martedì 11 agosto 2009

Le Comte Ory

Terza puntata del Festival del trentennale, la ripresa del Comte Ory. Allestimento di qualche anno fa, e non il primo, in quanto Ory era stato proposto nel 1984 con regia scena e costumi di Pizzi, in un allestimento che fece, poi, il tour dei teatri italiani, Scala compresa.

Per singoli numeri:
Preludietto: orchestra pesantuccia e bandistica, quando annuncia il tema cavalleresco dei crociati. Meglio le singole sezioni che l’insieme.
Introduzione: tempo veloce e spigliato. Entra però, un de Candia piuttosto pesante e sgraziato. Ingolata e non voce di contralto la Natalia Gavrilian, Ragonda, che non è una caratterista, ma solo un contralto ed è già nel timbro scuro della voce femminile l’essere caratterista.
Cavatina del Conte: l’orchestra è pesante; il tenore non si sa dove metta la voce (fra naso e gola) il tenore. Bianco e stimbrato, interpola dei trilli che non sono neppure acciaccature. L’accompagnamento continua ad essere pesante e nella cabaletta, che è un ensamble, il tenore non si sente. Il fatto che il sig. Shi abbia poco più di venti anni non ha rilevanza alcuna e non può far scattare buonismi e perdonismi. Il cantante deve essere giudicato, salvo pochissime eccezioni, per la prestazione che offre.
Aria dell’Ajo, per dirla in italiano: la voce di Regazzo suona cavernosa ed “indietro”, malferma nelle note tenute e con l’accompagnamento l’orchestra è grave, soprattutto nella seconda sezione dove nella tessitura alta e nei passi vocalizzati la voce stenta. I tentativi di addolcire alla ripresa dell’aria danno luogo a suoni opachi e stimbrati. In basso la voce non è a fuoco, ma è di vero basso.
Quando si ripropone il tema dell’aria di Lord Sidney l’orchestra è pesante e le agilità tutt’altro che precise, inoltre manca lo slancio ed il mordente che l’agilità di forza, soprattutto per un personaggio che è da opera seria, richiede.
Duetto Ory-Isolier: la Polverelli ha timbro da soprano e in basso apre i suoni.
Aria di Adele: la Moreno ha timbro di soubrette, anzi da cantante da zarzuela. Laura Cinti, prima Adele, cantava Elisabetta, regina d’Inghilterra. Il sopranino ha sempre problemi di espressione, derivati dalla scarsa ampiezza e dalla scarsa cavata. In alto, poi, compaiono, suoni stimbrati perché spinti e nell’unico sopracuto interpolato è crescente di intonazione. Inutile pretendere da una cantante da zarzuela agilità di forza, anzi sentiamo anche qualche passo aspirato . Nel da capo parche variazioni, che, oltre tutto, richiamano modi anni cinquanta e precedenti. Mi riferisco a staccati e picchettati.
Finale primo: Gli ensamble non migliorano certo le qualità dei solisti per cui sentiamo i suonini del soprano, i suoni ingolati delle voci gravi e l’espressione melensa (quanto di meno seducente ci sia) del tenore. Finalmente un po’ di brio in orchestra che non è pesante.
Atto secondo
Introduzione e temporale l’orchestra non brilla per leggerezza e grazia e mancano in orchestra e ne canto le dolcezza e la morbidezza delle voci femminili. Adele è proprio un sopranino e Ragonda è forzata in basso. Il temporale è abbastanza esplosivo, mentre gli interventi de conte sono melensi e mal cantati.
Duetto Adele – Ory: il tenore inizia con voce malferma ed aperta al centro, acuti insicuri e vocalizzazione da principiante, altro che l’ambiguità del seduttore incallito. Degna compagna la contessa con acuti fissi e fischianti e vocalizzazione degna delle denigrate soubrette anni ’50. Di accento, di gioco di seduzione neppure l’idea. Confesso che ho seriamente pensato di chiudere l’apparecchio radio e dedicarmi al commissario Montalbno.
Aria di Rimbaud
Brillante l’introduzione, funestata dai gridolini del tenore, autentica parodia di quello che doveva essere il misto di Nourrit. Per essere nostalgici non posso fare a meno di consigliare l’ascolto dell’aria di Fra Diavolo, altro opera comique e de 1830, eseguita da Jadlowker o da Lemeshev per chiarire come dovesse essere il cosiddetto misto.
De Candia emette solo suon sgraziati, stimbrati e senza alcun appoggio sul fiato, con questo metodo di canto non può esprimere nulla. Non è certo un fine dicitore. Sempre per gli ascolti storici avete mai ascoltato Hippolyte Belhomme, che tutto aveva fuorchè la voce e che per trent’anni fu l’incontrastato basso dell’opera-comique?
Con De Candia appena arriva un acuto succede di tutto, salvo udire canto professionale. Si ha la sensazione che il cantante cerchi di cantare deliberatamente male.
E c’è persino un tiepido applauso.
Finale: non lo scoprono quelli del Corriere della Grisi che sia la pagina più originale, elegante e raffinata di questo capolavoro. E allora, in omaggio alla grandezza di Rossini, sentiamo un tenore dall’espressione melensa e dai suoni senza appoggio, la voce bassa ed ingolata di Laura Polverelli, chiamata a far da “pedale” e il timbro infantile e da zarzuela della Moreno, qualche inciampo nell’esecuzione degli staccati . Inutile pretendere il clima notturno, l’ambiguità erotica. Quando attacca l’allegro conclusivo i nostri eroi protagonisti (ma credo che i veri eroi siamo noi che resistiamo all’ascolto!!!) si lanciano in varianti e diminuzioni con risultati, che rendono auspicabile la prassi del taglio dei “da capo”.
Anni fa, quasi venti, in Scala ricordo Ory come un gioiello, il trionfo di un musicista che riutilizza l’ottanta per cento di un’altra opera e crea un capolavoro. Questa sera dell’ascolto radiofonico non aspettavo che la fine!

Fin qui la recensione di Domenico Donzelli. Presente in sala non posso aggiungere molto né molto correggere, a dimostrazione del fatto che, a saper ascoltare, la radio non deforma né tradisce quanto prodotto in teatro. In realtà vorrei spendere due parole solo su Laura Polverelli, una cantante che ha in passato dispensato serate di canto solido, se non ispirato, e che invece ieri sera era la negazione stessa della vocalizzazione e dell'espressività rossiniana. Non c'era un suono che non fosse urlato, sovente stonato (gli acuti nell'introduzione del duetto con Ory), l'espressione costantemente plebea, da Carmen di periferia, per giunta senza la voce torrenziale di certe Carmen di periferia del tanto vituperato passato. Poche prove? Scarsa preparazione (o meglio ripasso, perché se non erro la Polverelli aveva già cantato Isolier diversi anni fa a Firenze)? Di certo è una prova che non fa onore alla cantante, a Rossini, al festival. Sugli altri poco da dire: De Candia si è difeso nel primo atto ma è crollato miseramente al secondo nella grande aria già di Don Profondo, gli altri non si sono fatti notare in alcun modo, salvo il tenore Shi, di voce microbica, bianca e sibilante in acuto. Non male per un cantante che proviene dell'Accademia Rossiniana del ROF!
Carignani ha diretto con brio ma senza raffinatezza. Delle tre direzioni di questo ROF è quella che ho preferito, o per meglio dire, quella che mi ha deluso di meno.
La regia, già vista a Pesaro e Bologna, è elegante con i suoi costumi anni Quaranta (meno belle le scenografie, che più che un albergo di lusso evocano una casa di tolleranza liberty) ma aggiunge ben poco a un'opera che, come già sottolineato da Donzelli, basta da sola a "fare serata". Quasi sempre. - AT

4 commenti:

mozart2006 ha detto...

Dopo l´ascolto radiofonico, oltre a concordare al 100%, posso solo aggiungere che il Comte Ory visto l´anno scorso qui a Stoccarda, diretto da Enrique Mazzola e con cantanti del nostro ensemble, era infinitamente migliore di questo proveniente, in teoria, dal luogo che dovrebbe proporre il Rossini D.O.C.
Saluti

Domenico Donzelli ha detto...

CAro Mozart,
questo è il Festival che Zedda e Mariotti hanno scientemente voluto e costruito nel tempo, il frutto di scelte ove la Terrani era preferita alla Horne, la Scalchi alla Dupuy, la Devia sulle parti Colbran e non quelle della Manfredini Gurmani, la gasdia al posto della Anderson, della Cuberli e della Dupuy versione soprano...........

Anonimo ha detto...

Da anni scrivete che assolutamente tutto presentato al questo festival sia brutto, fa schifo ecc, insomma ancora una storia dei soldi publici sprecati.

Se davvero sia cosi, perche non denunciare questo fiume di denaro che si riversa in una manifestazione che interessa poca gente e pure loro la trovano bruttina?

Perche non spostare questi soldi publici per salvare gli bellissimi affreschi che si stanno ricavando in Abruzzo? Oppure puntare per migliorare le scuole, internet, nuove tecnologie ecc.

Giulia Grisi ha detto...

Ciao Dolcevita.
Rispondo seriamente alla provocazione.
No, non si deve chiudere, ma si deve fare meglio. Rossini è un patrimonio italiano, come quegli affreschi o l'arte italiana in generale, e va valorizzata al meglio.
Se se ne fa mero mercato, privo di valori artistici o con aperti tradimenti al canto, lo si faccia senza soldi pubblici, rischiando di proprio come faceva Barbaja...
Se invece si vuol fare cultura, la si faccia, e li il pubblico finanzi se necessario.

I modi di cooptazione dei cantanti e delle bacchette sono perlomeno singolari e discutibili da sempre al Rof, e la geografia alla base delle scelte è tutta lì da leggere. Gli addetti ai lavori ben lo sanno.
Il problema di Rossini è lì.....
buon ferragosto.