Contrariamente a quanto decantato dalle maggiori riviste italiane, la recente produzione di Aida al Covent Garden è stata quello che si suol dire un "flop". E mica solo per il gusto pacchiano di Mc Vicar, ma e soprattutto per un cast che non ha retto in nulla o solo in parte le aspettative della vigilia.
Attesissimo il debutto di Marcelo Alvarez, ma anche la prova di Micaela Carosi.
Essendo che l'estate avanza e con essa la calura, nessuno ha avuto l'ardire di accollarsi l'ascolto integrale della serata: un atto per ciascuno ci è parso la sola cosa fattibile con la temperatura di oggi. E per maggior obiettività e pluralismo di giudizio.
Atto I
Onere ed onere dell’atto primo quello che, soprattutto, presenta gli amori ed il direttore. Quest’ultimo, Nicola Luisotti, è elegante nel preludio e dalla ripresa radiofonica il suono sembra essere anche di qualità. Poi il terzetto Aida-Radames-Amneris è bolso ed il finale d’atto nel tempio di Vulcano, piuttosto lento, ma privo di quel tono aulico e misterioso che si addice alla consacrazione pagana. E per iniziare a parlare dei solisti taccio della sacerdotessa baroccara di Elisabeth Meister.
Il debuttante Marcelo Alvarez si è convertito al repertorio tardo ottocentesco ed al Verismo, lui, nato per Donizetti, il primo Verdi e magari Meyerbeer . Non è il primo a farlo. Anzi è l’ultimo. Ultimo in ogni senso, ma per non tirare in ballo i soliti Lauri-Volpi e Fleta anche Mario Filippeschi disponeva in zona medio-alta di penetrazione e squillo. Taccio poi degli acuti. Qui, invece, abbiamo un ex tenore contraltino che stenta sul salto do3-fa3 di “Aida” alla sortita, che non rispetta neanche in maniera generica le indicazioni di dinamica e di espressione, sguaiato e plebeo nell’accento quasi che nutra risentimento e non amore per la protagonista. Fatica e fiato corto connotano il si bem che chiude la sortita. Nella scena del tempio di Vulcano la fatica su frasi come “proteggi d’Egitto il sacro suol” di tessitura acuta, che sarebbe quella consona ad Alvarez danno la certezza che Radames sia il tipico passo più lungo della gamba, per giunta senza adeguata tecnica e neppure congrua dote naturale.
Micaela Carosi, i cui fans si sono tanto prodigati persino nell’insulto a difendere, spacciando per attacco personale alla predetta quello che era uno spunto di riflessione sull’operare della critica, è assolutamente impari al compito. E per voce e per tecnica di canto. Non scandalizza una Aida con timbro da Mimì, ma la presenza costante di difetti ossia suoni aperti, sguaiati di marca verista sul primo passaggio, tubati ed in gola più sopra, stonati in zona mi3-fa 3, acuti o gherimiti o pigolati. Autentico paradigma di quest’ultima qualità il do del concertato alla scena prima. Questa breve, rapida osservazione non significa far Beckmesser ossia i “cellettiani”, come nella difesa d’ufficio, al pari della patrocinata, steccano i nostri detrattori, ma rilevare che questa Aida non è sognante all’entrata, poderosa e svettante al concertato, lacerata nella sezione iniziale dell’aria e piagata nella conclusiva, tanto è che gli applausi sono da aria del sorbetto del Tancredi.
Quanto a mr Lloyd ho letto in chat il consiglio di affidarlo alle cure di una badante. Dovrebbe, però, condividerla con il proprio sommo sacerdote Giacomo Prestia, che latra non solo il fa di “folgore e morte” ( e sarebbe poi, solo un emulo di Ghiaurov), ma oscilla a partire dal do acuto. Splendida immagine del potere prossimo al crollo!
Domenico Donzelli
Atto II
Il secondo atto di Aida è composto da due grandi blocchi musicali che costituiscono altrettanti motivi di interesse per l’ascoltatore mediamente avvertito: il duetto/duello fra soprano e mezzosoprano e la scena del trionfo, in cui il ruolo principale passa, sia pure temporaneamente, alla bacchetta.
Fin dall’attacco “Ah, vieni amor mio, m’inebria” (sol4) la deputata Amneris, Marianne Cornetti, dimostra di possedere timbro e peso vocale assolutamente analoghi, per non dire identici, a quella che dovrebbe essere la rivale in amore. Dimostra altresì la tendenza a stonare nella zona del passaggio superiore, sulla quale “batte” la frase in questione. L’interprete si sforza di rispettare le indicazioni dinamiche, invero numerose, previste dall’autore e di fraseggiare in modo insinuante, ma la voce suona chioccia al centro e in prima ottava risulta ben poco udibile, costringendo la cantante a ricorrere a suoni artificiosamente pompati, per nulla adatti a una principessa del sangue. Quanto agli acuti, si tratta di suoni duri e fibrosi, anche questi assai poco regali.
L’Aida della Carosi prosegue sul sentiero ben delineato da Donzelli nel suo compendio del primo atto e anzi riesce in un’autentica impresa, quella di mancare l’appuntamento con la sezione del duetto (“Pietà ti prenda del mio dolor”) in cui la cantante potrebbe con maggiore proprietà fare valere le proprie doti di soprano lirico. In queste frasi di grande malinconia, e di scrittura bella centrale, per le quali Verdi prescrive “cantabile espressivo”, la cantante esibisce infatti una vocina stentata, perché poco o nulla appoggiata, qua e là stonacchiante, incapace di reggere le grandi arcate della melodia e quindi costretta a compromettere la tenuta del legato.
Nicola Luisotti, sotto la cui direzione l’esercito al primo atto sembrava in procinto di partire per il fine settimana, e non già per il fronte, concerta un quadro del trionfo di sapore pacchiano, caratterizzato da scelte di metronomo inutilmente frenetiche (specie nei balletti) cui dovrebbero fungere da contrappeso i tempi dilatati allo spasimo del concertato. Ne deriva, per l’appunto, un concertato finale atto secondo in cui solisti, coro e orchestra sembrano procedere ognuno per proprio conto. Rileviamo come l’effetto non si producesse sotto le bacchette, assai meno incensate da certe illustri penne, di un Votto o di un Molinari-Pradelli. Sottolineiamo poi la difficoltà, per il tenore, di eseguire a un tempo così slentato frasi come “Ogni stilla del pianto adorato”, frase che risulta priva di mordente e di squillo, perdendosi nel magma generale, e che nondimeno costa ad Alvarez ogni energia residua, tanto da spingerlo a gridare nel recitativo seguente.
Sempre per quanto riguarda la voci maschili, dobbiamo rilevare come Robert Lloyd, Re ben più che senescente, risulti in dignitoso stato di conservazione se confrontato con le altre voci gravi solistiche. Marco Vratogna, il cui proclamato slancio suicida è sottolineato dall’orchestra con suoni che in altri tempi (neppure così distanti) avrebbero evocato nel pubblico e nella critica immagini di banda di paese, risulta particolarmente a disagio nella perorazione di Amonasro, che Verdi ha avuto la pessima idea di costruire sul passaggio superiore della voce baritonale. Anche per lui, come per la figlia, è bandita ogni regalità, non solo, ma ogni parvenza di canto di scuola.
Antonio Tamburini
Atto III
E’ accaduto di tutto in questa parte dell’opera:il cast non era all'altezza, a meno di qualche momento di Marcelo Alvarez.
Lauri Volpi era solito dire che il III atto uccide il soprano, perché qui l’opera, in effetti, svolta per Aida. E puntualmente la signora Carosi è affondata, inesorabilmente, nel limo del Nilo...ed assieme a lei tutte le sue sbandierate velleità di grande soprano lirico spinto. Sarà una grande cantante su Facebook, ma sul palco, dove il web non la soccorre, si può proprio dire il contrario. Nemmeno il canto professionale!
L’atto richiede ad Aida di cimentarsi in tutte le sfaccettature vocali e psicologiche del personaggio, dai recitativi vigorosi e tragici, alle grandi arcate di suono aereo dell’aria, alla concitazione dolosa del duetto col padre sino alla seduzione e slancio del duetto con l‘amante, nella massima estensione della scrittura della parte. Acuti a voce piena ed in piano, FF e ppp e forcelle sparse dappertutto, discese sotto il rigo...insomma, saper cantare bene al centro, in basso ed in alto. I problemi tecnici della signora sono emersi in tutta la loro gravità, dando luogo ad un canto incerto, frequentemente stonato, a cominciare dal centro e poi agli acuti, il più delle volte fissi o ballanti o calanti. Qualcuno anche urlato. Le discese al grave, poi, dominate anch’esse dall’imperizia tecnica, sono arrivate quasi sempre senza legato, con veri e propri salti verso il basso in pieno registro di petto, per nulla gradevole ed elegante. Siffatto tipo di “canto” si è tradotto, per forza di cose, in una interpretazione esteriore, caratterizzata da frasi artefatte e da accenti anche esagerati. Ma ciò che ha davvero stupefatto è stata la successione continua di incidenti che ha terremotato tutta la linea di canto. Ve le elenco così come le ho rapidamente appuntate sullo spartito mentre la radio trasmetteva. Buono il recitativo di ingresso, seppure con una emissione poco stilizzata. Attacco dei “Cieli azzurri” fisso e stonato; spazzate via le duine di “azzurri” e di “dove sereno”; balla al primo fa sul passaggio all’attacco di “o verdi prati”. Alla ripresa di “Oh patria mia” di nuovo attacca stonata, e procede sempre più fissa, vetrosa e miagolante; dà volume sul la nat in F tenuto di “Oh patria mia…” ma il suono è ballante, poi fisso quando tenta di smorzare la discesa ai pp scritti di “mai più ti rivedrò..”. Emette ancora suoni fissi sui mi di “Oh fresche valli” e di “che un dì promesso”.Il “dolce” di “Or che d’amore il sogno è dileguato” è suono vetrosissimo, perché è ancora un fa sul passaggio superiore. Terrificante l’esecuzione delle frasi finali “Oh patria mia, non ti vedrò mai più”, con le forcelle che portano al do ( ballanti e durissimi il si bem ed il do ); stonata e fissa sulle ultime frasi, sul la da attaccare in pp e la successivo con la doppia forcella; idem i la della chiusa da smorzare; una mezza stecca sul la finale, nota presa da “sottissimo”.
All’incipit del duetto con Amonasro canta di petto i gravi di ”i nostri templi d’or”; spinge fortissimo il la bem di “un’ora sola di si dolci incanti”; azzecca il lat sull’ “ah” che segue il “dei faraoni tu sei la schiava”, perché in effetti Verdi scrive “con un grido”: almeno il grido è eseguito correttamente! Suona prima fissa e poi ballante sul la bem di “Oh patria, patria quanto mi costi”, ma soprattutto esegue la frase con il centro tutto stonato. Al duetto con Radames la voce è sorda sotto il passaggio basso, mentre i segni di accento li grida ancora; esteriore e viperina, per via della voce vetrosa, anche nelle frasi che precedono “Odimi Aida” di Radames; al “Nel fiero anelito “ di lui, replica con voce sorda, perché la scrittura è grave, poi apre il suono su si nat e do centrali. Parla il “Fuggiam gli ardori inospiti”, ché in effetti Verdi prescrive “parlante”; poi accade di tutto: i “dolcissimo” di “là tra foreste vergini” sono fissi e miagolati, il legato scarso, i pp di “ in estasi beata” gettati al vento, come il “beata” preso fisso e con un portamentone pauroso, da sotto; idem il “dolcissimo senza affrettare” di “ la terra scorderem”, emesso alla speraindio perché batte il passaggio superiore ed i primi acuti. Si passa al “la tra foreste vergini”, ove falsetta e stona, come stona di nuovo “Sotto il mio ciel più libero”; un capolavoro dell’orrore il si bem in piano che chiude il passo, dove il ” morendo dolce” di Verdi viene trasformato in un “falsettato fisso e calante”. Finalmente arriva il finale, “Si fuggiam da queste mura “: dopo aver urlato malamente le frasi che lo precedono, si schianta in “Nella terra avventurata”, che batte sulla zona del passaggio superiore. L’attacco è fisso e aperto, e, facendosi un baffo dei ppp scritti da Verdi, prosegue nel grido dei la bem coronati, per poi gridare anche le note marcate, ballare sulla corona del la bem di “talamo”, gridare e stonare la successiva salita al si bem che ultima la forcella su “gli astri brilleranno”. Un disastro!
Marcelo Alvarez è sopravvissuto aggrappato alla sua ugola d’oro, ma è stato sempre impari al compito, perennemente in debito di volume, squillo ed accento.
Spesso apre i suoni centrali, forse alla ricerca di una voce di maggiore ampiezza, come sui si bem - do centrali di “Nel fiero anelito di nuova guerra”. Lo sforzo di accentare lo porta poi a strozzarsi su “Vivrem beati di eterno amore”, dove invece Verdi prescrive un “dolce”. I segni di espressione sono spesso sacrificati da un modo di cantare fondato sulla dote più che sulla tecnica: su “ teco fuggir dovrei abbandonar la patria”elide la doppia forcella prescritta e il ”con slancio” voluto da Verdi. Il la di “il ciel dei nostri amori” arriva tirato col cavatappi, e sposta l’esecuzione del “dolce” ivi prescritto sul passaggio successivo re-do centrale di “scordar potrem “ . Ne esce un effetto, però che ha il sapore da canto “confidenziale” più che da amoroso eroico verdiano.La natura è generosa con il signor Alvarez che, anche se sottodimensionato, riesce a disimpegnarsi con la consueta generosità nell’allegro assai vivo finale, “Si fuggiam da queste mura”, anche se si tratta di un canto non facile e spinto. Esteriore anche lui nell’interpretazione di certe frasi come “le gole di Napata” mentre completamente affidato alla forza della gola e prive di squillo le frasi pesantissime “Io son disonorato”, “Per te tradì la patria “ ( ci resta pure dentro nella ripresa ), “Sacerdote io resto a te” ( quest’ultima addirittura con la lacrima, che non serve perché occorre, al contrario, lo squillo! ). Insomma, una meravigliosa voce da Faust strapazzata col Verdi pesante.
Marco Vratogna canta in modo ordinario, alla Guelfi jr. per intenderci, rimasticando tutto tra i denti. Ghermisce ogni frase: in “Pensa che un popolo straziato” non riesce a prendere l’attacco, non lega i suoni, non ha morbidezza ed la voce gli resta tutto nella gola. Perde così anche in qualità timbrica, tanto che suona sempre senescente ed affaticato.Alla prescrizione verdiana “sottovoce e cupo” su “per te la patria muore” Vratogna canta forte e sgraziato; taccio il solito “dei faraoni tu sei la schiava”, eseguito a pieni polmoni tutto rigorosamente indietro. Quando poi il canto di Amonasro deve aprirsi sull’ emozionante “Pensa che un popolo vinto straziato”, la voce suona chiusa e tubata, senza sfogo e lirismo alcuni.
Giulia Grisi
Atto IV
Senza particolari sorprese, e a onta di una forma vocale non certo esemplare (si ascolti invece la discreta Azucena di Bregenz), è Marianne Cornetti a risaltare meglio nel trio protagonista del quarto atto. Vuoi qualche anno (forse troppo…) d’esperienza, vuoi una linea vocale che sa rimanere composta e quasi mai sopra le righe, l’assolo di apertura di Amneris diventa qui paradigma di un canto che se da una parte non riesce a brillare per robustezza d’emissione, almeno dall’altra dimostra onestà verso lo spartito e quindi, per rispettiva coerenza, verso il pubblico. E per i tempi che corrono, valla a trovare una figlia del Re… onesta!
Diciamo subito che lo splendido personaggio di Amneris viene fuori bene. E’ evidente che trattandosi di un ascolto radiofonico siamo impossibilitati a rendicontare la resa drammaturgica e le qualità interpretative del mezzosoprano americano. Va però detto che a parte qualche forcella spianata («Oh s’ei potesse amarmi!») i segni d’espressione vengono rispettati, il che rappresenta un buon punto di partenza per fraseggiare con garbo e pertinenza d’accento. E’ senza dubbio intenso quel «Si tenti!» in coda al recitativo d’entrata, “risoluto” come prescrive il compositore, così come il mi4 marcato di «Guardie!», con cui si decide a far chiamare l’amato Radamès. Le va altresì accreditata una buona capacità a legare il registro centro-grave con quello centro-acuto (bello il passaggio fa3-mi4 su «insano è questo amor», ancora nel recitativo) nonostante la zona centrale e le salite in alto in particolare risultino spesso sporcate da eccessivo oscillamento della voce (traballa già un la4: valga su tutti la seconda ripetizione di «a morte!») e inficiate da qualche suono scomposto (volgare la stimbratura su «e nunzia di perdono», e ancor peggio quella in attacco al “cantabile “Ah! Tu dei vivere”). Di nuovo un vibrato larghissimo sul si4 di «CIEL, dal ciel si compirà». Ma una voce che tradisce così evidenti sintomi di senescenza, è già un miracolo che in chiusura d’acuto non si slabbri in un grido.
Le discese in basso tradiscono un registro di petto un po’ troppo esibito (il do3# e il successivo do3 su «di vita a TE SArò»), che può ancora risultare efficace in certi passaggi solisti o duetti, ma rischia poi di finire mangiato da un’orchestra che deve accompagnare un concertato o qualsivoglia pezzo d’insieme. Il recitativo d’introduzione alla scena del giuramento, completamente fuori fuoco e addirittura pacchiano in alcuni passaggi (ridicolo il tentativo di personalizzazione, con quella marcatura arbitraria e fuori luogo dei do gravi su «atroce gelosia»), rimane il momento peggiore di questo quart’atto a firma Cornetti. Inevitabile a questo punto ritornare con la memoria non soltanto alle due Amneris, ineguagliabili e ineguagliate, di Ebe Stignani e Irina Arkhipova, ma anche al’impeto passionale di una Fedora Barbieri e all’impenetrabile ardore di una Minghini-Cattaneo, che proprio in questo passaggio accentava «quelle bianche larve» con una forza implosiva mai più udita. Funziona molto meglio invece la ripetizione tripartita della fragile richiesta di intercessione («Ah pietà! Ah, o salvate, Numi, pietà!») alle domande accusatorie del sacerdote Ramfis: viene fuori tutta la vulnerabilità del personaggio attraverso una linea vocale discendente stabile e ben timbrata. Peccato per il la4 che chiude la scena, traballante all’inverosimile e risolto con un suono simile a un singulto.
Alvarez ha dimostrato invece di voler ancora una volta esibire le solite inflessioni paraveriste e gli oramai rodati vezzi di una mediterraneità – come dire – sanguigna. Questo per quanto riguarda interpretazione e fraseggio. Sul versante tecnico abbiamo sentito troppe nasalità, alcune calate di intonazione, un portamento ascendente non pulitissimo e la sostituzione in partitura delle note accentate con versacci aspirati (ma pure espirati con forza, in un paio di passaggi) a cui siamo oramai purtroppo avvezzi.
Già dall’entrata in scena, alle richieste di discolpa di Amneris, Radames risponde con una certa durezza nel portare per esempio un mi4 al la4 («ma puro il mio pensiero»), oppure impiega qualche logoro stratagemma per approcciare i versi senza rischi e ansie (tra gli infiniti esempi, si noti quella E aspiratissima in corrispondenza di «e l’onor mio tradia»), trucchetti che solo se messi lì con avvedutezza possono passare per tentativi di colorare la frase. Quando invece, ed è questo il caso di Alvarez, vengono impiegati come “pronto intervento”, allora finiscono per annoiare per eccesso d’affettazione. Da segnalare, poiché appartenenti allo stesso ceppo genealogico, il ruggito informe e sgraziato, che fino a qualche lustro fa si chiamava forcella, sul mi4 di «E IN dono offri la vita», con una marcatura strabordante su «vita», per altro non presente in partitura, tale da rimandare più al “surdato ‘nnammurato” di Califano e Cannio che alla passione di un condottiero egizio. Tralasciamo poi quell’«Ed ella?» quasi parlato, che magari per altri recensori fa tanto strazio del cuore e accento arroventato.
Il duetto finale all’interno del tempio di Vulcano coincide con il ritorno in scena di Aida, e quindi di Micaela Carosi. Inutile ribadire che la signora non ha davvero nulla nel suo bagaglio vocale che possa rimandare in qualche modo al canto professionale. Non ha mai emesso (non solo in questa Aida, ma in carriera!) una nota pulita o comunque scevra da un’emissione un tanto al chilo da far quasi rimpiangere una Ricciarelli post Fattoria. E’ generosa di stonature, frutto di attacchi presi con inaudite fissità e poi fatti scivolare giù calanti cinque versi su sei (in queste condizioni diventa quasi ridicolo parlare di forcelle e di messa di voce…); già un la oscilla in maniera preoccupante e ogni incursione in acuto è un grido disperato. Al centro, come altrove, non esiste la seppur minima parvenza di sostegno e controllo del fiato, tanto che ogni nota emessa è l’ennesimo versaccio malconcio che inficia la stabilità della linea vocale. Di conseguenza, se il fraseggio diventa un’entità astrale, la stessa dizione tradisce farfugliamenti di grana grossa che rendono incomprensibili i versi.
Parte discretamente Alvarez con «La fatal pietra». Rispetta l’indicazione di “dolcissimo” prescritta da Verdi su «Non rivedrò più AIda», risolta bene con una buona smorzatura. Procede poi con qualche fissità fino all’esclamazione esagitata (“in parlando”?) «Ciel! Aida!». Attacca la Carosi «Presago il core», ovviamente con suono fisso e calante. Stona ancora tutto il verso «da ogni umano sguardo», per altro completamente stimbrato e sbracato, e attacca con durezza il sol4 di «nelle tue braccia» che, pensate un po’, andrebbe pronunciato “dolce” (ma sappiamo bene che lo spartito è accessorio nello studio di un’opera…). Radames aggredisce con un muggito l’amata etiope («MORIR! Sì pura e bella»), smorza bene la ripetizione di «morir», saccheggia la miriade di segni in partitura e confonde “espressione” con “concitazione violenta”. Oscene le note staccate di Aida su «Vedi? Di morte», con attacco sul la4 di «MOrte» ancora stonato e fisso (ancora peggio, quasi d’inudibile scompostezza la ripresa degli staccati su «ne adduce eterni gaudii»), mentre il si4 in corrispondenza di «dischiuderSI» è un grido di pura gola. Accenta bene Alvarez il momento conclusivo “O terra, addio”. La Carosi, invece, stessa solfa: fissità, stonature, urla, vibrato largo.
Carlotta Marchisio
Questa prova in Aida della signora Carosi stigmatizza, negli esiti vocali ed artistici come in quelli pubblicitari, il modello che il sistema si è dato per costruire carriere, roboanti ma precarie, realmente infondate perché ……galleggianti nell’effimero spazio di internet, come una voce gonfia e priva del necessario appoggio sul diaframma. Nessuno più della signora Carosi incarna questo modello: si vive nel web per radunare i fans, si rilasciano dotte interviste sulla tecnica di canto, si batte in ogni modo il tam tam della pubblicità gratuita ed ordinaria ( l’importante non è ciò che si dice ma che se ne parli ) per poi esibirsi sulle scene in condizioni vocali deplorevoli per l’assenza di presupposti tecnici e stilistici alla propria professione. La sicurezza mediatica svanisce penosamente nei luoghi deputati a dimostrare la realtà del proprio valore artistico, e tutti ne escono sviliti e sminuiti, cantante, produzione e direzioni artistiche prone all’effimero vento della fama mediatica.
Per fortuna il web ha anche un altro lato: porta anche la verità degli audio e le recensioni, professionali e non, maturate lontano dai complici entourage locali.
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto I
Se quel guerrier io fossi...Celeste Aida - Beniamino Gigli (1939), Flaviano Labò (1967), Luciano Pavarotti (1984)
Ritorna vincitor - Gabriella Tucci (1967)
Atto II
Silenzio...Fu la sorte dell'armi - Ebe Stignani & Anna Maria Rovere (1956)
Atto III
Qui Radames verrà...O patria mia - Stella Roman (1942)
Atto IV
La fatal pietra...O terra addio - Flaviano Labò & Liljana Molnar-Talajic (1971)
Rassegna stampa
http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/classical/reviews/aida-royal-opera-house-londonbrelegy-for-young-lovers-young-vic-londonbri-went-to-the-house-but-did-not-enter-barbican-hall-london-1960128.html
http://dickieandbutch.com/2010/05/18/dickie-review-aida/
http://intermezzo.typepad.com/intermezzo/micaela-carosi/
http://www.guardian.co.uk/music/2010/apr/28/aida-review
http://www.theartsdesk.com/index.php?option=com_k2&view=item&id=1402:aida-royal-opera-review&Itemid=14
http://www.opera-britannia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=289:aida-the-royal-opera-27th-april-2010&catid=8&Itemid=16
http://www.independent.co.uk/service/shortcut/verdi-aida-royal-opera-house-london-1956770.html
http://www.thestage.co.uk/reviews/review.php/28027/aida
http://www.concertonet.com/scripts/review.php?ID_review=6520
http://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/reviews/article-1269886/Aida-A-cut-price-tour-Egypt-offers-Nile-style.html
http://markronan.wordpress.com/2010/04/28/aida-royal-opera-covent-garden-april-2010/
http://www.express.co.uk/posts/view/171985/Aida-Royal-Opera-House-Covent-Garden
http://www.whatsonstage.com/reviews/theatre/london/E8831272461471/Aida.html
http://www.allvoices.com/news/5697572/s/53609125-aida-opera-review
http://classical-iconoclast.blogspot.com/2010/04/no-elephants-aida-at-royal-opera-house.html
http://www.thisislondon.co.uk/music/review-23828825-blood-sweat-and-sacrifice-in-aida.do
http://www.musicalcriticism.com/opera/roh-aida-0410.shtml
http://www.ft.com/cms/s/2/b1ae95da-532d-11df-813e-00144feab49a.html
http://www.whatsonstage.com/reviews/theatre/london/E8831272461471/Aida.html
http://www.operatoday.com/content/2010/04/micaela_carosi_.php
http://online.wsj.com/article/SB127318248494187779.html
Sito ufficiale della BBC, dal quale è possibile ascoltare, ancora per qualche giorno, la trasmissione dell'opera
Attesissimo il debutto di Marcelo Alvarez, ma anche la prova di Micaela Carosi.
Essendo che l'estate avanza e con essa la calura, nessuno ha avuto l'ardire di accollarsi l'ascolto integrale della serata: un atto per ciascuno ci è parso la sola cosa fattibile con la temperatura di oggi. E per maggior obiettività e pluralismo di giudizio.
Atto I
Onere ed onere dell’atto primo quello che, soprattutto, presenta gli amori ed il direttore. Quest’ultimo, Nicola Luisotti, è elegante nel preludio e dalla ripresa radiofonica il suono sembra essere anche di qualità. Poi il terzetto Aida-Radames-Amneris è bolso ed il finale d’atto nel tempio di Vulcano, piuttosto lento, ma privo di quel tono aulico e misterioso che si addice alla consacrazione pagana. E per iniziare a parlare dei solisti taccio della sacerdotessa baroccara di Elisabeth Meister.
Il debuttante Marcelo Alvarez si è convertito al repertorio tardo ottocentesco ed al Verismo, lui, nato per Donizetti, il primo Verdi e magari Meyerbeer . Non è il primo a farlo. Anzi è l’ultimo. Ultimo in ogni senso, ma per non tirare in ballo i soliti Lauri-Volpi e Fleta anche Mario Filippeschi disponeva in zona medio-alta di penetrazione e squillo. Taccio poi degli acuti. Qui, invece, abbiamo un ex tenore contraltino che stenta sul salto do3-fa3 di “Aida” alla sortita, che non rispetta neanche in maniera generica le indicazioni di dinamica e di espressione, sguaiato e plebeo nell’accento quasi che nutra risentimento e non amore per la protagonista. Fatica e fiato corto connotano il si bem che chiude la sortita. Nella scena del tempio di Vulcano la fatica su frasi come “proteggi d’Egitto il sacro suol” di tessitura acuta, che sarebbe quella consona ad Alvarez danno la certezza che Radames sia il tipico passo più lungo della gamba, per giunta senza adeguata tecnica e neppure congrua dote naturale.
Micaela Carosi, i cui fans si sono tanto prodigati persino nell’insulto a difendere, spacciando per attacco personale alla predetta quello che era uno spunto di riflessione sull’operare della critica, è assolutamente impari al compito. E per voce e per tecnica di canto. Non scandalizza una Aida con timbro da Mimì, ma la presenza costante di difetti ossia suoni aperti, sguaiati di marca verista sul primo passaggio, tubati ed in gola più sopra, stonati in zona mi3-fa 3, acuti o gherimiti o pigolati. Autentico paradigma di quest’ultima qualità il do del concertato alla scena prima. Questa breve, rapida osservazione non significa far Beckmesser ossia i “cellettiani”, come nella difesa d’ufficio, al pari della patrocinata, steccano i nostri detrattori, ma rilevare che questa Aida non è sognante all’entrata, poderosa e svettante al concertato, lacerata nella sezione iniziale dell’aria e piagata nella conclusiva, tanto è che gli applausi sono da aria del sorbetto del Tancredi.
Quanto a mr Lloyd ho letto in chat il consiglio di affidarlo alle cure di una badante. Dovrebbe, però, condividerla con il proprio sommo sacerdote Giacomo Prestia, che latra non solo il fa di “folgore e morte” ( e sarebbe poi, solo un emulo di Ghiaurov), ma oscilla a partire dal do acuto. Splendida immagine del potere prossimo al crollo!
Domenico Donzelli
Atto II
Il secondo atto di Aida è composto da due grandi blocchi musicali che costituiscono altrettanti motivi di interesse per l’ascoltatore mediamente avvertito: il duetto/duello fra soprano e mezzosoprano e la scena del trionfo, in cui il ruolo principale passa, sia pure temporaneamente, alla bacchetta.
Fin dall’attacco “Ah, vieni amor mio, m’inebria” (sol4) la deputata Amneris, Marianne Cornetti, dimostra di possedere timbro e peso vocale assolutamente analoghi, per non dire identici, a quella che dovrebbe essere la rivale in amore. Dimostra altresì la tendenza a stonare nella zona del passaggio superiore, sulla quale “batte” la frase in questione. L’interprete si sforza di rispettare le indicazioni dinamiche, invero numerose, previste dall’autore e di fraseggiare in modo insinuante, ma la voce suona chioccia al centro e in prima ottava risulta ben poco udibile, costringendo la cantante a ricorrere a suoni artificiosamente pompati, per nulla adatti a una principessa del sangue. Quanto agli acuti, si tratta di suoni duri e fibrosi, anche questi assai poco regali.
L’Aida della Carosi prosegue sul sentiero ben delineato da Donzelli nel suo compendio del primo atto e anzi riesce in un’autentica impresa, quella di mancare l’appuntamento con la sezione del duetto (“Pietà ti prenda del mio dolor”) in cui la cantante potrebbe con maggiore proprietà fare valere le proprie doti di soprano lirico. In queste frasi di grande malinconia, e di scrittura bella centrale, per le quali Verdi prescrive “cantabile espressivo”, la cantante esibisce infatti una vocina stentata, perché poco o nulla appoggiata, qua e là stonacchiante, incapace di reggere le grandi arcate della melodia e quindi costretta a compromettere la tenuta del legato.
Nicola Luisotti, sotto la cui direzione l’esercito al primo atto sembrava in procinto di partire per il fine settimana, e non già per il fronte, concerta un quadro del trionfo di sapore pacchiano, caratterizzato da scelte di metronomo inutilmente frenetiche (specie nei balletti) cui dovrebbero fungere da contrappeso i tempi dilatati allo spasimo del concertato. Ne deriva, per l’appunto, un concertato finale atto secondo in cui solisti, coro e orchestra sembrano procedere ognuno per proprio conto. Rileviamo come l’effetto non si producesse sotto le bacchette, assai meno incensate da certe illustri penne, di un Votto o di un Molinari-Pradelli. Sottolineiamo poi la difficoltà, per il tenore, di eseguire a un tempo così slentato frasi come “Ogni stilla del pianto adorato”, frase che risulta priva di mordente e di squillo, perdendosi nel magma generale, e che nondimeno costa ad Alvarez ogni energia residua, tanto da spingerlo a gridare nel recitativo seguente.
Sempre per quanto riguarda la voci maschili, dobbiamo rilevare come Robert Lloyd, Re ben più che senescente, risulti in dignitoso stato di conservazione se confrontato con le altre voci gravi solistiche. Marco Vratogna, il cui proclamato slancio suicida è sottolineato dall’orchestra con suoni che in altri tempi (neppure così distanti) avrebbero evocato nel pubblico e nella critica immagini di banda di paese, risulta particolarmente a disagio nella perorazione di Amonasro, che Verdi ha avuto la pessima idea di costruire sul passaggio superiore della voce baritonale. Anche per lui, come per la figlia, è bandita ogni regalità, non solo, ma ogni parvenza di canto di scuola.
Antonio Tamburini
Atto III
E’ accaduto di tutto in questa parte dell’opera:il cast non era all'altezza, a meno di qualche momento di Marcelo Alvarez.
Lauri Volpi era solito dire che il III atto uccide il soprano, perché qui l’opera, in effetti, svolta per Aida. E puntualmente la signora Carosi è affondata, inesorabilmente, nel limo del Nilo...ed assieme a lei tutte le sue sbandierate velleità di grande soprano lirico spinto. Sarà una grande cantante su Facebook, ma sul palco, dove il web non la soccorre, si può proprio dire il contrario. Nemmeno il canto professionale!
L’atto richiede ad Aida di cimentarsi in tutte le sfaccettature vocali e psicologiche del personaggio, dai recitativi vigorosi e tragici, alle grandi arcate di suono aereo dell’aria, alla concitazione dolosa del duetto col padre sino alla seduzione e slancio del duetto con l‘amante, nella massima estensione della scrittura della parte. Acuti a voce piena ed in piano, FF e ppp e forcelle sparse dappertutto, discese sotto il rigo...insomma, saper cantare bene al centro, in basso ed in alto. I problemi tecnici della signora sono emersi in tutta la loro gravità, dando luogo ad un canto incerto, frequentemente stonato, a cominciare dal centro e poi agli acuti, il più delle volte fissi o ballanti o calanti. Qualcuno anche urlato. Le discese al grave, poi, dominate anch’esse dall’imperizia tecnica, sono arrivate quasi sempre senza legato, con veri e propri salti verso il basso in pieno registro di petto, per nulla gradevole ed elegante. Siffatto tipo di “canto” si è tradotto, per forza di cose, in una interpretazione esteriore, caratterizzata da frasi artefatte e da accenti anche esagerati. Ma ciò che ha davvero stupefatto è stata la successione continua di incidenti che ha terremotato tutta la linea di canto. Ve le elenco così come le ho rapidamente appuntate sullo spartito mentre la radio trasmetteva. Buono il recitativo di ingresso, seppure con una emissione poco stilizzata. Attacco dei “Cieli azzurri” fisso e stonato; spazzate via le duine di “azzurri” e di “dove sereno”; balla al primo fa sul passaggio all’attacco di “o verdi prati”. Alla ripresa di “Oh patria mia” di nuovo attacca stonata, e procede sempre più fissa, vetrosa e miagolante; dà volume sul la nat in F tenuto di “Oh patria mia…” ma il suono è ballante, poi fisso quando tenta di smorzare la discesa ai pp scritti di “mai più ti rivedrò..”. Emette ancora suoni fissi sui mi di “Oh fresche valli” e di “che un dì promesso”.Il “dolce” di “Or che d’amore il sogno è dileguato” è suono vetrosissimo, perché è ancora un fa sul passaggio superiore. Terrificante l’esecuzione delle frasi finali “Oh patria mia, non ti vedrò mai più”, con le forcelle che portano al do ( ballanti e durissimi il si bem ed il do ); stonata e fissa sulle ultime frasi, sul la da attaccare in pp e la successivo con la doppia forcella; idem i la della chiusa da smorzare; una mezza stecca sul la finale, nota presa da “sottissimo”.
All’incipit del duetto con Amonasro canta di petto i gravi di ”i nostri templi d’or”; spinge fortissimo il la bem di “un’ora sola di si dolci incanti”; azzecca il lat sull’ “ah” che segue il “dei faraoni tu sei la schiava”, perché in effetti Verdi scrive “con un grido”: almeno il grido è eseguito correttamente! Suona prima fissa e poi ballante sul la bem di “Oh patria, patria quanto mi costi”, ma soprattutto esegue la frase con il centro tutto stonato. Al duetto con Radames la voce è sorda sotto il passaggio basso, mentre i segni di accento li grida ancora; esteriore e viperina, per via della voce vetrosa, anche nelle frasi che precedono “Odimi Aida” di Radames; al “Nel fiero anelito “ di lui, replica con voce sorda, perché la scrittura è grave, poi apre il suono su si nat e do centrali. Parla il “Fuggiam gli ardori inospiti”, ché in effetti Verdi prescrive “parlante”; poi accade di tutto: i “dolcissimo” di “là tra foreste vergini” sono fissi e miagolati, il legato scarso, i pp di “ in estasi beata” gettati al vento, come il “beata” preso fisso e con un portamentone pauroso, da sotto; idem il “dolcissimo senza affrettare” di “ la terra scorderem”, emesso alla speraindio perché batte il passaggio superiore ed i primi acuti. Si passa al “la tra foreste vergini”, ove falsetta e stona, come stona di nuovo “Sotto il mio ciel più libero”; un capolavoro dell’orrore il si bem in piano che chiude il passo, dove il ” morendo dolce” di Verdi viene trasformato in un “falsettato fisso e calante”. Finalmente arriva il finale, “Si fuggiam da queste mura “: dopo aver urlato malamente le frasi che lo precedono, si schianta in “Nella terra avventurata”, che batte sulla zona del passaggio superiore. L’attacco è fisso e aperto, e, facendosi un baffo dei ppp scritti da Verdi, prosegue nel grido dei la bem coronati, per poi gridare anche le note marcate, ballare sulla corona del la bem di “talamo”, gridare e stonare la successiva salita al si bem che ultima la forcella su “gli astri brilleranno”. Un disastro!
Marcelo Alvarez è sopravvissuto aggrappato alla sua ugola d’oro, ma è stato sempre impari al compito, perennemente in debito di volume, squillo ed accento.
Spesso apre i suoni centrali, forse alla ricerca di una voce di maggiore ampiezza, come sui si bem - do centrali di “Nel fiero anelito di nuova guerra”. Lo sforzo di accentare lo porta poi a strozzarsi su “Vivrem beati di eterno amore”, dove invece Verdi prescrive un “dolce”. I segni di espressione sono spesso sacrificati da un modo di cantare fondato sulla dote più che sulla tecnica: su “ teco fuggir dovrei abbandonar la patria”elide la doppia forcella prescritta e il ”con slancio” voluto da Verdi. Il la di “il ciel dei nostri amori” arriva tirato col cavatappi, e sposta l’esecuzione del “dolce” ivi prescritto sul passaggio successivo re-do centrale di “scordar potrem “ . Ne esce un effetto, però che ha il sapore da canto “confidenziale” più che da amoroso eroico verdiano.La natura è generosa con il signor Alvarez che, anche se sottodimensionato, riesce a disimpegnarsi con la consueta generosità nell’allegro assai vivo finale, “Si fuggiam da queste mura”, anche se si tratta di un canto non facile e spinto. Esteriore anche lui nell’interpretazione di certe frasi come “le gole di Napata” mentre completamente affidato alla forza della gola e prive di squillo le frasi pesantissime “Io son disonorato”, “Per te tradì la patria “ ( ci resta pure dentro nella ripresa ), “Sacerdote io resto a te” ( quest’ultima addirittura con la lacrima, che non serve perché occorre, al contrario, lo squillo! ). Insomma, una meravigliosa voce da Faust strapazzata col Verdi pesante.
Marco Vratogna canta in modo ordinario, alla Guelfi jr. per intenderci, rimasticando tutto tra i denti. Ghermisce ogni frase: in “Pensa che un popolo straziato” non riesce a prendere l’attacco, non lega i suoni, non ha morbidezza ed la voce gli resta tutto nella gola. Perde così anche in qualità timbrica, tanto che suona sempre senescente ed affaticato.Alla prescrizione verdiana “sottovoce e cupo” su “per te la patria muore” Vratogna canta forte e sgraziato; taccio il solito “dei faraoni tu sei la schiava”, eseguito a pieni polmoni tutto rigorosamente indietro. Quando poi il canto di Amonasro deve aprirsi sull’ emozionante “Pensa che un popolo vinto straziato”, la voce suona chiusa e tubata, senza sfogo e lirismo alcuni.
Giulia Grisi
Atto IV
Senza particolari sorprese, e a onta di una forma vocale non certo esemplare (si ascolti invece la discreta Azucena di Bregenz), è Marianne Cornetti a risaltare meglio nel trio protagonista del quarto atto. Vuoi qualche anno (forse troppo…) d’esperienza, vuoi una linea vocale che sa rimanere composta e quasi mai sopra le righe, l’assolo di apertura di Amneris diventa qui paradigma di un canto che se da una parte non riesce a brillare per robustezza d’emissione, almeno dall’altra dimostra onestà verso lo spartito e quindi, per rispettiva coerenza, verso il pubblico. E per i tempi che corrono, valla a trovare una figlia del Re… onesta!
Diciamo subito che lo splendido personaggio di Amneris viene fuori bene. E’ evidente che trattandosi di un ascolto radiofonico siamo impossibilitati a rendicontare la resa drammaturgica e le qualità interpretative del mezzosoprano americano. Va però detto che a parte qualche forcella spianata («Oh s’ei potesse amarmi!») i segni d’espressione vengono rispettati, il che rappresenta un buon punto di partenza per fraseggiare con garbo e pertinenza d’accento. E’ senza dubbio intenso quel «Si tenti!» in coda al recitativo d’entrata, “risoluto” come prescrive il compositore, così come il mi4 marcato di «Guardie!», con cui si decide a far chiamare l’amato Radamès. Le va altresì accreditata una buona capacità a legare il registro centro-grave con quello centro-acuto (bello il passaggio fa3-mi4 su «insano è questo amor», ancora nel recitativo) nonostante la zona centrale e le salite in alto in particolare risultino spesso sporcate da eccessivo oscillamento della voce (traballa già un la4: valga su tutti la seconda ripetizione di «a morte!») e inficiate da qualche suono scomposto (volgare la stimbratura su «e nunzia di perdono», e ancor peggio quella in attacco al “cantabile “Ah! Tu dei vivere”). Di nuovo un vibrato larghissimo sul si4 di «CIEL, dal ciel si compirà». Ma una voce che tradisce così evidenti sintomi di senescenza, è già un miracolo che in chiusura d’acuto non si slabbri in un grido.
Le discese in basso tradiscono un registro di petto un po’ troppo esibito (il do3# e il successivo do3 su «di vita a TE SArò»), che può ancora risultare efficace in certi passaggi solisti o duetti, ma rischia poi di finire mangiato da un’orchestra che deve accompagnare un concertato o qualsivoglia pezzo d’insieme. Il recitativo d’introduzione alla scena del giuramento, completamente fuori fuoco e addirittura pacchiano in alcuni passaggi (ridicolo il tentativo di personalizzazione, con quella marcatura arbitraria e fuori luogo dei do gravi su «atroce gelosia»), rimane il momento peggiore di questo quart’atto a firma Cornetti. Inevitabile a questo punto ritornare con la memoria non soltanto alle due Amneris, ineguagliabili e ineguagliate, di Ebe Stignani e Irina Arkhipova, ma anche al’impeto passionale di una Fedora Barbieri e all’impenetrabile ardore di una Minghini-Cattaneo, che proprio in questo passaggio accentava «quelle bianche larve» con una forza implosiva mai più udita. Funziona molto meglio invece la ripetizione tripartita della fragile richiesta di intercessione («Ah pietà! Ah, o salvate, Numi, pietà!») alle domande accusatorie del sacerdote Ramfis: viene fuori tutta la vulnerabilità del personaggio attraverso una linea vocale discendente stabile e ben timbrata. Peccato per il la4 che chiude la scena, traballante all’inverosimile e risolto con un suono simile a un singulto.
Alvarez ha dimostrato invece di voler ancora una volta esibire le solite inflessioni paraveriste e gli oramai rodati vezzi di una mediterraneità – come dire – sanguigna. Questo per quanto riguarda interpretazione e fraseggio. Sul versante tecnico abbiamo sentito troppe nasalità, alcune calate di intonazione, un portamento ascendente non pulitissimo e la sostituzione in partitura delle note accentate con versacci aspirati (ma pure espirati con forza, in un paio di passaggi) a cui siamo oramai purtroppo avvezzi.
Già dall’entrata in scena, alle richieste di discolpa di Amneris, Radames risponde con una certa durezza nel portare per esempio un mi4 al la4 («ma puro il mio pensiero»), oppure impiega qualche logoro stratagemma per approcciare i versi senza rischi e ansie (tra gli infiniti esempi, si noti quella E aspiratissima in corrispondenza di «e l’onor mio tradia»), trucchetti che solo se messi lì con avvedutezza possono passare per tentativi di colorare la frase. Quando invece, ed è questo il caso di Alvarez, vengono impiegati come “pronto intervento”, allora finiscono per annoiare per eccesso d’affettazione. Da segnalare, poiché appartenenti allo stesso ceppo genealogico, il ruggito informe e sgraziato, che fino a qualche lustro fa si chiamava forcella, sul mi4 di «E IN dono offri la vita», con una marcatura strabordante su «vita», per altro non presente in partitura, tale da rimandare più al “surdato ‘nnammurato” di Califano e Cannio che alla passione di un condottiero egizio. Tralasciamo poi quell’«Ed ella?» quasi parlato, che magari per altri recensori fa tanto strazio del cuore e accento arroventato.
Il duetto finale all’interno del tempio di Vulcano coincide con il ritorno in scena di Aida, e quindi di Micaela Carosi. Inutile ribadire che la signora non ha davvero nulla nel suo bagaglio vocale che possa rimandare in qualche modo al canto professionale. Non ha mai emesso (non solo in questa Aida, ma in carriera!) una nota pulita o comunque scevra da un’emissione un tanto al chilo da far quasi rimpiangere una Ricciarelli post Fattoria. E’ generosa di stonature, frutto di attacchi presi con inaudite fissità e poi fatti scivolare giù calanti cinque versi su sei (in queste condizioni diventa quasi ridicolo parlare di forcelle e di messa di voce…); già un la oscilla in maniera preoccupante e ogni incursione in acuto è un grido disperato. Al centro, come altrove, non esiste la seppur minima parvenza di sostegno e controllo del fiato, tanto che ogni nota emessa è l’ennesimo versaccio malconcio che inficia la stabilità della linea vocale. Di conseguenza, se il fraseggio diventa un’entità astrale, la stessa dizione tradisce farfugliamenti di grana grossa che rendono incomprensibili i versi.
Parte discretamente Alvarez con «La fatal pietra». Rispetta l’indicazione di “dolcissimo” prescritta da Verdi su «Non rivedrò più AIda», risolta bene con una buona smorzatura. Procede poi con qualche fissità fino all’esclamazione esagitata (“in parlando”?) «Ciel! Aida!». Attacca la Carosi «Presago il core», ovviamente con suono fisso e calante. Stona ancora tutto il verso «da ogni umano sguardo», per altro completamente stimbrato e sbracato, e attacca con durezza il sol4 di «nelle tue braccia» che, pensate un po’, andrebbe pronunciato “dolce” (ma sappiamo bene che lo spartito è accessorio nello studio di un’opera…). Radames aggredisce con un muggito l’amata etiope («MORIR! Sì pura e bella»), smorza bene la ripetizione di «morir», saccheggia la miriade di segni in partitura e confonde “espressione” con “concitazione violenta”. Oscene le note staccate di Aida su «Vedi? Di morte», con attacco sul la4 di «MOrte» ancora stonato e fisso (ancora peggio, quasi d’inudibile scompostezza la ripresa degli staccati su «ne adduce eterni gaudii»), mentre il si4 in corrispondenza di «dischiuderSI» è un grido di pura gola. Accenta bene Alvarez il momento conclusivo “O terra, addio”. La Carosi, invece, stessa solfa: fissità, stonature, urla, vibrato largo.
Carlotta Marchisio
Questa prova in Aida della signora Carosi stigmatizza, negli esiti vocali ed artistici come in quelli pubblicitari, il modello che il sistema si è dato per costruire carriere, roboanti ma precarie, realmente infondate perché ……galleggianti nell’effimero spazio di internet, come una voce gonfia e priva del necessario appoggio sul diaframma. Nessuno più della signora Carosi incarna questo modello: si vive nel web per radunare i fans, si rilasciano dotte interviste sulla tecnica di canto, si batte in ogni modo il tam tam della pubblicità gratuita ed ordinaria ( l’importante non è ciò che si dice ma che se ne parli ) per poi esibirsi sulle scene in condizioni vocali deplorevoli per l’assenza di presupposti tecnici e stilistici alla propria professione. La sicurezza mediatica svanisce penosamente nei luoghi deputati a dimostrare la realtà del proprio valore artistico, e tutti ne escono sviliti e sminuiti, cantante, produzione e direzioni artistiche prone all’effimero vento della fama mediatica.
Per fortuna il web ha anche un altro lato: porta anche la verità degli audio e le recensioni, professionali e non, maturate lontano dai complici entourage locali.
Gli ascolti
Verdi - Aida
Atto I
Se quel guerrier io fossi...Celeste Aida - Beniamino Gigli (1939), Flaviano Labò (1967), Luciano Pavarotti (1984)
Ritorna vincitor - Gabriella Tucci (1967)
Atto II
Silenzio...Fu la sorte dell'armi - Ebe Stignani & Anna Maria Rovere (1956)
Atto III
Qui Radames verrà...O patria mia - Stella Roman (1942)
Atto IV
La fatal pietra...O terra addio - Flaviano Labò & Liljana Molnar-Talajic (1971)
Rassegna stampa
http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/classical/reviews/aida-royal-opera-house-londonbrelegy-for-young-lovers-young-vic-londonbri-went-to-the-house-but-did-not-enter-barbican-hall-london-1960128.html
http://dickieandbutch.com/2010/05/18/dickie-review-aida/
http://intermezzo.typepad.com/intermezzo/micaela-carosi/
http://www.guardian.co.uk/music/2010/apr/28/aida-review
http://www.theartsdesk.com/index.php?option=com_k2&view=item&id=1402:aida-royal-opera-review&Itemid=14
http://www.opera-britannia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=289:aida-the-royal-opera-27th-april-2010&catid=8&Itemid=16
http://www.independent.co.uk/service/shortcut/verdi-aida-royal-opera-house-london-1956770.html
http://www.thestage.co.uk/reviews/review.php/28027/aida
http://www.concertonet.com/scripts/review.php?ID_review=6520
http://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/reviews/article-1269886/Aida-A-cut-price-tour-Egypt-offers-Nile-style.html
http://markronan.wordpress.com/2010/04/28/aida-royal-opera-covent-garden-april-2010/
http://www.express.co.uk/posts/view/171985/Aida-Royal-Opera-House-Covent-Garden
http://www.whatsonstage.com/reviews/theatre/london/E8831272461471/Aida.html
http://www.allvoices.com/news/5697572/s/53609125-aida-opera-review
http://classical-iconoclast.blogspot.com/2010/04/no-elephants-aida-at-royal-opera-house.html
http://www.thisislondon.co.uk/music/review-23828825-blood-sweat-and-sacrifice-in-aida.do
http://www.musicalcriticism.com/opera/roh-aida-0410.shtml
http://www.ft.com/cms/s/2/b1ae95da-532d-11df-813e-00144feab49a.html
http://www.whatsonstage.com/reviews/theatre/london/E8831272461471/Aida.html
http://www.operatoday.com/content/2010/04/micaela_carosi_.php
http://online.wsj.com/article/SB127318248494187779.html
Sito ufficiale della BBC, dal quale è possibile ascoltare, ancora per qualche giorno, la trasmissione dell'opera
25 commenti:
Ma come? Nessuno parla delle mezzevoci paradisiache?
Finito di sentire questa Aida proprio adesso (come farsi del male).
Il soprano, credo non si riascolti le registrazioni perchè è improponibile e forse (dico forse) andrebbe in crisi.
Domanda “tecnico-statistica”: Alvarez ha fatto il SIb acuto del “sol” in uno stentoreo “fortissimo”. Poi, per rispettare il “pp morendo” di Verdi, ha ripetuto la frase, un’ottava sotto. Dico: è il primo a fare una simile idiozìa, o ha preso esempio da qualcun altro?
Daland: l'ha fatto anche Alagna alla Scala nel 2006.
http://www.youtube.com/watch?v=L6kyk8AkdWs
Anche Tucker con Toscanini nel 1949.
Marianne Brandt
ed anche Domingo...
Si dice che Verdi l'aveva scritto così con la famosa indicazione ppp riferita alle parole sulle note più basse.
Oggi con questa scusa...
Tucker al Met non lo faceva così.
In realtà non è un'idiozia...ma una soluzione alternativa predisposta da Verdi stesso: all'interprete (e al concertatore) spetterebbe il diritto di scelta. Certo preferirei sentire quel SIbemolle in pianissimo e morendo, ma piuttosto di ascoltare il tradizionale strillaccio, sparato e stentoreo, in fortissimo, meglio la soluzione alternativa...meno spettacolare, certo, ma assia più bella e corretta dell'acuto fuori ordinanza!
sono d'accordo con Duprez effettivamente il finale come proposto da Tucker ..con la complicita di Toscanini non era affatto malvagio.D'altronte Verdi sapeva cosa scriveva,e se ha dato questa alternativa un motivo doveva averlo.Solo che siamo abituati ad ascoltare il finale tutto sparato,allora sembra che sia una stranezza del tenore.
Naturalmente, però, bisogna saper fare entrambi...cioè, se non si riesce a smorzare il SIbemolle acuto (in effetti piuttosto difficile), si usa l'alternativa in basso...ma fatta bene: non si può certo sparare l'acuto in modo brado e tenerlo lunghissimo e poi scendere di un ottava farfugliando in modo incerto...credendo così di "salvare capra e cavoli"! In teorie la nota acuta andrebbe toccata e tenuta senza esagerare, ma poi risolta all'ottava bassa, con eleganza, languore, atmosfera...porgendo la frase. Insomma, bisogna saper cantare...dote rarissima oggi!
Ps: il peggio però è il tentativo di smorzatura malriuscita che in realtà confina col falsetto o, peggio, con la strozzatura....a quel punto se proprio ci si ostina ad ignorare l'alternativa prevista da Verdi, meglio ripiegare sull'acuto sparato (anche se è proprio brutto).
At least here we could finally enjoy Marcelo Alvarez's shapely and musical phrasing of Radames's lyrical lines in his "Liebestod" duet with Micaela Carosi's Aida. Earlier, the Argentinian tenor sounded overparted in the heroic
music, while the Italian soprano proved maddeningly erratic, her good intentions undermined by ugly explosions from the chest, klaxon-flappy high Cs and dodgy intonation. Marianne Cornetti pulled out all the stops for a coarse but barnstorming Judgment scene, bringing the house down, but she conveyed nothing
of Amneris's slinky, feline sensuality.
From The Sunday Times
May 2, 2010
Recensione da altra grande rivista musicale inglese.
“Micaela Carosi was a poor Aida. Her voice is fundamentally unlovely.Although i twill travel to the altitudes required, the journey is unpleasant, and having arrived ( more or less ) at the higher register, it turnes glassy and unreliable.”Ritorna vincitor”was effortful and harsch because her soprano lacks buoyancy; nothing floats. “O patria mia” was even less satisfactory. Often her pitch was untrue, marring exposed moments and giving her particular trouble in rapid passages, such as the stretta of the Nile duet with Radames. She tends to sing everything at forte or fortissimo, and indeed her only realy successful moments are in the loudest choral passages, for example the “Guerra” of the opening scene or the equivalent ensemble in Act 2, where the clamour of trombones and chorus cover the rattle in her voice. This is CArosi’s third assignment at the Royal Opera, her first being a pedestrian Tosca in 2008, the second as a poor replacement for Barbara Frittoli in the Verdi Requiem.She schould not be singing this part-nor others like it-in major houses and should not be the centre of a new production.”
Opera, july 2010, pg 866
E chi è che và in giro a dire che nessuno stronca i cantanti come questo Corriere????
I soliti noti.
In effetti basta fare un passo fuori dal solito establishment che controlla il consenso coatto per rendersi conto delle fesserie che lo stesso arriva a sparare per difendere cantanti fuori dalla grazia di dio.
Aggiungo che questa situazione mi sembra ancor più grave in Italia, dove le difese d'ufficio dei cantanti "da agenzia" sono oramai prevedibili come certa noiosa burocrazia. Sia nella stampa, specializzata e non, sia nei fori virtuali, che hanno il dovere (o il volere, forse...), per diretta ammissione, di tutelare certi scempi semplicemente perché...i cantanti potrebbero leggere!
Per chi si fosse perso questa perla del Tamigi, ci sono degli audio caricati su youtube che ben esemplificano la resa vocale della produzione in questione.
http://www.youtube.com/watch?v=FPrGpLFVPMg
(Ritorna vincitor!)
http://www.youtube.com/watch?v=kSk7ys6HrpI&feature=related
(Qui Radames verrà... O cieli azzurri)
http://www.youtube.com/watch?v=rDCag6cEvhc&feature=related
(Pur ti riveggo, mia dolce Aida)
http://www.youtube.com/watch?v=jQ45-d7tJcw&feature=related
(La fatal pietra, parte 1)
http://www.youtube.com/watch?v=oEyveg778YQ&feature=related
(La fatal pietra, parte 2)
Bene ! Da oggi la signora Carosi avvrà un nuovo nome, elegantissimo: LA PERLA DEL TAMIGI
carina...!
Girare per internet e leggere i commenti di certuni con cui giurano e spergiurano che il soprano è indenne da qualsiasi difetto di intonazione non ha veramente prezzo. E' divertente davvero vedere come la tecnica dello zerbinaggio sia sempre più sviluppata.
Ciao Lucar. Ho letto anche io il siparietto tarantiniano! E ammetto di essermi fatta un paio di risate belle grasse! ...e han pure la pretesa di avere una certa autorità (autocertificata, s'intenda) in materia! Pazzesco
volevo farvi leggere un messaggio di una discussione su Aida a Londra che che avevo proposto su facebook con una domanda cosa ne pensano gli artisti quando le recensioni non sono positive,e se ne tengono conto?
Il baritono Alberto Gazale cosi ha risposto... "un post lunghissimo su un Aida in un teatro molto importante.Il cui esito è dato sapere in verità, forse solo a quelli che han potuto sentire dal vivo l'opera.
Si,perchè l'opera ha un luogo deputato che è il teatro.
Il resto... mah...
potremmo discutere per molto tempo, ma il discorso è simile a quello dell'amplificazione.Micaela ha cantato di recente,( cioè dopo Londra) a Vienna una Forza del destino degna del suo nome,riportando un clamoroso successo personale .Invitiamo Micaela a parlarci del suo ultimo successo? e che mai potrebbe dirci?..... magari,''sono felicissima''???? oppure l'opera è durissima ma io l'ho cantata divinamente????
é molto difficile per noi parlare del nostro lavoro,a volte imbarazzante
nel bene e nel male, eppure quando possibile lo facciamo volentieri perchè questo è anche un gran bel gruppo di amici ''virtuali'' e non.
Caro Pasquale dietro i nostri nomi ci sono delle anime,non abbiamo nulla di diverso dagli altri.Siamo però sempre in prima linea a mettere in gioco, sera dopo sera ,col nostro nome e cognome, tutto ciò che ''fragile'' ,abbiamo costruito con anni e anni di impegno e di lavoro.
Amo il vostro blog,il ''corrieredellagrisi'' perchè è diverso dagli altri.
Libero e spietato,non ancora comprato e spero mai in vendita.Mi piace, purchè non diventi diseducativo.Purchè non esporti il suo metodo dissacratorio un po' cinico, tra il satirico e talvolta purtroppo l'offensivo.
Sarebbe un peccato perchè chi scrive su quelle pagine dimostra a mio avviso competenza e bello stile di scrittura.
Ricordatevi sempre che noi ci siamo ,leggiamo e siamo bersagli molto,troppo facili da colpire!!!!
Quando si scrive della nobiltà di un cantante ci si ricordi anche della propria.
Ma è bello se questo nostro gruppo rimane un ''unicum'' nel panorama dei fiumi di inchiostro in rete.
Non siamo delle macchine e una sera, e anche due purtroppo
possiamo non essere al meglio e non per colpa.Ma caro Pasquale una cosa è certa, noi siamo i primi a soffrirne ... e tanto!
come vedete vi cita e vi legge..
Caro Pasquale,
grazie per aver riportato questo commento di Alberto Gazale, che dimostra, come già ho avuto modo di constatare in passato, molta sensibilità.
Sul fatto che ci citi e ci legga, lo sapevamo, perchè, da fonte certa, seppi che aveva postato la mia recensione del suo "Rigoletto" fiorentino sulla sua bacheca di Facebook.
Mi ha fatto molto piacere.
Sicuramente il teatro è il ruolo deputato alla vera vita operistica, ma ha uguale importanza tutta la testimonianza audio-video che il teatro stesso ci lascia. Oltre ai ricordi di quelle serate, saranno proprio le incisioni, i dvd, le "piratate" a mantenere sempre vivo il canto, la passione e l'opera stessa, ed è anche su quello, oltre all'ascolto dal vivo, che si basano le nostre riflessioni (spietate quanto si vuole, perfide quanto si vuole, documentate quanto si vuole).
Per questo trovo ridicole argomentazioni come "I live non sono affidabili, perchè la radio falsa", "Le incisioni in studio non sono affidabili perchè sono prodotti di laboratorio", "Youtube non è affidabile", perchè per esperienza, solo in un caso (la Baltsa) quello che ascoltai in radio non era quello che ascoltai dal vivo, mentre tutto il resto corrispondeva e se le riprese falsano qualcosa sono solo gli armonici (vedi Cornetti ad esempio)!
I cantanti non sono "bersagli", non sono "macchine", sono professionisti in un determinato ambito di cui noi siamo appassionati e se una sera fanno cilecca, capita, ma se le sere "NO" si accumulano, una dietro l'altra c'è qualcosa che non quadra nella preparazione e nello studio. Come abbiamo detto, la sfera privata di un cantante, è lontana dalla nostra competenza, perchè la rispettiamo e non deve essere oggetto di critica alcuna o di giudizio.
Mi fa molto piacere che Gazale abbia così signorilmente difeso la categoria e la sua collega, cosa rara oggi.
Marianne Brandt
P.S. No, non siamo in vendita, ne comprabili, ne corruttibili.
E' questa la nostra forza ed è questa nostra libertà che ci caratterizza e infastidisce.
Marianne Brandt
Non voglio entrare nel dettaglio delle argomentazioni del signor Gazale, ma dal suo intervento non facciamo fatica a constatare quale reputazione abbia la critica ufficiale ANCHE agli occhi dei cantanti stessi... Su questo, almeno su questo, (solo su questo?) siamo d'accordo.
Caro maestro Gazale, una sera passi, anche due ma... ormai non sentiamo più una sera, ma che dico, cinque minuti di canto decente! decente nel senso di professionale e tecnicamente fondato. Secondo lei è possibile fare qualcosa al riguardo, nei ritagli di tempo fra una riunione di amici virtuali e l'altra?
Francamente dell'opinione del signor Gazale poco mi curo.
Nessuno perseguita nessuno: è solo la sovraesposizione che porta ad un grado di attenzione commisurato alla fama mediatica.
I cantanti che pretendono di giudicare il pubblico, di istruirlo e di criticarlo non mi piacciono, perchè provano solo di non essere gran cantanti.. E c'è sempre la coincidenza tra il malcanto ed i comportamenti fuori luogo,sempre. Il grande non si abbassa a certe forme di pubblicità, dichiarazioni etc...
Piuttosto, è La Lirica su Face che ha apertamente fatto del mio blog un argomento di critica sterile, sfottò e insulti quelli si personali oltre che gratuiti perchè, purtroppo per loro, non essendo in grado di obbiettare NEL MERITO DEL CANTO E DELLA CULTURA DEL CANTO a quanto questo blog và affermando o scrivendo, negli articoli di critica come quelli di carattere generale, i sognori cantanti possono solo subire. O affermare che i blog non contano niente ( dopo avere usato quelli amici, però.....vedi certe interviste sulla tecnica di canto rilasciate ridicolamente dalla sign Carosi....che bene parla ma assai male razzola, o meglio canta .) Il malcanto della signora non è solo di Aida, ma anche di Adriana o Tosca....è oggettivo, si può provare, tanto che ha dovuto far togliere i commenti agli audio del Tubo per difendersi...e la capisco....Gonfia gonfi gonfia, la mongolfiera prima o poi urta molte persone, e si ritrova al centro della tempesta...pensiamo al caso Cedolins, su cui oggi chiunque si permette di sparare...).
La signora Serafin si è presa da noi una recensione in Manon ben peggiore di quella della Carosi in Aida....ma non mi pare si senta un perseguitata, o vada scrivendolo sui web.
Credo che sig. Carosi soffra, piuttosto, di un eccesso di ego che la fa sentire al centro di persecuzioni che non ci sono proprio, perchè NON VALE LA FATICA, NE' L'ENERGIA DI DARLE ATTENZIONE. E' solo questione di poco, pochissimo tempo, e sparirà nel nulla, come altre. Perchè dovremmo sprecare energie accendendo su di lei altre luci, mentre merita il silenzio. ( e con lei, già che ci sono mi permetto di ricordre anche la sua amica Desireè, che è andata affermando cose circa il suo buco in Lucia a Parma che non stavano nè in cielo nè in terra. Avrei potuto contestarla, ma imporre ad un teatro intero di non applaudirla, come avrei mai potuto??????? .....ma raccontatele con un po' più di buon senso!!! LA signora Rancatore si è presa i fischi dai vostri fan della Lirica su Face!!! Ve li de nominare uno per uno???? sono persone libere, indipendenti, e non la pensano quasi mai come me, dunque.... ).
Ma urlare alla persecuzione fa male, così quelle critiche, giuste e doverose, non valgono nulla, perchè il popolo dei babbei crede alla caccia alle streghe e non che la diva canti male......Comodo e patetico escamotage, perchè quel popolo babbeo prima o poi siscopre che non poi così babbeo, ma ha solo un tempo di reazione diverso da quello di altri come noi. La gente prima o poi si accorge, la verità delle cose viene a galla......il caso Cedolins fa sempre scuola.
La verità è che il cantante si afferma sulle tavole del palcoscenico, col canto. E fa per definizione una professione che si espone alla critica, perchè l'artista vive di consenso ( o di dissenso in caso contrario ).
Ma un certo genere di cantanti, il genere cosiddetto "moderno", non ha quasi più, salvo rari casi, la forza di imporsi con la propria arte nella misura in cui lo facevano i cantati di una volta, perciò lo deve fare con la critica amica o con il web.
La signora Carosi ha bucato a Londra, ma non solo per noi o alla radio, ma per tutta la critica ed il pubblico straniero.La rassegna stampa no è stata publicata per persucuzione, ma per provare il contrario, CHE LA PERSECUZIONE NON C'E' COME NON C'E IL FENOMENO NE' C'E' IL SUCCESSO UNIVERSALE. E per il teatro lonidbese stesso anche a quanto mi risulta. Bisserà la prova mediocrissima anche ora a Caracalla perchè non può essere diversamente. Non ce la può fare dissetata tecnicamente come è. E non parli Gazale di Forza, che è centrale, senza acuti, a dir di Verdi " basta una principiante". Certi gran successi li può vendere sul suo Face, agli amici, ma non a chi l'opera la conosce un minimo.
Non è un caso che la signora in questo momento si sia ritirata dal suo sito: le prove non stanno andando per il meglio....se non ce la faceva a Londra, non può farcela a Roma.
Il canto è anche scienza purtroppo....
Mi piacerebbe che la signora sapesse cantare, perchè ha fior di voce, come mi piacerebbe che il signor Gazale usasse quel po' po' di voce per essere un baritono elegante (anzichè perdere tempo a far da avvocato difensore da spiaggia ad una collega)....ma se non è così, non posso, e non possiamo scrivere il contrario.
Sbandierare il vessillo della persecuzione sarebbe come, e l'ho già detto, che noi accusassimo i cantanti di cantare male per "cattiveria", di romperci le orecchie perchè ci odiano.
Nulla è personale qui. Dunque anche voi, signori della Lirica su Face, non personalizzate quello che non è personale.
Ripeto,la sovresposizione, le critiche esageratamente positive, l'eccesso di vanità ed autostima, le carriere gonfiate di alcuni rispetto ad altri....questi sono i motivi alla base delle reazioni contrarie, più o meno forti.
Abbiamo visto per troppi anni i deboli criticati con facilità e gli "intoccabili" intoccati, dalla stampa come dal grande pubblico. Sono vent'anniche viviamo con i dogmi della santità, dell'intangibilità di cantanti che in passato avrebbero fatto carriere di secondo piano..
Questo ha disonorato il canto, causato sperequazioni eccessive tra le carriere ed i cachet....
Oggi di Aide come e meglio della Carosi ce n'è più di una.......dunque, noi scriviamo in rapporto a questo stato delle cose.
Nulla di personale.Molto di vocale ed artistico, invece.
accipicchia Donna Grisi è andata giù pesante (faccina ridente)
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