Insomma, una produzione…consigliata, per dirla con le recensioni cinematografiche dei quotidiani!
Lo spettacolo di Kokkos è semplice, lineare, di fatto una grande prospettiva obliqua grigia nella quale si muovono i personaggi ed il coro. Il percorso obliquo, che dal fondo porta al proscenio, serve a Kokkos per dare rilievo drammaturgico all’entrata di Thomas come alla sfilata dei tentatori e dei cavalieri omicidi. Un bosco stilizzato sulla sinistra; l’apparizione al primo atto di due grandi statue a mezzo busto che rappresentano una il vescovo, l’altra il re; una immensa e colorata “grisaille” medioevale a tutta altezza nel momento della predica di Thomas ad inizio del secondo atto; un semplicissimo altare posto di lato nella seconda parte del secondo atto sono gli elementi scenici semplicissimi di questo allestimento che allude con semplicità e chiarezza ad un medioevo freddo e violento. Una modernità razionale, adatta al testo come al soggetto ed alla musica di Pizzetti, sostenuta da una regia semplice ma esatta. Bello e riuscito.
Quanto a Donato Renzetti ha concertato da par suo, più con mestiere che con genio, con senso della scena che con personalità. Tutto pare girare con sicurezza sotto la sua egida, palco e buca, che mai si scollano e mai sono parsi in contrasto. Certo, l’azione drammatica ha momenti concitati che forse potevano essere più sottolineati ed amplificati, come pure il commento orchestrale ai tormenti del protagonista. In complesso, però tutto ha girato bene, con il conseguente coinvolgimento del pubblico nel dramma, soprattutto nei grandi momenti corali.
Ha svettato su tutti il protagonista, che ha messo in campo esperienza e professionismo, pur non essendo un Thomas né ieratico né impressionante fraseggiatore. Furlanetto, infatti, è cantate di grande mestiere e lungo corso, sa come si sta in scena e cosa sia l’interpretazione, almeno quella del buon professionista. La voce è di vero basso, e non è poco in un mondo di bassini e bassetti senza volume e colore. Ma la realtà di questo cantante, la realtà di una volta, quella riferita ad un mondo ove si sapeva ancora cantare con i ferri del mestiere, resta quella di una voce tubata e di media ampiezza. Sicchè laddove al canto di Thomas occorre la cavata, ma quella delle grandi voci, come ad esempio nel monologo del finale primo “….l’amore nel giardino ed il cantare con gli strumenti, erano tutte cose per me ugualmente desiderabili…” oppure al finale dell’opera “Eccomi. Traditor del Re non sono! Io sono prete. Un cristiano sono, pronto a dare il suo sangue per il sangue” si percepisce chiaramente il limite vocale, ed il personaggio ne risente. L’età vocale condiziona la prova di Furlanetto in momenti anche rapidi, come nella battuta di ingresso “Pace” ( tremenda per l’emissione senescente..), o in certi passaggi acuti, ove la voce si sfuoca e talora anche stona. Si forza di accentare con gusto e personalità, ma gli manca il colpo d’ala del grande cantante attore capace di stregarti anche solo con la propria presenza scenica. E questo è indubbiamente un ruolo da gigante della scena. Il Thomas Beckett di Furlanetto, invece, fine risulta principalmente dolente, ma privo del lato monumentale e dell’autorevolezza scenica e vocale del personaggio, limitato nel fraseggio per la pochezza dei colori. Tuttavia funziona e regge la serata, perché l’esperto basso fa tutto ciò che è giusto e corretto.
La prima corifea di Raffaella Angeletti ha cantato con sicurezza e buona sonorità della voce, dominando con facilità la scomoda scrittura. Il personaggio è pertinente, ma resta il limite di un mezzo vocale aspro data l’usura di questa cantante, che pratica da lungo tempo un repertorio molto pesante per la sua voce.
Anita Raveli, seconda corifea, ha voce di certo importante, ma bassa di posizione e per questo di emissione non bella, anzi piuttosto plebea. Non ha problemi a passare l’orchestrale pizzettiano nella zona centrale, mentre in basso è davvero molto sfocata ed ovattata. Ritengo sia la voce più interessante, dal punto di vista della materia prima, che sia passata dall’Accademia scaligera, ma che la proiezione in una grande carriera, dati i ritmi alti e brucianti cui il management moderno tende a sottoporre le giovani stelline in ascesa, sia prematura e rischiosa, poiché la voce non è a posto ( e questo anche a valle dei concerti accademici cui ho recentemente assistito…).
Sempre sonoro Antonello Ceron e con lui Salvatore Cordella, dal timbro un po’ morchioso a dire il vero, mentre pessimo il tentatore di Petri Lindroos a causa della zona acuta della voce. Buoni i cavalieri.
Recita del 26 maggio 2009