Appartenente a quel genere larmoyant – a mezza via, cioè, tra il dramma borghese e l’opera buffa – che tanta fortuna ebbe a cavallo del secolo XIX (destinato però, a rapida scomparsa, contestualmente alla diffusione del fosco melodramma romantico e della commedia di carattere), la donizettiana Linda di Chamounix è, forse, insieme a Sonnambula e Gazza Ladra, il più riuscito e alto esempio di questa particolare tipologia musical teatrale. Scritta da Donizetti tra il dicembre del 1841 e il marzo del 1842, ebbe la sua prima rappresentazione a Vienna, il 19 maggio di quello stesso anno. Primo dei due titoli commissionati al compositore dal teatro austriaco, la Linda di Chamounix (così come la Maria di Rohan dell’anno successivo), rivela la grande cura che il Maestro impiegò nella composizione della partitura – in particolare l’aspetto strumentale e orchestrale – conscio, probabilmente, di rivolgere il suo lavoro al pubblico più preparato (musicalmente) d’Europa.
Da qui deriva l’attenzione di Donizetti agli impasti timbrici degli strumenti, alla elaboratissima orchestrazione, all’ampio utilizzo di brani destinati all’orchestra sola. Anche la struttura dell’opera risente della destinazione del titolo: Donizetti accelera, qui, il passo verso quella rivoluzione delle forme che caratterizzerà l’ultimo scorcio della sua carriera artistica. Evidente l’abbandono della formula dell’aria bipartita (aria e cabaletta) per sostituirla con un uso molto più libero delle forme: ricorrendo spesso a brani di natura strofica con couplets (derivanti dalla tradizione francese, soprattutto). Certa critica ha lamentato l’inconsistenza teatrale dell’opera, stigmatizzandone addirittura il valore musicale o ridicolizzandone l’ambiente bucolico di – cito – “coretti, trovatelli canterini en travesti, mamme meste, padri indigenti, ma dignitosi”: tuttavia questo ed altri fraintendimenti rivelano semplicemente la scarsezza di strumenti critici da impiegare nella valutazione – sempre rischiosa – del valore di una composizione, incapaci di coglierne correttamente gli orizzonti estetici e gli elementi poetici (unitamente al facile gioco di prescindere dall’ambiente culturale entro cui si muovono gli autori, in un discutibile divertissement di scarsa onestà intellettuale, entro cui qualsiasi titolo di ogni tradizione operistica verrebbe immancabilmente denigrato). Ma, lasciando perdere le personali isterie e paranoie di certi critici, si evince – dall’ascolto della Linda di Chamounix – come ben diversa è da valutare l’importanza del titolo. Così come la Gazza Ladra per Rossini, si nota uno sforzo impressionante nella costruzione della partitura e nell’elaborazione della musica (e forse poprio la grandezza del dato musicale - che sembra stridere con la semplicità della vicenda - pesa sull'incauto giudizio, quasi come se non ci si capacitasse di tanto sforzo per una storia in cui non son coinvolti eroi, guerrieri o passioni travolgenti: quanto si dovranno pagare ancora i pregiudizi romantici?). Anche qui si nota come alla mera centralità del canto (tipica del melodramma dell’epoca) si sostituisce una ricercatezza delle forme che abbraccia l’intera dimensione operistica, rendendo necessaria – per una esecuzione attendibile e ottimale della stessa – l’eccellenza di tutti gli interpreti: la trama orchestrale insolitamente densa e complessa, la linea di canto che spazia dalla coloratura più virtuosistica agli ampi squarci lirici e cantabili, da reggere con fiato e fraseggio, la resa malinconica e il tono di poetica nostalgia che deve emergere dal carattere dei protagonisti. Queste difficoltà e non la pretesa inconsistenza musicale o teatrale – unita ad una dimensione decisamente inconsueta (l’opera dura circa 3 ore, se eseguita integralmente, e richiede un cast ricco e resistente, con almeno 5 prime parti) – rendono il titolo di difficile fruizione e rappresentazione (e, del resto, la storia esecutiva è piuttosto risicata). La compagnia di canto di Vienna presentava nel ruolo principale Eugenia Tadolini e poi Marietta Brambilla, Napoleone Moriani e Felice Varesi, ma è nella ripresa parigina del novembre del 1842 che l’opera ricevette la sua più compiuta dimensione artistica. Per l’occasione Donizetti aggiustò la partitura e aggiunse, in omaggio alla primadonna, la celebre tyrolienne “Oh luce di quest’anima” (destinata ad avere vita autonoma rispetto all’opera, nel repertorio concertistico delle più grandi cantanti del secolo successivo). Protagonista per l’occasione fu Fanny Tacchinardi-Persiani: accanto a lei il Pierotto di Marietta Brambilla (reduce dalla prima viennese), il tenore Mario (Carlo), Antonio Tamburini (Antonio) e Luigi Lablache (il Prefetto). Cast delle grandi occasioni, quindi, adatto a rendere una partitura di estrema difficoltà. La critica viennese dell’epoca decretò un trionfo completo, rilevandone la grande novità stilistica e la magistrale perizia nell’orchestrazione (laddove i colleghi francesi, pur riconoscendone il grande successo, non notarono una così grande differenza rispetto allo stile tipico del compositore bergamasco: forse delusi per un’aspettativa troppo grande, creata dagli esiti trionfali di Vienna). Per Donizetti fu un grandissimo successo personale: la famiglia imperiale absburgica assistette a diverse rappresentazioni e l’autore venne onorato con titoli e onori, venne conteso dalle più importanti famiglie dell’aristocrazia austriaca e ricevette l’omaggio di Henriette Sontag e di Metternich in persona. Opera, dunque, che meriterebbe un’attenzione particolare ed un’esecuzione che ne metta in risalto la grande bellezza.
Proprio la Linda di Chamounix è stata scelta per inaugurare l’attuale edizione del Festival Donizetti di Bergamo e, nell’occasione, per riportare in vita lo splendido Teatro Sociale nella Città Alta, per lungo tempo chiuso al pubblico e che, con la poetica storia di Linda e Carlo riapre le porte alla grande musica del grande compositore bergamasco.
Agli spettatori che hanno udito l'opera a Bergamo, e a quanti, per vari motivi, hanno preferito non udirla, dedichiamo gli ascolti che seguono.
Gli ascolti
Donizetti - Linda di Chamounix
Atto I
Ambo nati in questa valle - Mattia Battistini (1912), Giuseppe Taddei (1959)
O luce di quest'anima - Maria Galvany (1908), Marcella Sembrich (1908), Luisa Tetrazzini (1910), Amelita Galli Curci (1922), Beverly Sills (1968), Edita Gruberova (1993), Mariella Devia (1997)
Per sua madre andò una figlia - Ebe Stignani (1948), Anna Maria Rota (1957), Fedora Barbieri (1959)
Da quel dì che t'incontrai - Cesare Valletti & Antonietta Stella (1959), Alfredo Kraus & Margherita Rinaldi (1972)
Atto II
Linda! Si ritirò...Se tanto in ira agli uomini - Gianni Raimondi (1953), Cesare Valletti (1959), Alfredo Kraus (1972)
Un buon servo del visconte - Mattia Battistini & Maria Mokrzycka (1912), Giuseppe Taddei & Rosanna Carteri (1957)
No, non è ver... mentirono - Antonietta Stella (con Fedora Barbieri - 1959)
Da qui deriva l’attenzione di Donizetti agli impasti timbrici degli strumenti, alla elaboratissima orchestrazione, all’ampio utilizzo di brani destinati all’orchestra sola. Anche la struttura dell’opera risente della destinazione del titolo: Donizetti accelera, qui, il passo verso quella rivoluzione delle forme che caratterizzerà l’ultimo scorcio della sua carriera artistica. Evidente l’abbandono della formula dell’aria bipartita (aria e cabaletta) per sostituirla con un uso molto più libero delle forme: ricorrendo spesso a brani di natura strofica con couplets (derivanti dalla tradizione francese, soprattutto). Certa critica ha lamentato l’inconsistenza teatrale dell’opera, stigmatizzandone addirittura il valore musicale o ridicolizzandone l’ambiente bucolico di – cito – “coretti, trovatelli canterini en travesti, mamme meste, padri indigenti, ma dignitosi”: tuttavia questo ed altri fraintendimenti rivelano semplicemente la scarsezza di strumenti critici da impiegare nella valutazione – sempre rischiosa – del valore di una composizione, incapaci di coglierne correttamente gli orizzonti estetici e gli elementi poetici (unitamente al facile gioco di prescindere dall’ambiente culturale entro cui si muovono gli autori, in un discutibile divertissement di scarsa onestà intellettuale, entro cui qualsiasi titolo di ogni tradizione operistica verrebbe immancabilmente denigrato). Ma, lasciando perdere le personali isterie e paranoie di certi critici, si evince – dall’ascolto della Linda di Chamounix – come ben diversa è da valutare l’importanza del titolo. Così come la Gazza Ladra per Rossini, si nota uno sforzo impressionante nella costruzione della partitura e nell’elaborazione della musica (e forse poprio la grandezza del dato musicale - che sembra stridere con la semplicità della vicenda - pesa sull'incauto giudizio, quasi come se non ci si capacitasse di tanto sforzo per una storia in cui non son coinvolti eroi, guerrieri o passioni travolgenti: quanto si dovranno pagare ancora i pregiudizi romantici?). Anche qui si nota come alla mera centralità del canto (tipica del melodramma dell’epoca) si sostituisce una ricercatezza delle forme che abbraccia l’intera dimensione operistica, rendendo necessaria – per una esecuzione attendibile e ottimale della stessa – l’eccellenza di tutti gli interpreti: la trama orchestrale insolitamente densa e complessa, la linea di canto che spazia dalla coloratura più virtuosistica agli ampi squarci lirici e cantabili, da reggere con fiato e fraseggio, la resa malinconica e il tono di poetica nostalgia che deve emergere dal carattere dei protagonisti. Queste difficoltà e non la pretesa inconsistenza musicale o teatrale – unita ad una dimensione decisamente inconsueta (l’opera dura circa 3 ore, se eseguita integralmente, e richiede un cast ricco e resistente, con almeno 5 prime parti) – rendono il titolo di difficile fruizione e rappresentazione (e, del resto, la storia esecutiva è piuttosto risicata). La compagnia di canto di Vienna presentava nel ruolo principale Eugenia Tadolini e poi Marietta Brambilla, Napoleone Moriani e Felice Varesi, ma è nella ripresa parigina del novembre del 1842 che l’opera ricevette la sua più compiuta dimensione artistica. Per l’occasione Donizetti aggiustò la partitura e aggiunse, in omaggio alla primadonna, la celebre tyrolienne “Oh luce di quest’anima” (destinata ad avere vita autonoma rispetto all’opera, nel repertorio concertistico delle più grandi cantanti del secolo successivo). Protagonista per l’occasione fu Fanny Tacchinardi-Persiani: accanto a lei il Pierotto di Marietta Brambilla (reduce dalla prima viennese), il tenore Mario (Carlo), Antonio Tamburini (Antonio) e Luigi Lablache (il Prefetto). Cast delle grandi occasioni, quindi, adatto a rendere una partitura di estrema difficoltà. La critica viennese dell’epoca decretò un trionfo completo, rilevandone la grande novità stilistica e la magistrale perizia nell’orchestrazione (laddove i colleghi francesi, pur riconoscendone il grande successo, non notarono una così grande differenza rispetto allo stile tipico del compositore bergamasco: forse delusi per un’aspettativa troppo grande, creata dagli esiti trionfali di Vienna). Per Donizetti fu un grandissimo successo personale: la famiglia imperiale absburgica assistette a diverse rappresentazioni e l’autore venne onorato con titoli e onori, venne conteso dalle più importanti famiglie dell’aristocrazia austriaca e ricevette l’omaggio di Henriette Sontag e di Metternich in persona. Opera, dunque, che meriterebbe un’attenzione particolare ed un’esecuzione che ne metta in risalto la grande bellezza.
Proprio la Linda di Chamounix è stata scelta per inaugurare l’attuale edizione del Festival Donizetti di Bergamo e, nell’occasione, per riportare in vita lo splendido Teatro Sociale nella Città Alta, per lungo tempo chiuso al pubblico e che, con la poetica storia di Linda e Carlo riapre le porte alla grande musica del grande compositore bergamasco.
Agli spettatori che hanno udito l'opera a Bergamo, e a quanti, per vari motivi, hanno preferito non udirla, dedichiamo gli ascolti che seguono.
Gli ascolti
Donizetti - Linda di Chamounix
Atto I
Ambo nati in questa valle - Mattia Battistini (1912), Giuseppe Taddei (1959)
O luce di quest'anima - Maria Galvany (1908), Marcella Sembrich (1908), Luisa Tetrazzini (1910), Amelita Galli Curci (1922), Beverly Sills (1968), Edita Gruberova (1993), Mariella Devia (1997)
Per sua madre andò una figlia - Ebe Stignani (1948), Anna Maria Rota (1957), Fedora Barbieri (1959)
Da quel dì che t'incontrai - Cesare Valletti & Antonietta Stella (1959), Alfredo Kraus & Margherita Rinaldi (1972)
Atto II
Linda! Si ritirò...Se tanto in ira agli uomini - Gianni Raimondi (1953), Cesare Valletti (1959), Alfredo Kraus (1972)
Un buon servo del visconte - Mattia Battistini & Maria Mokrzycka (1912), Giuseppe Taddei & Rosanna Carteri (1957)
No, non è ver... mentirono - Antonietta Stella (con Fedora Barbieri - 1959)
1 commenti:
Sì, hai proprio ragione su certi critici... a volte sono isterici e paranoici... come se si sentissero giudici!
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