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giovedì 13 marzo 2008

Il Trittico: qualche riflessione e un po' di ristoro per le nostre orecchie!

L’allestimento, non certo soddisfacente sotto il profilo vocale del Trittico, ci ha indotti a proporre ascolti tratti dalle tre opere pucciniane.
Va premesso che spesso sono state rappresentate separatamente e che l’unita pensata dagli autori non è, poi, così irrinunciabile.
Spesso, poi, taluni interpreti, soprattutto quelle femminili hanno o in fasi differenti o della loro carriera o contemporaneamente affrontatole tre figure femminili. Ed è forse questo il motivo più interessante degli ascolti.
E’, ad esempio, il caso di Madga Olivero e, prima ancora, di Claudia Muzio, Giorgetta alla esecuzione, poi Suor Angelica, ruolo riservato in prima istanza a Geraldine Farrar. Anche in un’aetas aurea del melodramma si commettevano errori e gravi, o si dovevano accontentare tutte le dive del momento disponibili su piazza.
Spesso, poi, giocavano motivi di economia, come l’affidare Rinuccio e Luigi allo stesso tenore. Accadde, ad esempio in Scala nel 1925 con Francesco Merli. Merli era un tenore da Tabarro. Sapeva cantare, e benissimo, quindi poteva anche funzionare come Rinuccio. Ripensando all’allestimento ancora in scena alla Scala ,che sarebbe accaduto se l’attuale dirigenza avesse effettuato analoga scelta? E che il prescelto per il doppio fosse Dvorsky o Grigolo, poco o nulla sarebbe cambiato nell’esito infelice.
E’, poi, strano che i primi interpreti, alcuni dei quali come la Farrar, la Muzio o de Luca, dalla discografia varia e vasta, non abbiamo consegnato al disco la loro creazione..
Credo che l’idea di sapere come eseguissero i primi interpreti sia un portato della filologia degli ultimi anni. E talvolta abbastanza assillante. Però è un oggettivo dato di fatto che di testimonianza dei primi esecutori delle opere di Puccini le testimonianze fonografiche siano scarse, tenuto anche conto che molti calcarono le scene in epoca in cui la regisrazione fonografica era diffusa ed in fondo popolare.
Per altro se vogliamo, e se interessa, l’immagine dei primi interpreti basta ascoltare il “Senza mamma” di Claudia Muzio e Lotte Lehmann, forse le più commplete cantanti attrici del loro tempo. Sono esecutrici ed interpreti molto simili, essenzialmente misurate, attente, che cantino in italiano o in tedesco, alla parola, alla dizione, senza, però esagerazione ed affettazione. Anzi nel caso della Muzio con un qualche sfumatura di meno rispetto a quelle che la divina Claudia eseguiva in Puccini, anche se la sezione conclusiva è sfumatissima ed il la nat della chiusa smorzato da manuale. Però il tempo indugiante della Lehmann, già da solo è toccante del dramma della rinnegata ragazza madre. Inoltre la Lehmann, che piaceva non solo a Strauss, ma anche a Puccini è più varia nel fraseggio e ricca di smorzature.
Per certo le dive delle generazioni successive hanno fatto del personaggio della Suora, autentica primadonna del Trittico, un luogo dove esibire la loro voce, la loro tecnica la loro intelligenza interpretativa.
E se la Scotto in Suora Angelica talvolta è un po’ leziosa (mentre non lo è affatto come Lauretta, contro ogni previsione) nella romanza, ma tragica nell’incontro con la zia sottilineando ogni parola, pensando persino i silenzi, la Gencer, assistita nel 1958 a Napoli da una notevole saldezza e penetrazione in alto, che nel finale è indispensabile dimostra come l’etichetta di grande donizettiana sia assolutamente limitativa delle sua personalità artistica. Il suono del Senza mamma è piuttosto infelice, ma chi potesse procurarsi la registrazione del 1954 dell’aria sentirebbe tutte le più significative doti di varietà di fraseggio, di scatto e di morbidezza al tempo stesso, che costituiscono la sigla della grande primadonna pucciniana e verista. D’altra parte l’interpretazione di Francesca da Rimini della Gencer è paradigmatica al pari di quella Olivero.
Con Puccini è ovvio appaia Madga Olivero in tempi differenti interprete delle tre figure del Trittico.
Manca, purtroppo, l’integrale della Suora, che consentirebbe un’immagine ben più completa di quella che la sola aria consenta. Parlare di filature, suoni emessi pianissimo e poi rinforzati, fiati interminabili, accento desolato e disperato, saldezza nelle zone più impervie della voce è ripetere commenti ben noti.
Ed il discorso si ripropone analogo negli stessi termini per Raina Kabaiwanska e Renata Scotto.
La Scotto, poi, è risaputo fu uno dei primi soprani che affrontò nella stessa serata i tre ruoli. Impresa disperata perché la Scotto non aveva più la freschezza per Lauretta, non disponeva della facilità in zona acuta necessaria per Giorgetta e per la sezione conclusiva della Suora. Eppue la Scotto non perde occasione per proporsi come interprete, basta sentire l’attacco di “e’ ben altro il mio sogno”. Qui la voce non freschissima, un po’ logorata, ma un senso della frase assecondato dal direttore è addirittura un aiuto a rendere i tratti saliente dell’agro personaggio della donna insoddisfatta (una sorte di Madame Bovary proletaria), e si può anche passare sopra all’autentico urlo emesso alla chiusa.
L’acuto in chiusa è l’occasione di fare la miglior mostra di sé per Beverly Sills, che prima di diventare la Sills aveva frequentato anche altri repertori ed altri autori. Fra gli appassionati è un cimelio la sua Aida. Che la Sills sia per voce Lauretta non si discute, che sia eloquentissima come Suora può anche starci e tanto per andare a cercare i topoi è scontato che la Sills canti con facilità assoluta il pesantissimo “la grazia discende” ed il finale, ma è un po’ più difficile immaginare che la sua “vocina” riesca a penetrare, almeno in zona acuta, il pesante tessuto orchestrale senza scomporsi. Poi – e qui siamo fuori delle previsioni- la Sills monta in cattedra nel ruolo più “out” per lei, Giorgietta. E non solo per la spettacolare smorzatura del do con tanto di rallentando, ma per essere, pure lei come una Scotto, fraseggiatrice accuratissima, anche fuori del proprio repertorio tipico. Il caso di Beverly Sills, a prescindere dal risultato nel caso specifico è un esempio. Non per ripetere che con un saldo possesso della tecnica di canto si possa cantare tutto o quasi, anche spartiti inidonei alla propria natura, ma per osservare che sono possibili interpretazioni “alternative” valide se non addirittura paradigmatica alla sola, irrinunciabile condizione di disporre di un assoluto dominio tecnico. Alla stessa conclusione, partendo da dati di fatto diametralmente opposti si potrebbe giungere ascoltando le ultime performance di Natalie Dessay.
E tanto per rinforzare la tesi la Gencer –Giorgetta porta alla stessa conclusione. Un’ altra sorpresa per chi conosca Leyla Gencer come la declinazione del soprano donizettiano.
Il fraseggio analitico, l’attenzione al testo, la varietà di sfumature non sono, però appannaggio delle sole voci poco dotate in natura, possono, anzi debbono, essere le condicio sine qua non per essere interpreti.
Negli ascolti dove per ovvi motivi musicali Suora Angelica è la protagonista l’esempio della cantante dotata ed al tempo stesso interpreta appartiene in parte a Maria Chiara (anche se nel 1987 non era la cantante del Trittico torinese del 1983 o addirittura diuna Suora Angelica veneziana degli anni 70), ma sopra tutti a Sena Jurinac.
Il timbro della Jurinac è bellissimo, non sembrano esistere difficoltà vocali in una parte che, invece ( e lo abbiamo sperimentato di recente) ne presenta e moltissime, cantata con facilità suprema in ogni zona della voce. Certo con una timbro ed un peso vocale come quelli della Jurinac (che ha cantato e registrato la parte in italiano) il rapporto Puccini- Strauss esce esaltato e restituito non solo sotto il profilo orchestrale, ma anche e soprattutto sotto quello vocale, per dirci che anche Strauss deve essere cantato, come Puccini. Sempre con riferimento ad una grandissima vocalista ed interprete come Sena Jurinac ascoltare per credere gli ultimi quattro lieder.

Puccini - Il Trittico


Il tabarro
Hai ben ragione - Frederick Jagel
E' ben altro il mio sogno - Leyla Gencer, Beverly Sills, Magda Olivero, Renata Scotto, Olivia Stapp, Daniela Dessì
O Luigi! Luigi! - Licia Albanese & Frederick Jagel, Beverly Sills & Placido Domingo, Magda Olivero & Aldo Bottion
Com'è difficile esser felici - Magda Olivero & Giulio Fioravanti, Renata Scotto & Cornell MacNeil
Nulla...silenzio - Lawrence Tibbett, Cornell MacNeil

Suor Angelica
Il principe Gualtiero, vostro padre - Sena Jurinac & Elizabeth Hongen, Beverly Sills & Frances Bible, Renata Scotto & Lili Chookasian
Senza mamma - Claudia Muzio, Lotte Lehmann, Magda Olivero, Renata Tebaldi, Leyla Gencer, Beverly Sills, Renata Scotto, Raina Kabaivanska, Maria Chiara, Daniela Dessì
La grazia è discesa dal Cielo - Sena Jurinac, Leyla Gencer, Beverly Sills, Maria Chiara

Gianni Schicchi
Firenze è come un albero fiorito - Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Filianoti
O mio babbino caro - Claudia Muzio, Beverly Sills, Renata Scotto, Daniela Dessì
Datemi il testamento - Italo Tajo

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venerdì 7 marzo 2008

Trittico di Puccini alla Scala: si vola sempre più basso.

Il titolo per l’opera pucciniana andata in scena ier sera alla Scala venne pensato, all’ultimo o quasi, da Giovacchino Forzano.
Poi l’industria farmaceutica se ne impossessò negli anni ‘80 (si era anche impossessata di opere di grande valore come l’Anabasi senofontiana) e lo affibbiò ad un tranquillante.
Ho il sospetto che la direzione musicale di ieri sera si sia ricordata di questa osmosi fra musica e farmacopea.
Una ripresa del Trittico dovrebbe esaltare esecutori ed ascoltatori non assopirli, come è accaduto ieri sera in Scala.
Dire che l’orchestra abbia suona o male e sia stata mal diretta sarebbe ingiusto e falso, ma in generale al Tabarro mancava il colore noir, alla Suora il contrasto fra le giulebbe delle suorine e l’ipocrisia conventuale della prima sezione ed il clima sospeso dell’incontro zia nipote e il turgore straussiano del finale e nello Schicchi la carica acetisalicilica di una vicenda toscana, per giunta, mutuata dal tosco per antonomasia Dante Alighieri.
Certo con il palcoscenico di cui disponeva il maestro Chailly una più completa realizzazione dell’opera sarebbe stata rischiosa perché avrebbe ancor più evidenziato i grandi vuoti sulla scena.
Diciamo che tutto è scorso via con un bel e buon suono senza nessun incidente in buca e coi tempi che corrono con un’orchestra che ha suonato male la Stuarda, bene Tristano e mediamente Wozzeck la media è più verso l’alto che verso il basso.
Però…..l’unico vero momento in cui direttore e orchestra hanno cantato è stato la descrizione della carrozza della Zia principessa e la sezione conclusiva dell’incontro zia-nipote. Loro hanno cantato, ma solo loro in scena la febbrile ed il nervosismo della diva verista mancava.
E quindi cominciano proprio dalla diva. Quanto fra nel 1959 e nel 1961 la Scala, direttore Gianandrea Gavazzeni propose il Trittico schierò tre autentiche primedonne (e non erano neppure le sole possibili ossia la Petrella Giorgetta, la Jurinac e la Stella suor Angelica e la giovane Scotto Lauretta. Oggi di diva la sola Frittoli.
Anche avvolta nei panni della suor penitente contro la propria volontà Puccini ha creato un personaggio per grande tragica verista. Quelle per intenderci alla Muzio alla Olivero alla Scotto. La signora Frittoli, pur sostenuta da molti ignari ammmiratori, ha esibito una voce che dal fa acuto è bianca e vibrata, sotto non esiste e gli acuti estremi (i famosi do previsti sia “nella grazia discende” che nel finale) sono state faticose urla, stonate e fisse. Per molto meno nel 1972 Katia Ricciarelli e nel 1983 Rosalind Plowrigt vennero pesantemente riprovate dal pubblico scaligero. Quanto al fraseggio passati come acqua fresca il “Senza mamma”, le frasette, che sono pesanti della scena conventuale e tutto il detto e non detto dell’incontro con la zia.
La quale zia è una stracotta Lipovsek (fu già una fissa Fricka con Muti nel 1994) che esibisce con puntigliosa precisione tutti i vizi e vezzi della scuola di canto tedesca (suoni fissi, intonazioni a scivolo) applicati alla tipica voce del mezzo soprano usurato con evidente buco o “scalino” fra le note basse ed il centro appena udibile.
Della compagine delle suore e suorine il premio spetta a Cinzia de Mola, che ha rammentato la grande Tina Pica. Peccato che non andasse in scena Filumena Marturano.
Quanto al trio protagonistico del Tabarro la signora Marroccu è stata piatta ed inespressiva e il solo acuto della propria aria un vero urlo. Il disinganno, l’amaro in bocca che sono del personaggio le note caratteriali, indispensabile contrasto con i momenti d’amore con Luigi assolutamente dimenticati. Togliamo a Giorgetta il fraseggio e che resta?
Come non resta nulla a Luigi ad opera del signor Dvorsky, l’anno passato impegnato a declamare Janacek e quest’anno messo impietosamente alla corda dalle frasi tese e roventi del duetto d’amore. La carica ormonale di questo Luigi che in alto si sbianca e si stimbra è pari a zero.
In fondo meglio tenuto conto dell’età e dell’insipienza tecnica Juan Pons.
Una notarella e una osservazione nel ruolo dell’innamorato si è esibito un giovane cantante della scuola di perfezionamento della Scala (Leonardo Cortellezzi), la voce è quella del tenorino da opera del primo ‘800, ma siccome sa dove la si mette anche se cantava in fondo al palcoscenico era perfettamente udibile. Miracoli dell’acustica scaligera o accorto uso dei ferri del mestiere?
Lo spettacolo più applaudito è stato il Gianni Schicchi. In mezzo ad un gruppo di eredi di Buoso Donati pretermessi che se maschi erano ingolati ed ingolfati vocalmente e se femmine stridule, petulanti e parlanti, Leo Nucci, baritono da Verdi pesante e con gusto post tittarufesco, ha come il personaggio del buon padre Dante nei confronti dei Donati, vinto a mani basse. Non significa che sia lo Schicchi ideale (parte che pertiene al fine dicitore alla de Luca o Bruscantini ed oggi Corbelli), però è stato l’unico personaggio. La coppia di innamorati entrambi in difficoltà appena arriva un miserello la bem brillava per distrazione da parte della stridula Nino Machaidze, assolutamente assente e per inutile agitazione ed estroversione in Vittorio Grigolo.
Il pubblico ha poi sfogato la propria insoddisfazione verso l’allestimento e la regia.
Quanto a regia va detto che non c’era nessun segno tangibile della presenza di un grande regista; non un gesto peculiare e significativo che sottolineasse il momento scenico e che lo servisse ed esaltasse. Insomma se la regia fosse stata dei grandi mestieranti e praticoni che sino agli anni ’90 imperavano nei teatri italiani tutti non avremmo potuto verificare la differenza.
Quanto alle scene, assolutamente anonima, ovvia e scontata la chiatta parigina, di pessimo gusto la prona Madonna della Suora, dal volto e dai colori di una statuetta da presepe di seconda scelta di una bancarella di San Gregorio Armeno, scontata l’ambientazione anni ’50 dello Schicchi con la solita scena sghemba, tutta ricoperta di teli rossi, più adatti ad un postribolo da dolce vita, che alla casa del parsimonioso e celibatario Buoso Donati con visioni infernali e fiorentine da recita di Carnevale in un teatrino parrocchiale.
Giustamente riprovate dal pubblico, delle cui orecchie posso dubitare, ma della vista ottima proprio no.

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