Estate, tempo di festival.
Tornano puntuali ogni anno, assieme ai tornei di beach volley, i quiz e gli speciali delle riviste, i profumi delle creme da sole, le grigliate con gli amici nelle aree attrezzate di montagna, le sfilate in costume nelle antiche rocche, le notti bianche di chi resta in città.
Tornano puntuali con il loro carico di aspettative, di gossip, di ricordi da rievocare ad allietare le vacanze dei melomani di ogni ordine e grado.
In tempo di magra si assottiglia l’offerta festivaliera dell’opera e pulsano ormai solo pochi ed antichi luoghi d’elezione dell’arte canora, peraltro anch’essi corrosi dal venir meno del principio originario che li generò, ossia la conservazione dell’ortodossia esecutiva dell’autore. La deriva mercantile che li ha minati, seppur negata a parole dai sacerdoti che li concertano, è lì alla luce del sole, alimentata da una carenza di voci apparentemente irreversibile, che schiaccia ogni ambizione e velleità di tornare a fare grande musica e canto, ossia... cultura.
Non sono diverse, a nostro avviso, le parabole di Bayreuth e Pesaro: è solo una questione cronologica, perché diverse sono le date di nascita. Lo stato dell’arte è però lo stesso: un’arte che, in primo luogo, non riesce in alcun modo a distinguersi, nei contenuti come negli obbiettivi, da quella che si dà normalmente sui palcoscenici dei teatri di tutto il mondo, e che quindi non sostanzia la distinzione di un “festival” da una “stagione monotematica”; un’arte assolutamente dipendente dalla messa in scena, ossia dall’allestimento, componente costosa e, oggi come oggi, insostenibile per i budget che la situazione presente impone; un’arte condizionata dall’estinzione di intere categorie vocali, il cantante wagneriano in primo luogo. Una tradizione vocale si interrompe, un’altra, quella del “mostro” rossiniano, dura l’espace d’un matin per forza di cose, né basta chiedere al cantante di farsi attore, mimo o clown per sopperire alle deficienze esecutive della componente vocale. Sulla sacra collina i sacerdoti si aggrappano alla loro orchestra, pure quella però in crisi di leader sul podio, e si spingono lontanissimo ( son andati fin nella fantascienza! ) nella rilettura dei testi del musicista da celebrare. Lungo il mare, invece, la tragedia si fa spoglia e composta, tanto minima da non sembrare più nemmeno tale, si rivisitano gli originari assunti in fatto di vocalità tragica dell’autore sino a rinnegarlo del tutto per poter ancora andare in scena, oppure ci si diverte allegramente con le farse, frizzi, lazzi e cotillons per tutti.
Gli autori sono traditi nel circolo vizioso che costringe i filologi o gli esegeti a forzare le letture dei testi o a reimpostarle per questa o quella necessità contingente, fenomeno che, negli anni, è passato da occasionale a sistematico. Il gusto e la sensibilità, peraltro, tendono ad adeguarsi allo standard corrente e a cristallizzare, come adeguati e validi, cliché e stilemi un tempo inammissibili. Ed i festival, dunque, finiscono per negare se stessi, i loro obiettivi originari, trasformandosi in sagre commerciali estive, nelle quali si compiono rappresentazioni non più “ sacre”, questo è certo!, dei capolavori degli autori amati, ma che, sotto la rassicurante etichetta “FESTIVAL”, il pubblico ancora accetta per quel fenomeno tipico e ben conosciuto nel commercio, motore della domanda d’acquisto, che si chiama... ETICHETTA.
Nemmeno questo piccolo Corriere potrà, dunque, sottrarsi alla logica estiva festivaliera, anzi la asseconderà in toto. Il “Mese rossiniano” progettato per voi durante l’inverno sarà arricchito anche dalla pubblicazione di una mia lunghissima chiacchierata con una collega che calcò le scene parecchio tempo dopo di me, Marianne Brandt, che (come avete già letto nella prima puntata di venerdì scorso) vi racconterà un po’ di gossip ( tanto per uniformarci ai prodotti delle edicole! ) sulle follie che ebbero luogo sulla collina di Bayreuth alla morte di Wagner, in modo che possiate ringraziare il cielo che Rossini abbia scelto le signore Isabella ed Olympe come compagne di vita.
Buona estate a voi tutti!
Tornano puntuali ogni anno, assieme ai tornei di beach volley, i quiz e gli speciali delle riviste, i profumi delle creme da sole, le grigliate con gli amici nelle aree attrezzate di montagna, le sfilate in costume nelle antiche rocche, le notti bianche di chi resta in città.
Tornano puntuali con il loro carico di aspettative, di gossip, di ricordi da rievocare ad allietare le vacanze dei melomani di ogni ordine e grado.
In tempo di magra si assottiglia l’offerta festivaliera dell’opera e pulsano ormai solo pochi ed antichi luoghi d’elezione dell’arte canora, peraltro anch’essi corrosi dal venir meno del principio originario che li generò, ossia la conservazione dell’ortodossia esecutiva dell’autore. La deriva mercantile che li ha minati, seppur negata a parole dai sacerdoti che li concertano, è lì alla luce del sole, alimentata da una carenza di voci apparentemente irreversibile, che schiaccia ogni ambizione e velleità di tornare a fare grande musica e canto, ossia... cultura.
Non sono diverse, a nostro avviso, le parabole di Bayreuth e Pesaro: è solo una questione cronologica, perché diverse sono le date di nascita. Lo stato dell’arte è però lo stesso: un’arte che, in primo luogo, non riesce in alcun modo a distinguersi, nei contenuti come negli obbiettivi, da quella che si dà normalmente sui palcoscenici dei teatri di tutto il mondo, e che quindi non sostanzia la distinzione di un “festival” da una “stagione monotematica”; un’arte assolutamente dipendente dalla messa in scena, ossia dall’allestimento, componente costosa e, oggi come oggi, insostenibile per i budget che la situazione presente impone; un’arte condizionata dall’estinzione di intere categorie vocali, il cantante wagneriano in primo luogo. Una tradizione vocale si interrompe, un’altra, quella del “mostro” rossiniano, dura l’espace d’un matin per forza di cose, né basta chiedere al cantante di farsi attore, mimo o clown per sopperire alle deficienze esecutive della componente vocale. Sulla sacra collina i sacerdoti si aggrappano alla loro orchestra, pure quella però in crisi di leader sul podio, e si spingono lontanissimo ( son andati fin nella fantascienza! ) nella rilettura dei testi del musicista da celebrare. Lungo il mare, invece, la tragedia si fa spoglia e composta, tanto minima da non sembrare più nemmeno tale, si rivisitano gli originari assunti in fatto di vocalità tragica dell’autore sino a rinnegarlo del tutto per poter ancora andare in scena, oppure ci si diverte allegramente con le farse, frizzi, lazzi e cotillons per tutti.
Gli autori sono traditi nel circolo vizioso che costringe i filologi o gli esegeti a forzare le letture dei testi o a reimpostarle per questa o quella necessità contingente, fenomeno che, negli anni, è passato da occasionale a sistematico. Il gusto e la sensibilità, peraltro, tendono ad adeguarsi allo standard corrente e a cristallizzare, come adeguati e validi, cliché e stilemi un tempo inammissibili. Ed i festival, dunque, finiscono per negare se stessi, i loro obiettivi originari, trasformandosi in sagre commerciali estive, nelle quali si compiono rappresentazioni non più “ sacre”, questo è certo!, dei capolavori degli autori amati, ma che, sotto la rassicurante etichetta “FESTIVAL”, il pubblico ancora accetta per quel fenomeno tipico e ben conosciuto nel commercio, motore della domanda d’acquisto, che si chiama... ETICHETTA.
Nemmeno questo piccolo Corriere potrà, dunque, sottrarsi alla logica estiva festivaliera, anzi la asseconderà in toto. Il “Mese rossiniano” progettato per voi durante l’inverno sarà arricchito anche dalla pubblicazione di una mia lunghissima chiacchierata con una collega che calcò le scene parecchio tempo dopo di me, Marianne Brandt, che (come avete già letto nella prima puntata di venerdì scorso) vi racconterà un po’ di gossip ( tanto per uniformarci ai prodotti delle edicole! ) sulle follie che ebbero luogo sulla collina di Bayreuth alla morte di Wagner, in modo che possiate ringraziare il cielo che Rossini abbia scelto le signore Isabella ed Olympe come compagne di vita.
Buona estate a voi tutti!
5 commenti:
ma basta leggere l'intervista di Alberto Mattioli a Elina Garanca su La Stanpa di Domenica (ieri). Si parla di magrezza, della "dura" scuola russa che porterebbe due come l'interessata e la sua amica Netrebko a esordire in Anna Bolena l'anno prossimo a Vienna (mi sembra). Questo sig. Mattioli che vanta di aver visto più di 900 opere in teatro (vado a memoria, potrei sbagliare, ma il numero voleva essere impressionante), non so come faccia a scrivere determinate cose (es: ma secondo lei, sigrina Garanca, alcuni cantanti di "peso" come pavarotti o la caballé riuscirebbero ancora a cantare oggi nonostante la stazza? (sto parafrasando). ma è una domanda da fare? facicamo gossip allora!). vergogna.
Caro Germont, àma il signor Mattioli è specializzato in gossip.
Non è forse l'autore di quellibercolo uscito all'indomani della morte di Big P. circa la sua vita con Adua e Nicoletta ?...libro già bello che pronto immagino, data la brevissima distanza dalla morte del tenore.......
Mi pare che tra Mattioli e la critica d'opera intercorra, stando a quanto scrive, la stessa distanza che c'è tra il sole e plutone.....sicchè piove su bagnato....
Lei si meraviglia delle domande poste alla GAranca ma....lei crede che abbia competenze per farne di diverse??????
saluti
g
PS
....a questo punto si potrebbe affermare comodamente che ai moderni cantanti di "non- peso" corrispondono certi "critici di non - peso" o non-critici!!!!!
Sul tema, mi permetto riprendere un mio articolo pubblicato qualche mese fa su un periodico del Cantone Ticino.
Rolando Villazon, Anna Netrebko, José Cura, Elina Garanca, Roberto Alagna, Angela Gheroghiu, ossia alcuni fra i più acclamati divi della scena lirica di oggi. Che cosa hanno in comune ? La bravura ? No, la bellezza. E’ questo un segno dei tempi nostri : il successo non è più determinato dalla qualità del mezzo di espressione tipico del cantante lirico (la voce), bensì dall’avvenenza e dalla possibilità di ben figurare sulle copertine dei CD. Intendiamoci, qualcuno di loro (Netrebko, Gheorghiu) è bravino ; qualcuno passabile e qualche altro penoso (Cura, Alagna). Ma sono queste considerazioni che non contano. Anche i critici, ormai, sembrano accettare passivamente le montature delle case discografiche, nascondendo la loro ignoranza in fatto di voci lodando la « pregevole prova scenica ». Spesso mi domando se, oggi, una Caballé, una Horne o un Bergonzi potrebbero imporsi all’attenzione del pubblico. Sono famose le immagini di una Semiramide con la Horne e la Caballé appunto, immobili nel loro duetto, al di là di ogni possibile godimento visivo. Siamo nel regno dell’astrattezza pura e solo conta il canto. Eravamo nel 1980 ed il pubblico andava in delirio. A comprova del fatto che la vera voce trionfa sempre e sempre riesce ad ammaliare il pubblico.
Cordiali saluti a tutti.
Emanuele
...carissimo,
mi permetto di obbiettare circa la bellezza di Rolando: direi piuttosto che è simpatico, ma bello.....beh, ho qualche dubbio.
Non sono d'accordo nemmeno su Alagna: proprio penoso no, soprattutto il primo, che cantava con la sua vocina...
Sulla sostanza elle cose però concordo, per forza.
sarebbe importante che i critici si sganciassero dagli uffici stampa dei teatri e delle case discografiche, e dicessero la loro, magari anche sbagliando, senza farsi influenzare, senza timore di non essere più IN, o di essere additati dal sistema.
Il consenso DOVUTO e non guadagnato non stimola i cantanti a fare meglio,ma a sedersi subito sugli allori, credendosi arrivati dopo aver fatto una sola cosa nella loro vita. Oggi basta ARRIVARE, ed invece lo scopo dovrebbe essere CONTINUARE per lungo tempo a dare grandi prove di sè. Ma questo implica una vita di sacrifici ed allora............
a presto
g
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