Il volume "Il melodramma italiano dell’Ottocento", studi e ricerche in onore di Massimo Mila (Einaudi 1977) principia con un saggio, autore Nino Pirotta, dal titolo “Semiramis e Amneris, un anagramma o quasi”. Titolo accattivante, il contenuto del saggio, poi, sta nel solco della tradizione, ovvero della ricerca degli esotici precedenti, ispiratori di Ghislanzoni e Verdi. Semiramis, in effetti, è un precedente un poco più fantasioso della Selika dell’Africaine.
In realtà il quasi anagramma del titolo è un’assonanza o meglio un omoteleuto, se utilizzato il nominativo latino della regina di Babilonia. In realtà le somiglianze fra i due personaggi sono ancora meno di quelle nominali. Si fermano, nell’articolo citato, al raffronto fra la cavatina di Semiramide, il famoso “bel raggio lusinghier” e la scena di Amneris nel proprio boudoir, mentre attende all’abbigliamento per l’imminente trionfo di Radames. Perché la tragica e volontaria fne al’interno della tomba dela regina di Babilonia, nel lavoro verdiano spetta alla protagonista, residuando ad Amneris, ignara del contenuto della tomba, la vedovile trenodia. Inoltre la scena di attesa dell’amore e del trionfo è un topos del melodramma italiano ottocentesco, basti pensare alla celebre, ai tempi suoi, cavatina di Climene della Saffo di Pacini.
All’autore del saggio, che è il pretesto per questi pensieri è, poi, sfuggita quelle, che, invece, è la caratteristica drammaturgica dei due personaggi ossia la regalità.
Caratteristica drammaturgica espressa, a distanza di mezzo secolo n maniera assolutamente diversa.
Quella di Semiramide è consacrata nella vocalità fiorita ed astratta di Rossini, quella di Verdi indicata in spartito ed affidata, soprattutto alla buone maniere vocali ed interpretative delle protagoniste pro tempore.
Il dramma di Amneris si riassume in innamorata, respinta, regina, precisamente figlia di re. Frequentemente le titolari del ruolo, trascinate dalle situazioni drammatiche, sopraffatte dall’ordito orchestrale dimenticano quest’ultima caratteristica. Ed allora assistiamo ad esibizioni di note di petto sotto il mi 3 tipo il “trema vil schiava”, il si bem grave di “furie o in cor”, che arriva dopo la sbracata del re grave di “figlia dei Faraoni” dove nella discesa dal sol 4 la Amneris di normale cabotaggio, esibisce sul la 3 quello, che in gergo si chiama “scalino “ o “buco”, tipico delle voci di mezzo soprano scassate o con forte propensione a diventarlo in tempi rapidi. Anche nel quarto atto il cui primo quadro è il trionfo di Amneris i tranelli del mal canto sono molti: dal “Radames qui venga” con un bel si bem grave al la acuto di “anatema su voi”, che chiude la scena del giudizio.
Tranelli, scivoloni ed imperizie in cui sono cadute, scivolate Amneris di trentennale pratica del personaggio con trionfi in ogni maggior teatro del mondo. E quindi la regalità va completamente persa.
Se, poi, aggiungiamo che la zona della voce in cui la cantante è chiamata a cantare sta fra il mi3 ed il fa 4 e dove è obbligatoriamente richiesta saldezza, ampiezza ed eleganza e compostezza nel contempo ne ricaviamo anche che molte Amneris per carenza in quella zona della voce non sono in grado di rendere anch’esse la regalità.
Con queste caratteristiche si capisce perché le Amneris di riferimento sono anche state grandi Leonora di Favorita per andare al repertorio precedente o Eboli per restare a Verdi. Magari intrattenevano rapporti non del medesimo livello con Azucena oppure occhieggiavano a ruoli di soprano. Anche se soprani, magari di voce ricca e poderosa al centro hanno offerto prove mediocri. Il caso di Ghena Dimitrova è emblematico. Come è emblematico l’inverso: Giannina Arangi Lombardi, la più completa Aida che sia testimoniata, incise all’inizio di carriera passi di Amneris, risultando assolutamente qualunque.
L’altro aspetto sfuggito all’estensore di quell’articolo è il legame di Amneris con il passato, proprio quello rossiniano ed il ponte verso il futuro (non solo in corda di mezzosoprano) rappresentato dalla assenza di numeri solistici ed il ricorrere per esprimere i propri contrastanti alla fluttuante struttura della scena, che per certi versi è la sigla più autentica della prima donna e delle sue capacità espressive. Basti pensare alla scena del boudoir, che trapassa al duetto con Aida ossia al grandioso primo quadro del quarto atto. L’interrete di Amneris deve passare dall’estasi erotica delle scomodissime frase “ah vieni amore” al dire e non dire dell’inizio del duetto con Aida, dove la giovane sovrana deve dire, ma sopratutto non dire, presa dall’ansia di far dire alla rivale, poi esplodere, minacciando, ma evitando di evocare Santuzza e la Bouillon. Ancor più problematica per l’equilibrio fra canto ed interpretazione il quarto atto dove la sovrana è anche chiamata, dopo aver mercanteggiato i ripensamenti di Radames ed aver provato le più atroci sofferenze per la certa fine dell’amato, ad un alterco con il capo del potere religioso, chiuso con rituale e femminilissima maledizione. Maledizione che, però, non è la Mala Pasqua di Santuzza.
Scusate farsi prendere la mano è facile, come facile scadere nel facile melodrammatico, di cui abbiamo già detto e documentiamo negli ascolti. Facile, in fondo il personaggio che, più di ogni altro, esalta pregi e difetti della vocalità e della poetica verdiana venne pensato per un mezzosoprano elegante, avvenente e di altro repertorio come Maria Waldmann, fu cantato per trent’anni da un altro (Ebe Stignani) cui si negava di “scolpire nel bronzo” (essendo altre le reputate scultrici) ed ha trovato negli ultimi anni la più valente interprete in Grace Bumbry, poi transitata senza eguale successo su Aida e recentissimamente in Irina Makarova, di cui nessuno si è accorto, a riprova che oggi si ascolta senza le orecchie.
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto II
Chi mai fra gl'inni e i plausi...Ah, vieni amor mio, m'inebria - Ebe Stignani (1939), Shirley Verrett (1970), Fiorenza Cossotto (1977)
Fu la sorte dell'armi - Ebe Stignani & Maria Caniglia (1939), Giulietta Simionato & Antonietta Stella (1956), Irina Makarova & Violeta Urmana (2006)
Atto IV
L'aborrita rivale a me sfuggia - Violeta Urmana (2000), Irina Makarova (2006)
Già i sacerdoti adunansi - Shirley Verrett & Carlo Bergonzi (1970), Grace Bumbry & Richard Tucker (1973)
Ohimè, morir mi sento - Ebe Stignani (1939), Irina Arkhipova (1974), Elena Obraztsova (1976), Fiorenza Cossotto (1977)
In realtà il quasi anagramma del titolo è un’assonanza o meglio un omoteleuto, se utilizzato il nominativo latino della regina di Babilonia. In realtà le somiglianze fra i due personaggi sono ancora meno di quelle nominali. Si fermano, nell’articolo citato, al raffronto fra la cavatina di Semiramide, il famoso “bel raggio lusinghier” e la scena di Amneris nel proprio boudoir, mentre attende all’abbigliamento per l’imminente trionfo di Radames. Perché la tragica e volontaria fne al’interno della tomba dela regina di Babilonia, nel lavoro verdiano spetta alla protagonista, residuando ad Amneris, ignara del contenuto della tomba, la vedovile trenodia. Inoltre la scena di attesa dell’amore e del trionfo è un topos del melodramma italiano ottocentesco, basti pensare alla celebre, ai tempi suoi, cavatina di Climene della Saffo di Pacini.
All’autore del saggio, che è il pretesto per questi pensieri è, poi, sfuggita quelle, che, invece, è la caratteristica drammaturgica dei due personaggi ossia la regalità.
Caratteristica drammaturgica espressa, a distanza di mezzo secolo n maniera assolutamente diversa.
Quella di Semiramide è consacrata nella vocalità fiorita ed astratta di Rossini, quella di Verdi indicata in spartito ed affidata, soprattutto alla buone maniere vocali ed interpretative delle protagoniste pro tempore.
Il dramma di Amneris si riassume in innamorata, respinta, regina, precisamente figlia di re. Frequentemente le titolari del ruolo, trascinate dalle situazioni drammatiche, sopraffatte dall’ordito orchestrale dimenticano quest’ultima caratteristica. Ed allora assistiamo ad esibizioni di note di petto sotto il mi 3 tipo il “trema vil schiava”, il si bem grave di “furie o in cor”, che arriva dopo la sbracata del re grave di “figlia dei Faraoni” dove nella discesa dal sol 4 la Amneris di normale cabotaggio, esibisce sul la 3 quello, che in gergo si chiama “scalino “ o “buco”, tipico delle voci di mezzo soprano scassate o con forte propensione a diventarlo in tempi rapidi. Anche nel quarto atto il cui primo quadro è il trionfo di Amneris i tranelli del mal canto sono molti: dal “Radames qui venga” con un bel si bem grave al la acuto di “anatema su voi”, che chiude la scena del giudizio.
Tranelli, scivoloni ed imperizie in cui sono cadute, scivolate Amneris di trentennale pratica del personaggio con trionfi in ogni maggior teatro del mondo. E quindi la regalità va completamente persa.
Se, poi, aggiungiamo che la zona della voce in cui la cantante è chiamata a cantare sta fra il mi3 ed il fa 4 e dove è obbligatoriamente richiesta saldezza, ampiezza ed eleganza e compostezza nel contempo ne ricaviamo anche che molte Amneris per carenza in quella zona della voce non sono in grado di rendere anch’esse la regalità.
Con queste caratteristiche si capisce perché le Amneris di riferimento sono anche state grandi Leonora di Favorita per andare al repertorio precedente o Eboli per restare a Verdi. Magari intrattenevano rapporti non del medesimo livello con Azucena oppure occhieggiavano a ruoli di soprano. Anche se soprani, magari di voce ricca e poderosa al centro hanno offerto prove mediocri. Il caso di Ghena Dimitrova è emblematico. Come è emblematico l’inverso: Giannina Arangi Lombardi, la più completa Aida che sia testimoniata, incise all’inizio di carriera passi di Amneris, risultando assolutamente qualunque.
L’altro aspetto sfuggito all’estensore di quell’articolo è il legame di Amneris con il passato, proprio quello rossiniano ed il ponte verso il futuro (non solo in corda di mezzosoprano) rappresentato dalla assenza di numeri solistici ed il ricorrere per esprimere i propri contrastanti alla fluttuante struttura della scena, che per certi versi è la sigla più autentica della prima donna e delle sue capacità espressive. Basti pensare alla scena del boudoir, che trapassa al duetto con Aida ossia al grandioso primo quadro del quarto atto. L’interrete di Amneris deve passare dall’estasi erotica delle scomodissime frase “ah vieni amore” al dire e non dire dell’inizio del duetto con Aida, dove la giovane sovrana deve dire, ma sopratutto non dire, presa dall’ansia di far dire alla rivale, poi esplodere, minacciando, ma evitando di evocare Santuzza e la Bouillon. Ancor più problematica per l’equilibrio fra canto ed interpretazione il quarto atto dove la sovrana è anche chiamata, dopo aver mercanteggiato i ripensamenti di Radames ed aver provato le più atroci sofferenze per la certa fine dell’amato, ad un alterco con il capo del potere religioso, chiuso con rituale e femminilissima maledizione. Maledizione che, però, non è la Mala Pasqua di Santuzza.
Scusate farsi prendere la mano è facile, come facile scadere nel facile melodrammatico, di cui abbiamo già detto e documentiamo negli ascolti. Facile, in fondo il personaggio che, più di ogni altro, esalta pregi e difetti della vocalità e della poetica verdiana venne pensato per un mezzosoprano elegante, avvenente e di altro repertorio come Maria Waldmann, fu cantato per trent’anni da un altro (Ebe Stignani) cui si negava di “scolpire nel bronzo” (essendo altre le reputate scultrici) ed ha trovato negli ultimi anni la più valente interprete in Grace Bumbry, poi transitata senza eguale successo su Aida e recentissimamente in Irina Makarova, di cui nessuno si è accorto, a riprova che oggi si ascolta senza le orecchie.
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto II
Chi mai fra gl'inni e i plausi...Ah, vieni amor mio, m'inebria - Ebe Stignani (1939), Shirley Verrett (1970), Fiorenza Cossotto (1977)
Fu la sorte dell'armi - Ebe Stignani & Maria Caniglia (1939), Giulietta Simionato & Antonietta Stella (1956), Irina Makarova & Violeta Urmana (2006)
Atto IV
L'aborrita rivale a me sfuggia - Violeta Urmana (2000), Irina Makarova (2006)
Già i sacerdoti adunansi - Shirley Verrett & Carlo Bergonzi (1970), Grace Bumbry & Richard Tucker (1973)
Ohimè, morir mi sento - Ebe Stignani (1939), Irina Arkhipova (1974), Elena Obraztsova (1976), Fiorenza Cossotto (1977)
2 commenti:
Grazie per il bellissimo post! Io adoro la Stiognani, è la prima voce di mezzosporano di cui mi sono "infatuato" discograficamente parlando e proprio con Amneris, anche se nella incisione con Tebaldi e Del Monaco, in cui nonera ppiù all'apice... ma rimane per me un mito... non ho mai avuto la fortuna di ascoltare dal vivo l'Amneris di grace Bumbry, ma che ARTISTA!!! non ce n'è più... e comunque, signori, miei io rimango sinistramente affascinato dalla Cossotto e da certi bagliori che talora affioravano nella Obratszova... sarò di gusti rozzi.. hahahah... grazie ancora!! Maometto II
Carissimi... Non riesco a scaricare nulla!!! :(
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