In un Comunale più deserto del solito, malgrado il clamore della stampa (rigorosamente locale) e le svendite al box office, e vieppiù svuotatosi dopo il secondo intervallo, si è consumata ieri sera la prima dell’Idomeneo. Il termine può apparire forte, ma quello cui abbiamo assistito è un autentico scempio, a più livelli, della partitura, oltre che una delle serate più assurde e insensate degli ultimi tempi, che pure di simili serate non sono stati parchi.
Sul podio Michele Mariotti, ormai ufficialmente alla guida della compagine bolognese, ha diretto in modo greve e metronomico un’orchestra che, a dispetto dell’assetto cameristico, ha dimostrato ben poca grazia e ancor minore precisione di attacchi e coesione. L’ouverture scorre via arruffata e dimessa, senza creare il clima tragico e burrascoso che è proprio di questa musica, e lo stesso dicasi dell’accompagnamento alle arie, in cui il direttore stacca tempi piuttosto frettolosi, anche per venire incontro a voci che, senza eccezioni, appaiono inadeguate a quanto richiesto dai rispettivi ruoli. I momenti peggiori sono quelli che coinvolgono il coro, spesso sfasato rispetto all’orchestra (coro del naufragio, finale secondo) e in più punti (segnatamente all’attacco di O voto tremendo) decisamente stonato in buona parte dei suoi componenti. Anche nei momenti di maggiore tensione drammatica (apparizione del mostro, quartetto, quadro conclusivo) c’è approssimazione, fretta e sciatteria musicale, e manca il clima solenne e grandioso che è proprio dell’opera seria settecentesca, sia pure in ambito riformato. Un velo pietoso sull’intervento degli ottoni, semplicemente da opera comica, che prepara l’epifania del Nume. Resta poi da capire per quale motivo, dell’Intermezzo che conclude il primo atto, venga eseguita una versione maldestramente tagliata, che fa sembrare Gianandrea Gavazzeni un paladino dell’integralità. Non sarebbe stato meglio cassarlo del tutto? Analoghi tagli, ugualmente discutibili, nell’ultima scena dell’opera, in cui oltre alle arie di Idomeneo ed Idamante è venuta a cadere la Marcia che precede la scena del sacrificio e una buona fetta del recitativo accompagnato che precede l’entrata di Ilia.
Lo spettacolo di Davide Livermore s’intona perfettamente al clima musicale. L’apparente bizzarria dell’ambientazione (un acquario) si scioglie fin dalle prime scene nella solita esibizione di video arty, cappottini, tute da ginnastica, impermeabili trasparenti, una tenuta da figlia dei fiori per Ilia e una mise da Signora in rosso per Elettra, che nel secondo atto sfoggia un boa di piume di struzzo che fa pensare ai Legnanesi. Non lamentiamo, come vorrebbero i nostri critici, l’assenza delle colonne neoclassiche né quella del mostro, ma l’apparente innovazione che è in realtà solo l’alibi, la pietosa foglia di fico che dovrebbe servire a non farci vedere i gesti stereotipati (puro Pier’Alli) del coro e dei solisti (la mano sul cuore), i personaggi schierati al proscenio in occasione di un assieme (Andrò ramingo e solo), le sottolineature didascaliche (Elettra che esalta le virtù della mano – metaforica – d’Amore mentre stringe quella del riluttante Idamante), insomma tutta la tradizione più trita e deteriore, che si traveste da modernità come alcuni si travestono in occasione del Carnevale, senza crederci più di tanto e senza sforzarsi di occultare la propria identità. Un simile teatro di non-regia, se evita gli orrori più estremi di marca germanofila, non rende comunque un buon servizio alla musica né alle casse del teatro, che da una versione in forma di concerto (specie per un’opera come Idomeneo) avrebbero tratto sicuro vantaggio.
Poi ci sarebbero i cantanti. Sempre se l’argomento può contare ancora qualcosa per chi concepisce e organizza spettacoli facendo della scelta degli interpreti l’ultimo dei problemi. Come è ormai consuetudine per il teatro bolognese, quasi tutti i cantanti, a eccezione di Idomeneo ed Elettra, provengono dai ranghi dell’accademia del Comunale o dal coro del medesimo. La scelta di affidare a cantanti alle prime armi e ad altri più esperti, ma al debutto nel ruolo, uno dei vertici della produzione mozartiana è piuttosto eloquente circa la lungimiranza dei responsabili della programmazione artistica.
Giuseppina Bridelli, Idamante, ha sfoggiato fin dal recitativo d’entrata una voce chioccia e assai sgraziata, gonfia, ma non ampia, nei centri e di conseguenza in difficoltà nel salire e soprattutto nello scendere. L’esecuzione della prima aria è stata scolastica, oltre che costellata da numerose riprese di fiato (un tratto che accomuna la giovane cantante a tutti gli altri solisti della serata). Temiamo che la Bridelli canti da mezzosoprano perché incapace di eseguire correttamente il passaggio di registro, come del resto quella che verosimilmente è la sua cantante di riferimento per emissione e condotta scenica, vale a dire Monica Bacelli. Un paio di fischi dopo la prima aria, successo alla fine dell’opera.
Un poco meglio Barbara Bargnesi, gradevole voce di soprano leggero corto (un controsenso per la vocalità dell’opera seria, ma sorvoliamo) in difetto di appoggio, e quindi costretta ad accennare continuamente, dato che il canto a piena voce (vedi i passaggi più tesi in recitativo) fa sì che i suoni oscillino udibilmente. Ha cantato passabilmente la prima aria, esibendo inoltre intenzioni corrette e musicalmente più quadrate rispetto alla media della serata. Nell’assolo del secondo atto ha steccato la seconda salita al si bemolle, evidenziando una problematica gestione del legato. La stanchezza si è fatta sentire ancora di più nell’ultima aria, con una resa faticosa e talora calante delle quartine vocalizzate in zona centrale. Complessivamente, e con l’attenuante della giovane età, la prova della Bargnesi è stata la più plausibile della serata e non meraviglia che il pubblico le abbia risparmiato, sola fra le prime parti, persino la minima riprovazione.
Riprovazioni che sono invece piovute a raffica, malgrado l’impegno della claque, sull’Elettra di Angeles Blancas Gulín, che con un passato (non proprio illustre) da Ilia alle spalle debutta la parte della principessa argiva. Davvero mancano le parole per descrivere quella che è stata di certo la prova peggiore della serata. La voce è stridula, spoggiata come quella dei peggiori falsettisti, in fascia grave semplicemente non c’è e in acuto le urla, le stonature, i suoni fissi, i berci puri e semplici non si contano. A ciò si aggiunga un portamento e una condotta scenica che fanno di Elettra una sorta di anziana mondana in disarmo e incauta tabagista. Il momento di massimo orrore è stato, un po’ a sorpresa, l’assolo del secondo atto, cantato con vocina flautata e in perenne debito d’ossigeno (immaginarsi la sensualità e la lepidezza del momento: puro avanspettacolo), ma anche l’aria finale, condita da risate, farfugliamenti e altre caccole paraveriste (senza la “polpa vocale” dei miti del verismo, ma anche di una Franca Somigli o di una Celestina Casapietra), non ha smentito le attese. Che la signora dimentichi una battuta nel recitativo che precede l’intervento dell’Oracolo, importa, a questo punto, relativamente. Il taglio del D’Oreste d’Ajace (unica aria solistica sopravvissuta alle forbici nell’ultima scena dell’opera) si sarebbe configurato come autentico e commendevole esempio di carità cristiana.
Quanto a Francesco Meli, il cui debutto nel ruolo del titolo costituiva il principale motivo d’interesse della produzione, ha cantato come al solito, gonfiando all’inverosimile i centri alla ricerca di una sonorità in fascia medio-bassa che fa difetto alla sua bella quanto brada voce di tenore lirico (da Amico Fritz e Manon di Massenet) e strozzandosi regolarmente sul passaggio (basti sentire nel recitativo d’entrata la frase “qui solo respirar”). I tentativi (abbondanti e appropriati, sia detto a suo merito) di accentare, di smorzare, di colorare la frase musicale si risolvono in suoni stimbrati e quindi opachi e privi di risonanza. La nobiltà, l’alterigia e la disperazione del re di Creta, che dovrebbero emergere nella grandiosa aria Fuor del mar (proposta, con notevole sprezzo del ridicolo, nella versione ornamentata), sono state soppiantate da un’esecuzione aspirata e approssimativa della coloratura, con frequenti sbandamenti rispetto all’orchestra (e senza che il direttore facesse nulla per recuperare la coesione dell’insieme) e una serie di varianti nel da capo, musicalmente discutibili, ma con l’indubbio vantaggio di riportare la voce in fascia più acuta, senza peraltro che l’escamotage si traducesse in una maggiore facilità e fluidità esecutiva. Dopo l’invettiva del finale secondo, di sapore popolaresco, il terzo atto è stato gestito quasi completamente con piani e pianissimi in difetto d’appoggio e quindi ai confini, e spesso oltre i confini, del falsetto. Fortunatamente è stata evitata l’aria conclusiva. Trionfo per lui, con qualche ironico commento dopo Fuor del mar.
Fra i comprimari si distinguono Enea Scala, una bella voce (già udita nel Viaggio a Reims pesarese dello scorso anno) per la quale il passaggio di registro rimane un mistero insondato (tagliata la prima aria, purtroppo presente la seconda), e Paolo Cauteruccio, che nell’assolo del Gran Sacerdote all’interno del coro O voto tremendo riesce a farci rimpiangere la routine non elettrizzante ma altamente affidabile di un Mirto Picchi o la sicura professionalità di un Ernesto Gavazzi.
Infine una domanda alla direzione artistica: ma un bel Matrimonio segreto???
Gli ascolti
Mozart - Idomeneo
Ouverture - Fritz Busch (1951)
Atto I
Quando avran fine omai...Padre, germani, addio - Sena Jurinac (1951)
Estinto è Idomeneo?...Tutte nel cor vi sento - Gertrude Grob-Prandl (1950)
Atto II
Ch'io mi scordi di te?...Non temer, amato bene K 505 - Teresa Berganza (1981)
Se il padre perdei - Eleanor Steber (1955)
Fuor del mar - Hermann Jadlowker (1917)
Chi mai del mio provò...Idol mio, se ritroso - Leyla Gencer (1968)
Placido è il mar, andiamo...Soavi Zeffiri - Birgit Nilsson, dir. Fritz Busch (1951)
Atto III
Andrò ramingo e solo - Esthér Réthy, Else Böttcher, Anny Konetzni & Jakob Sabel, dir. Richard Strauss (1941)
O voto tremendo! - Ezio di Cesare, dir. Riccardo Muti (1990)
Oh smania, oh Furie, oh disperata Elettra!...D'Oreste, d'Ajace - Joan Sutherland (1979)
Sul podio Michele Mariotti, ormai ufficialmente alla guida della compagine bolognese, ha diretto in modo greve e metronomico un’orchestra che, a dispetto dell’assetto cameristico, ha dimostrato ben poca grazia e ancor minore precisione di attacchi e coesione. L’ouverture scorre via arruffata e dimessa, senza creare il clima tragico e burrascoso che è proprio di questa musica, e lo stesso dicasi dell’accompagnamento alle arie, in cui il direttore stacca tempi piuttosto frettolosi, anche per venire incontro a voci che, senza eccezioni, appaiono inadeguate a quanto richiesto dai rispettivi ruoli. I momenti peggiori sono quelli che coinvolgono il coro, spesso sfasato rispetto all’orchestra (coro del naufragio, finale secondo) e in più punti (segnatamente all’attacco di O voto tremendo) decisamente stonato in buona parte dei suoi componenti. Anche nei momenti di maggiore tensione drammatica (apparizione del mostro, quartetto, quadro conclusivo) c’è approssimazione, fretta e sciatteria musicale, e manca il clima solenne e grandioso che è proprio dell’opera seria settecentesca, sia pure in ambito riformato. Un velo pietoso sull’intervento degli ottoni, semplicemente da opera comica, che prepara l’epifania del Nume. Resta poi da capire per quale motivo, dell’Intermezzo che conclude il primo atto, venga eseguita una versione maldestramente tagliata, che fa sembrare Gianandrea Gavazzeni un paladino dell’integralità. Non sarebbe stato meglio cassarlo del tutto? Analoghi tagli, ugualmente discutibili, nell’ultima scena dell’opera, in cui oltre alle arie di Idomeneo ed Idamante è venuta a cadere la Marcia che precede la scena del sacrificio e una buona fetta del recitativo accompagnato che precede l’entrata di Ilia.
Lo spettacolo di Davide Livermore s’intona perfettamente al clima musicale. L’apparente bizzarria dell’ambientazione (un acquario) si scioglie fin dalle prime scene nella solita esibizione di video arty, cappottini, tute da ginnastica, impermeabili trasparenti, una tenuta da figlia dei fiori per Ilia e una mise da Signora in rosso per Elettra, che nel secondo atto sfoggia un boa di piume di struzzo che fa pensare ai Legnanesi. Non lamentiamo, come vorrebbero i nostri critici, l’assenza delle colonne neoclassiche né quella del mostro, ma l’apparente innovazione che è in realtà solo l’alibi, la pietosa foglia di fico che dovrebbe servire a non farci vedere i gesti stereotipati (puro Pier’Alli) del coro e dei solisti (la mano sul cuore), i personaggi schierati al proscenio in occasione di un assieme (Andrò ramingo e solo), le sottolineature didascaliche (Elettra che esalta le virtù della mano – metaforica – d’Amore mentre stringe quella del riluttante Idamante), insomma tutta la tradizione più trita e deteriore, che si traveste da modernità come alcuni si travestono in occasione del Carnevale, senza crederci più di tanto e senza sforzarsi di occultare la propria identità. Un simile teatro di non-regia, se evita gli orrori più estremi di marca germanofila, non rende comunque un buon servizio alla musica né alle casse del teatro, che da una versione in forma di concerto (specie per un’opera come Idomeneo) avrebbero tratto sicuro vantaggio.
Poi ci sarebbero i cantanti. Sempre se l’argomento può contare ancora qualcosa per chi concepisce e organizza spettacoli facendo della scelta degli interpreti l’ultimo dei problemi. Come è ormai consuetudine per il teatro bolognese, quasi tutti i cantanti, a eccezione di Idomeneo ed Elettra, provengono dai ranghi dell’accademia del Comunale o dal coro del medesimo. La scelta di affidare a cantanti alle prime armi e ad altri più esperti, ma al debutto nel ruolo, uno dei vertici della produzione mozartiana è piuttosto eloquente circa la lungimiranza dei responsabili della programmazione artistica.
Giuseppina Bridelli, Idamante, ha sfoggiato fin dal recitativo d’entrata una voce chioccia e assai sgraziata, gonfia, ma non ampia, nei centri e di conseguenza in difficoltà nel salire e soprattutto nello scendere. L’esecuzione della prima aria è stata scolastica, oltre che costellata da numerose riprese di fiato (un tratto che accomuna la giovane cantante a tutti gli altri solisti della serata). Temiamo che la Bridelli canti da mezzosoprano perché incapace di eseguire correttamente il passaggio di registro, come del resto quella che verosimilmente è la sua cantante di riferimento per emissione e condotta scenica, vale a dire Monica Bacelli. Un paio di fischi dopo la prima aria, successo alla fine dell’opera.
Un poco meglio Barbara Bargnesi, gradevole voce di soprano leggero corto (un controsenso per la vocalità dell’opera seria, ma sorvoliamo) in difetto di appoggio, e quindi costretta ad accennare continuamente, dato che il canto a piena voce (vedi i passaggi più tesi in recitativo) fa sì che i suoni oscillino udibilmente. Ha cantato passabilmente la prima aria, esibendo inoltre intenzioni corrette e musicalmente più quadrate rispetto alla media della serata. Nell’assolo del secondo atto ha steccato la seconda salita al si bemolle, evidenziando una problematica gestione del legato. La stanchezza si è fatta sentire ancora di più nell’ultima aria, con una resa faticosa e talora calante delle quartine vocalizzate in zona centrale. Complessivamente, e con l’attenuante della giovane età, la prova della Bargnesi è stata la più plausibile della serata e non meraviglia che il pubblico le abbia risparmiato, sola fra le prime parti, persino la minima riprovazione.
Riprovazioni che sono invece piovute a raffica, malgrado l’impegno della claque, sull’Elettra di Angeles Blancas Gulín, che con un passato (non proprio illustre) da Ilia alle spalle debutta la parte della principessa argiva. Davvero mancano le parole per descrivere quella che è stata di certo la prova peggiore della serata. La voce è stridula, spoggiata come quella dei peggiori falsettisti, in fascia grave semplicemente non c’è e in acuto le urla, le stonature, i suoni fissi, i berci puri e semplici non si contano. A ciò si aggiunga un portamento e una condotta scenica che fanno di Elettra una sorta di anziana mondana in disarmo e incauta tabagista. Il momento di massimo orrore è stato, un po’ a sorpresa, l’assolo del secondo atto, cantato con vocina flautata e in perenne debito d’ossigeno (immaginarsi la sensualità e la lepidezza del momento: puro avanspettacolo), ma anche l’aria finale, condita da risate, farfugliamenti e altre caccole paraveriste (senza la “polpa vocale” dei miti del verismo, ma anche di una Franca Somigli o di una Celestina Casapietra), non ha smentito le attese. Che la signora dimentichi una battuta nel recitativo che precede l’intervento dell’Oracolo, importa, a questo punto, relativamente. Il taglio del D’Oreste d’Ajace (unica aria solistica sopravvissuta alle forbici nell’ultima scena dell’opera) si sarebbe configurato come autentico e commendevole esempio di carità cristiana.
Quanto a Francesco Meli, il cui debutto nel ruolo del titolo costituiva il principale motivo d’interesse della produzione, ha cantato come al solito, gonfiando all’inverosimile i centri alla ricerca di una sonorità in fascia medio-bassa che fa difetto alla sua bella quanto brada voce di tenore lirico (da Amico Fritz e Manon di Massenet) e strozzandosi regolarmente sul passaggio (basti sentire nel recitativo d’entrata la frase “qui solo respirar”). I tentativi (abbondanti e appropriati, sia detto a suo merito) di accentare, di smorzare, di colorare la frase musicale si risolvono in suoni stimbrati e quindi opachi e privi di risonanza. La nobiltà, l’alterigia e la disperazione del re di Creta, che dovrebbero emergere nella grandiosa aria Fuor del mar (proposta, con notevole sprezzo del ridicolo, nella versione ornamentata), sono state soppiantate da un’esecuzione aspirata e approssimativa della coloratura, con frequenti sbandamenti rispetto all’orchestra (e senza che il direttore facesse nulla per recuperare la coesione dell’insieme) e una serie di varianti nel da capo, musicalmente discutibili, ma con l’indubbio vantaggio di riportare la voce in fascia più acuta, senza peraltro che l’escamotage si traducesse in una maggiore facilità e fluidità esecutiva. Dopo l’invettiva del finale secondo, di sapore popolaresco, il terzo atto è stato gestito quasi completamente con piani e pianissimi in difetto d’appoggio e quindi ai confini, e spesso oltre i confini, del falsetto. Fortunatamente è stata evitata l’aria conclusiva. Trionfo per lui, con qualche ironico commento dopo Fuor del mar.
Fra i comprimari si distinguono Enea Scala, una bella voce (già udita nel Viaggio a Reims pesarese dello scorso anno) per la quale il passaggio di registro rimane un mistero insondato (tagliata la prima aria, purtroppo presente la seconda), e Paolo Cauteruccio, che nell’assolo del Gran Sacerdote all’interno del coro O voto tremendo riesce a farci rimpiangere la routine non elettrizzante ma altamente affidabile di un Mirto Picchi o la sicura professionalità di un Ernesto Gavazzi.
Infine una domanda alla direzione artistica: ma un bel Matrimonio segreto???
Gli ascolti
Mozart - Idomeneo
Ouverture - Fritz Busch (1951)
Atto I
Quando avran fine omai...Padre, germani, addio - Sena Jurinac (1951)
Estinto è Idomeneo?...Tutte nel cor vi sento - Gertrude Grob-Prandl (1950)
Atto II
Ch'io mi scordi di te?...Non temer, amato bene K 505 - Teresa Berganza (1981)
Se il padre perdei - Eleanor Steber (1955)
Fuor del mar - Hermann Jadlowker (1917)
Chi mai del mio provò...Idol mio, se ritroso - Leyla Gencer (1968)
Placido è il mar, andiamo...Soavi Zeffiri - Birgit Nilsson, dir. Fritz Busch (1951)
Atto III
Andrò ramingo e solo - Esthér Réthy, Else Böttcher, Anny Konetzni & Jakob Sabel, dir. Richard Strauss (1941)
O voto tremendo! - Ezio di Cesare, dir. Riccardo Muti (1990)
Oh smania, oh Furie, oh disperata Elettra!...D'Oreste, d'Ajace - Joan Sutherland (1979)
34 commenti:
La cosa più divertente della serata - ascoltata su Radio3 - sono stati i commenti degli "scodinzolini". Allora, mentre ancora risuonavano buh e insulti alla protagonista, il cronista sul posto ha parlato di una sola "buatina" sopraffatta dalle ovazioni! Quello in studio non ha perso l'occasione - a proposito dei vaffa alla regia - per buttare merda sul troglodita pubblico italiota, che vorrebbe solo parrucche e interpreti che cantano, invece di recitare.
mi consentite un paragone medico!
che l'opera sia malata e gravemente lo sappiamo bene. Per la cronaca seguendo le polemiche post festival di Sanremo credo che la musica leggera versi in identica patologia.
E ciò nonostante i medici pietosi vanno avanti a dire che il malato gode di ottima salute.
E' come distribuire caramelle, cioccolatini e dolciumi ad un obeso o ad un diabetico......
e nel nostro caso, forse, non muore neppure contento
Daland: i commenti e i fischi alla Gulin ci sono stati, e non pochi, dopo l'ultima aria e alla fine dell'opera. Peraltro la signora li ha accolti molto sportivamente, salutando festosa. Però è vero che sono sempre pochi e fiacchi rispetto a quelli che la signora avrebbe meritato e che in altra epoca, con buona pace dei plaudenti domenicali, le sarebbero toccati.
Il Corriere della Grisi a volte mi fa arrabbiare, ma io non sono un'intenditore, solo un'appassionato (che vede almeno 60 opere a stagione in giro per l'Europa), stavolta, però, concordo pienamente su tutto: Mariotti, Meli,Gulin etc.Decisamente un mediocre Idomeneo.
Ma la cosa vergognosa è la politica del Comunale che riempie i cast di dilettanti allo sbaraglio per risparmiare senza però fare risparmiare noi denaro e pene uditive!!
A me Meli è sembrato buono, perlomeno per radio, ma domenica lo sentirò dal vivo e vi saprò dire meglio.
Diciamo una buona volta che il Comunale fa questa politica perchè non ha più un soldo. Mi dite che la sala era mezza vuota: io sono uno di quegli ex-abbonati che dopo aver subìto la stagione dell'anno scorso e aver visto il programma di questa accompagnato da un aumento del 20% del costo dell'abbonamento, ha deciso di mandarli a quel paese. Evidentemente non sono stato il solo.
La recensione è sufficiente per farmi capire che le cose erano probabilmente peggio di quanto uno potesse immaginare.
Amo sia Idomeneo che Tito e per me sono dei capolavori assoluti e sentirli rovinati ogni volta mi costringe a non frequentare performances, audio e/o video ecc.
Poi a me basta la firma registica ci certi "personaggi" per capire l'andazzo delle cose.
Bologna ormai è alla frutta ed ha vissuto, come tantri altri teatri italiani, sulla sua passata riputazione, ma pian pianino questa "storia" sta finendo.
Seguire la lezione di Toscanini è l'unica strada percorribile.
Non ho assistito allo spettacolo, né l'ho ascoltato alla radio, tuttavia la recensione mi dai un'idea abbastanza chiara e nitida dell'esito. In particolare vorrei soffermarmi su regia e scelte editriali (non avendo ascoltato, infatti, non posso giudicare i cantanti). Di Livermore vidi tempo fa una bella Dafne di Marco da Gagliano, al Monteverdi Festival di Cremona (quando era ancora dedicato a Monteverdi: ora è un calderone in cui si esegue di tutto, da Vivaldi a Schumann, con l'esclusione - da 2 anni a questa parte - di musiche del dedicatario della rassegna): in quell'occasione mi era molto piaciuto il fatto dell'assoluto rispetto degli equilibri musicali, pur nello spostamento della vicenda (da una mitica arcadia ad un sanatorio psichiatrico dei primi '900), resa però senza forzatura ed in modo coerente con la drammaturgia originaria e con la musica. Le fotografie di questo Idomeneo (viste sul sito del Regio di Torino, dove lo spettacolo è passato prima di Bologna) mi hanno lasciato invece più che perplesso: chiaramente Livermore ha imboccata la scelta del meramente provocatorio, che poi è la peggior tradizione travestita da avanguardia (come dice bene Tamburini) e senza avere dimestichezze con una qualsiasi idea originale di regia né sapendo muovere le masse in un'opera certo drammaturgicamente più impegnativa come il capolavoro di Mozart. Peccato. Circa i tagli: ogni volta sono stupito. Ad ogni esecuzione di Idomeneo si assiste a scelte editoriali scellerate (a partire da harding alla Scala del dopo Muti). Ma premesso che, secondo me, non si dovrebbe tagliare nulla dell'opera, perchè non utilizzare - in tali casi - i tagli predisposti da Mozart stesso? perchè inventarsene dei nuovi non rispettosi della musica e degli equilibri formali? Basterebbe conoscere la storia esecutiva dell'opera (dalla prima a Monaco all'esecuzione viennese), basterebbe sfogliare l'edizione critica edita da Barenreiter (e disponibile in un qualsiasi negozio di musica a una 50ina di euro...) per operare scelte sensate!
Che meraviglia la Berganza!!!! Non ci sono parole per descrivere cotanta bellezza... Grazie di cuore!!!!
Ho resistito solo al primo atto, in ascolto radiofonico tutto confermava quanto detto nella recensione. Faccio notare che la Bargnesi, a mio avviso, ha giganteggiato sul resto del cast esibendo una voce non fastidiosa, per quanto i problemi di legato si siano sentiti fin dalla seconda metà della sua aria d'entrata. Per quanto concerne Meli, ha cantato in maniera tale da rendere quasi irriconoscibile la sua parte... non dico altro.
Speriamo che qualcuno segua la Bargnesi, se ne può cavare più di qualcosa, gli altri son casi oramai disperati.
Bravo Daland!
fa dispiacere leggere che un teatro come a Bologna è semi vuoto.Invece qui a Torino il Regio è sempre pieno.Per prendee i biglietti bisogna sempre andare qualche mese prima,e a volte accontentarsi dei posti a scarsa visibiltà.
Ne stavo proprio discutendo, con alcuni amici, durante quelle salutari boccate d'ossigeno chiamate oggigiorno intervalli: Winckelmann ha pienamente ragione e bene ha fatto a rinunciare al rinnovo del suo abbonamento. A fronte della manomissione di cartelloni in corso di stagione, della scritturazione di mediocri studenti (chi più, chi meno), dell'aumento fino al 50% dei prezzi dei biglietti, che resta da fare? La risposta viene da un loggione riempito per un terzo e una platea che si svuota pian piano in corso... d'opera. Il sottoscritto però ci è andato ed è rimasto fino al tragico epilogo (ah, no, è vero, il finale è lieto...).
Dico subito che da Mariotti ho avuto la netta sensazione che per nulla conoscesse l'opera in questione. Senza chiedersi quali motivi l'abbiano spinto a sopprimere singoli versi qua e là, il taglio funesto di buona parte del coro dei guerrieri nella chiusa del primo atto è uno schiaffo alla meravigliosa scrittura corale di Mozart che, in Idomeneo più che in ogni altra sua opera forse, dà ampio rilievo drammaturgico, oltre che musicale, ai pezzi d'insieme. Liquidarlo significa negare il riscontro di una prospettiva compositiva che con tutta evidenza andava oltre il modulo strettamente italiano per innervarsi con quello francese. Vabbè…
Si farebbe prima a tacere invece di una compagnia di cantanti talmente tragica che parlarne, seppur male, si farebbe torto alla grazia e alla musicalità di un pollaio denutrito. Penosi, per essere gentili, le calate, i suoni non appoggiati e fissi e le due lunghe pause durante l’ "Idol mio" della Gulin, il momento peggiore della serata, più degli strilli spudorati nel "D'Oreste, d'Ajace", che hanno comprensibilmente esasperato a tal punto uno spettatore da fargli gridare, al termine dell'aria, un sonoro "Gallina!" all'indirizzo della cantante. Il gallo del pollaio Francesco Meli ha cantato un "Fuor dell'aia" dalla coloratura fuori portata, con colpi di glottide tali da superare brillantemente l'esame di lingua araba ma insufficiente a dare un tono regale al personaggio in questione. Per non parlare delle sfalsettate davvero poco eleganti e degli attacchi zombeschi (ogni volta una scalata dell'Everest...) con cui ha condito buona parte del secondo e terzo atto. Questi "i famosi".
La Ilia di Barbara Bargnesi non è stata certo una rivelazione, ma ad onta di un’emissione spesso priva d’appoggio, di una prima ottava vuota (specialità condivisa con la stessa Gulin…) e una linea vocale che si è spezzata due volte, è stata precisa nell’intonazione e ha risparmiato ai presenti quegli sguardi di sconforto che spesso ci si rivolge tra appassionati in sala. Un po’ come è successo a me a all’elegantissimo signore, mio compagno di sventura, che scrollava la testa mentre seguiva sulla partitura il saccheggio della tessitura di Idamante, ad opera di Giuseppina Bridelli. A settembre senza appello.
p.s.
E’ fresca di mattinata un’entusiastica recensione sul “Carlino”, che parla di un “Livermore che esalta la partitura di Mozart”, di un Meli dalla “linea solidissima, morbida e omogenea”, dal fraseggio che “la dizione scolpisce in chiaroscuri accentali strepitosi, la cui voce è quella di Mozart” e di una Gulin “grande fraseggiatrice e dominatrice della scena”. Arrivi alla fine e che fai? Escludi l'opzione demenza senile, allarghi le braccia, pensi al suo assegno, e...
(Per chi non fosse in teatro o non avesse ascoltato per radio, linko la Bancas Gulin alle prese con la cavatina di sortita della Lady verdiana. Confesso di non essere riuscito ad arrivare alla fine. http://www.youtube.com/watch?v=sfOBlr1vy2A)
Beh per la prossima Bohème con quella Frittoli da me sentita recentemente in Scala nel requiem non scapicollatevi troppo a Torino valà...
Tripsi, escluderei episodi di corruzione così vistosi. Forse i critici riescono a vedere e soprattutto a sentire cose che al resto del pubblico sfuggono o non appaiono nella giusta luce. Altrimenti, per quale altra ragione sarebbero critici?
(Quando una domanda non è una domanda?)
Quindi sei per l'incapacità di intendere e di volere. A cui, per rispetto ai lettori, sarebbe consequenziale il pensionamento. E addio assegno, in ogni caso...
Non hai preso in considerazione la spiegazione più semplice: la consolidata assuefazione alla mediocrità esecutiva e interpretativa. Magari combinata al malinteso desiderio di "salvare i teatri" dalla catastrofe in cui versano, catastrofe per inciso provocata dagli stessi mentori e demiurghi che ora invocano il soccorso dei Numi.
Stecca se qui a Torino c'è sempre il pieno ci sarà un motivo....
Idomeneo l'ho visto qui al Regio il 26 gennaio col secondo cast,e mi è parso superiore,sia come cantanti(a parte Lucia Cirillo che non mi è piaciuta)che come orchestrazione.
Il direttore Mariotti l'ho visto dirigere qui nel Don Pasquale.
E ha diretto meglio che non in Idomeneo,anche se stato un pò troppo veloce specie nell'ouverture
comunque se al posto suo ci mettono un metronomo,l'orchestra va avanti da sola (stò un po esagerando)
il 6 marzo vado a vedere "Peter Grimes" col secondo cast,mi sono informato c'è ancora ancora qualche posto nei palchi e nei posti a ridotta visibità,siamo al 23 febbraio,quindi per quel giorno praticamente pieno
In pratica confermi la mia seconda ipotesi. Perché l'assuefazione a baracconate del genere non può che comportare, come inevitabile corollario, il dubbio sulle condizioni di salute di certi recensori (in particolare qualche conto in sospeso con l'otorinolaringoiatria...). Va comunque detto che se i critici facessero cronaca degli scempi cui assistono, smetterebbero di lavorare (per questo sono un po' dubbioso sulla presunta buonafede). Quindi meglio fare orecchie da mercante e portare a casa la pagnotta.
Tripsinogeno dice bene circa l'assurdità dei tagli. Io credo dimostrino una cosa sola: la completa ignoranza verso quel tipo di mondo musicale, la completa impreparazione (anche tecnica) nei confronti di una partitura di enorme complessità. Checché ne dicano i suoi agenti, i media locali, i sovrintendenti di alcuni festival (una volta prestigiosi), Mariotti è, ad oggi, un mediocre direttore d'orchestra che avrebbe ancora molta gavetta da macinare e che solo un sistema perverso ed offensivo ha fatto sì che venisse considerato un "grande" (o semplicemente un professionista ormai maturo). A tutto ciò ovviamente si accompagna l'arroganza e la presunzione del diretto interessato (vidi una volta - sul suo sito web - l'elenco delle opere che dicharava avere in repertorio: nemmeno un Karajan a fine carriera, o un Levine o i Sanzogno/Serafin/Votto dell'epoca d'oro della Scala annoveravano così tanti titoli). Specchio di questa arroganza è proprio il tipo di tagli, non più dovuti a questioni di tempi o a capacità di interpreti (pratica sempre censurabile, ma giustificata da esigenze fattuali), ma a deliranti velleità di miglioramento drammaturgico: una volta si tagliava quello che - erroneamente - si riteneva superfluo, oppure si ometteva l'intero pezzo chiuso, il da capo, il coro, per accorciare i tempi della rappresentazione; oggi si ricostruisce la partitura con tagli interni vergognosi ingiustificati e ingiustificabili, che dimostrano solo l'estrema ignoranza di chi li pratica. Una vergogna bella e buona.
"Va comunque detto che se i critici facessero cronaca degli scempi cui assistono, smetterebbero di lavorare (per questo sono un po' dubbioso sulla presunta buonafede). "
Triste, ma vero.
Caro Stecca, non mi sognerei mai di venire fino a Torino e, letteralmente, gettare i soldi nel famigerato "cesso" per sentire una come la Frittoli la cui voce, oramai, non è semplicemente alla frutta o al dolce ma anche oltre l'ammazzacaffè... Poi in Boheme... Opera che ha sempre fatto a pugni con le vociuzze oscillanti e monocolori quale quella della signora è attualmente... Ricordo una sua Suor Angelica letteralmente "da brivido" (mai sentita una voce così bianchiccia... Orrore!!!!).
caro velluti se consideri il teatro Regio di Torino uno dei più importanti e "seri" e attrezzati teatri d'europa com una programmazione sempre di primo d'ordine con una grande orchestra e coro un "cesso" beh mi lasci veramente di stucco...
Tornando all'Idomeneo, sono andato i sollucchero a sentire gli ascolti proposti. Jadlowker, che avevate già proposto e che - tedesco a parte (ma solo perché non conoscendolo non lo posso apprezzare a pieno)- penso che di tutte le interpretazioni dell'aria di bravura sia quella migliore. Precisamente: le note della coloratura ben distaccate e senza le "aspirazioncelle" di Blake. Spero di non offendervi, ma il buon vecchio Rocky non mi è mai piaciuto fino in fondo. A rischio di bestemmiare un idolo della rossini renaissance, l'ho sempre trovato sguaiatello. Non troppo eh... solo un po'(...tanto)!
Invece la Berganza... anzi... LA BERGANZA!!! E' sempre stata nelle mie grazie
Tempo fa regalavano con un quotidiano L'Idomeneo. Con Pavarotti. Fu il mio primo approccio con quest'opera e tanto bastò per farmi pensare: "che palle!".
E invece... Ah quanto fanno i cantanti!
Ci si accontenta, tutto qui, ma poi di che cosa. La soglia del gusto (del buon gusto) oramai si è abbassata e di molto! Anche qui, mi pare: salvare la Bargnesi a me pare veramente eccessivo!
Salvare la Bargnesi?
Ho scritto che:
a) ha una voce che non c'entra nulla con l'opera seria (anche se c'è una lunga tradizione, tedesca ma non solo, di Susanne e Despine travestite da Giunia, Aspasia ed Ilia);
b) non appoggia;
c) la voce "balla";
d) stenta in alto (ha steccato un acuto - un si bem, eh, mica un fa - su due);
e) non sa legare;
f) ha stonacchiato al centro nell'ultima aria.
Se questo è salvare... dimmi tu!!!
Certo però che se la confronto con i colleghi già in carriera, come Meli e la Gulin, mi chiedo in che cosa consista "l'arte" di questi ultimi, dato che il loro canto è ugualmente periclitante (anzi, quello della Gulin è assai peggio). Idem se la confronto con l'altra esordiente Bridelli. Come ha scritto silvio, la Bargnesi potrà - se ha testa, costanza e... fortuna! - rimettersi in sesto e fare qualcosa della propria carriera, gli altri... chi sa???
Caro Pasquale, invece di portare avanti sempre un certo campanlisimo buonista (piuttosto stucchevole) dovresti leggere attentamente quanto scritto prima di lanciarti in commenti piuttosto incocludenti... Chi ha parlato del Regio in quanto tale? Semmai dovresti interrogarti sul perchè il Regio affida la Boheme ancora a una come la Frittoli... Poi, se a te piace, dovresti dire con Don Carlo "Tristo me...!!".
Sulla Frittoli sono d'accordo,per interpretare il ruolo di Mimi potevano trovare di meglio,avranno avuto i loro motivi.
Uno stralcio del tuo commento:
"non mi sognerei mai di venire fino a Torino e, letteralmente, gettare i soldi nel famigerato "cesso" per sentire una come la Frittoli"
Mi sembra di avere letto bene.Se poi ti riferisci al teatro in senso estetico,mi sembra che Carlo Mollino abbia fatto esteticamento un bel teatro.
Poi il mio non è campanilismo,è semplicemente dopo avere letto che a Bologna si canta in un teatro semivuoto,qui a Torino per fortuna,e una buona gestione si canta nel teatro pieno tutto qui..
Qualcuno ha o sa dove trovare la registrazione di radio3 dell'altra sera? Sarei curioso di sentirla... grazie mille a tutti!
direi che il commento è benevolo. Ho purtroppo visto e sentito la recita di giovedì. D'accordo con i cantanti fuori parte. Ma nè il coro nè i cantanti sono stati aiutati da una direzione imbarazzante, già in difficltà a deecidere cosa fare dello spartito,figuriamoci a metterlo d'accordo con il canto. Oggi non è possibile permettersi di proporre un Mozart così. Ha vauto tratti di verismo, salon tardodecadente, senza una linea che una, e una mancanza totale di energia e distinzione, suonando ora un Trovatore, ora un Nabucco. Elettra, una Violetta cattiva, ha provato ha dare un pò di brio, ritrovandosi a urlare nel vuoto. Cosa che le riesce benissimo d'altronde.
Il tenore nel Fuor del mar, per la smania di andare in alto ha chiaramente perso linea, nota e tonalità, errando per ritrovarle,(ovviamente nessuno se n'è accorto, neanche un imperturbabile Mariotti) riuscendoci quando ha potuto sfogare la voce in assolo, richiamando pericolosamente le note ben riconoscibili che precedono l'All'armi. Si è trattenuto, per nostra fortuna, ma frustrandolo non poco. E' stato comunque caldamente apprezzato. Accortosene in seguito ha dato sfogo ai polmoni anche nel più innocente recitativo. Bravi ragazzi, ma nessuno costringe a fare Mozart, un'opera poi come l'Idomeneo, e dovrebbero riaccostarsi studiando linea vocale, fraseggio, sensibilità adeguati all'autore. Anche noi non disdegnamo Massenet, Verdi, pure Donizzaetti ecc. ma ad ognuno il suo...
Per finire. Tempi tristi per Bologna. Tempi tristi per la musica e il suo prevedibile futuro.
Presente tristissimo per il pubblico bolognese, cui nella serata sono bastati quattro strilli ben piazzati per ripagarsi il biglietto.
Grazie a Jules per il commento, che fra l'altro ci conferma che, da domenica a giovedì, con due recite in mezzo (di cui una con il medesimo cast), non si sono verificati miracoli, e nemmeno interventi dal podio in grado di lenire le sofferenze degli esecutori, nonché degli astanti. Che Mariotti sia rimasto imperturbabile di fronte all'errare di Meli, non stupisce: ormai è prassi diffusa che il direttore si limiti a "muovere la bacchetta" (cfr. "Prova d'orchestra"), e poi succeda quel che deve succedere...
Bendetto, di nuovo, Jules... se posso muoverti però una critica, questo stile, o mancanza di stile, non andrebbe bene neppure per Massenet, Verdi e Donizeti... con buona pace di Meli e degli altri che dovrebbero cercarsi qualche altra professione. Quanto al tagli inqualificabile del coro, che dire? E' un'empietà bella e buona. Ritorno sulla Bargnesi solo per aggiungere che la prima ottava non mi è parsa del tutto vuota. Il che non significa santificarla, concordo con Damburini sulla diagnosi, ma cerchiamo di esser giusti...
SIgnore e signori cari,
qualcuno ha sentito il secondo cast dell'Idomeneo a Bologna?
me lo recensite per cortesia? :)
Questo succede perchè si mettono dei raccomandati mediocri al posto di gente meritevole e perchè si fa insegnare tecnica vocale ad insegnanti di pianoforte che credono di saper tutto in ogni campo. Mafia e raccomandazioni, il teatro si svuota e a chi comanda interessa solo riempirsi le tasche. Pubblico fate sentire la vostra voce sempre di più altrimenti la lirica andra nel cesso (passatemi il termine).
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