di eccellenti, mentre signore “dannate” dal demone dell’espressione, Callas, Gencer e Scotto non si lasciano scappare l’occasione di ”dire” sulla seconda delle tre legature scritte ad inizio aria, con grande effetto espressivo e vocale.
Sempre dal punto di vista della dinamica, occorre osservare come i soprani leggeri di inizio secolo sembrano possedere quasi tutte la capacità di eseguire le forcelle scritte, amplificandole talora a proprio gusto. Forcelle che già sono poco udibili, ad esempio, nella generazione della Toti e della Pons, ma pure anche in soprani a noi più consoni per gusto e tecnica come la Sutherland dal vivo del ’72 ( diversamente nei dischi ufficiali, invece.. ) o la perfetta ed astratta Devia dell’81.

Quanto alle cadenze, queste hanno solitamente luogo sia sull’ “a te sempre volerà ” di battuta 45, dove all’esecuzione staccata della scala ascendente scritta possono seguire note picchettate aggiunte, ed in chiusa all’aria, alla battuta 60, sul “..tuo sarà…”,di cui, solitamente, viene eseguita la prima scala discendente come scritta, la seconda ascendente staccata e quindi, di nuovo, l’inserimento di note acute e sopracute picchettate cui, quasi sempre, fa seguito una riscrittura più o meno libera della parte finale della battuta ( si veda il caso esemplare di “liberty style Tetrazzini” ) di cui sopravvive, quasi sempre, il trillo previsto.

A Musicofilo, però, è la Grisi, dopo mille ascolti, ad obbiettare una sola questione.
Oggi con “soprano leggero di coloratura” intendiamo voci che, proprio a valle degli ascolti fatti e che qui non vi riportiamo ( vi invito a usare You Tube come valido strumento di documentazione della nostra modernità ….), appaiono assai diverse da quelle che ci documentano i 78 giri.
Tutte le signore della preistoria sono accomunate da un timbro purissimo ed astratto ( fanno eccezione forse le sole note gravi aperte della Tetrazzini, difetto notissimo a lei rimarcato per tutta la carriera ), emissione dolce ed uniforme nella gamma centro alta e, soprattutto, grande proiezione proprio del registro centrale.
Questa caratteristica, unita anche all’ampiezza che molte di loro notoriamente possedevano ( penso ancora alla Tetrazzini ma anche ad una Melba o ad una Hempel ) consentiva loro di essere Gilde meno insipide e ….bimbe di quanto non ci dispensino le nostre attuali interpreti. E’ negli anni ’30 che pare aver luogo un mutamento del modo di cantare Gilda proprio sulle note centrali, come ben documentano gli audio di Toti dal Monte e della sua imitatrice, la Pons, quindi anche della successiva Sayao. IL tuto allo scopo di accentuare il lato infantile e ….orami manierato del personaggio. Sebbene l’’incisione della Dal Monte sia molto valida e garbata ( è una cantante ancora nella prima fase di carriera ) il suo modo di cantare aperto sui centri, fattore di gusto destinato a divenire una moda vera e propria, avrà come esito un cambio nel modo di cantare Gilda. E non vorrei che ci dimenticassimo che la stessa Callas, quando incise Rigoletto, non lo cantò con la stessa voce dell’audio straordinario del ‘52, ma con una voce che ogni tanto aveva inflessioni sbiancate, a simulare il timbro infantile, retaggio dei “toteggiamenti” della Gilda di Toscanini.
Per misurare la differenza che intercorre tra i nostri moderni leggeri e quelli storici, tanto per farsi arrabbiare un altro po’, vi invito a risentire, come termine di paragone, una cavatina perfetta della Devia nei video di alcuni suoi concerti su You Tube dopo aver ascoltato l’emissione stupenda al centro di una Pareto che, sebbene canti l’aria abbassata, esibisce note centrali immascheratissime, chiare e dolci, che però non sono della nostra bravissima ed inappuntabile Mariella. E prendo appositamente a metro di paragone il leggero puro che maggiormente stimo nell’età recente ( mi astengo sulle sue cattive imitatrici....), perché non si dica che vogliamo dimostrare ad ogni costo che oggi si canta peggio.
Anche chi canta bene, come appunto la Devia, mi sembra esibisca al centro una emissione che non è più simile a quelle dei soprani leggeri di cento anni fa, dotate di una penetrazione e di una espansione, oltre che capacità di fraseggio, oggi sono scomparse e che certo contribuivano a conferire alle loro Gilde maggior vigore drammatico. Ragione per cui quelle primedonne normalmente cantavano…… Traviata!

Ringrazio Musicofilo per la stimolante osservazione!!


Gli ascolti

Verdi - Rigoletto


Atto I, Scena II - Gualtier Maldé...Caro nome

1904 - Nellie Melba
1906 - Maria Barrientos
1907 - Graciela Pareto
1908 - Luisa Tetrazzini
1909 - Frieda Hempel
1916 - Amelita Galli-Curci
1925- Toti dal Monte
1927 - Lina Pagliughi
1939 - Lily Pons
1944 - Bidù Sayao
1952 - Maria Callas
1955 - Virginia Zeani
1961 - Leyla Gencer
1966 - Renata Scotto
1972 - Joan Sutherland
1981 - Mariella Devia
1990 - June Anderson

14 commenti:

Musicofilo ha detto...

Wow, ma questa è una vera e propria lettera aperta! Ringrazio molto la signora Grisi per aver soddisfatto la mia richiesta. E' molto interessante l'excursus storico che fa notare come il germe del "leggero" serpeggi già pochi anni dopo la prima assoluta. Credo che sia il "carattere drammaturgico" di Gilda, unito al nuovo modo di comporre per voci di Verdi, a prestarsi alla doppia interpretazione. Quindi va benissimo la Gilda leggera, purché tecnicamente accorta.
Concordo pienamente sull'osservazione che riguarda la differenza dei nostri leggeri e quelli di ieri: è una differenza di emissione, si cantava in modo diverso. Non concordo però sulla valutazione che si fa di questa differenza: a me gli acuti della tetrazzini, della barrientos e compagnia bella sembrano sbiancati, più vicini a un falsetto che al registro di testa come lo ascoltiamo noi oggi. Da tempo sospetto che la rivoluzione vocale avvenuta intorno agli anni 30 dell'Ottocento (cioè quella di cantare con la voix sombrée) per la voce di tenore sia avvenuta con più di un secolo di ritardo per i soprani.
Sulla questione dell'ampiezza (di una Tetrazzini, per esempio) non capisco come facciate a sbilanciarvi tanto basandovi solo su registrazioni dalla qualità talvolta discutibile.
Comunque è un post da cui ho imparato molto.
Grazie ancora.

Domenico Donzelli ha detto...

hai mai sentito come suona a 78 giri birgit nilsson?
con quel presupposto indiscutibile la voce della tetrazzioni o della barrientos doveva essere amplissima
altrimenti come facevano queste signore a cantare con caruso, amato chialiapin senza alcun problema ciao

Adolphe Nourrit ha detto...

Credo che sia abbastanza facile percepire che il registro acuto della Tetrazzini fosse molto penetrante, dubito che un soprano leggero dei nostri giorni potrebbe permettersi (oltre che le varie prodezze tecniche) di far risuonare il proprio registro acuto con la stessa lucentezza di suono.

Giulia Grisi ha detto...

Della Tetrazzini?
Lo dicevano i contemporanei..

No, non sono sbiancate....sbiancano arificiosamente dopo.....posto che il concetto di avere la voce SCURA come qualità, anche per altri registri vocali, non stava esattamente come la mettiamo noi oggi.
Pensa a certi bassi che senti nei dischi antichi......mica si sforzavano di avere la voce scura come fanno tutti oggi. Idem certi contralti. .....
Avremo occasione di parlare anche di questo....posto che mi sa che dovremo mettere l'audio del 78 iri inciso dalla Nilsson in homepage, dimodochè ogni persona che voglia mettersi a sentire i 78 gg che pubblichiamo qui, si faccia prima una riflessione sulla distorsione in negativo che quelle voci subivano con i mezzi di registrazione arcaici.


saluti

Velluti ha detto...

Una riflessione sulle incisioni arcaiche, partendo proprio da due casi da voi postati per quanto concerne il caso di Caro nome. E' vero che la distorsione implicata dall'arcaico metodo di registrazione è notevole, tanto da darci un'immagine fortemente limitata delle voci di cantanti che hanno fatto la storia dell'interpretazione lirica (ma da qui sorge una domanda abbastanza spontanea: possono essere utilizzate come metro di valutazione, anche a prescindere dai fortissimi limiti che queste hanno?). Ma - assodato questo - se una voce è fissa è fissa, c'è poco da speculare; si mettano a confronto due esecuzioni come quelle della Melba e della Pareto. Siamo nel 1904 per la Melba, nel 1907 per la Pareto... Solo tre anni di differenza, eppure la voce della Melba è assolutamente fissa, e in alcuni punti calante. Questi difetti non si riscontrano affatto nell'esecuzione della Pareto, la cui voce vibra e, per questo, appare perfettamente centrata anche sul profilo dell'intonazione. Capisco le problematiche connesse alle modalità di ripresa sonora dell'epoca: eppure, ciò non ostante, anche da questi reperti archeologici si riesce a percepire se un'esecuzione è buona oppure fallimentare (vuoi per l'età della cantante [anche se la Melba, nel 1904, aveva appena 44 anni], vuoi per le difficoltà connesse ad alcuni aspetti tecnici dell'aria in questione, in alcuni punti davvero notevoli).

Velluti ha detto...

Comunque la Callas è inarrivabile... Un mostro... Con quelle note scure che conferiscono a Gilda un contorno così carnale e sensuale... Uno splendore... La più grande!!!

Musicofilo ha detto...

A me la Gilda della Callas non è mai piaciuta tanto. Sarà perché io propendo alla lettura di Gilda come ingenua fanciulla, piuttosto che donnone drammatico. Inoltre tutti quei portamenti... no no... non mi piace. Certo, tecnicamente è ineccepibile, ma la preferisco in parti che penso più facilmente carnali e sensuali (e maligni, perché no...) Carmen, Lady Macbeth, Tosca, Medea...

emanuele ha detto...

Per quanto attiene i 78 gg, credo che possano dare un'immagine molto attendibile delle voci incise. quanto sicuramente un cd attuale, posto che si sia in grado di sentire con un orecchio critico e un po' esercitato. in realtà, un solo parametro non sempre emerge dai dischi 78 gg (soprattutto quegli acustici): il volume della voce (parlo proprio di volume, non di percettibilità dovuta alla correttezza dell'emissione). prendiamo l'esempio di battistini: le cronache parlano tutte di un volume di voce ragguardevole eppure dai dischi ciò non emerge. emergono tutte le altre qualità, ma un'indicazione attendibile sul volume, no. altre volte, certamente, qualcosa emerge, ma non so fino a che punto attendibile o meno. pertile, per esempio, sembra a volta dotato di un volume abnorme. impressione corretta ? su questo punto, solo le testimonianze dirette e gli standard di voce allora in essere possono dare indicazioni attendbili.
emanuele

Velluti ha detto...

Caro Musicofilo, de gustibus... Ma - mi sia concesso - tutti questi "portamenti" di cui parli (cosa intendi con tale termine?) sinceramente non li ho trovati...

Giulia Grisi ha detto...

...ma Musicofilo??? ...

Semolino ha detto...

Adesso devo andare a verificare, non mi ricordo più se è la Muzio o un altra, si tratta di una cantante famosa che ha inciso due volte la "casta diva" : una volta in acustico e una volta in elettrico; nella registrazione acustica l'acuto nella cadenza finale è un grido, duro, fisso e stonatissimo. Invece, nella registrazione elettrica, l'acuto è vibrante, intonato e squillante da far impressione. Jadlowker in acustico ha una voce da lirico e mi sono sempre chiesto come poteva cantare Wagner, ascoltato in elettrico ha una voce naturalmente brunita, ampia e sontuosa che un Del Monaco pare un pulcino in confronto. Sono convinto che le registrazioni acustiche, quelle più antiche, veramente captavano pochi armonici, avevano la risposta di frequenza di un telefono a cornetto, e quindi sbiancavano le voci, e se la frequenza era troppo alta, tipo gli acuti (certo fissi ma squillantissimi e insolenti come quelli della Melba) estremi dei soprani, quei suoni andavano in distorsione, il suono saturava le apparecchiature di registrazione e non passava o quel che passava in registrazione era SOLO una distorsione del suono reale.Le registrazioni del tenore corso Vezzani sono tutte crescenti di mezzo tono perchè non si è sempre riuscito a regolare in modo preciso la velocità di rotazione.
Ma è anche vero che nel periodo post carusiano si è incominciato a ricercare una voce più sombrée, più spessa, più scura, ma questo spinse i cantanti a non mantenere più i centri leggeri e quindi la fonazione si abbassò e incominciò così il declino del canto.

Musicofilo ha detto...

Non ho ascoltato l'esempio callasiano in questo post per mancanza di tempo. Mi riferisco però ad un esempio tratto da un disco ascoltato anni fa e paragonato alla versione sutherland matura. Ricordo una serie di portamenti che all'epoca mi apparvero poco gradevoli. Di tali portamenti accenna anche la signora grisi nel post, come prassi non solo della callas ma anche di altre. è che con la sua vociona si sentono troppo pesantemente... riascolterò sia l'incisione cui mi riferisco (sempre che la ritrovi...) e quella che voi postate qui. chissà che con l'udito di poi (cioè dopo aver ascoltato una serie di gilde un po' scadenti) non riesca a rivalutare le asperità callasiane.

Giulia Grisi ha detto...

........lasciati dare un consiglio caro Musicofilo: senti l'audio di Mexixo city e poi dicci.
Non sono esattamente una Callasiana ad oltranza ma non mi immaginavo che eseguisse un Caro Nome così suggestivo e straordinario.
Non perdere questo audio....assolutamente

Adolphe Nourrit ha detto...

Per criticare il Caro nome della Callas bisogna smettere di andare a teatro e lanciare vituperi a tutti i soprani che cantano oggi. Per piacere.