Elina Garanca ha recentemente inciso un recital intitolato Bel Canto, dal programma ”horniano”, se mi permettete l’espressione, mirato a consolidare la sua immagine di belcantista. Un disco di ruoli prevalentemente en travesti, mai eseguiti in teatro ad esclusione del Romeo Montecchi e che è ennesimo prodotto in sintonia con le recenti realizzazioni Decca, bacchetta inclusa, impugnata da Roberto Abbado. Disco che stenta a convincere a cominciare dalla non perfetta sintonia tra titolo e programma.
Già, perché ad esser rigorosi, il belcanto finirebbe con Rossini, mentre Bellini e Donizetti sarebbero musicisti che contemplano ancora certi stilemi del belcanto ma considerati già “oltre” lo stesso, ossia romantici. Ma questa è un’inezia, di fronte alla reale essenza del disco, la cui recensione potrebbe esaurirsi in un paio di righe, data l’assoluta monotonia delle esecuzioni restituite dalla Garanca, che riesce solo nell’impresa di far sembrare Rossini, Bellini e Donizetti del tutto identici e per giunta noiosi, tanto da rendere arduo l’ascolto per intero del disco.
Il prodotto è confezionato in modo che non vi sia nulla di appariscente in negativo: la signora Garanca non bercia, non gracchia, non strilla, non singhiozza……nulla di tutto ciò. Semplicemente anestetizza l’ascoltatore con voce ovattata, vuota là dove il mezzosoprano avrebbe la sua dote naturale, indietro e spenta dal mi-fa alti in su, si arrangicchia tubando la voce in basso alla comemiviene, con qualche suono sgangherato di petto, che risulta alla fine peccato veniale nel bilancio di una voce tutta fuor di posto, perché non sorretta da adeguata respirazione. Non conoscendo il canto sul fiato, per la Garanca è difficile modulare il suono, dargli sonorità, rotondità e duttilità. Impossibile poi accentare, restituire colori o nuances, perché la voce non ha possibilità di essere manovrata agilmente. Il tutto è coniugato con un’assenza di idee interpretative che sfocia nell’indifferenza, tanto che pare che dallo stereo arrivi, anziché musica, un sottile gas mortifero che addormenta l’ascoltatore. Prima di cedere all’abbraccio di Morfeo si ci convince che sia mancata una riflessione seria sui contenuti del disco ma………il sonno provvede ad avvolgerci dolcemente.
In dettaglio.
Della difficoltà di cantare ed accentare in zona centrale da parte della Garanca sono buona prova la cavatina di Tancredi e la ballata di Maffio Orsini. Non mettendo mano alla scrittura centrale del brano con trasporti o riscritture di vario genere, la cantante non è in grado di eseguire con perizia d’accento il recitativo “Oh patria”, amputato del trasporto e della forza, che connotano il ritorno dell’eroe, come il successivo “Tu che accendi”. I “Palpiti”, in mancanza di sonorità della voce, fluidità nell’esecuzione della coloratura e cavata, stentano a decollare e a catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Idem dicasi per “Il segreto per esser felici”, eseguito senza brio e mordente, coloratura sbiadita inclusa, quasi che la cantante, complice anche l'accompagnamento della bacchetta, non capisca il significato di ciò che esegue. La sortita di Elisabetta di Maria Stuarda avvalora questa tesi, dato che la bella Elina inspiegabilmente non usa alcun accento consono all’ingresso in scena della potentissima ed arcigna regina d’Inghilterra. La cantante manovra con difficoltà la voce in zona acuta, cabaletta in particolare, tanto che il vigore e lo slancio che caratterizzano il brano vengono sostituiti da una specie di canto sussurrato, confidenziale, che davvero irrita l’ascoltatore, raggirato da cotanta esecuzione.
Le cose non mutano nemmeno laddove il ruolo dovrebbe essere conosciuto nella sua interezza, perché eseguito già in teatro. La sortita di Romeo Montecchi è momento di grande lirismo, ma anche di canto vibrante, a cominciare dal recitativo e poi dalla cabaletta, dato che quello dell’eroismo giovanile è il tratto dominante del personaggio, laddove non sia impegnato nel canto amoroso. Sicchè non ha alcun senso che il recitativo sia sussurrato al pari delle battute iniziali della scena della tomba; al contrario, data la situazione in cui il personaggio si trova, non può che essere affrontato con accenti nobili, eroici e scanditi, al pari della cabaletta, che di fatto descrive la sfida che Romeo rilancia ai Capuleti. Ed il fraseggio deve possedere, anche nell’aria, una certa ampiezza, perché il personaggio non è né dimesso nè plebeo, e quindi deve cantare anche i momenti lirici con una linea di canto adeguata e pertinente. Di tutto questo vi è pochissimo nell’incisione della scena, di nuovo complice la bacchetta, che procede senza senso al taglio delle battute frapposte tra recitativo ed aria, ma lasciando quelle tra aria e cabaletta, comprese le battute di coro ed altri personaggi. Contraddizione che prova la distrazione di Abbado, latitante in questo disco, che è caratterizzato da accompagnamenti di maniera e senza polso, adeguati allo standard della cantante. Eppure un direttore qualcosa avrebbe il dovere di fare o dire di fronte a cotante lacune interpretative, che qui toccano anche passi più abbordabili come l’aria del Dom Sébastien, risolvibile con l’eleganza della linea musicale. Infine, per valutare l’esecuzione della scena di Aurelio dell’Assedio di Calais, sarebbe sufficiente sostituire nome del personaggio e titolo del melodramma ad uno dei precedenti, tanto: uguale voce, ugual tecnica, ugual accento.
Lamentiamo continuamente il declino che percorre l’arte del canto, oggi come mai prima d’ora, ma abbiamo anche chiaro come molti, anzi, quasi tutti i mezzosoprani odierni esibiscano i limiti vocali della signora Garanca. In siffatto programma spicca però un tratto peculiare a distinguerla dalle altre, ossia la mancanza evidente di personalità, di accento, di intenti interpretativi, cui direttori ma anche pianisti preparatori non paiono supplire in alcun modo ( basta vedere la recente Cenerentola del Metropolitan su You Tube...).
La new wave lirica, dunque, è quella delle ragazze copertina, belle ma indifferenti alla musica ed ai suoi contenuti drammaturgici ed emozionali, cui non si addice per nulla la pratica del canto lirico: va assai meglio la passerella delle sfilate di moda. E questo vale anche per i guru delle loro carriere, apparentemente più occupati dalla scelta delle foto e dalle campagne pubblicitarie o dai clips promozionali che dai reali contenuti artistici delle loro creature.
L’opera lirica, però, vive di musica, e soprattutto dei temperamenti partecipi e disciplinati degli interpreti, delle smisurate forze di volontà delle primedonne, capaci di impegnare ogni fibra, ogni energia del loro corpo nello sforzo di dominare il proprio strumento e piegarlo agli scopi dell’arte, che è….trasmettere emozioni. Non c’è bisogno di algide signorine in cerca di fortuna, che esibiscano in pose statuarie volti gelidamente perfetti, perchè già le troviamo nei giornali di moda. Abbiamo bisogno di artisti dotati di sensibilità e personalità, di volontà e carisma, capaci di trasformare i loro difetti, anche di aspetto, in qualità, ossia…… primedonne che siano tali fin nel midollo.
Insomma, ve la ricordate signore come la Sills o la Bumbry o...?
Gli ascolti
Donizetti - Lucrezia Borgia
Atto II
Il segreto per esser felici - Elena Zilio (1980)
Donizetti - L'assedio di Calais
Atto I
Al mio core oggetti amati - Luciana d'Intino (1990)
Donizetti - Roberto Devereux
Atto I
All'afflitto è dolce il pianto - Bianca Berini (1968)
Bellini - Adelson e Salvini
Atto I
Dopo l'oscuro nembo - Montserrat Caballé (1986)
Donizetti - Maria Stuarda
Atto I
Sì, vuol di Francia il rege...Ah quando all'ara scorgemi...Ah dal ciel discenda un raggio - Olivia Stapp (1977)
Rossini - Tancredi
Atto I
Oh patria...Tu che accendi...Di tanti palpiti - Anne Sofie von Otter (1990)
Bellini - I Capuleti e i Montecchi
Atto I
Lieto del dolce incarco...Se Romeo t'uccise un figlio...La tremenda ultrice spada - Giulietta Simionato (1958)
Donizetti - L'assedio di Calais
Atto II
Io l'udia chiamarmi a nome...Suon tremendo!...La speme un dolce palpito - Luciana d'Intino (con Nuccia Focile - 1990)
Già, perché ad esser rigorosi, il belcanto finirebbe con Rossini, mentre Bellini e Donizetti sarebbero musicisti che contemplano ancora certi stilemi del belcanto ma considerati già “oltre” lo stesso, ossia romantici. Ma questa è un’inezia, di fronte alla reale essenza del disco, la cui recensione potrebbe esaurirsi in un paio di righe, data l’assoluta monotonia delle esecuzioni restituite dalla Garanca, che riesce solo nell’impresa di far sembrare Rossini, Bellini e Donizetti del tutto identici e per giunta noiosi, tanto da rendere arduo l’ascolto per intero del disco.
Il prodotto è confezionato in modo che non vi sia nulla di appariscente in negativo: la signora Garanca non bercia, non gracchia, non strilla, non singhiozza……nulla di tutto ciò. Semplicemente anestetizza l’ascoltatore con voce ovattata, vuota là dove il mezzosoprano avrebbe la sua dote naturale, indietro e spenta dal mi-fa alti in su, si arrangicchia tubando la voce in basso alla comemiviene, con qualche suono sgangherato di petto, che risulta alla fine peccato veniale nel bilancio di una voce tutta fuor di posto, perché non sorretta da adeguata respirazione. Non conoscendo il canto sul fiato, per la Garanca è difficile modulare il suono, dargli sonorità, rotondità e duttilità. Impossibile poi accentare, restituire colori o nuances, perché la voce non ha possibilità di essere manovrata agilmente. Il tutto è coniugato con un’assenza di idee interpretative che sfocia nell’indifferenza, tanto che pare che dallo stereo arrivi, anziché musica, un sottile gas mortifero che addormenta l’ascoltatore. Prima di cedere all’abbraccio di Morfeo si ci convince che sia mancata una riflessione seria sui contenuti del disco ma………il sonno provvede ad avvolgerci dolcemente.
In dettaglio.
Della difficoltà di cantare ed accentare in zona centrale da parte della Garanca sono buona prova la cavatina di Tancredi e la ballata di Maffio Orsini. Non mettendo mano alla scrittura centrale del brano con trasporti o riscritture di vario genere, la cantante non è in grado di eseguire con perizia d’accento il recitativo “Oh patria”, amputato del trasporto e della forza, che connotano il ritorno dell’eroe, come il successivo “Tu che accendi”. I “Palpiti”, in mancanza di sonorità della voce, fluidità nell’esecuzione della coloratura e cavata, stentano a decollare e a catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Idem dicasi per “Il segreto per esser felici”, eseguito senza brio e mordente, coloratura sbiadita inclusa, quasi che la cantante, complice anche l'accompagnamento della bacchetta, non capisca il significato di ciò che esegue. La sortita di Elisabetta di Maria Stuarda avvalora questa tesi, dato che la bella Elina inspiegabilmente non usa alcun accento consono all’ingresso in scena della potentissima ed arcigna regina d’Inghilterra. La cantante manovra con difficoltà la voce in zona acuta, cabaletta in particolare, tanto che il vigore e lo slancio che caratterizzano il brano vengono sostituiti da una specie di canto sussurrato, confidenziale, che davvero irrita l’ascoltatore, raggirato da cotanta esecuzione.
Le cose non mutano nemmeno laddove il ruolo dovrebbe essere conosciuto nella sua interezza, perché eseguito già in teatro. La sortita di Romeo Montecchi è momento di grande lirismo, ma anche di canto vibrante, a cominciare dal recitativo e poi dalla cabaletta, dato che quello dell’eroismo giovanile è il tratto dominante del personaggio, laddove non sia impegnato nel canto amoroso. Sicchè non ha alcun senso che il recitativo sia sussurrato al pari delle battute iniziali della scena della tomba; al contrario, data la situazione in cui il personaggio si trova, non può che essere affrontato con accenti nobili, eroici e scanditi, al pari della cabaletta, che di fatto descrive la sfida che Romeo rilancia ai Capuleti. Ed il fraseggio deve possedere, anche nell’aria, una certa ampiezza, perché il personaggio non è né dimesso nè plebeo, e quindi deve cantare anche i momenti lirici con una linea di canto adeguata e pertinente. Di tutto questo vi è pochissimo nell’incisione della scena, di nuovo complice la bacchetta, che procede senza senso al taglio delle battute frapposte tra recitativo ed aria, ma lasciando quelle tra aria e cabaletta, comprese le battute di coro ed altri personaggi. Contraddizione che prova la distrazione di Abbado, latitante in questo disco, che è caratterizzato da accompagnamenti di maniera e senza polso, adeguati allo standard della cantante. Eppure un direttore qualcosa avrebbe il dovere di fare o dire di fronte a cotante lacune interpretative, che qui toccano anche passi più abbordabili come l’aria del Dom Sébastien, risolvibile con l’eleganza della linea musicale. Infine, per valutare l’esecuzione della scena di Aurelio dell’Assedio di Calais, sarebbe sufficiente sostituire nome del personaggio e titolo del melodramma ad uno dei precedenti, tanto: uguale voce, ugual tecnica, ugual accento.
Lamentiamo continuamente il declino che percorre l’arte del canto, oggi come mai prima d’ora, ma abbiamo anche chiaro come molti, anzi, quasi tutti i mezzosoprani odierni esibiscano i limiti vocali della signora Garanca. In siffatto programma spicca però un tratto peculiare a distinguerla dalle altre, ossia la mancanza evidente di personalità, di accento, di intenti interpretativi, cui direttori ma anche pianisti preparatori non paiono supplire in alcun modo ( basta vedere la recente Cenerentola del Metropolitan su You Tube...).
La new wave lirica, dunque, è quella delle ragazze copertina, belle ma indifferenti alla musica ed ai suoi contenuti drammaturgici ed emozionali, cui non si addice per nulla la pratica del canto lirico: va assai meglio la passerella delle sfilate di moda. E questo vale anche per i guru delle loro carriere, apparentemente più occupati dalla scelta delle foto e dalle campagne pubblicitarie o dai clips promozionali che dai reali contenuti artistici delle loro creature.
L’opera lirica, però, vive di musica, e soprattutto dei temperamenti partecipi e disciplinati degli interpreti, delle smisurate forze di volontà delle primedonne, capaci di impegnare ogni fibra, ogni energia del loro corpo nello sforzo di dominare il proprio strumento e piegarlo agli scopi dell’arte, che è….trasmettere emozioni. Non c’è bisogno di algide signorine in cerca di fortuna, che esibiscano in pose statuarie volti gelidamente perfetti, perchè già le troviamo nei giornali di moda. Abbiamo bisogno di artisti dotati di sensibilità e personalità, di volontà e carisma, capaci di trasformare i loro difetti, anche di aspetto, in qualità, ossia…… primedonne che siano tali fin nel midollo.
Insomma, ve la ricordate signore come la Sills o la Bumbry o...?
Gli ascolti
Donizetti - Lucrezia Borgia
Atto II
Il segreto per esser felici - Elena Zilio (1980)
Donizetti - L'assedio di Calais
Atto I
Al mio core oggetti amati - Luciana d'Intino (1990)
Donizetti - Roberto Devereux
Atto I
All'afflitto è dolce il pianto - Bianca Berini (1968)
Bellini - Adelson e Salvini
Atto I
Dopo l'oscuro nembo - Montserrat Caballé (1986)
Donizetti - Maria Stuarda
Atto I
Sì, vuol di Francia il rege...Ah quando all'ara scorgemi...Ah dal ciel discenda un raggio - Olivia Stapp (1977)
Rossini - Tancredi
Atto I
Oh patria...Tu che accendi...Di tanti palpiti - Anne Sofie von Otter (1990)
Bellini - I Capuleti e i Montecchi
Atto I
Lieto del dolce incarco...Se Romeo t'uccise un figlio...La tremenda ultrice spada - Giulietta Simionato (1958)
Donizetti - L'assedio di Calais
Atto II
Io l'udia chiamarmi a nome...Suon tremendo!...La speme un dolce palpito - Luciana d'Intino (con Nuccia Focile - 1990)
5 commenti:
difatti quello che mi colpisce e mi delude della Garanca,e la mancanza di personalità sembra quasi anche sul palco che sia li di passaggio,altre cantanti con delle beghe tecniche,le compensano magari con la recitazione,la presenza scenica(non intesa come bellezza)e cercano di coivolgersi,e coinvolgere il pubblico,tutto questo nella signorina manca,all'inizio mi sembrava timidezza,ma non è cosi.
La sua voce e al livello piu o meno delle altre mezzo,anche se all'inizio mi sembrava che avesse le carte in regola per una grande carriera,ma sono indulgente,e ancora giovane chissà...
Be sicuramente una bella donna, ma come voce non mi dice nulla.
Si sa quello che più conta oggi è l'apparenza.
Anche Rosa Ponselle che ho proposto nella chat era una bellissima donna,la bellezza non è una esclusiva del presente
Anomalo notare come una delle più grandi cantanti del XX secolo dovesse nascondere il suo vero nome Rosa Melba Ponzillo. peccato non averla sentita.
caro denis
credo che la modifica fosse sopratutto per il napoletanissimo cognome.
Lo stesso avvenne per Antonietta Meneghel, che il venetissimo Tullio Serafin trasformò nel mitico (almeno il nome) Toti dal Monte.
Anche Mirella Freni in realtà è Mirella Fregni, e non mi pare il caso di spiegarne il motivo.
condivido il dispiacere di non averla sentita la Ponselle. A me personalmente non ha mai fatto impazzire spiegherò anche il motivo. Credo, però, che in teatro fosse ben diversa per bellezza di timbro ed ampiezza rispetto al disco. In difetto il mito con varie concorrenti al Met e negli Usa (la Ponselle non mise mai piede a Chicago che sino al 1935 fu monopolio della Raisa e della Muzio) non si spiegherebbe.
ciao ed alla prossima
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