Gli anni tra il 1950 e il 1970 vengono solitamente ricordati come una sorta di “epoca d’oro” del teatro milanese. Mentre l’Italia viveva quello che è rimasto nella memoria collettiva come il periodo del “boom economico” (dopo le fatiche del lungo dopoguerra), anche i cartelloni scaligeri di quegli anni riflettevano quel rinnovato benessere e quella nuova opulenza. Scorrendo le stagioni susseguitesi in quei venti anni, ci si imbatte, effettivamente, in tutti i grandi nomi (direttori d’orchestra e cantanti: da Furtwängler a Karajan, dalla Callas alla Price etc..) che hanno segnato la storia dell’interpretazione musicale. Tra il ’50 e il ’70, Aida compare in cartellone ben sette volte: e ciascuna di esse, con cast (o almeno parte di essi) che oggi riempiono di amara nostalgia – soprattutto se confrontati con la cronaca di questi giorni. Va anche detto che trattasi di interpretazioni di Aida note al grande pubblico e per l'epoca relativamente recente e per la diffusione discografica, che tutte hanno avuto.
Nel febbraio del 1950, sotto la guida di Votto e Capuano, Aida presenta una vera e propria “classica” delle rivalità operistiche (con fazioni e sostenitori che – ancora oggi – si scontrano “l’un contro l’altro armati”): nel title role si alternarono, infatti, Renata Tebaldi e Maria Callas. Non voglio, però, soffermarmi troppo sulla seconda, innanzitutto perchè il suo incontro con il personaggio verdiano non fu memorabile né troppo frequentato (e saggiamente: la schiava etiope rimarrà sostanzialmente estranea al fraseggio della Callas) e poi per evitare di rinverdire le solite e “vedovili” querelles. Assai più interessante, invece, l’Aida della Tebaldi: un personaggio risolto essenzialmente nella purezza del timbro e nella bellezza del suono, che meglio risalta, ovviamente, nei momenti lirici piuttosto che nella concitazione drammatica. Si cercherebbe, dunque, invano nella sua Aida, il calore e la brunitura di una Price (ad esempio), tuttavia neppure si può liquidare la sua interpretazione con l’usata formuletta – cara a certa critica, con velleità enciclopediche, che per esaltare la sua “divina” denigra istericamente, e sempre e comunque, l’odiata “rivale” – di una Tabaldi inerte interpretativamente, stentorea e “matronale” (vecchia storia, dura a morire, ma ormai entrata nella vulgata dell’opera). In realtà l’Aida della Tebaldi è cantata dalla prima all’ultima nota e risente – ovviamente – del gusto dell’epoca, ma resta comunque un puro piacere estetico: in particolare il legato impeccabile del “là tra foreste vergini”, o i “cieli azzurri”, quasi sospesi in una nuvola leggera di suono (e poco importa se il do sovracuto è leggermente appannato, lo baratto volentieri con la sfingica immobilità interpretativa di una Caballé, questa sì interessata solamente a emettere dei bei “filatini”). Anzi il meglio dell'Aida di Renata Tebaldi si ha proprio quando il soprano assottiglia la voce e modera l'enfasi, che talvolta la porta soprattutto in zona acuta ad emissioni e suoni, che tradiscono la bellezza e preziosità - uniche - del timbro.
L’anno successivo la protagonista sarà affidata a Costantina Araújo: soprano brasiliano, lirico spinto, che rimarrà, tuttavia, “di seconda fila” rispetto alle altre interpreti coeve del ruolo. Aida aprirà poi la stagione del 1956 (e si trattava di un grandissimo risultato nella carriera del soprano di Perugia perchè sino ad allora le inaugurazioni erano toccata alle due illustri rivali) con la schiava di Antonietta Stella, della quale non si può che lodare, ancora una volta, il timbro davvero bello ed angelico, specie nella seduzione di Radames al terzo atto. Risentita oggi l'Aida di Antonietta Stella elimina le perplessità che, soprattutto in Scala, accompagnarono molte delle sue apparizioni, anche se ragguagliate alle frequentazioni del pubblico del tempo si può comprendere che la Stella non esibisse un timbro comparabile con quello tebaldiano e risorse e "trovate" d'accento callasiane. Limiti, però, che in un personaggio dolente, remissivo e di limitata personalità non sono insuperabili ed insormontabili. Al fine di eliminare da parte di qualche nostro affezionato lettore la possibilità di polemiche circa le qualità del deuteragonista milanese (Pippo!) abbiamo optato per un assai raro ascolto from the Met, successivo di un paio di mesi all'Aida scaligera.
Nel 1960 si alterneranno nel title role Birgit Nilsson e Leontyne Price, ossia due tra le più importanti cantanti del XX secolo. Diversissime le loro interpretazioni. La Nilsson ci descrive un’Aida dalla voce possente, sicura in ogni angolo della tessitura, eccellente per il legato impeccabile e per la facilità mostrata nell’eseguire “ogni nota”, tuttavia appare spesso gelida e non priva di talune durezze “nibelungiche” (dovute all’abituale frequentazione del repertorio wagneriano e straussiano). Certo è che la drammaticità di alcuni passi lascia sbalorditi, dall’ondata di voce che è il suo “ritorna vincitor”, sino allo svettare nei concertati e nei pezzi d’insieme. Il rovescio della medaglia è, necessariamente, una certa artificiosità nei momenti di abbandono lirico (i duetti con Radames, il finale dell’opera e i “cieli azzurri”). Fra l'altro la prodezza del do dei "cieli azzurri" in recita riesce a metà ad una cantante dal grandissimo controllo tecnico.
Con la Price – che rivestirà lo stesso ruolo nel 1963, accanto al Radames di Bergonzi – si ascolta forse la migliore Aida del secolo (e sicuramente l’ultima). Colta nel suo periodo di massimo splendore, la voce calda e brunita disegna un’Aida completa: drammatica e languida, capace di rendere al meglio i momenti di passione e di orgoglio (“Ritorna vincitor”) così come gli abbandoni lirici dei “cieli azzurri” e del finale. La Price domina il legato e dona, con un timbro vellutato e scuro (ma anche caldo e sensuale), una visione contemporaneamente solare e notturna della schiava etiope. Nel '63, sostituta della Price fu Leyla Gencer (che sarà di nuovo Aida nel 1966, ma con un'organizzazione vocale già appannata). Personaggio a lei non propriamente congeniale, rivela più di una difficoltà in acuto (spesso avventuroso) oltre ad una certa disuguaglianza nei registri. L'anno prima, il 1965, si alternarono nel ruolo Gabriella Tucci e Luisa Maragliano (per le quali si rimanda a quanto già scritto nelle pagine dedicate alla cosiddetta serie B: quarta e quinta puntata). Al periodo del boom economico, però, seguì, nel paese e nelle sue istituzioni musicali, un periodo di riflusso...
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto I
Ritorna vincitor - Renata Tebaldi (1951), Birgit Nilsson (1960)
Atto II
Fu la sorte dell'armi - Giulietta Simionato & Birgit Nilsson (1960)
O Re, pei sacri Numi - Maria Callas, Mario del Monaco, Oralia Domínguez, Giuseppe Taddei, Roberto Silva & Ignacio Ruffino (1951)
Atto III
Qui Radames verrà...O cieli azzurri - Birgit Nilsson (1960), Leontyne Price (1963)
Ciel! mio padre - Renata Tebaldi & Paolo Silveri (1951)
Pur ti riveggo, mia dolce Aida - Maria Callas & Mario del Monaco (1951), Antonietta Stella & Kurt Baum (1957), Leontyne Price & Carlo Bergonzi (1963)
Atto IV
La fatal pietra - Antonietta Stella & Kurt Baum (1957)
Nel febbraio del 1950, sotto la guida di Votto e Capuano, Aida presenta una vera e propria “classica” delle rivalità operistiche (con fazioni e sostenitori che – ancora oggi – si scontrano “l’un contro l’altro armati”): nel title role si alternarono, infatti, Renata Tebaldi e Maria Callas. Non voglio, però, soffermarmi troppo sulla seconda, innanzitutto perchè il suo incontro con il personaggio verdiano non fu memorabile né troppo frequentato (e saggiamente: la schiava etiope rimarrà sostanzialmente estranea al fraseggio della Callas) e poi per evitare di rinverdire le solite e “vedovili” querelles. Assai più interessante, invece, l’Aida della Tebaldi: un personaggio risolto essenzialmente nella purezza del timbro e nella bellezza del suono, che meglio risalta, ovviamente, nei momenti lirici piuttosto che nella concitazione drammatica. Si cercherebbe, dunque, invano nella sua Aida, il calore e la brunitura di una Price (ad esempio), tuttavia neppure si può liquidare la sua interpretazione con l’usata formuletta – cara a certa critica, con velleità enciclopediche, che per esaltare la sua “divina” denigra istericamente, e sempre e comunque, l’odiata “rivale” – di una Tabaldi inerte interpretativamente, stentorea e “matronale” (vecchia storia, dura a morire, ma ormai entrata nella vulgata dell’opera). In realtà l’Aida della Tebaldi è cantata dalla prima all’ultima nota e risente – ovviamente – del gusto dell’epoca, ma resta comunque un puro piacere estetico: in particolare il legato impeccabile del “là tra foreste vergini”, o i “cieli azzurri”, quasi sospesi in una nuvola leggera di suono (e poco importa se il do sovracuto è leggermente appannato, lo baratto volentieri con la sfingica immobilità interpretativa di una Caballé, questa sì interessata solamente a emettere dei bei “filatini”). Anzi il meglio dell'Aida di Renata Tebaldi si ha proprio quando il soprano assottiglia la voce e modera l'enfasi, che talvolta la porta soprattutto in zona acuta ad emissioni e suoni, che tradiscono la bellezza e preziosità - uniche - del timbro.
L’anno successivo la protagonista sarà affidata a Costantina Araújo: soprano brasiliano, lirico spinto, che rimarrà, tuttavia, “di seconda fila” rispetto alle altre interpreti coeve del ruolo. Aida aprirà poi la stagione del 1956 (e si trattava di un grandissimo risultato nella carriera del soprano di Perugia perchè sino ad allora le inaugurazioni erano toccata alle due illustri rivali) con la schiava di Antonietta Stella, della quale non si può che lodare, ancora una volta, il timbro davvero bello ed angelico, specie nella seduzione di Radames al terzo atto. Risentita oggi l'Aida di Antonietta Stella elimina le perplessità che, soprattutto in Scala, accompagnarono molte delle sue apparizioni, anche se ragguagliate alle frequentazioni del pubblico del tempo si può comprendere che la Stella non esibisse un timbro comparabile con quello tebaldiano e risorse e "trovate" d'accento callasiane. Limiti, però, che in un personaggio dolente, remissivo e di limitata personalità non sono insuperabili ed insormontabili. Al fine di eliminare da parte di qualche nostro affezionato lettore la possibilità di polemiche circa le qualità del deuteragonista milanese (Pippo!) abbiamo optato per un assai raro ascolto from the Met, successivo di un paio di mesi all'Aida scaligera.
Nel 1960 si alterneranno nel title role Birgit Nilsson e Leontyne Price, ossia due tra le più importanti cantanti del XX secolo. Diversissime le loro interpretazioni. La Nilsson ci descrive un’Aida dalla voce possente, sicura in ogni angolo della tessitura, eccellente per il legato impeccabile e per la facilità mostrata nell’eseguire “ogni nota”, tuttavia appare spesso gelida e non priva di talune durezze “nibelungiche” (dovute all’abituale frequentazione del repertorio wagneriano e straussiano). Certo è che la drammaticità di alcuni passi lascia sbalorditi, dall’ondata di voce che è il suo “ritorna vincitor”, sino allo svettare nei concertati e nei pezzi d’insieme. Il rovescio della medaglia è, necessariamente, una certa artificiosità nei momenti di abbandono lirico (i duetti con Radames, il finale dell’opera e i “cieli azzurri”). Fra l'altro la prodezza del do dei "cieli azzurri" in recita riesce a metà ad una cantante dal grandissimo controllo tecnico.
Con la Price – che rivestirà lo stesso ruolo nel 1963, accanto al Radames di Bergonzi – si ascolta forse la migliore Aida del secolo (e sicuramente l’ultima). Colta nel suo periodo di massimo splendore, la voce calda e brunita disegna un’Aida completa: drammatica e languida, capace di rendere al meglio i momenti di passione e di orgoglio (“Ritorna vincitor”) così come gli abbandoni lirici dei “cieli azzurri” e del finale. La Price domina il legato e dona, con un timbro vellutato e scuro (ma anche caldo e sensuale), una visione contemporaneamente solare e notturna della schiava etiope. Nel '63, sostituta della Price fu Leyla Gencer (che sarà di nuovo Aida nel 1966, ma con un'organizzazione vocale già appannata). Personaggio a lei non propriamente congeniale, rivela più di una difficoltà in acuto (spesso avventuroso) oltre ad una certa disuguaglianza nei registri. L'anno prima, il 1965, si alternarono nel ruolo Gabriella Tucci e Luisa Maragliano (per le quali si rimanda a quanto già scritto nelle pagine dedicate alla cosiddetta serie B: quarta e quinta puntata). Al periodo del boom economico, però, seguì, nel paese e nelle sue istituzioni musicali, un periodo di riflusso...
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto I
Ritorna vincitor - Renata Tebaldi (1951), Birgit Nilsson (1960)
Atto II
Fu la sorte dell'armi - Giulietta Simionato & Birgit Nilsson (1960)
O Re, pei sacri Numi - Maria Callas, Mario del Monaco, Oralia Domínguez, Giuseppe Taddei, Roberto Silva & Ignacio Ruffino (1951)
Atto III
Qui Radames verrà...O cieli azzurri - Birgit Nilsson (1960), Leontyne Price (1963)
Ciel! mio padre - Renata Tebaldi & Paolo Silveri (1951)
Pur ti riveggo, mia dolce Aida - Maria Callas & Mario del Monaco (1951), Antonietta Stella & Kurt Baum (1957), Leontyne Price & Carlo Bergonzi (1963)
Atto IV
La fatal pietra - Antonietta Stella & Kurt Baum (1957)
15 commenti:
Inutile girarci intorno... La Price è l'unica che riesce a rendere interessanti i lamenti e i pianti di Aida... Che voce, che timbro brunito, caldo, sensuale... Certo qualche nota non è perfetta... Ma neanche la Nilsson lo è (anzi, rispetto all'americana è uno sfacelo!!!!). Sempre fenomenale la baracconata della Callas a Mexico City (esempio preclaro delle cosiddette messicanate!!!!)... Il mib è una roccia... Forse un po' urlacchiato, ma sovrasta tutto e tutti!!!! Grazie di cuore!!!!
ciao velluti
non so dire quale delle Aide proposte ammiri di più.
Però devo dire che le due signore del 1929 hanno ciascuna e per motivi diversi una marcia in più rispetto a quelle proposte.
quanto alle baracconate della callas il mi bem è splendido per durata e saldezza forse se la paragoni ai veri soprani spinti ( le solite signore del 1929) lo sono un po' meno i si bem o il do del concertato.
saluti dd
Senza togliere nulla alle altre proposte, io continuo a ritenere l'Aida della Price, se non superiore, almeno alla pari delle due del '29... L'Aida della Callas invece...per me non è proprio una gran cosa!
Effettivamente la Arangi Lombardi è straordinaria. La voce è una meraviglia, tutta perfettamente in maschera e raccolta sul fiato, con acuti sempre a fuoco e timbratissimi, dal ff al pp. (Impossibile ogni confronto con i filatini della Caballè). E si tenga bene a mente che il supporto sonoro penalizza moltissimo l'ascolto della voce della Arangi-Lombardi. Ciò non ostante ciò che emerge è un'Aida assoluta. Un gradino inferiore considero, ma per mero gusto personale, la Rethberg. Davvero in alcuni punti appare glaciale. Sarà l'estrema facilità con cui risolve le difficoltà dello spartito (e non sono poche... Tutt'altro!!!!). Resta però che - almeno nell'ascolto da voi postato - il do della romanza appare leggermente tirato... E nella suprema levigatezza generale quella piccola imperfezione emerge in maniera ancora più evidente. Dal confronto tra le due romanze del III atto, almeno secondo il mio parere, la Arangi-Lombardi esce come la vincitrice assoluta!
caro velluti,
qui siamo alla disamina più attenta e minuta.
personalmente ho sempre amato la rethberg come una delle grandi del suo tempo.
concordo che il do abbia qualcos che non funziona. in un suo saggio celletti scrisse che era crescente. noi del corriere ci siamo armati di pianoforte (accordato) e il do non risultava crescente, se mai schiacciato.
non se se fosse un difetto della cantante o un vizio di registrazione.
però dovrai convenire con me che in basso frau retheberg giri meglio della signora arangi lombardi che ogni tanto emette suoni che lauri volpi definisce queruli e che forse sono solo un po' aperti. d'altra parte l'allieva per eccellenza della arangi lomnardi (lejla gencer) presentava lo stesso difetto e se ascolti la giocnda arangi lombardi stignani ti accorgi che la stignani scende meglio.
intendiamoci stiamo discutendo se sia meglio michelangelo o raffaello.
io so solo che se risentissimo una sera una aida con queste due signore poi saremmo ben più feroci e crudeli che le attuali.
ciao ed alla prossima
dd
Mi inserisco solo per ringraziarvi degli ascolti meravigliosi che avete postato sulle grandi Aida del 900'. Conoscevo bene l'Aida della Rethberg ma la Russ (di cui già molti anni addietro Lauri Volpi diceva che era stata -ingiustamente e completamente- dimenticata) e L'Arangi Lombardi sono a dir poco sensazionali. A proposito grazie del duetto della Russ con Magini-Coletti: è stata per me una rivelazione notevole - magari si riuscisse a "trovare" qualcosa di lui...-.
P.S. E' la prima volta che mi permetto di intervenire, come dire, "di persona", ma è parecchio che vi leggo: volevo ringraziarvi sinceramente per tutto quello che fate, raccontate, postate: trovo quasi "eroico" (e se possibile "commovente") il vostro presidio-culturale a difesa dell'Arte del Cantare.
M.B. (chiedo scusa all'Immenso Mattia Battistini -e a tutti coloro che lo amano- se mi sono permesso di "usurpare" il suo nome, ma volevo stare...al gioco)
".......trovo quasi "eroico" (e se possibile "commovente") il vostro presidio-culturale a difesa dell'Arte del Cantare......."
.....eh caro Mattia, grazie dell'eroismo che ci attribuisce. In effetti ci rendiamo ben conto che lo facciamo..........praticamente per nulla!!!.....ma la prendiamo con molta ironia ed un certo disincanto, glielo posso assicurare......finchè ci divertiamo va bene....
Grazie ancora della sua stima e a presto
gg
Vorrei spezzare una lancia in favore di Maria (Callas). Scrivete che il suo Mib sia una baracconata, intendendo il termine con senso dispregiativo (se interpreto bene).
Racconto l'aneddoto che sta dietro questa scelta e che sicuramente qualcuno di voi conoscerà.
L'Aida rappresenta, come avete detto, una della opere della trasferta messicana (Norma, Aida, Tosca ed il Trovatore) del 1950.
Maria ebbe un buon rapporto con gli altri componenti della compagnia, tra cui la Simionato, ma non con il tenore, Kurt Baum; dopo una Norma tirata, la situazione tra i due stava diventando insostenibile e la Simionato ci testimonia come lei dovesse fare da cuscinetto tra i due.
Maria era venuta a conoscenza che in anni passati, un soprano messicano, tale Angela Peralta, era solita terminare l'atto secondo dell'Aida col Mib. Poiché Verdi non l'aveva scritto e quindi previsto, Maria non intendeva farlo nonostante il caldo consiglio di alcuni amici del posto (la forza della professionalità e della filologia).
La prova generale dell'Aida fu tesissima, e tra la Callas e Baum ormai era guerra (figurarsi che lui le camminava pure sopra il mantello!).
Così, Maria (la vendicatrice) chiese al maestro Picco e alla compagnia se loro fossero d'accordo nell'inserire il famoso Mib. Baum ovviamente era all'oscuro di tutto.
Quindi potete immaginarvi la faccia e la voce di Baum nella finale della scena! Tra l'altro, Maria ebbe modo di cantare anche con del Monaco, il quale replicò anche lui col Mib acuto.
Ma, scusatemi, Maria è un'altro mondo, un'altra forza, un’altra tecnica!
Come potete vedere, forze maggiori hanno spinto alla scelta di questa soluzione; o almeno, io riesco pienamente a comprenderlo.
Saluti a tutti
infatti la variante è nota come variante della Peralta.
Non solo, ma l'aveva praticata anche un'altra famosissima cantante in Sud america ossia la Campina, protagonista, credo al Colon.
E' la tipica baracconata che fa impazzire il pubblico sud americano innamorato, al pari degli spagnoli, e degli acuti poderosi e delle filature. Tenorili soprattutto.
Quanto al termine baracconata i melomani o vociomani del blog lungi dal gridare allo scandalo anzi. Questi inserimenti sono una delle "forze indomite del teatro". Mi chiedo anche se questa puntatura non abbia origine ben più remota della Peralta e della Campina, tenuto conto che almeno due Aide famosissime (Patti e Lilli Lehmann) erano dotatissime in alto.
se qualcuno dei nostri lettori lo sapesse, grazie.
Quanto alla bontà di Giulietta Simionato ed al suo metterci una buona parola ritengo morta la Callas e pure Baum di andarci cauto. E', a mio parere una fonte poco attendibile.
saluti dd
Il testo da me letto (che conteneva detto ricordo) è scritto dalla Simionato stessa con questo finale: "Ho scritto queste righe per ricordare una carissima amica e un'eccezionale collega, anche perchè tante volte, nelle interviste, le mie parole su Maria sono state mal comprese o travisate. Io ricordo perfettamente tutto quello che Maria mi raccontava e ne ho ben presente il significato. Non amo le inesattezze, ecco tutto".
Lei, caro donzelli, non da prove scientifiche del perchè il suo giudizio verso tale testimonianza siano di scarsa attendibilità, diventado a loro volta meno attendibili della testimonianza stessa, perchè la Simionato, oltre ad aver lavorato con Maria più volte, era cooprotagonista nell'opera medesima.
Aspetto lumi
Saluti
La carissima amicizia di Giulietta Simionato per la Callas mi pare singolare e piuttosto post mortem. In occasione della commemorazione scaligera della "Maria" (16 ottobre 1977) la Simionato ebbe a dire che lei e la defunta si erano viste per l'ultima volta nel 1968. Evidenziando quindi che, al di là dell'occasionale sfoggio di una retorica molto "vapensierista", fra la allora signora Frugoni e la Callas i rapporti personali erano stati occasionali, per non dire ai confini dell'inesistente.
Maria Callas è morta nel settembre 1977 in completa solitudine, in cui viveva da anni. Dopo la morte si è trovata piena di care amiche, tutte dalle calde lacrime e pronte a dare alle stampe memoriali e ricordi della cara amica. Alla Simionato hanno fatto compagnia molte altre della cui amicizia, personalmente, dubito molto.
Concordo assolutamente con Nourrit. Per quanto concerne il termine "baracconata" non è assolutamente un minus. L'ho usato semplicemente per dire che è un finale strappapplausi.
caro velluti
gli strappapplausi sono l'essenza del teatro.
Penso alla differenza fra i Rigoletto alla Muti e quelli di tradizione con le puntature e soprattutto le due differenti tradizioni di attaccare il si vendetta.
Quest'ultime scelte fanno saltare sulla sedia (se le sai fare il pubblico) quella di Muti fa auspicare una celere fine dell'atto.
ciao dd
Assolutamente d'accordo
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