Presente in sala alla prima di Zelmira, aggiungo alla bella recensione di Giulia Grisi, che condivido in massima parte, alcune considerazioni relative all'ascolto dal vivo.
Mi ha impressionato la saldezza di Gregory Kunde, che a onta di gravi molto deboli e frequenti stonature in zona di passaggio e nonostante alcuni attacchi un poco sbiancati è stato un Antenore plausibile per fraseggio vario e scultoreo, accento e vigore dell'agilità di forza. E ciò malgrado una regia che faceva dell'usurpatore di Lesbo una sorta di generale dell'aviazione di film tipo Pearl Harbour o del più autarchico Luciano Serra pilota. Accanto a lui tutte le altre voci del cast, con l'eccezione di Esposito e della Pizzolato (almeno nel registro acuto), sembravano vocette di poca importanza.
L'Ilo di Florez delude per lo scarso peso specifico (e non è una novità) ma soprattutto per la monotonia del fraseggio, che tende a fare del principe troiano un efebo preda di eventi troppo maggiori di lui. E' stato poi penoso vederlo risolvere (non sempre impeccabilmente) il canto di agilità, massime sul passaggio, con suoni ora "tirati" ora vuoti e bianchi, emessi per giunta a prezzo di visibili contorsioni fisiche. La sensazione, segnatamente nel finale, è stata quella di un cantante preparato, serio, musicale, ma terribilmente al di sotto delle richieste, espressive prima ancora che tecniche, della parte.
La Aldrich è il vero mistero di questa produzione. Schietta voce di soprano corto, con gravi inesistenti malgrado l'evidente e massiccia "pompatura" e acuti striduli disseminati ovunque (anche se un poco più controllati rispetto all'Adalgisa bolognese), la cantante si è segnalata soprattutto per l'inerzia e la mollezza con cui ha affrontato quello che se non erro è il suo primo cimento con il repertorio della Colbran. Pesaro non è nuova a simili esperimenti, ma stavolta si è davvero esagerato. E la prima a rendersene conto credo sia stata la Aldrich medesima, veramente allo stremo nella grandiosa scena finale ripensata per Giuditta Pasta.
Meglio di lei ha fatto la Pizzolato, che pure alla scena di sortita evocava nei gravi piuttosto aperti una sorta di parodia di Fedora Barbieri. Nel secondo atto ha risolto discretamente il cantabile dell'aria aggiunta ma si è ritrovata in affanno nella cabaletta, toccando gli estremi acuti con udibile difficoltà. Ma è stata sicuramente più pertinente della Aldrich nel fraseggio, nell'espressione, insomma nel ritratto di quella che è la corifea della tragedia per musica. Azzardo dicendo che, previ opportuni trasporti e riscritture, avrebbe meritato lei il title role assai più della collega.
Esposito, dal mezzo di insolita potenza (rispetto al suo standard), ha però voce senescente e difficoltà nella gestione del legato anche maggiore che nella recente Gazza Ladra bolognese. Tutto sommato gli ho preferito Mirco Palazzi, che dopo una scena d'apertura assai stentata e fuori fuoco è sembrato "carburare" maggiormente e ha cantato con voce non bella ed espressione costantemente torva, ma senza eccessivi cedimenti a un gusto deteriore, il resto della parte.
Direzione priva di nerbo, caratterizzata da attacchi spesso sporchi, scarsamente attenta alla coesione di buca e palco (e fuori scena, vedi gli ingressi regolarmente in ritardo della banda), nessuna idea del pathos e della grandiosità della partitura rossiniana. L'orchestra ha suonato piuttosto bene, con un bel suono levigato, più adatto però al repertorio leggero che a quello serio, anzi tragico.
La regia di Barberio Corsetti, colma di cappotti come una deteriore tradizione vuole e impone, evoca uno scenario apocalittico che rimanda da un lato alla DDR, dall'altro a film come Blade Runner (le proiezioni sul croma key - una finta sperimentazione vista da almeno 30-35 anni - evocano un mondo sotterraneo, frutto dell'oppressione di Antenore). Per motivi incomprensibili il figlio di Zelmira è un neonato (ma quanto è durata l'assenza di Ilo? due settimane??) e Polidoro un vegliardo a metà strada fra Matusalemme e lo zio Venanzio del Giornalino di Gian Burrasca di wertmulleriana memoria. Come ha chiosato una spettatrice all'uscita dalla sala: "un brutto film". Che ultimamente stiamo vedendo un po' troppo spesso.
Gli ascolti
Rossini - Zelmira
Atto I
S'intessano agli allori...Terra amica - Rockwell Blake (2003)
Mi ha impressionato la saldezza di Gregory Kunde, che a onta di gravi molto deboli e frequenti stonature in zona di passaggio e nonostante alcuni attacchi un poco sbiancati è stato un Antenore plausibile per fraseggio vario e scultoreo, accento e vigore dell'agilità di forza. E ciò malgrado una regia che faceva dell'usurpatore di Lesbo una sorta di generale dell'aviazione di film tipo Pearl Harbour o del più autarchico Luciano Serra pilota. Accanto a lui tutte le altre voci del cast, con l'eccezione di Esposito e della Pizzolato (almeno nel registro acuto), sembravano vocette di poca importanza.
L'Ilo di Florez delude per lo scarso peso specifico (e non è una novità) ma soprattutto per la monotonia del fraseggio, che tende a fare del principe troiano un efebo preda di eventi troppo maggiori di lui. E' stato poi penoso vederlo risolvere (non sempre impeccabilmente) il canto di agilità, massime sul passaggio, con suoni ora "tirati" ora vuoti e bianchi, emessi per giunta a prezzo di visibili contorsioni fisiche. La sensazione, segnatamente nel finale, è stata quella di un cantante preparato, serio, musicale, ma terribilmente al di sotto delle richieste, espressive prima ancora che tecniche, della parte.
La Aldrich è il vero mistero di questa produzione. Schietta voce di soprano corto, con gravi inesistenti malgrado l'evidente e massiccia "pompatura" e acuti striduli disseminati ovunque (anche se un poco più controllati rispetto all'Adalgisa bolognese), la cantante si è segnalata soprattutto per l'inerzia e la mollezza con cui ha affrontato quello che se non erro è il suo primo cimento con il repertorio della Colbran. Pesaro non è nuova a simili esperimenti, ma stavolta si è davvero esagerato. E la prima a rendersene conto credo sia stata la Aldrich medesima, veramente allo stremo nella grandiosa scena finale ripensata per Giuditta Pasta.
Meglio di lei ha fatto la Pizzolato, che pure alla scena di sortita evocava nei gravi piuttosto aperti una sorta di parodia di Fedora Barbieri. Nel secondo atto ha risolto discretamente il cantabile dell'aria aggiunta ma si è ritrovata in affanno nella cabaletta, toccando gli estremi acuti con udibile difficoltà. Ma è stata sicuramente più pertinente della Aldrich nel fraseggio, nell'espressione, insomma nel ritratto di quella che è la corifea della tragedia per musica. Azzardo dicendo che, previ opportuni trasporti e riscritture, avrebbe meritato lei il title role assai più della collega.
Esposito, dal mezzo di insolita potenza (rispetto al suo standard), ha però voce senescente e difficoltà nella gestione del legato anche maggiore che nella recente Gazza Ladra bolognese. Tutto sommato gli ho preferito Mirco Palazzi, che dopo una scena d'apertura assai stentata e fuori fuoco è sembrato "carburare" maggiormente e ha cantato con voce non bella ed espressione costantemente torva, ma senza eccessivi cedimenti a un gusto deteriore, il resto della parte.
Direzione priva di nerbo, caratterizzata da attacchi spesso sporchi, scarsamente attenta alla coesione di buca e palco (e fuori scena, vedi gli ingressi regolarmente in ritardo della banda), nessuna idea del pathos e della grandiosità della partitura rossiniana. L'orchestra ha suonato piuttosto bene, con un bel suono levigato, più adatto però al repertorio leggero che a quello serio, anzi tragico.
La regia di Barberio Corsetti, colma di cappotti come una deteriore tradizione vuole e impone, evoca uno scenario apocalittico che rimanda da un lato alla DDR, dall'altro a film come Blade Runner (le proiezioni sul croma key - una finta sperimentazione vista da almeno 30-35 anni - evocano un mondo sotterraneo, frutto dell'oppressione di Antenore). Per motivi incomprensibili il figlio di Zelmira è un neonato (ma quanto è durata l'assenza di Ilo? due settimane??) e Polidoro un vegliardo a metà strada fra Matusalemme e lo zio Venanzio del Giornalino di Gian Burrasca di wertmulleriana memoria. Come ha chiosato una spettatrice all'uscita dalla sala: "un brutto film". Che ultimamente stiamo vedendo un po' troppo spesso.
Gli ascolti
Rossini - Zelmira
Atto I
S'intessano agli allori...Terra amica - Rockwell Blake (2003)
2 commenti:
il mondo sotterraneo non era affatto evocato da proiezioni, ma da uno specchio enorme che rifletteva quello che succedeva sotto una grata.le proiezioni sono state usate solo nel quintetto del secondo atto.che l'allestimento facesse schifo è vero, ma un pò più d'attenzione prima di scrivere cose false non guasterebbe.
No Domenico, le proiezioni (nuvole in viaggio, dettagli del viso e totale del corpo di Zelmira) erano proposte durante l'introduzione atto I, l'aria di Antenore prima del finale primo e il duetto Ilo-Polidoro. Nel quintetto veniva usato il chroma key, ma con immagini riprese in diretta. O almeno così sembrava dalla sala, le due volte che ho visto lo spettacolo. Se le immagini (deposizioni di corpi, creature striscianti etc) che apparivano sul fondo della scena fossero state riflesse dallo specchio tout court, la grata avrebbe dovuto trovarsi sotto il palcoscenico, il che mi sembrerebbe poco pratico per la gestione dei movimenti di cantanti e comparse. Per questo ho parlato di proiezioni. Avrei dovuto dettagliare meglio, ma francamente non mi pareva valesse la pena perderci nemmeno cinque minuti, anche se quelle immagini da day after erano la cosa migliore della regia di Barberio Corsetti... che dico? ERANO la regia!
Parlando di cose serie, che ne pensa dei cantanti?
Il falsario Tamburini
Posta un commento