sabato 10 aprile 2010

Cantare Simon Boccanegra

Nel 1881 Verdi presentò in fine di stagione, precisamente il 24 marzo, il rifacimento di Simon Boccanegra, titolo del 1857, che nel rifacimento acquistò se non fama imperitura per certo ben miglior sistemazione soprattutto drammaturgica.

Titolo popolare non lo fu e non lo è tuttora. Simone, però, piacque immediatamente a grandi baritoni e bassi e più tardi la struttura, prossima a quella degli ultimi due titoli del catalogo verdiano, attirò molti grandi direttori d’orchestra. Alla prima categoria possiamo ascrivere baritoni come Maurel, Battistini, Galeffi, Tibbett e Schlusnus, bassi come Kipnis, Pinza e Pasero alla seconda direttori quali Serafin, Panizza, Krauss, Mitropoulos, Abbado (ovvio trattandosi di titolo prediletto dal maestro greco), Solti, sino a Levine.
E’ interessantissimo leggere la corrispondenza coeva al primo allestimento del rifacimento per capire le esigenze drammaturgiche e vocali, soprattutto riferite al protagonista.
In una lettera del dicembre 1880 Teresa Stolz (che benché boema di nascita padroneggiava a meraviglia la lingua italiana) dopo la prima del Figliuol prodigo di Ponchielli, relaziona l’amato maestro circa la compagna di canto attiva in Scala per quella stagione e che, secondo l’uso del tempo, sarebbe stata con qualche rinforzo, la destinataria del rifacimento. Allo stesso ufficio risponde una lettera di Franco Faccio direttore di Ernani, titolo proposto con i cantanti destinati, poi, al Simone. In particolare il maestro Faccio si dilunga su Victor Maurel, Carlo V in Ernani e futuro titolare di Simone per elogiarne le doti interpretative, predilette da Verdi, che lo ritenne superiore a cantanti acclamati come Gottardo Aldighieri e soprattutto Mattia Battistini. Per capire come fosse l’interprete Maurel proponiamo un passo di Otello, con la specifica doverosa che affrontò il fonografo ritirato e vocalmente finito
La preoccupazione per Verdi era duplice con riferimento al protagonista ossia adeguare il ruolo, in origine pensato per Leone Giraldoni alla vocalità di Maurel e offrire la resa possibilità massima di resa ad un reputato interprete oltre che esecutore. Tutti i passi aggiunti, a partire dalla grande scena del palazzo degli Abati al monologo che inaugura l’ultimo atto per tacere della scena della morte rientrano non già nel genere dell’aria a pezzo chiuso, ma in quella della scena, struttura musicale e drammatica nella quale l’attore, il finedicitore, l’interprete drammatico avevano il luogo di elezione ed esaltazione. In tempi ben anteriori a Verdi, Bellini riservò al genio tragico della Pasta (Norma e Beatrice) e Mercadante a quello di Domenico Donzelli (protagonista del Bravo) siffatte strutture musicali.
Verdi nella riscrittura provvide anche a secondare la facilità di Maurel nella zona alta della voce. Scelta che, poi, nel tempo e con la regressione allo stato primordiale della tecnica dei baritoni si sarebbe rivelata una autentica jattura. Ma la scelta, credo, oltre a rispondere a peculiarità e desiderata di Maurel serviva anche a differenziare il timbro del protagonista da quello dell’antagonista Jacopo Fiesco. Prova ne sia che la Stolz e poi Verdi sempre nella corrispondenza lamentarono il timbro troppo baritonale di de Reszke. Era il 1881, epoca già di un certo realismo e l’aspetto ieratico e magari satanico (pensate alla frase “come un fantasima Fiesco t’appar” del duetto finale) imponevano il colore scuro della voce. Il vecchio patrizio genovese, ad onta dei fa diesis acuti è sempre stato riservato a bassi profondi. Esemplari ed irripetibili, quindi, le esecuzioni di Alexander Kipnis e José Mardones. Assolutamente indistinti nei tempi moderni gli scontri fra i due autentici protagonisti del dramma, affidati alle voci bitumate dei baritoni di gusto e tecnica verista come Cappuccilli e bassi, che tali non sono come Raimondi o anche lo stesso Ghiaurov, sempre fra stomaco e gola.
I confronti si impongono e si impongono anche se soltanto alcuni sono confortati dall’ascolto diretto. In difetto di ascolto diretto qualcuno assume che non sarebbero possibili i confronti, ottimo sistema per umiliazioni a molte star.
Prendiamo Lawrence Tibbett, protagonista a New York dal 1932 di una edizione che con la milanese e la berlinese entrambe del 1933 è Storia dell’interpretazione verdiana.
Basta sentire la morbidezza e dolcezza di Tibbett nel duetto con Maria o lo slancio del “sublimarmi a lei sperai sovra l’ali della gloria” del duetto con Fiesco al prologo o la trepidazione del “di pace nunzio” al duetto finale con il poco disponibile suocero per capire il senso delle parole del recensore della Perseveranza (Filippo Filippi) dedicate a Maurel: “ma i primi onori, non bisogna tacerlo, né dissimularlo, vanno attribuiti al protagonista, l’insigne baritono Maurel: il quale si è rivelato già grande artista, cantante ed attore nell’Ernani, ma nel Boccanegra è anche più grande, perfetto, oserei dire sublime; né saprei se più lodare in lui il cantante finissimo, espressivo che dà tanto rilievo alle frasi, o l’attore che si incarna nel carattere di quel doge, leale, cavalleresco, patriottico, generoso, appassionato, tutto amore ed abnegazione”.
Se ascoltiamo i baritoni che, dopo Tibbett, hanno vestito i panni del primo doge genovese sentiamo in generale acuti sforzati in alto (Gobbi) o poco squillanti ed ingolati (Cappuccilli), difficoltà nelle modulazioni con suoni indietro e nel duetto con Maria e nella scena del palazzo degli Abati e sotto il versante interpretativo carenza, ora più ora meno marcata, di quella irrinunciabile compresenza di slancio e di accoramento degli eroi verdiani in corda di baritono.
Mi permetto un solo esempio analitico una frase del primo incontro di Simone con Fiesco. Il testo “Sublimarmi a lei sperai sovra l’ali della gloria”, una autentica trombonata da secondo romanticismo, la situazione (storicamente falsa) un plebeo che vuol essere accettato nella famiglia di prosapia nobilissima dopo averne sedotto ed ingravidato la figlia (figuriamoci!), un uomo innamorato e la scrittura vocale scomoda in quanto sul passaggio del baritono (attacco sul re bemolle). Tibbett non conosce difficoltà nello slancio e nell’ardore amoroso. Sentite, per raffronto, la fatica di Bruson, che dà di naso o il canto “da scuola del muggito” di Cappuccilli, pure dotatissimo in alto. E’ facile definire chi sia l’eroe di un melodramma romantico e chi un cantante dotato, ma in difficoltà.
Taluni Simone hanno anche idee interpretative, ma il risultato finale è inficiato dai limiti tecnici o quanto meno da una capacità tecnica non completa, come accade con Giuseppe Taddei e Renato Bruson, senza dubbio autorevoli protagonisti. Invito ad ascoltare Taddei nel monologo in cui Simone ricorda la propria gioventù: è ispirato (date un personaggio genovese ad un autentico zenese), ma non ha la varietà di colori di Tibbett.
Solo un baritono, ma siamo ancora nel mondo e nel modo del 78 giri, regge il confronto con Tibbett, ossia Heinrich Schlusnus. Quel che stupisce è come il baritono tedesco offra l’unica alternativa alla varietà di colori di Tibbett. La voce è quasi di tenore squillante e si intuisce di grande ampiezza e penetrazione. La caratteristiche di questo doge sono la manifestazione della potenza e del rango sin dall’attacco del passo. Quando arriva la frase “ e vo gridando pace e vo gridando amore” quasi tutti i baritoni o gridano o arrancano. Schlusnus sfoggia facilità di canto e grandeur interpretativa. Con buona pace di molti ciarlatani e loro adepti la quadratura tecnica non serve ad eccitare i grisini, ma a servire l’autore. In difetto, siccome siamo a Genova, il baritono titolare del ruolo è solo un “besagnino”, che in piazza Caricamento pubblicizza le proprie produzioni ortofrutticole.
La questione vocale ed interpretativa si ripresenta identica con Fiesco, latore di tutti i grandi sentimenti dell’Ottocento: famiglia, onore, patria. Per giunta affidate ad un patrizio genovese, che talora -mi ripeto- riluce di luce satanica quando proclama “come un fantasima Fiesco t’appar”.
Ma Fiesco al prologo, al pari di Rigoletto, e per giunta dallo scanno della prima nobiltà è chiamato a propugnare l’onore della figlia e l’onore della casata, tutti sentimenti che con suoni mal emessi, sgangherati nella visione letteraria ed ideale di Verdi confliggono.
Lasciamo nel paradigma del dolore e del cordoglio paterno Alexander Kipnis, autentico basso profondo: canta con una dolcissima mezza voce e dinamica sfumata infinita il dolore infinito del padre nonostante una dizione da nobile di Odessa o José Mardones che, pure, patteggia con la linea musicale pur di salire al fa diesis acuto e riflettiamo sulle capacità espressive di Ezio Pinza, che coetaneo di Kipnis e Pasero non era considerato un basso profondo.
Pinza e con lui Ettore Panizza, che lo accompagna, non può alla sortita compiacersi delle qualità di suono dei coetanei (amici e rivali, spesso compagni di produzioni). Quindi tempo sostenuto, linea asciutta ed intimista consona al dolore di un padre. L’opposto di Kipnis, la stessa tragedia lo stesso strazio e per la cronaca la stessa tecnica di canto.
Alla chiusa su una frasetta vocalmente elementare come “Genovesi in Gabriele Adorno“ quando Fiesco proclama la morte del Boccanegra siamo dinanzi alla raffigurazione del vegliardo nobile
Notate come Pinza cambi colore della voce nelle sezioni del duetto secondo con Fiesco differenziando le prime frasi allorquando il vegliardo persiste nella propria linea di vendetta e sangue ad ogni costo sino al finale quando invece, innanzi alla rivelazione della maternità di Amelia/Maria la voce cambia colore e assume toni paterni e il cantante sfoggia suoni morbidi, soffici e sul fiato naturalmente. Diventa la gara fra i due veri protagonisti a chi sia il più elegante, epico ed ispirato. Certo che nessun Boccanegra dei giorni nostri può competere con il sospiro del morente Simone di Tibbett. E la domanda che giro è: ammiriamo di più la perfezione della tecnica o le idee interpretative che solo questa conoscenza del mezzo consente?


Gli ascolti

Verdi - Simon Boccanegra


Prologo

A te l'estremo addio...Il lacerato spirito - Oreste Luppi (1906), Francesco Navarini (1907), José Mardones (1910), Tancredi Pasero (1927), Alexander Kipnis (1931), Ezio Pinza (1935)

Suona ogni labbro il mio nome...Simon? Tu? - Lawrence Tibbett & Ezio Pinza (1935), Piero Cappuccilli & Ruggero Raimondi (1974), Renato Bruson & Cesare Siepi (1980)

Atto I

Propizio ei giunge...Vieni a me, ti benedico - Giovanni Martinelli & Ezio Pinza (1935)

Favella il Doge...Dinne, perché in quest'eremo...Orfanella il tetto umile...Figlia! a tal nome io palpito - Lawrence Tibbett & Elisabeth Rethberg (1935), Tito Gobbi & Leyla Gencer (1958), Renato Bruson & Margaret Price (1980)

Messeri, il Re di Tartaria...Nell'ora soave...Plebe, patrizi, popolo - Heinrich Schlusnus (1933), Lawrence Tibbett (con Elisabeth Rethberg, Ezio Pinza, Giovanni Martinelli & Alfredo Gandolfi - 1935), Tito Gobbi (con Leyla Gencer, Ferruccio Mazzoli, Mirto Picchi & Walter Monachesi - 1958), Giuseppe Taddei (con Antonietta Stella, Giorgio Tozzi, Gianfranco Cecchele & Renato Cesari - 1966), Cornell MacNeil (con Renata Tebaldi, Ezio Flagello, Richard Tucker & Franco Iglesias - 1969)

Atto II

Figlia!Sì afflitto, padre mio...Vecchio inerme il tuo braccio - Lawrence Tibbett, Elisabeth Rethberg & Giovanni Martinelli (1935), Giuseppe Taddei, Antonietta Stella & Gianfranco Cecchele(1966)

Atto III

Cittadini...M'ardon le tempia - Lawrence Tibbett (con Giordano Paltrinieri - 1935)

Era meglio per te...Delle faci festanti al barlume...Piango, perché mi parla - Ezio Pinza & Lawrence Tibbett (1935)

Chi veggo!...Gran Dio, li benedici - Lawrence Tibbett (con Elisabeth Rethberg, Ezio Pinza & Giovanni Martinelli - 1935)

M'ardon le tempia...Era meglio per te...Delle faci festanti al barlume...Piango, perché mi parla...Chi veggo!...Gran Dio, li benedici - Giuseppe Taddei (con Giorgio Tozzi, Antonietta Stella & Gianfranco Cecchele - 1966), Piero Cappuccilli (con Nicolai Ghiaurov, Raina Kabaivanska & Veriano Luchetti - 1976)


Verdi - Otello

Atto II

Era la notte - Victor Maurel (1903)

25 commenti:

justsmile ha detto...

Articolo bello con soliti ascolti meravigliosi ed istruttivi, taluni nuovi...
Ma perchè quest'informazione su Simon Boccanegra verdiano?
C'è forse qualche teatro che sta per tentare di fare un allestimento di quest'opera o un adattamento, un rifacimento per orecchie moderne?

maometto II ha detto...

beh ascolti splendidi come sempre, ma... scusate.. Fiesco quando mai sale al fa diesis? ho appena riletto lo spartito... grazie:-9 saluti Maometto II

Antonio Tamburini ha detto...

Fiesco mai... ma José Mardones, alla fine dell'aria, sale fino al fa diesis acuto. Ascoltare per credere! :)

maometto II ha detto...

beh scusate... ma che c'entra un acuto ( per di più un fa diesis) alla fine di un aria come quella? non credo mi piacerebbe, scusate ma non cercherò l'incisione...grazie della delucidazione, Maestro Tamburini e perdonate l'ignoranza..

Antonio Tamburini ha detto...

Non a caso Donzelli parla di linea vocale con cui JM patteggia, pur di esibire la sua straordinaria facilità in alto (era un autentico basso ma pare usasse cantare per proprio diletto Celeste Aida in tono). E' una trombonata, ma Fiesco è un trombone almeno quanto l'aspirante genero. Ascoltala, invece, anche solo per poterla biasimare con più forte ragione :)

maometto II ha detto...

l'ho ascoltata.. ti dirò.. io credevo che salisse all'acuto alla fine.. per quello ero incredulo... ma.. piazzare un fa diesis alla cadenza invece del do diesis... certo, la cadenza è scritta e non è indicata con un "a piacere", per cui l'arbitrio è evidente , ma sfido chiunque oggi a farlo hahahah sai le risate... proponiamolo a F.F. per il Boccanegra Scaligero col Placidone... hahah mi spiace non esserci, siamo in scena con Olandese Volante ( protagonista Surjan, un giorno ve lo racconto...) ciao e grazieeeeee Maometto II

Antonio Tamburini ha detto...

Eh ma oggi direbbero "non è in stile"..... ah ah :) attendiamo news dell'Olandese! ciao. AT

maometto II ha detto...

Egregio Tamburini. le news sul nostro Olandese Volante...
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/concerti/ContentItem-1cfeb25f-8d14-4b04-8e2d-ec3ddcd9e0ce.html

diretta radiotre il 20 aprile

leggerò i commenti al rientro dalla recita

heheheheh noi ci stiamo divertendo un mondo.... saluti

Semolino ha detto...

Se l'acuto incriminato di JM intervenisse alla fine dell'aria sarebbe veramente di cattivo gusto, ma così interpolato nella cadenza fa un gran figurone, sia dal punto di vista espressivo-musicale che per l'efficacia teatrale, Verdi non ha scritto la cadenza "a piacere"? Tant pis pour Monsieur Verdi! Per fortuna certi interpreti hanno idee migliori di quelle degli autori! che non sono ne intoccabili, ne infallibili.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Beh...l'interprete ha dei limiti, deve averli: sulle idee igliori dei cantanti rispeto agli autori, mi spiace, ma non mi associo per nulla, anzi lo trovo concetto deprecabile. Soprattutto se applicato a Verdi (in specie quello degli anni'80). Nessun dubbio sulle libertà degli interpreti di inserire cadenze e variazioni nei punti consentiti, ma ciò è limitato ad un certo repertorio, dove il contributo del cantante era dato per scontato. Il belcanto, Handel, Rossini, Donizetti e Bellini...certo ognuno con uno stile differente ed adeguato. L'opera non è un canovaccio su cui sbizzarrirsi in inutili e spesso sgradeoli capricci. E' questione di correttezza: ciò che è doveroso in Rossini o Handel non può esserlo in Verdi, che scrive decenni dopo, quando il ruolo di compositore e cantanti erano ben differenti. ognuno sia libero di ritenere che Verdi non capisse nulla di musica e che abbia bisogno di "miglioramenti, certo che tale strada porta a inaccettabili arbitri. E non parlo per attaccamento alle presunte volontà dell'autore, ma alla consapevolezza che non si può prescindere dalla dimensione musicale estetica in cui si inserisce la composizione. Se Verdi ha scritto una cadenza di un certo tipo (nel 1881) significa che essa è parte integrante della partitura. Non così certe cadenze rossiniane (ma non tutte: alcune fanno parte del tessuto musicale e non possono essere eliminate). Gli stessi segni di corona a volte prevedono inserimenti ad libitum, altre volte no. Ne parla molto charamente Celletti. Certo a meno di credere che non conti nulla l'autore e l'epoca storica e l'equilibrio musicale... Però si finirebbe per giustificare certe orribili esecuzioni rossiniane pre-renaissance...in cui si utilizzavano rielaborazioni orchestrali, arrangiamenti e porcherie varie.

Semolino ha detto...

sarà, ma personalmente non ho una opinione e una visione così rigida della composizione musicale, qualunque ne sia lo stile e l'epoca, che si tratti di Rossini o Puccini, certo non si può rifiorire tutta un aria di Puccini, ma qualche libertà l'interprete deve comunque prendersela, quel che conta è il risultato espressivo e certo non esibizionistico, concordo che non si può fare in Rossini quello che si fa in Monteverdi o in Verdi e Puccini quello che si fa in Rossini, ma al di là delle presunte prassi filogiche e degli altrettanto presunti stili esecutivi delle varie epoche, è lo spartito stesso e la composizione stessa che dettando le loro leggi interne e ne limitano così l'intervento dell'interprete, ammesso e non concesso che l'interprete abbia musicalità e buon gusto, quello che fa JM è geniale ed espressivo, non farcisce certo l'aria di trilli! e continuo a non vederci niente di così "fuori stile" o inrispettoso in quello che fa JM ! tutt'altro! Al limite trovo inrispettoso nei confronti dell'interprete l'imporre una cadenza! Soprattutto una cadenza!

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Imporre una cadenza non è irrispettoso, soprattutto se quella cadenza è scritta dall'autore nell'ambito di un'estetica musicale che si fonda più sulla pagina scritta che sull'estro dell'interprete. Una cadenza non è una puntatura (che se ben inserita è piacevole e foriera di soddisfazioni: certo non sempre). Lo spazio per l'interprete c'è e deve esserci, ma spostando l'attenzione dal virtuosismo all'espressione. Mentre, cioè, nel belcanto l'interprete mostra la sua bravura con la complessità e la spettacolarità del virtuosismo, col passare del tempo il campo di esibizione si è spostato verso altri elementi (segni espressivi, fraseggio, fiati). Ora, inserire una cadenza - discutibile a mio giudizio - sostituendone un'altra espressamente prevista dall'autore (e molto più bella) è sbagliato: perchè si tratta di Verdi 1881, non Handel 1711 e le cose cambiano radicalmente. E non è questione di prassi filologiche presunte (alla maniera baroccara), ma di corretto uso della filologia, da cui non si può prescindere (filologia vera naturalmente) in nome di un concetto assurdo di tradizione (che spesso è becera e scorretta). Anche perchè spesso noi ci lamentiamo giustamente quando oggi taluni interpreti spacciati per rossiniani, omettono colorature e cadenze scritte, eppure, secondo il tuo discorso sulla legittimità di qualunque manomissione, tali interpreti sarebbero giustificati (anzi, migliorerebbero l'originale)...e si andrebbe per dover accettare porcherie come l'Ermione della Caballè (riscritta dalla diva). Lo stile e il rispetto del tessuto musicale non è un'invenzione baroccara, ma è ciò che andrebbe tutelato sempre, e difeso dagli arbitri: tutti gli arbitri, sia quelli baroccari sia quelli "di tradizione". Non è un atteggiamento rigido il mio: so bene che nelle partiture c'è più di quanto scritto, ma vi sono limiti invalicabili.

maometto II ha detto...

concordo con Duprez. in toto. certo, il fa diesis di Mardones è una folgore, non è nemmeno brutto messo all'inizio della csadenza, ma ripeto quanto ho scritto precedentemente.. in un aria come quella, tutta giocata in tessitura centrale, che si dovrebbe eseguire in piano e pianissimo nella quasi totalità.. beh..lo "strilletto" , bello finchè si vuole, ma non ci sta proprio...Fiesco sarà anche antipatico, per taluni, ma è sempre un nobile, non dimentichiamocelo.... saluti Maometto II

Antonio ha detto...

Sono assolutamente d'accordo con Duprez per quanto riguarda l'opportunità o meno di aggiungere cadenze o abbellimenti nelle esecuzioni. Gli stili, le epoche, e le prassi filologiche (che si conoscono benissimo ormai dallo studio dei testi dell'ottocento) vanno sempre rispettate, e ciò che si può fare (a volte addirittura si "deve" fare) con le opere di Rossini, Bellini, Donizzetti (per non parlare del Barocco), perfino col primo Verdi, non si può certo fare col Verdi della seconda metà dell'800.
Ma sono soprattutto contento dell'intervento di Duprez (e forse questa è un mia piccola soddidfazione personale postuma, magari perfino un pò meschina), per l'accenno all'Ermione della Caballé. Si perchè in quell'occasione, a Pesaro, io mi scontrai parecchio (perfino con degli orchestrali alla fine dello spettacolo) perchè ero trà quelli che si permisero di contestare sonoramente la Signora. Io non sapevo (e non so) se la Signora avesse riscritto a suo uso la partitura (ricordo però che presentandosi al proscenio alla fine, mentre veniva contestata per la sua vergognosa esibizione, lei se ne uscì con lo spartito in mano e, indicandolo col dito, voleva farci capire che lei aveva cantato quello che c'era in Rossini). Ora Duprez, da persona sicuramente competente molto più di me, scrive addirittura che la Signora lo spartito se l'era accomodato a suo uso e consumo. Io so però che in quell'occasione, da spettatore appassionato non ero riuscito a comprendere nulla di che cosa fosse quel ruolo, limitandosi la Signora Caballé ad emettere suoni incomprensibili, inarticolati in una pappina indistinta...La mia obbiezzione in quella occasione fu che, trattandosi del Rossini Festival e della ripresa di un'opera che non veniva eseguita da 150 anni io, spettatore pagante, avevo il diritto di comprendere il senso di un ruolo e di una vocalità. Mi ricordo che arrivai perfino ad affermare con quelli che invece si ostinavano a difendere la Catalana e a stigmatizzare il mio comportamento...(non si fa nei confronti di una così eccelsa artista!!!!) che la Caballé poteva al limite permettersi di cantare così la Norma perchè lo spettatore in qualche modo se la ricostruiva a mente, ma non un opera sconosciuta. L'unico momento di emozione vera che la Caballé riservò quella sera fu quando,nel concertato finale primo, accorgendosi che Pirro aveva convocato anche Andromaca (sua rivale) si rivolge sdegnata verso la Horne(Andromaca) appellandola "Un avanzo di Troia"...irresistibile! Tutto il loggione cominciò a ridere. Furono le uniche parole reali che la Caballé riuscì ad articolare perfettamente....Sono malizioso: che non fosse un caso?...Ovviamente scherzo. Però, fuori dagli scherzi e tornando all'argomento, ribadisco che sono molto contento dell'accenno di Duprez, sicuramente molto più competente di me. Questo con buona pace di Stecca che so fans della Catalana. Anch'io l'ho ammirata molto, ma negli ultimi anni aveva superato ogni limite di decenza e di improntitudine...Eppure molti la difendevano e sestenevano che no...che in fondo...che non stava bene...Secondo me è anche da li che sono cominciati i guai odierni.
Grazie ancora una volta per l'ospitalità
Cordiali saluti Antonio

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Infatti: aldilà della bellezza o meno dell'interpolazione, bisogna vedere se è appropriata. Ad esempio, certe puntature che taluni cantanti sono soliti fare in chiusura dei brani solistici rossiniani, sono semplicemente un orrore: anche se fatti a regola d'arte, sono brutti, non stanno bene, fanno a pugni con la struttura del brano. Ecco perchè i veri cantanti che conoscono la prassi e lo stile rossiniano inseriscono le puntature nella cadenza che appena precede la conclusione, o nelle variazioni del da capo nella cabaletta, o nella cadenza prima della ripetizione, MAI come nota finale. Dice bene MaomettoII, in un brano incentrato su di una tessitura centrale (voluta così appositamente dall'autore, in chiave evidentemente espressiva) e che è prescritto in piano e pianissimo, l'acuto fa la figura dello strilletto: inutile, brutto, volgare. Farlo snatura il senso del brano: e se non piace il brano...pazienza...ma Verdi così l'ha scritto.

Ps: volevo tornare all'accusa di "posizione rigida". Se si fosse andati avanti a ciurlare nella più vieta "tradizione" (che vuol dire tutto e il suo contrario, ma più spesso significa accodarsi a quel che si è sempre fatto: fosse pure un errore o un pasticcio) cantante come la Sutherland non sarebbero mai esistiti. Perchè la Sutherland e Bonynge (grande filologo) hanno restaurato lo stile esecutivo appropriato ad un certo repertorio, liberandolo dalle croste della tradizione esecutiva. Le libertà interpretative della Sutherland e del marito sono in perfetto stile, sono studiate e sono inserite nelle partiture senza snaturarle: gli stessi tagli, le stesse sostituzioni, gli stessi trasporti, non sono buttati lì a casaccio o secondo logiche fuorvianti e sbagliate (come i vari Serafin, Gavazzeni, Santi etc...) ma si preoccupavano di ricalcare quegli stessi che avrebbe potuto fare l'autore secondo le logiche del tempo. Si prenda la Semiramide, a cui Bonynge taglia circa tre quarti d'ora di musica: non usa la mannaia come Serafin e ogni taglio è perfettamente "in stile" (con una sola eccezione: il finale trasformato in "lieto"...ma è un peccato veniale). Stesso dicasi per Bolena o per Norma. Insomma, la filologia non l'hanno inventata i baroccari, e il fastidio (sacrosanto) verso i dogmi di costoro, non deve e non può tradursi in disprezzo della filologia (quella vera).

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Eh sì, Antonio...quell'Ermione fu uno scandalo. Una presa in giro e un imbroglio. La Caballè, arrivata impreparata - così come il direttore d'orchestra - vanificò il valore della "riscoperta": si riscrisse la parte per un semplice motivo...perchè non era in grado di eseguirla correttamente. Per mancanza di studio, di voglia e di capacità (ormai). La Caballè spianò la coloratura, modificò la linea vocale (per renderla più comoda e adeguata alle sue incapicità), banalizzò la raffinatissima e rivoluzionaria scrittura rossiniana, prendendo in giro il pubblico, sè stessa e la sua carriera (per non parlare della musica di Rossini). Si aggiunga pure che, peggio del solito, decise di omettere le consonanti...rendendo il testo un'inutile poltiglia! Peggio riuscì a fare col Viaggio a Reims in cui non potendo più, di fatto, cantare, pensò bene di ovviare al problema, buttandola in farsa, parlottando e facendo il pagliaccio sul palcoscenico. Una cosa indecorosa. Come indecorosa fu la sceneggiata di Pesaro: presentarsi sul proscenio con la partitura...pensando che il pubblico fosse composto da beoti, pronti a bersi la menzogna che lei avesse eseguito ciò che Rossini aveva scritto! In quell'occasione la direzione del ROF - se fosse stata seria - avrebbe dovuto prendere le distanze "dall'avanzo di cantante" che era divetata la Caballè: e forse il pubblico avrebbe dovuto reagire come si vede in certi film, con lanci di uova, verdure appassite e frutta marcia...in onore del pattume che la Senora Caballè gli aveva propinato quella sera...

Ps: di quel che dice Stecca sulla sua Diva...sai che m'importa?

Semolino ha detto...

in teoria potrei anche, sur le principe, concordare con tali argomenti così dotti. Ma per me l'ascolto della musica è solo un piacere e se non c'è piacere che musica è? Quindi evviva la cadenza di JM e abbasso la cadenza del Peppino!

Aggiungerò un altra voce fuori dal coro : potete dire quello che volete ma di tutte quelle che hanno "cantato" Ermione la Caballé è quella che lo ha cantato meglio!!! (anche se interpretativamente è più convincente la Miricioiu).

Antonio Tamburini ha detto...

Gli enunciati "cantare bene" e "Ermione della Caballé" non possono essere collocati nella stessa frase se non collegati da una negazione. Comunque sottoscrivo le virgolette, quello che ha fatto la Senora è stato "cantare" qualcosa che ricordava vagamente "Ermione" (virgolette pure qua).

Semolino ha detto...

Cioè che la Caballé non ha cantato l'Ermione di Rossini ma l'Ermione della Caballé. Giusto?
Io continuo a preferire l'Ermione della Caballé come lo canta lei con tutti i pregi e i difetti all' l'Ermione di Rossini pigolato dalla Gasdia o svociazzato con stile (ma guarda che strano anche io parlo di stile !!!) ciabattone e da autentica rombière come quello della Ganassi colla voce ingolfata perchè tutta basata su quello che lei chiama l'affondo! O quello della Antonacci tutto vetroso e tirato in acuto, con il registro grave che è tanto sonoro come un pezzo di cartone.
L'unico Ermione di Rossini che mi soddisfa rimane quello della Miricioiu e me ne accontento (anche se quello della Caballé dal punto di vista canoro mi seduce di più), pensando che comunque anche la Miricioiu è un pis aller perchè le vere voci per i ruoli Colbran dovrebbero aver bene altra ampiezza di cavata, ben altro centro e gravi più nutriti e immascherati. Voci da Ermione e da ruoli Colbran sarebbero state la Matzenauer, la Onegin, peccato che quel repertorio a quel tempo non costumava più, o la Bumbry dovutamente inquadrata e allenata.

Antonio Tamburini ha detto...

Sottoscrivo e aggiungo nel cumulo degli orrori pseudorossiniani Kate Aldrich, che l'anno scorso in Pesaro (!) eseguì la parte finale della gran scena di Ermione ripensata per Giuditta Pasta quale protagonista parigina di Zelmira.
All'elenco delle voci da Ermione aggiungo poi Ebe Stignani, che certo qualche zelante critico troverebbe oggi troppo sussiegosa e matronale nel ruolo della principessa spartana. Che peraltro è precisamente una zitella altera e inacidita.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Ma certo Semolino...il teatro deve essere un piacere: però quella cadenza (che poi in realtà cadenza non è) di JM proprio non mi piace. Aldilà dei principi (che comunque ribadisco). Tra l'altro, volendo essere proprio cattivi, se JM invece di preoccuparsi di quel FA# acuto posto arbitrariamente ad inizion cadenza, si fosse premurato di eseguire un pò più intonato (e meno crescente) quello grave al termine della stessa, l'esecuzione ne avrebbe giovato...e magari già che c'era poteva eviatrsi quell'orribile appoggiatura in corrispondenza di ADDIO, ad inizio brano.....

Ps: su Ermione...non è certo la circostanza per cui la maggior parte di chi ha affrontato il ruolo abbia deluso che mi debba far rivalutare le porcherie della Cabalè...che restano porcherie. E a questo punto ti dico: meglio la Gasdia, più onesta e corretta. Tra l'altro della gran scena di Ermione vi è una splendida incisione della Cuberli (con buona pace di Stecca che la ritiene una ciofeca...certo che se il parametro è la catalana)

maometto II ha detto...

dunque.. anche io ero alla rpima di quell'Ermione... e rimasi davvero deluso... avevo l'impressione di una cantante arrivata lì per caso, svogliata..della serie: beh dai ora che ci siamo, tiriamo avanti sino al finale e poi tutti a mangiare spaghetti e cozze.... a maggior ragione, dato che fu la prima cantante che ascoltai dal vivo da bimbo, nella tanto vituperata ultima Norma alla Scala, che per voi sarà stata l'inizio del suo declino, ma che a me bambino di nemmeno 10 anni fece un impressione incredibile, fu lì che mi innamorai dell'opera lirica.
In quanto a ciò che il signor Stecca e altri han scritto su Facebook a proposito di Lella Cuberli, mia adorata e favorita fra le belcantiste insieme a Martine Dupuy... beh francamente I couldn't care less.. nun me ne po' fregà de meno! Lella è immensa artista e interprete e l'incisione del finale di Ermione una meraviglia! mi viene in mente il commento di Gina Guandalini quando la Kabaiwanska ai primi anni '90 riceveva qui e là contestazioni più o meno rumorose: questi qui si troveranno a dover applaudire le varie Dragoni, Fabbricini, Fantini ecc ecc ... allora rideremo noi!! .. beh, signori.. non ho nulla contro le signore succitate, ma sinceramente il vaticinio fa pensare a quali "voci" vengano osannate oggi. saluti Maometto II

Semolino ha detto...

X Tamburini : certo la Stignani come tipo di voce per quanto riguarda la canna, l'estensione e la sensibilità musicale sarebbe stata una voce da ruoli Colbran, ma avrebbe dovuto imparare a trillare, non si può cantare Rossini senza avere il vero trillo, che invece possedevano sia la Onegin che la Matzenauer. Ragione per la quale non mi piace il suo stride la vampa.
Le agilità invece le sapeva fare, contrariamente a quanto ha detto il Celletti (che sempre credibile non era, tutt'altro!!!) per prova basti ascoltare la sua cavatina di Rosina e quella di Arsace, certo sono le agilità di una cantante che non ha come base del suo repertorio Rossini e il belcanto puro, eppure il risultato è già ottimo, se si fosse allenata a dovere e specializzata in quel repertorio cantando meno Verdi sarebbe stata perfetta per i ruoli Colbran e soprattutto per Ermione.
La Cuberli ha cantato con una tecnica perfetta, ma nemmeno lei aveva la vera voce di Ermione, la Cuberli aveva la voce di Adalgisa. Vocalmente era perfetta, ma nei ruoli Colbran aveva la voce per essere credibile solo in ruoli angelicati come Elena, Desdemona e Anna Erisso ma non per Ermione nemmeno per Semiramide.

Antonio Tamburini ha detto...

Credo che se Ebe Stignani fosse nata vent'anni più tardi sarebbe stata una delle pioniere della Rossini Renaissance accanto alla Sutherland, alla Horne e alla Berganza. Anzi le avrebbe eclissate facilmente, proprio in grazia della "canna" davvero straordinaria. Detto questo se esistesse la registrazione integrale del suo Arsace (cantato al fianco di Gabriella Gatti e Tancredi Pasero, che oggi desterebbero orrore e ribrezzo in certi raffinati censori) sarebbe impietosa pietra del paragone per ogni altro Arsace, "Jackie" in primis.

La Cuberli non avrà avuto la vera voce Colbran (come del resto non l'aveva la Sutherland, che è "la" Semiramide per antonomasia dell'epoca del disco), ma nei panni della regina di Babilonia ha fornito una prova maiuscola, dal punto di vista vocale e anche interpretativo. Poi si può preferire altro (Amenaide o la Contessa di Folleville, ad esempio) ma il confronto con la Ricciarelli, la Gasdia o altre avventurose del pentagramma neppure si pone.

maometto II ha detto...

Tamburini forever!!!!