Altra serata inFAUSTa alla Scala di Milano: continuiamo a discendere una china, apparentemente senza fondo. Nel calendario lirico ambrosiano giugno è diventato il mese dell’orrore: l’anno passato l’Aida di Baremboim, quest’anno il Faust. Per l’anno prossimo Attila già bene apparecchiato per stare in linea con questi due spettacoli.
Il cast era scadente sulla carta, lo si sapeva: però il signor Nekrosius ha pensato bene di collocare gli interpreti in uno spettacolo fallimentare, e così tutto è stato assolutamente perfetto per dar luogo alle ire del pubblico.
Solo Irina Lungu è andata controcorrente, dispensando un po’ di canto, pertinenza interpretativa e grazia scenica, che le sono valsi i soli consensi unanimi di una serata disastrosa, noiosa, soprattutto e protrattasi sino a tarda ora.
Mandare in scena il Faust senza Faust e Mefistofele è impresa straordinaria per un grande teatro di nome, una vera rarità!
In primo luogo, l’allestimento. Nekrosius ha realizzato uno spettacolo che ad onta di qualche buon momento poetico, nel prologo e nel primo atto in particolare, mi sembra gli sia sfuggito presto dalle mani, vuoi per la lunghezza, vuoi per l’assenza di idee veramente originali. Il suo Medioevo di sapore nordico si è lentamente trasformato in un minestrone incontrollato ed insensato di citazioni, contaminazioni cinematografiche e pittoriche smaccate, gags dejà vùe e simboli, alcuni davvero incomprensibili, che non hanno portato alla costruzione di alcun clima, di alcuna atmosfera consona al gotico romanticismo di Gounod, perché sia ben chiaro in scena andava questo Faust e non quello Goethe, con buona pace di chi oggi dalle pagine del massimo quotidiano milanese ha, per difesa d’ufficio proposto tale assunto. Il regista si è molto concentrato sulle controscene delle comparse, angeli, creature mostruose alla Bosch, saltimbanchi, personaggi incappucciati in nero alla “Settimo sigillo” di Bergmann o alla “Nosferatu” di Kinsky. Ha, però, dimenticato quasi del tutto i movimenti delle masse e, soprattutto, privato di ogni poesia ed intensità espressiva la recitazione dei protagonisti, i due amanti in particolare. Il grottesco ed il surreale hanno caratterizzato, nei movimenti come nei costumi, tutti i protagonisti, Siebel incluso, addirittura zoppo; Faust ridotto ad un personaggio un po’ ridicolo, nel suo costume surreale tipo pigiama americano ; una Margherita anche lei prima surreale e stupida poi un po’ troppo contadina dell’Est; un Mefistofele sempre alle prese con un’asta da atletica, simbolo esagerato e poco convincente di un potere demoniaco che di demoniaco alla fine aveva ben poco, parecchio, invece, di ridicolo, tanto da assimilarlo al dottor Dulcamara, complice la recitazione e la mimica di Roberto Scandiuzzi. Alcuni momenti scenografici belli, come le carpenterie, lignee che organizzano spazi prospettici profondi e suggestivi, lungo cui si muove l’azione, i mille libri aperti a terra al prologo, simbolo del sapere di Faust, potevano anche ben funzionare se non ci fosse stata tutta quella luce “en plein air” che toglieva ogni atmosfera all’azione. Irritante, invece, l’ambientazione domestica del quartetto e del grande duetto d’amore, con tanto di tappeti, attaccapanni, divanetto nero quasi pop e grandi vasi-lanterne surreali (?) lungo il letto d’amore, molto cataletto: ambientazione senza atmosfera, né pathos, che non si significava proprio un bel nulla di nulla. Al pari del frammento del Walpurgis, con quella carrozzetta bianca, che ricorda i servizi delle case di ringhiera milanesi da cui scendono i due protagonisti maschili, e una senescente Margherita su una specie di letto di morte sul fondo, circondata da pie donne che danno gli ultimi ritocchi alla salma appena composta. Una vera antologia di scemenze senza né capo né coda, né significato. Se Nekrosius non si fosse perso per strada, con una riorganizzazione razionale e ponderata delle sue citazioni e banalità forse anche avrebbe sortito qualcosa di meglio. Di fatto è bastata l’apparizione delle comparse al finale per far crollare il teatro dalle urla e dai fischi della gente, tanto che il regista ed i suoi non sono nemmeno usciti alla fine. In difetto di coraggio del proprio operato si dovrebbe anche rinunciare al lauto cachet!
Spettacoli come questo sono un inno ai tagli allo spettacolo, li giustificano, anzi, li rendono bene accetti. E’ anni che si sprecano i denari pubblici per assecondare follie ed assurdità registiche di ogni genere, spettacoli che finiscono presto al macero, senza lasciare ricordo di sé in nessuno del pubblico. Produzioni che dovrebbero essere fermati al momento della realizzazione delle maquettes o dei bozzetti dalle direzioni artistiche.
E’ ora di cambiare. Se non abbiamo nulla di nuovo e di sensato da dire, proseguiamo col vecchio esistente e collaudato. Diversamente, cerchiamo altre modalità dal concorso di idee, all’istituzione di formule contrattuali nuove per i registi, ad esempio vincolando la realizzazione in teatro, dopo la scrittura del regista e dello scenografo, alla presentazioni di simulazioni multimediali o simili. Aggiungo anche, al di fuori dello specifico caso di questo Faust, che è ora di togliere ai registi ogni potere di veto o clausola di gradimento sui cantanti. Ai registi deve essere tolta la moderna dittatura nella concezione degli allestimenti, perché è categoria professionale ormai inadatta ed incapace di gestire l’opera lirica, anzi .
Il tempo degli Strehler, dei Ronconi, dei Visconti, dei grandi uomini di teatro e cultura teatrale, lirica e non, è finito: non c’è più alcun upgrade, nessuna apporto di nuovo al teatro lirico da parte di questa categoria professionale, al più siamo di fronte al dejà vùe, come abbiamo ben visto con le ultime prove di Cheréau. Dunque, il teatro di regia deve diventare ciò che può realisticamente essere oggi come oggi: un caso eccezionale,un evento raro, che può aver luogo solo al cospetto di personalità particolarmente spiccate e capaci. Diversamente, si torni ad una razionalità almeno economica delle produzioni.
Il cast.
Con un cast cosi’ non si va lontani, si canta poco e male, per giunta con uno stile a dir poco discutibile.
Dal maestro Devine abbiamo avuto una buona concertazione e buoni accompagnamenti al canto, ma non certo una prova indimenticabile. Ha accompagnato abbastanza bene i cantanti, senza certe assurdità o idee campate per aria di certe bacchette di oggi, ma non ha nemmeno brillato per personalità. Sono mancati i colori forti dell’opera, ad esempio il clima misterioso e medioevale del prologo nello studio di Faust, come quello infernale della tragica scena della chiesa, o della scena popolaresca e marziale della soldataglia del IV atto. Ha saputo accompagnare le arie ( male il terzetto del IV atto tra Faust, Valentin e Mefistofele, invece, pesante e senza tensione drammatica ) ma mettendoci poco di suo: un po’ più di vigore orchestrale nel “Le veau d’or” di Mefistofele, ad esempio, o di intensità nell’”Il ne revient pas” di Margherita ( troppo lento per la Lungu ) come un po’ di brio nel valzer di Margherita non avrebbero guastato. C’era tutto, ma niente di specialmente emozionante o coinvolgente, in un’opera ricchissima di suggestioni, atmosfere, colori e climi diversi. Più volte invece ha pestato, e forte, soprattutto negli ensemble, come nella scena con Mefistofele Valentin e coro che segue il “Le veau d’or”, il valzer in chiusa del I atto. Di qui la bella sbuacchiata ad inizio V atto ed alla singola.
Sempre bravi coro ed orchestra, in sciopero col “vestiaire” per le note vicende dei tagli alla cultura. Una vera panzana giornalistica quella della contestazione al coro da parte del pubblico,come riportato da Corsera e Repubblica di oggi.
Il Faust di Marcello Giordani, contestato sonoramente alle singole e destinatario di un applauso men che di cortesia alla grande aria, è stato un’antologia di malcanto ed inadeguatezza stilistica.
Il signor Giordani pratica da anni anche il repertorio del belcanto, cimentandosi in ruoli monstre come Gualtiero del Pirata di Bellini, con una improprietà stilistica e tecnica davvero rare ed anacronistiche per l’era post belcanto renaissance. Grida, spinge, non lega, forza ogni suono con spavalderia ed arroganza vocale, grazie ad una dote eccellente ma brada, ed un gusto spesso estraneo al canto lirico di ogni epoca e scuola. Si finisce per rimpiangere non dico la grossolanità del belcanto praticato dai supereroi alla Corelli, ma addirittura quella dei Bonisolli.
Oggi le stagioni alle spalle del signor Giordani sono diventate molte, la carriera è lunga, e di spavalderia vocale manco se ne parla. La voce è diseguale, tubata, spesso rotta nel legato, spinta nelle salite all’acuto, insomma, un repertorio di problemi ed acciacchi dell’età che confliggono profondamente con i requisiti tecnici e stilistici della parte. Requisiti a cui la bacchetta non mi pare lo abbia minimamente richiamato, rammentandogli che il canto di Faust è ancora legato alla vocalità arcaica del tenore da Grand Opéra, con acuti da eseguire in falsettone e comunque con precisione e buon gusto. Nel caso di Faust il canto è, pur di scrittura centrale, caratterizzato da sfumature, emissione stilizzata, fraseggio ricco e variegato, nuances, insomma, tutto quello che il signor Giordani non ci ha fatto sentire. In un teatro a direzione artistica francese, si affida il titolo must dell’opera francese ad una bacchetta francese, e ci si ritrova davanti a questa esecuzione vocale stravolgente. Il che non è possibile. I momenti bui di questo Faust sono stati parecchi, a cominciare dalla sortita, dove ha mostrato, per via di gravità di tessitura, difficoltà a legare, suoni aperti al centro, sulla “E” in particolare, e nasalità ricorrenti; le frasi in cui si rivolge a Margherita al I atto, dopo la prima sezione del valzer, tutte con la voce indietro ed afonoide; la grande aria del II atto, dove si sono sentiti cali di intonazione evidenti dalla seconda frase, suoni tubati o indietro, acciacchi vari come sulle ripetizioni di “Que de richesse en cette pauvretè”, sino all’indescrivibile do della “presence”, che non ho capito davvero in che modo lo abbia eseguito ( un suono che pareva più un ronzìo stando in loggione..) ; i falsetti dell’incipit al duetto d’amore, “le grattate” su “eternelle..”, l’attacco indietrissimo di “ Divine pureté”..Il V atto è stato di certo la cosa migliore.
Il Mefistofele di Scandiuzzi è stato fortemente contestato dal pubblico per manifesta inferiorità vocale alla parte. Lo sentii a Roma nel 2003: era già provato vocalmente, sebbene bravo in scena. La Scala lo ha scritturato forse prima più di sette anni fa da non sapere le sue condizioni vocali ?
E’ stata prova di resistenza durissima per noi reggere le sue continue stonature, tubature, gutturalità assortite, in un canto senza legato, senza possibilità di fraseggio vero. Non mi piacciono i bassi che cantano alla Scandiuzzi, con la voce molto peciosa, bassa di posizione ed ingolata: amo quelli che cantano senza scurire artificiosamente, con emissioni “libere”, alte e morbide…..insomma, quello che non esiste più da decenni. Però questo cantante in forma era ben altra cosa da ieri sera.
Non gli bastano più la mimica scenica, il mestiere, il mettere cerotti qua e là in una organizzazione vocale tanto compromessa. Siamo oltre ogni limite .
La sua serata si stigmatizza ne “Le veau d’or”, passato sotto un silenzio di ghiaccio. I suoni fissi e calanti sono iniziati al prologo con Faust ( la direzione della scena a due era tra l’altro troppo lenta per i cantanti, ed i difetti suonavano molto amplificati..) e proseguiti all’aria del I atto, eseguita con la voce tutta sorda e “chiusa”e le stonature molto evidenti; nulla di diverso alla scena della chiesa a all’aria del IV atto ed al successivo terzetto. Non ha mai potuto nemmeno dispiegare l’antica ampiezza del suo mezzo, forse per i rischi che la scrittura piuttosto acuta comporta per evitare suoni ballanti e mal fermi tanto è che non è nemmeno riuscito a conferire al personaggio la ieraticità ed il carattere demoniaco che gli sono peculiari. Un vero disastro, che non fa certo onore alla sua lunga carriera.
Valentin era Dalibor Janis, già noto per il Posa dell’ultimo Don Carlo. Non condivido i buu a lui rivolti, perché è cantante …corretto. Nel senso che cerca di non vociferare, non foss’altro perché non ha il mezzo per farlo. Stenta però ad imporsi anche in un mezzo ruolo come questo, per via di una voce che non corre, di scarsa sonorità e morchiosa, tutta retronasale, che deve spingere spesso non appena l’orchestrale si spessisce. Sia alla sortita che all’aria ha esibito un fraseggio piatto e monotono, senza nemmeno rifugiarsi nel timbro. Insomma, un cantante senza infamia ma senza vere qualità, che fa una bella carriera nel deserto di voci baritonali di oggi.
Male Nino Surguladze. Ma male davvero. Aveva fior di voce, oggi apparentemente scomparsa, inacidita ed indurita oltre misura. Che un mezzosoprano che ha rivestito i panni della Faraona nel Moise recentissimo di Salzburg con Riccardo Muti non sia in grado di cantare correttamente l’aria di Siebel, che è passo da studente di conservatorio e da debuttante, è vergognoso. Esemplifica lo stato della lirica odierna, il rapporto tra qualità oggettiva e livello delle carriere. Ieri sera la Surguladze ha mancato dei fondamentali del canto, mostrandosi incapace di legare i suoni centrali a quei due primi acuti che la parte richiede, e senza nemmeno mettere un po’ di musicalità o di qualità di fraseggio al brano. Non pareva nemmeno la voce sentita agli Arcimboldi più volte.
Della Marta di Sylvie Brunet dirò solo che ben meno di dieci anni fa cantava niente po’ po’ di meno che l’Africaine di Meyerbeer, ed oggi eccola qui, a fare la caratterista.
Da ultima la signorina Lungu. E’ certo che questa cantante da il meglio di sé a Milano ed il peggio in trasferta. Ieri sera ha ritrovato le qualità che ci erano piaciute a suo tempo, ossia la musicalità, la capacità di mettere il personaggio nella giusta ottica, di stare in scena con eleganza, di cercare di fraseggiare con garbo risparmiandoci maniera e volgarità che tante sue colleghe coetanee sono solite praticare per farsi notare in scena e fuori. Un più costante sostegno della voce le procurerebbe un suono più alto e, per conseguenza dolcezza e penetrazione che le garantirebbero spazio proprio quale Susanna, Zerlina, Violetta, Adina e certi ruoli dell’opera francese, perché ha il gusto adatto a questo genere di ruoli.
La mancanza di proiezione della voce resta il difetto più eclatante ( il vero limite nella costruzione di un repertorio ), unitamente a certi cali di intonazione, soprattutto sui primi acuti, soprattutto nell’esecuzione delle smorzature.
Superata la scena del Sire di Thulè, di scrittura molto grave ed in cui è stata carente di volume, ma aggraziata, la Lungu si è poi disimpegnata bene, a meno di alcune fissità e note calanti. Ha dovuto spingere nel terzetto finale, il momento di certo per lei più pesante e dove è stata davvero al limite, e su certi acuti, come i si nat della scena della chiesa. Però ha cantato bene quartetto e duetto d’amore, come pure ” Il ne revient pas”. Ha dato senso al proprio fraseggio, disegnando una Margherita composta e dolce. E il crudele pubblico della Scala l’ha applaudita. Paradosso della storia: la signorina Lungu ha un singolare feeeling col loggione scaligero.....da fare invidia a Daniel Barenboim!
Gli ascolti
Charles Gounod
Faust
Atto II
O sainte medaille...Avant de quitter ces lieux - Apollo Granforte
Le veau d'or - José Mardones (1910)
Atto III
Faites lui mes aveux - Eugenia Mantelli, Frederica Von Stade (1971)
Quel trouble inconnu...Salut, demeure chaste et pure - Giuseppe Di Stefano (1949), Franco Bonisolli (1971)
Il était un Roi de Thulé...Ah! Je ris de me voir si belle - Bidù Sayao, Anna Moffo (1964)
Il se fait tard...O nuit d'amour - Eugene Conley & Victoria de los Angeles (1953), Franco Bonisolli & Raina Kabaivanska (1971)
Atto IV
Elles ne sont plus là...Il ne revient pas - Gabriella Tucci (1966)
Seigneur, daignez permettre - Félia Litvinne (1902), Gabriella Tucci & Justino Diaz (1966)
Déposons les armes...Gloire immortelle - Thomas Beecham (1943)
Atto V
Va t'en...Mon coeur est pénétré d'epouvante...Alerte, alerte - John Alexander, Gabriella Tucci & Justino Diaz (1966)
Il cast era scadente sulla carta, lo si sapeva: però il signor Nekrosius ha pensato bene di collocare gli interpreti in uno spettacolo fallimentare, e così tutto è stato assolutamente perfetto per dar luogo alle ire del pubblico.
Solo Irina Lungu è andata controcorrente, dispensando un po’ di canto, pertinenza interpretativa e grazia scenica, che le sono valsi i soli consensi unanimi di una serata disastrosa, noiosa, soprattutto e protrattasi sino a tarda ora.
Mandare in scena il Faust senza Faust e Mefistofele è impresa straordinaria per un grande teatro di nome, una vera rarità!
In primo luogo, l’allestimento. Nekrosius ha realizzato uno spettacolo che ad onta di qualche buon momento poetico, nel prologo e nel primo atto in particolare, mi sembra gli sia sfuggito presto dalle mani, vuoi per la lunghezza, vuoi per l’assenza di idee veramente originali. Il suo Medioevo di sapore nordico si è lentamente trasformato in un minestrone incontrollato ed insensato di citazioni, contaminazioni cinematografiche e pittoriche smaccate, gags dejà vùe e simboli, alcuni davvero incomprensibili, che non hanno portato alla costruzione di alcun clima, di alcuna atmosfera consona al gotico romanticismo di Gounod, perché sia ben chiaro in scena andava questo Faust e non quello Goethe, con buona pace di chi oggi dalle pagine del massimo quotidiano milanese ha, per difesa d’ufficio proposto tale assunto. Il regista si è molto concentrato sulle controscene delle comparse, angeli, creature mostruose alla Bosch, saltimbanchi, personaggi incappucciati in nero alla “Settimo sigillo” di Bergmann o alla “Nosferatu” di Kinsky. Ha, però, dimenticato quasi del tutto i movimenti delle masse e, soprattutto, privato di ogni poesia ed intensità espressiva la recitazione dei protagonisti, i due amanti in particolare. Il grottesco ed il surreale hanno caratterizzato, nei movimenti come nei costumi, tutti i protagonisti, Siebel incluso, addirittura zoppo; Faust ridotto ad un personaggio un po’ ridicolo, nel suo costume surreale tipo pigiama americano ; una Margherita anche lei prima surreale e stupida poi un po’ troppo contadina dell’Est; un Mefistofele sempre alle prese con un’asta da atletica, simbolo esagerato e poco convincente di un potere demoniaco che di demoniaco alla fine aveva ben poco, parecchio, invece, di ridicolo, tanto da assimilarlo al dottor Dulcamara, complice la recitazione e la mimica di Roberto Scandiuzzi. Alcuni momenti scenografici belli, come le carpenterie, lignee che organizzano spazi prospettici profondi e suggestivi, lungo cui si muove l’azione, i mille libri aperti a terra al prologo, simbolo del sapere di Faust, potevano anche ben funzionare se non ci fosse stata tutta quella luce “en plein air” che toglieva ogni atmosfera all’azione. Irritante, invece, l’ambientazione domestica del quartetto e del grande duetto d’amore, con tanto di tappeti, attaccapanni, divanetto nero quasi pop e grandi vasi-lanterne surreali (?) lungo il letto d’amore, molto cataletto: ambientazione senza atmosfera, né pathos, che non si significava proprio un bel nulla di nulla. Al pari del frammento del Walpurgis, con quella carrozzetta bianca, che ricorda i servizi delle case di ringhiera milanesi da cui scendono i due protagonisti maschili, e una senescente Margherita su una specie di letto di morte sul fondo, circondata da pie donne che danno gli ultimi ritocchi alla salma appena composta. Una vera antologia di scemenze senza né capo né coda, né significato. Se Nekrosius non si fosse perso per strada, con una riorganizzazione razionale e ponderata delle sue citazioni e banalità forse anche avrebbe sortito qualcosa di meglio. Di fatto è bastata l’apparizione delle comparse al finale per far crollare il teatro dalle urla e dai fischi della gente, tanto che il regista ed i suoi non sono nemmeno usciti alla fine. In difetto di coraggio del proprio operato si dovrebbe anche rinunciare al lauto cachet!
Spettacoli come questo sono un inno ai tagli allo spettacolo, li giustificano, anzi, li rendono bene accetti. E’ anni che si sprecano i denari pubblici per assecondare follie ed assurdità registiche di ogni genere, spettacoli che finiscono presto al macero, senza lasciare ricordo di sé in nessuno del pubblico. Produzioni che dovrebbero essere fermati al momento della realizzazione delle maquettes o dei bozzetti dalle direzioni artistiche.
E’ ora di cambiare. Se non abbiamo nulla di nuovo e di sensato da dire, proseguiamo col vecchio esistente e collaudato. Diversamente, cerchiamo altre modalità dal concorso di idee, all’istituzione di formule contrattuali nuove per i registi, ad esempio vincolando la realizzazione in teatro, dopo la scrittura del regista e dello scenografo, alla presentazioni di simulazioni multimediali o simili. Aggiungo anche, al di fuori dello specifico caso di questo Faust, che è ora di togliere ai registi ogni potere di veto o clausola di gradimento sui cantanti. Ai registi deve essere tolta la moderna dittatura nella concezione degli allestimenti, perché è categoria professionale ormai inadatta ed incapace di gestire l’opera lirica, anzi .
Il tempo degli Strehler, dei Ronconi, dei Visconti, dei grandi uomini di teatro e cultura teatrale, lirica e non, è finito: non c’è più alcun upgrade, nessuna apporto di nuovo al teatro lirico da parte di questa categoria professionale, al più siamo di fronte al dejà vùe, come abbiamo ben visto con le ultime prove di Cheréau. Dunque, il teatro di regia deve diventare ciò che può realisticamente essere oggi come oggi: un caso eccezionale,un evento raro, che può aver luogo solo al cospetto di personalità particolarmente spiccate e capaci. Diversamente, si torni ad una razionalità almeno economica delle produzioni.
Il cast.
Con un cast cosi’ non si va lontani, si canta poco e male, per giunta con uno stile a dir poco discutibile.
Dal maestro Devine abbiamo avuto una buona concertazione e buoni accompagnamenti al canto, ma non certo una prova indimenticabile. Ha accompagnato abbastanza bene i cantanti, senza certe assurdità o idee campate per aria di certe bacchette di oggi, ma non ha nemmeno brillato per personalità. Sono mancati i colori forti dell’opera, ad esempio il clima misterioso e medioevale del prologo nello studio di Faust, come quello infernale della tragica scena della chiesa, o della scena popolaresca e marziale della soldataglia del IV atto. Ha saputo accompagnare le arie ( male il terzetto del IV atto tra Faust, Valentin e Mefistofele, invece, pesante e senza tensione drammatica ) ma mettendoci poco di suo: un po’ più di vigore orchestrale nel “Le veau d’or” di Mefistofele, ad esempio, o di intensità nell’”Il ne revient pas” di Margherita ( troppo lento per la Lungu ) come un po’ di brio nel valzer di Margherita non avrebbero guastato. C’era tutto, ma niente di specialmente emozionante o coinvolgente, in un’opera ricchissima di suggestioni, atmosfere, colori e climi diversi. Più volte invece ha pestato, e forte, soprattutto negli ensemble, come nella scena con Mefistofele Valentin e coro che segue il “Le veau d’or”, il valzer in chiusa del I atto. Di qui la bella sbuacchiata ad inizio V atto ed alla singola.
Sempre bravi coro ed orchestra, in sciopero col “vestiaire” per le note vicende dei tagli alla cultura. Una vera panzana giornalistica quella della contestazione al coro da parte del pubblico,come riportato da Corsera e Repubblica di oggi.
Il Faust di Marcello Giordani, contestato sonoramente alle singole e destinatario di un applauso men che di cortesia alla grande aria, è stato un’antologia di malcanto ed inadeguatezza stilistica.
Il signor Giordani pratica da anni anche il repertorio del belcanto, cimentandosi in ruoli monstre come Gualtiero del Pirata di Bellini, con una improprietà stilistica e tecnica davvero rare ed anacronistiche per l’era post belcanto renaissance. Grida, spinge, non lega, forza ogni suono con spavalderia ed arroganza vocale, grazie ad una dote eccellente ma brada, ed un gusto spesso estraneo al canto lirico di ogni epoca e scuola. Si finisce per rimpiangere non dico la grossolanità del belcanto praticato dai supereroi alla Corelli, ma addirittura quella dei Bonisolli.
Oggi le stagioni alle spalle del signor Giordani sono diventate molte, la carriera è lunga, e di spavalderia vocale manco se ne parla. La voce è diseguale, tubata, spesso rotta nel legato, spinta nelle salite all’acuto, insomma, un repertorio di problemi ed acciacchi dell’età che confliggono profondamente con i requisiti tecnici e stilistici della parte. Requisiti a cui la bacchetta non mi pare lo abbia minimamente richiamato, rammentandogli che il canto di Faust è ancora legato alla vocalità arcaica del tenore da Grand Opéra, con acuti da eseguire in falsettone e comunque con precisione e buon gusto. Nel caso di Faust il canto è, pur di scrittura centrale, caratterizzato da sfumature, emissione stilizzata, fraseggio ricco e variegato, nuances, insomma, tutto quello che il signor Giordani non ci ha fatto sentire. In un teatro a direzione artistica francese, si affida il titolo must dell’opera francese ad una bacchetta francese, e ci si ritrova davanti a questa esecuzione vocale stravolgente. Il che non è possibile. I momenti bui di questo Faust sono stati parecchi, a cominciare dalla sortita, dove ha mostrato, per via di gravità di tessitura, difficoltà a legare, suoni aperti al centro, sulla “E” in particolare, e nasalità ricorrenti; le frasi in cui si rivolge a Margherita al I atto, dopo la prima sezione del valzer, tutte con la voce indietro ed afonoide; la grande aria del II atto, dove si sono sentiti cali di intonazione evidenti dalla seconda frase, suoni tubati o indietro, acciacchi vari come sulle ripetizioni di “Que de richesse en cette pauvretè”, sino all’indescrivibile do della “presence”, che non ho capito davvero in che modo lo abbia eseguito ( un suono che pareva più un ronzìo stando in loggione..) ; i falsetti dell’incipit al duetto d’amore, “le grattate” su “eternelle..”, l’attacco indietrissimo di “ Divine pureté”..Il V atto è stato di certo la cosa migliore.
Il Mefistofele di Scandiuzzi è stato fortemente contestato dal pubblico per manifesta inferiorità vocale alla parte. Lo sentii a Roma nel 2003: era già provato vocalmente, sebbene bravo in scena. La Scala lo ha scritturato forse prima più di sette anni fa da non sapere le sue condizioni vocali ?
E’ stata prova di resistenza durissima per noi reggere le sue continue stonature, tubature, gutturalità assortite, in un canto senza legato, senza possibilità di fraseggio vero. Non mi piacciono i bassi che cantano alla Scandiuzzi, con la voce molto peciosa, bassa di posizione ed ingolata: amo quelli che cantano senza scurire artificiosamente, con emissioni “libere”, alte e morbide…..insomma, quello che non esiste più da decenni. Però questo cantante in forma era ben altra cosa da ieri sera.
Non gli bastano più la mimica scenica, il mestiere, il mettere cerotti qua e là in una organizzazione vocale tanto compromessa. Siamo oltre ogni limite .
La sua serata si stigmatizza ne “Le veau d’or”, passato sotto un silenzio di ghiaccio. I suoni fissi e calanti sono iniziati al prologo con Faust ( la direzione della scena a due era tra l’altro troppo lenta per i cantanti, ed i difetti suonavano molto amplificati..) e proseguiti all’aria del I atto, eseguita con la voce tutta sorda e “chiusa”e le stonature molto evidenti; nulla di diverso alla scena della chiesa a all’aria del IV atto ed al successivo terzetto. Non ha mai potuto nemmeno dispiegare l’antica ampiezza del suo mezzo, forse per i rischi che la scrittura piuttosto acuta comporta per evitare suoni ballanti e mal fermi tanto è che non è nemmeno riuscito a conferire al personaggio la ieraticità ed il carattere demoniaco che gli sono peculiari. Un vero disastro, che non fa certo onore alla sua lunga carriera.
Valentin era Dalibor Janis, già noto per il Posa dell’ultimo Don Carlo. Non condivido i buu a lui rivolti, perché è cantante …corretto. Nel senso che cerca di non vociferare, non foss’altro perché non ha il mezzo per farlo. Stenta però ad imporsi anche in un mezzo ruolo come questo, per via di una voce che non corre, di scarsa sonorità e morchiosa, tutta retronasale, che deve spingere spesso non appena l’orchestrale si spessisce. Sia alla sortita che all’aria ha esibito un fraseggio piatto e monotono, senza nemmeno rifugiarsi nel timbro. Insomma, un cantante senza infamia ma senza vere qualità, che fa una bella carriera nel deserto di voci baritonali di oggi.
Male Nino Surguladze. Ma male davvero. Aveva fior di voce, oggi apparentemente scomparsa, inacidita ed indurita oltre misura. Che un mezzosoprano che ha rivestito i panni della Faraona nel Moise recentissimo di Salzburg con Riccardo Muti non sia in grado di cantare correttamente l’aria di Siebel, che è passo da studente di conservatorio e da debuttante, è vergognoso. Esemplifica lo stato della lirica odierna, il rapporto tra qualità oggettiva e livello delle carriere. Ieri sera la Surguladze ha mancato dei fondamentali del canto, mostrandosi incapace di legare i suoni centrali a quei due primi acuti che la parte richiede, e senza nemmeno mettere un po’ di musicalità o di qualità di fraseggio al brano. Non pareva nemmeno la voce sentita agli Arcimboldi più volte.
Della Marta di Sylvie Brunet dirò solo che ben meno di dieci anni fa cantava niente po’ po’ di meno che l’Africaine di Meyerbeer, ed oggi eccola qui, a fare la caratterista.
Da ultima la signorina Lungu. E’ certo che questa cantante da il meglio di sé a Milano ed il peggio in trasferta. Ieri sera ha ritrovato le qualità che ci erano piaciute a suo tempo, ossia la musicalità, la capacità di mettere il personaggio nella giusta ottica, di stare in scena con eleganza, di cercare di fraseggiare con garbo risparmiandoci maniera e volgarità che tante sue colleghe coetanee sono solite praticare per farsi notare in scena e fuori. Un più costante sostegno della voce le procurerebbe un suono più alto e, per conseguenza dolcezza e penetrazione che le garantirebbero spazio proprio quale Susanna, Zerlina, Violetta, Adina e certi ruoli dell’opera francese, perché ha il gusto adatto a questo genere di ruoli.
La mancanza di proiezione della voce resta il difetto più eclatante ( il vero limite nella costruzione di un repertorio ), unitamente a certi cali di intonazione, soprattutto sui primi acuti, soprattutto nell’esecuzione delle smorzature.
Superata la scena del Sire di Thulè, di scrittura molto grave ed in cui è stata carente di volume, ma aggraziata, la Lungu si è poi disimpegnata bene, a meno di alcune fissità e note calanti. Ha dovuto spingere nel terzetto finale, il momento di certo per lei più pesante e dove è stata davvero al limite, e su certi acuti, come i si nat della scena della chiesa. Però ha cantato bene quartetto e duetto d’amore, come pure ” Il ne revient pas”. Ha dato senso al proprio fraseggio, disegnando una Margherita composta e dolce. E il crudele pubblico della Scala l’ha applaudita. Paradosso della storia: la signorina Lungu ha un singolare feeeling col loggione scaligero.....da fare invidia a Daniel Barenboim!
Gli ascolti
Charles Gounod
Faust
Atto II
O sainte medaille...Avant de quitter ces lieux - Apollo Granforte
Le veau d'or - José Mardones (1910)
Atto III
Faites lui mes aveux - Eugenia Mantelli, Frederica Von Stade (1971)
Quel trouble inconnu...Salut, demeure chaste et pure - Giuseppe Di Stefano (1949), Franco Bonisolli (1971)
Il était un Roi de Thulé...Ah! Je ris de me voir si belle - Bidù Sayao, Anna Moffo (1964)
Il se fait tard...O nuit d'amour - Eugene Conley & Victoria de los Angeles (1953), Franco Bonisolli & Raina Kabaivanska (1971)
Atto IV
Elles ne sont plus là...Il ne revient pas - Gabriella Tucci (1966)
Seigneur, daignez permettre - Félia Litvinne (1902), Gabriella Tucci & Justino Diaz (1966)
Déposons les armes...Gloire immortelle - Thomas Beecham (1943)
Atto V
Va t'en...Mon coeur est pénétré d'epouvante...Alerte, alerte - John Alexander, Gabriella Tucci & Justino Diaz (1966)
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L'ultima volta, in piena era Muti agirono Sabbatini, Gallardo-Domas, Ramey, Chaignaud, Beronesi diretti da Fournillier con la regia di Montresor... e il tutto a leggere le recensioni del '97 piacque. Ah il passato perchè perchè v'accusa...
Ora, invece di chiamare Nekrosius (orrido il ricordo del "Macbeth" fiorentino), perchè non noleggiare uno spettacolo come quello di McVicar?
Perchè non riproporre al limite quello di Montresor?
Avrebbero risparmiato un bel po'!
Perchè al posto di Giordani non hanno chiamato un buon tenore come Beczala? Perchè invece di farlo debuttare in un francamente scialbo Wotan non scritturare Pape per Mefistofele, oppure Kwangchul Youn? Perchè riproporre Dalibor Jenis di cui francamente non sentivamo la necessità?
Lissner sembra avere ottimo fiuto nell'assemblare cast negativamente sbalorditivi...
Perchè?
Marianne Brandt
nooooooooooo!!!!!!!! Pape no. Già è mediocre in wagner,mettiamolo in Faust e chissà che pena. E noia!
Tutti, tutti pur di evitar Scandiuzzi ed il "malditeatro" :-D
Che noia, che barba! Che barba che noia!
Marianne Brandt
Vorrei ringraziarla per quella viva attenzione che lei mi sta prestando nella sua rubrica. Nonostante che ogni tanto mi tocca di cantare le parti di seconda o terza importanza, la sua critica non mi trascura mai e lei mi dedica un notevole posto - ciò non ha fatto prima nessun critico.
Questo mi fa pensare che lei spiritualmente condivide con me tutte le mie esibizioni e ci tenete molto il progredimento della mia carriera. Io non percepisco il suo sguardo critico quale antipatia personale, sebbene a volte lo sembri. Al contrario, io ne traggo delle conclusioni importantissimi, il che mi da un ulteriore stimolo per l'attività ventura.
Continuo a seguire attentamente alle sue pubblicazioni e la ringrazio ancora una volta per il suo atteggiamento verso di me altroché indifferente.
Con i più distinti saluti
Nino Surguladze
Gentile sig. Surguladze,
Lei offre con questo messaggio una lezione di stile a qualche suo collega che ci ha fatto oggetto in passato di lettere private, contenenti blandizie, inviti omaggio, minacce,insulti misti ,insomma....un "repertorio" di comportamenti dal divertente allo scellerato.Di nascosto, naturalmente!
Per parte nostra, ci spiace di quanto abbiamo dovuto scriverle di recente, e del fatto di non avere avuto il blog all'epoca delle sue belle prove agli Arcimboldi, in Moise e Contes, da noi apprezzate pubblicamente ed applaudite.
E ci spiace che lei, come già altre accademiche della Scala, siate apparse qui a Milano mostrando qualità promettenti per poi ritrovarvi con vario genere di difficoltà nel corso della carriera.Potrei fare i nomi della sua connazionale Machaidze, della stessa Lungu, della Raveli etc....tutte talentuose, ma.....sempre con quel ma di troppo..che noi purtroppo sentiamo.
Che lei canti Siebel può essere benissimo,anche dopo essere stata primadonna a Salzburg. Anzi. Ma avrei voluto un "cameo" di grande smalto, e con la sua voce, quella da mezzo che ci fece sentire ad inizio attività. L'altra sera non ho riconosciuto nè la voce ( il che non srebbe un problema se lei si fosse trasformata davvero in un soprano...) nè il modo di cantare del mezzosoprano degli Arcimboldi. Purtroppo.
Per parte nostra, siamo notoriamente terribili flagellatori di cantanti, ma anche i primi a sottolineare miglioramenti o riprese quando queste effettivamente ci sono. Non siamo nè fan nè nemici di nessuno: ci piace il CANTO. E basta.
Mi conforta sapere che lei non ci ritiene "cattivi", perchè, in fondo, sarebbe come se noi pensassimo che quando un cantante canta male lo fa per cattiveria verso le nostre orecchie.
Noi speriamo che Lei ritrovi presto il bandolo della matassa della sua voce....che è poi quello che vorremmo sempre da qualunque cantante noi si faccia oggetto di critica.
La ringrazio ancora della sua attenzione per questo giornalino melomane, e le auguro di ritrovarsi presto in forma come l'ho sentita la prima volta.
cordialmente
gg
Salve!
Avendo lavorato molto recentemente con Nino Surguladze, mi permetto di dissentire dai giudizi espressi nelle critiche per non essendo stato presente alla recita di Faust suddetta. Lo faccio perche' mi pare impossibile che in poche settimane un cantante si possa trasformare cosi'.
La voce della Surguladze e' in ottimo stato ed e' incredibilmente bilanciata tra registro grave ed acuto. La sua tecnica le permette di fraseggiare ed articolare in modo superbo. Non dimenticherei le qualita' sceniche che sono notevoli. Ma anche il timbro mezzosopranile, raffinato, vellutato e "rotondo' (d'altronde Siebel deve essere un mezzosoprano con queste caratteristiche e non un soprano). Musicalita' e precisione sono sicuramente nel suo DNA, non per niente il Maestro Muti e' sempre ben felice di invitarla nelle sue produzioni (e diciamo che il Maestro non e' proprio l'ultimo venuto!).
Quindi direi che la promessa Surguladze, proveniente dall'Accademia dell Scala, sta compiendo un carriera piena di successi internazionali e mantenendo le attese. Lo stesso vale per altri giovani provenienti dalla stessa Accademia.
Distinti saluti
GM
....eh. A seconda delle orecchie di ognuno di noi.
Mi permetto di ricordarti che le Carmen della signora non sono molto piaciute a noi soli.....a Macerata non c'eravamo eppure non è piaciuta nemmeno lì.
Cmq le ragioni tecniche ci sono, e ben precise.Se vuoi ne possiamo parlare qui insieme: siamo disponbili.
Quanto alle altre accademiche-i, non andiamo oltre che è storia ben nota a Milano e non solo.
Col W TUTTI, BRAVI TUTTI assai poco si canta, ed è un peccato perchè le doti si sprecano in questo modo.
Da come ha catato l'altra sera, no mipare che lasignora NS abbia prospettive di lunga carriera. Purtroppo.
saluti
g
Sono naturalmente piu' disponibile ad un confronto tecnico. E concordo sul fatoo che il W Tutti, Bravi Tutti non aiuti. Non sono mai stato un fan di tale approccio.
Le mie note tecniche sulle qualita' vocali ed artistiche della Surguladze si basano su esperienze dirette sul lavoro (recente).Mi permetto comunque di dissentire sulle prospettive di carriera visti i feedback di importanti teatri ed addetti ai lavori dei quali sono a conoscenza.
Rimango convinto del fatto che avrete modo di apprezzare Nino cosi' come io e molti altri la apprezzano e sono pronto a discutere ogni a critica a suo riguardo qui.
Cari saluti
GL
Ok, Gianluca( M sta forse per Macheda??? ).
Allora, facciamo così.
Se volete un confronto pubblico, ci troviamo qui domani sera,e parleremo con degli audio che linkeremo ( domani siamo via per lavoro...abbi pazienza )per argomentare.
Se invece preferite parlarne in privato, contattami sulla mail del mionick, e lo faremo in privato.
cordialmente
g
No, non sono Macheda. Non faccio l'agente, ma il direttore d'orchestra. Saro' felice di ascoltare gli audio e di commentare insieme. Sono contento di parlarne pubblicamente
A presto
Gianluca
...accertati che anche la signora ne sia contenta....eh!...perchè poi sembra un accanimento verso di lei..il che non è.
...e scrivi anche il tuo nome per esteso..no?
Caro Maestro,la ringrazio per la sua gentilezza e per l'attestati di stima! interessante idea dell ascolto di Faust, ma Ritengo comunque di aver gia detto tutto nella mia lettera inviata precedentemente.
Gentile sig. G.G.
grazie per la sua risposta, spero di fare il meglio di me stessa.
Distinti saluti
Nino SURGULADZE
P.S. e di non
cantare male per cattiveria verso le vostre orecchie :)
Cara Sig.na Surguladze,
io mi scuso per la mia intromissione in questa discussione. La mia e' stata una reazione istintiva nell'aver trovato questa critica durante un mio viaggio da "internauta".
Non era mia intenzione fare polemiche e ringrazio per lo spazio concesso da questo blog alla mia opinione.
Distinti saluti
Mi fa piacere che non si sia aperta questa specifica discussione su una cantante che non è un caso speciale ma, direi, un caso normale e qualunque nella lirica odierna. La voce fuor di posto è cosa comune, sono eccezioni rarissime quelle in ordine.
Al maestro M(artinenghi?) va una considerazione irrinunciable aquesto punto: lei allestisce e noi assistiamo, con le conseguenze del caso.
E' doveroso ricordare che il mezzosoprano dalla voce rotonda per nullasopranile cui lei fa riferimento come ideale Sibel all'epoca di Gounod stava all'Operà ed indossava i panni di Fides o Azucena. LE cantanti nominalmente mezzosoprani che cantavano Siebel stavano invece all'Operà COmique per la quale il FAust è nato, cantavano CArmen e Mignon versione Op.Comique. E di Fides et consimilia nonsi occupavano.Prorpio per queste caratteristiche frequentemente Siebel, come Carmen e Mignon, finì affidato spesso a soprani. Le cito solo Rosetta Pamapanini, debuttante in questo ruolo.
Francamente,non se ne abbia a male, ciò che lei afferma sulla cantante in oggetto sarebbe facilemnte smentibile, e non solo per la prova dell'altra sera. E qui mi fermo per la sign.S, ma sono convinta che di siffatti misunderstanding vocali voi, direttori e direttori artistici, ne compiate quotidianamente tanti, tantissimi.Diversamente non verseremmo nello stato ( pietoso ) in cui siamo.
Non è possibile, e non mi rivolgo a Lei solo, sia chiaro, ma anche ai suoi colleghi, che i melomani sappiano ancor prima dell'andata in scena, cosa si udrà in teatro, e che possano rimarcare gli strafalcioni nei cast più degli addetti ai lavori.
Mi fa piacere che lei sia venuto qui apertamente ( più o meno..), ma non dovreste venire per difendere tizio o caio, o per leggere le nostre critiche, ma per dialoghi di diverso contenuto....vociomane, se vuole, ma è prorpio la cultura delle voci che a voi manca.
Direttori come Serafin, Votto, Bonynge erano in primis vociomani..magari non bacchette geniali, certo.Però mai come oggi serve il direttore per le voci: andate in scena senza cantanti, fate stagioni nella più totale carestia. Mi scusi se insisto, ma dovete ripartire dal canto, e dall'esatta valutazione e cognizione di chi avete di fronte se desiderate che l'opera sopravviva.Il nostro sito, con i suoi audio di confronto, sta cercando di stimolare questo: la riflessione sul canto, indispensabile per rappresentare l'opera.
cordialmente
g
in un altro post avevo scritto che un artista deve vedere una critica negativa non come un offesa,o una cattiveria,ma uno stimolo a studiare,e migliorare affichè un giudizio critico negativo possa diventare positivo,e la sig.Nino Surguladze ne ha dato un esempio nel suo messaggio.
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