Il 14 settembre del 1760, nasceva a Firenze Luigi Cherubini. Oggi, 250 anni dopo, nessuno pare essersi accorto dell’importante ricorrenza. Dopo aver letto le stagioni prossime venture delle massime istituzioni musicali italiane ed europee e sfogliando le più importanti riviste del settore (o navigando in rete, tra i più “autorevoli” siti web e forum dedicati alla musica operistica e al teatro), appare chiaro come gli “addetti ai lavori” – sovrintendenti, direttori artistici, critici musicali, musicisti più o meno blasonati, registi à la page, responsabili di case discografiche etc.. – si siano dimenticati di Cherubini. Unica eccezione il Circuito Lirico Lombardo, che propone una Medea che parrebbe vecchio stile, con cast non certo di primo piano e con i recitativi spuri di Lachner: forse ancora la Medea della Callas, che nulla o quasi c’entra con l’originale cherubiniano? Certo non basta questa “foglia di fico” a giustificare chi avrebbe dovuto dare maggior risalto al compositore fiorentino. Forse troppo impegnati a litigarsi gli scarsi finanziamenti statali (e a cercare soluzioni tanto bizantine quanto improbabili per far sì che i loro ricchi privilegi vengano conservati e, se possibile, incrementati), forse distratti dai tanti centenari e bicentenari che negli ultimi tempi hanno condizionato le programmazioni dei nostri teatri, o forse perché, più semplicemente, hanno saltato la lettera C della Garzantina con cui cercano invano di supplire a lacune imperdonabili (non si capirebbe, altrimenti, la scarsa originalità di stagioni che si susseguono e si ripetono, con gli stessi titoli, “dalle alpi alle piramidi”), fatto sta che i nostri teatri d’opera preferiscono celebrare Chopin, Mahler, Schumann (e ci mancherebbe: anche se le stagioni sinfoniche offerte ultimamente sono di livello così basso che tali omaggi, assomigliano in modo preoccupante a veri e propri insulti) e ignorare il grande Cherubini.
Già, perché Luigi Cherubini fu un grande, grandissimo compositore. Ritenuto un esempio dai suoi contemporanei per l’altissimo magistero tecnico e per la profondità e l’intrinseca bellezza dell’invenzione musicale (pubblicò, verso la fine della carriera, un importante trattato di contrappunto, in uso per decenni nei conservatori francesi e italiani), ammirato da Weber, Schumann, Brahms e Wagner, nonché da Beethoven (il cui Fidelio, e non solo, è tanto debitore dell’ispirazione cherubiniana: basta ascoltare l’Ouverture di Médée), amico di Haydn (che lo volle a Vienna), Rossini e Chopin, scrisse più di trenta opere (ingiustamente dimenticate) e poi una sinfonia (che fa rimpiangere il fatto di non averne composte altre), musica da camera di eccellente fattura, sonate per pianoforte (che anticipano quelle beethoveniane nel superamento dei canoni formali del classicismo), musica sacra (il suo Requiem in Do minore fu preso a modello di perfezione dallo stesso Beethoven, da Brahms e da Schumann). Lasciata la nativa Firenze si stabilì a Parigi (salvo una breve parentesi viennese), dove scrisse i suoi più alti capolavori, passando indenne dalla Rivoluzione all’Impero fino alla Restaurazione (non senza difficoltà: la sua musica risultava troppo complicata per Napoleone, che infatti non nascose mai la sua insofferenza verso il compositore – complice, forse, un’antipatia personale, che lo portò a preferire il più accademico Spontini, quale cantore dei suoi trionfi). Ottenne le più alte onorificenze francesi, tra cui spicca la Legion d’Onore (prima Cavaliere e poi Commendatore), e fu Accademico di Francia e direttore del Conservatorio di Parigi. Autore di quella Médée che Brahms definì “vetta suprema della musica drammatica” (e che sarà oggetto della “seconda puntata” di questo omaggio a Cherubini) e di tanti altri titoli su cui varrebbe la pena soffermarsi: ne cito solo alcuni. Dopo il deludente Démophoon (1788) – il suo esordio all’Opéra di Parigi, in cui accanto agli evidenti modelli gluckiani si fa strada un nuovo gusto per la monumentalità e la costruzione sinfonica (derivata dalle influenze tedesche) – Lodoiska (1791), al Théatre Feydeau, primo grande successo: opéra à sauvetage (come il Fidelio) che abbandona il classicismo e l’essenzialità gluckiana, per un trattamento del tutto nuovo della materia orchestrale, che diviene ardita, complessa, elaborata, sul modello di Haydn e del prediletto Mozart, ma ricca, anche, di suggestioni preromantiche (si ascolti la splendida Ouverture). La complessità sinfonica è inusuale per la musica francese e italiana dell’epoca, e trova riscontro solo nella raffinata scuola strumentale austro-tedesca. La voce diviene parte della costruzione musicale, non più terreno di mero esibizionismo canoro, e, come nelle più alte creazioni mozartiane, tutto è funzionale alla ricerca di tensione espressiva. Eliza, ou le voyage aux glaciers du Mont Saint Bernard (1794), con la sua ambientazione montana, tra i ghiacciai delle Alpi, che avrà tanto successo nella successiva stagione del melodramma. Les deux journées, ou le porteur de l'eau (1800): opera di robusta costruzione sinfonica, ricca ed elaborata, che rinuncia scientemente ai brani solistici (solo due) a favore di una sempre maggior fusione tra orchestra e canto (anche attraverso un uso innovativo dei temi ricorrenti, anticipatori di quelli wagneriani: che, giova ripeterlo, non inventò nulla di totalmente nuovo), oggi del tutto ignota, ma all’epoca fu il più grande successo dell’autore (più di 200 repliche il primo allestimento) e venne esaltata da Beethoven, Weber, Mendelssohn (che non era certo facile all’elogio), persino dal grande Goethe. E dopo Anacréon, ou l'amour fugitif (1803), un’opéra-ballet dalla sofisticata trama orchestrale e Faniska (1806), composta per Vienna, forse la sua partitura più elaborata, tanto che Weber la definì “una splendida sinfonia con canto, più che un’opera drammatica”, Les Abéncerages, ou l'étendard de Grenade (1813): grandiosa tragédie-lyrique – eseguita all’Opéra di fronte a Napoleone in persona – tratta dal romanzo di Chateaubriand, ricca ed elaborata, dalle evidenti anticipazioni romantiche (Berlioz ne fu ammiratore entusiasta, così come il sempre schizzinoso Mendelsshon) e dalla felicissima invenzione melodica. Infine Ali Baba, ou les quarante voleurs (1833) di argomento esotico e dall’innovativa scrittura tendente a eliminare i confini tra recitativo e arioso (alternata ad un trattamento belcantista della vocalità) e ad una struttura imponente (con cori, balli, complessi concertati). Una figura di primissimo piano di cui oggi pare essersi persa ogni memoria. Doveroso quindi, sarebbe stato l’omaggio al suo genio, invece nessuno ha voluto o saputo ricordarsene. Non le istituzioni musicali, né la critica più impegnata, tanto solerte ad attribuire allori ed eccellenze a taluni (funzionali alle solite imposizioni culturali che pretendono di colonizzarci - con la scusa di sprovincializzarci - a suon di Britten e Janacek, molto più chic alle orecchie foderate di wagnerismo di risulta dei nostri isterici compilatori, malati di esterofilia e complessi d'inferiorità, e saldamente ancorati a ideologie nate vecchie e ora decrepite, ma da loro proposte come novità sensazionali), né il variegato mondo degli appassionati d’opera che su riviste, siti web, forum e blog preferisce cincischiarsi in scaramucce parasindacali in merito ai tagli dei finanziamenti statali, o a fare da cassa di risonanza mediatica a questo o quell'artista (in una sorta di pubblicità più o meno occulta), o ad assumersi l'incarico di cane da guardia del proprio beniamino (stanando in ogni piega della rete, critiche e dissenso: così da poterlo eliminare in modo da lasciare immacolata la reputazione artistica del proprio datore di lavoro), o a bearsi in mitologie di novelle età dell’oro che starebbe vivendo oggi il mondo dell’opera (e di cui nessuno pare essersene reso conto) tacciando per bieco passatismo ogni opinione contraria, o votarsi a culti vedovili di ogni risma, non curandosi di sfiorare spesso il ridicolo o il patetico. E dunque non c’è traccia di Cherubini nelle prossime stagioni della sua nativa Firenze (e neppure il Maggio Musicale – divenuto ormai il giocattolo di Mehta – gli dedica alcuna attenzione); non ce n’è traccia a Parigi, salvo una Lodoiska baroccara in forma di concerto: è incomprensibile che l’Opéra non riservi un po’ di spazio ad uno dei compositori che più di tanti altri ha contribuito alla nascita della musica francese; neppure Vienna se ne ricorda. Ma la dimenticanza più grave è quella del Teatro alla Scala: il massimo teatro italiano, che avrebbe il dovere di valorizzare e celebrare uno dei più alti esponenti della cultura musicale nazionale, continua a ignorare Cherubini. Certo è difficile allestire oggi un’opera di Cherubini, soprattutto a Milano. E i motivi sono più che altro extra musicali. Vero: lo sforzo richiesto all’orchestra è notevole (le sue partiture sono più elaborate delle sinfonie di Beethoven), così come quello richiesto al coro e al corpo di ballo (sono tutte opere di impianto grandioso, che richiedono imponenti messinscene), e anche ai cantanti è richiesta una inusitata prova di resistenza (la linea vocale insiste sulle parti più scomode della tessitura, ed è spesso massacrante per lunghezza e intensità, chiamata a superare un ordito orchestrale fitto e complesso, in recitativi martellanti e ariosi drammatici, concedendo ben poco all’esibizione solistica). Tuttavia non tanto in questi indubbi fattori di difficoltà risiedono oggi le motivazioni per la prudenza eccessiva con cui vengono allestiti lavori di Cherubini. E neppure la rarità del titolo gioca un ruolo determinante (molti teatri e festival propongono opere semisconosciute o poco note al pubblico, senza nessun problema). No, gli ostacoli più grossi sono extra musicali. Alla Scala, di fatto, si aggira per i loggioni un fantasma, uno spettro, che suscita timori, tremori e fanatismi e che impedisce, ancora oggi, di proporre certi titoli. Il fantasma della Callas, che il culto vedovile di talune vestali del loggione scaligero ha assurto a idolo a cui sacrificare pure il buon senso, rende difficile il ritorno di certe opere. E’ successo con Traviata (quando venne fischiata una delle più belle direzioni di Karajan per la sola assenza della divina), e succede con Norma e con Medea. Infatti, aldilà dei risultati artistici della cantante greca (su cui tanto vi sarebbe da dire e ridimensionare: in particolare negli anni della Scala, proprio quelli mitizzati dai tanti/troppi vedovi), pare che una schiera di intransigenti adepti ritenga certi ruoli morti con la morte della Signora Meneghini. Il sol fatto di proporli significa bestemmia o eresia, da punire con fischi “a prescindere” e sceneggiate di arte varia. Tale delirio, che può apparire suggestivo nei racconti di chi ha vissuto quegli anni (anche se da prendere sempre col beneficio d’inventario) appare oggi propaggine ridicola del tempo che fu: un marchio, un simbolo come la Coca Cola, che taluno si picca di rinverdire. E questo, ripeto, aldilà degli effettivi esiti artistici della parabola callasiana, grande, grandissima cantante, ma non certo “buona per tutte le stagioni”. Ma la Medea della Callas – o meglio quel che rimaneva di Medea nell’interpretazione callasiana – verrà analizzata a tempo debito. Resta il fatto che il capolavoro di Cherubini, a causa di vedovanze, senili o adolescenziali, resta un tabù nella sala del Piermarini. Ci ha provato Muti, coraggiosamente (gliene va dato atto, a prescindere dai risultati interlocutori): prima con Gluck per creare il clima culturale, poi con Lodoiska (timido tentativo d’avvicinamento) e con La Vestale di Spontini (cercando di spezzare la maledizione callasiana e i conseguenti veti, sia pure in un ruolo meno sintomatico); mancò il traguardo di Médée – perchè giustamente Muti non avrebbe mai riproposto quel guazzabuglio della Medea del 1909 – come mancò Norma. E non solo per penuria di interpreti. Oggi, 250 anni dopo la nascita di Cherubini, nessuno è in grado o ha la lungimiranza e il coraggio, di riflettere su quel repertorio, di celebrare quel genio, che tanta ammirazione suscitò nei massimi compositori europei. Oggi si guarda ancora con sospetto o con sufficienza a Cherubini, liquidandolo come un prodotto minore, di pura accademia, che, non fosse stato per la Callas, sarebbe dovuto sparire. Eppure, prima della nascita di certi culti, veniva eseguito con notevoli sforzi produttivi (e con esiti eccellenti), penso a Les Abencerages diretti da Giulini al Maggio Musicale Fiorentino del 1956 (riproposti poi 20 anni dopo da Peter Maag, finalmente in lingua originale), Les Deux Journées diretta nel 1947 da Beecham o lo splendido Ali Baba del ’63, diretto da Sanzogno, con Kraus, Ganzarolli e la Stich-Randall. Una rimozione stupida e ingiusta secondo me, che continuo a pensare come l’opinione di Beethoven, Mendelssohn, Brahms, Schumann, Berlioz, Wagner, Haydn, Chopin, Rossini etc...valga ben di più degli strepiti preconcetti dei vecchi e nuovi vedovi “della Maria”...anche se, ne convengo, sono ben più rumorosi!
Già, perché Luigi Cherubini fu un grande, grandissimo compositore. Ritenuto un esempio dai suoi contemporanei per l’altissimo magistero tecnico e per la profondità e l’intrinseca bellezza dell’invenzione musicale (pubblicò, verso la fine della carriera, un importante trattato di contrappunto, in uso per decenni nei conservatori francesi e italiani), ammirato da Weber, Schumann, Brahms e Wagner, nonché da Beethoven (il cui Fidelio, e non solo, è tanto debitore dell’ispirazione cherubiniana: basta ascoltare l’Ouverture di Médée), amico di Haydn (che lo volle a Vienna), Rossini e Chopin, scrisse più di trenta opere (ingiustamente dimenticate) e poi una sinfonia (che fa rimpiangere il fatto di non averne composte altre), musica da camera di eccellente fattura, sonate per pianoforte (che anticipano quelle beethoveniane nel superamento dei canoni formali del classicismo), musica sacra (il suo Requiem in Do minore fu preso a modello di perfezione dallo stesso Beethoven, da Brahms e da Schumann). Lasciata la nativa Firenze si stabilì a Parigi (salvo una breve parentesi viennese), dove scrisse i suoi più alti capolavori, passando indenne dalla Rivoluzione all’Impero fino alla Restaurazione (non senza difficoltà: la sua musica risultava troppo complicata per Napoleone, che infatti non nascose mai la sua insofferenza verso il compositore – complice, forse, un’antipatia personale, che lo portò a preferire il più accademico Spontini, quale cantore dei suoi trionfi). Ottenne le più alte onorificenze francesi, tra cui spicca la Legion d’Onore (prima Cavaliere e poi Commendatore), e fu Accademico di Francia e direttore del Conservatorio di Parigi. Autore di quella Médée che Brahms definì “vetta suprema della musica drammatica” (e che sarà oggetto della “seconda puntata” di questo omaggio a Cherubini) e di tanti altri titoli su cui varrebbe la pena soffermarsi: ne cito solo alcuni. Dopo il deludente Démophoon (1788) – il suo esordio all’Opéra di Parigi, in cui accanto agli evidenti modelli gluckiani si fa strada un nuovo gusto per la monumentalità e la costruzione sinfonica (derivata dalle influenze tedesche) – Lodoiska (1791), al Théatre Feydeau, primo grande successo: opéra à sauvetage (come il Fidelio) che abbandona il classicismo e l’essenzialità gluckiana, per un trattamento del tutto nuovo della materia orchestrale, che diviene ardita, complessa, elaborata, sul modello di Haydn e del prediletto Mozart, ma ricca, anche, di suggestioni preromantiche (si ascolti la splendida Ouverture). La complessità sinfonica è inusuale per la musica francese e italiana dell’epoca, e trova riscontro solo nella raffinata scuola strumentale austro-tedesca. La voce diviene parte della costruzione musicale, non più terreno di mero esibizionismo canoro, e, come nelle più alte creazioni mozartiane, tutto è funzionale alla ricerca di tensione espressiva. Eliza, ou le voyage aux glaciers du Mont Saint Bernard (1794), con la sua ambientazione montana, tra i ghiacciai delle Alpi, che avrà tanto successo nella successiva stagione del melodramma. Les deux journées, ou le porteur de l'eau (1800): opera di robusta costruzione sinfonica, ricca ed elaborata, che rinuncia scientemente ai brani solistici (solo due) a favore di una sempre maggior fusione tra orchestra e canto (anche attraverso un uso innovativo dei temi ricorrenti, anticipatori di quelli wagneriani: che, giova ripeterlo, non inventò nulla di totalmente nuovo), oggi del tutto ignota, ma all’epoca fu il più grande successo dell’autore (più di 200 repliche il primo allestimento) e venne esaltata da Beethoven, Weber, Mendelssohn (che non era certo facile all’elogio), persino dal grande Goethe. E dopo Anacréon, ou l'amour fugitif (1803), un’opéra-ballet dalla sofisticata trama orchestrale e Faniska (1806), composta per Vienna, forse la sua partitura più elaborata, tanto che Weber la definì “una splendida sinfonia con canto, più che un’opera drammatica”, Les Abéncerages, ou l'étendard de Grenade (1813): grandiosa tragédie-lyrique – eseguita all’Opéra di fronte a Napoleone in persona – tratta dal romanzo di Chateaubriand, ricca ed elaborata, dalle evidenti anticipazioni romantiche (Berlioz ne fu ammiratore entusiasta, così come il sempre schizzinoso Mendelsshon) e dalla felicissima invenzione melodica. Infine Ali Baba, ou les quarante voleurs (1833) di argomento esotico e dall’innovativa scrittura tendente a eliminare i confini tra recitativo e arioso (alternata ad un trattamento belcantista della vocalità) e ad una struttura imponente (con cori, balli, complessi concertati). Una figura di primissimo piano di cui oggi pare essersi persa ogni memoria. Doveroso quindi, sarebbe stato l’omaggio al suo genio, invece nessuno ha voluto o saputo ricordarsene. Non le istituzioni musicali, né la critica più impegnata, tanto solerte ad attribuire allori ed eccellenze a taluni (funzionali alle solite imposizioni culturali che pretendono di colonizzarci - con la scusa di sprovincializzarci - a suon di Britten e Janacek, molto più chic alle orecchie foderate di wagnerismo di risulta dei nostri isterici compilatori, malati di esterofilia e complessi d'inferiorità, e saldamente ancorati a ideologie nate vecchie e ora decrepite, ma da loro proposte come novità sensazionali), né il variegato mondo degli appassionati d’opera che su riviste, siti web, forum e blog preferisce cincischiarsi in scaramucce parasindacali in merito ai tagli dei finanziamenti statali, o a fare da cassa di risonanza mediatica a questo o quell'artista (in una sorta di pubblicità più o meno occulta), o ad assumersi l'incarico di cane da guardia del proprio beniamino (stanando in ogni piega della rete, critiche e dissenso: così da poterlo eliminare in modo da lasciare immacolata la reputazione artistica del proprio datore di lavoro), o a bearsi in mitologie di novelle età dell’oro che starebbe vivendo oggi il mondo dell’opera (e di cui nessuno pare essersene reso conto) tacciando per bieco passatismo ogni opinione contraria, o votarsi a culti vedovili di ogni risma, non curandosi di sfiorare spesso il ridicolo o il patetico. E dunque non c’è traccia di Cherubini nelle prossime stagioni della sua nativa Firenze (e neppure il Maggio Musicale – divenuto ormai il giocattolo di Mehta – gli dedica alcuna attenzione); non ce n’è traccia a Parigi, salvo una Lodoiska baroccara in forma di concerto: è incomprensibile che l’Opéra non riservi un po’ di spazio ad uno dei compositori che più di tanti altri ha contribuito alla nascita della musica francese; neppure Vienna se ne ricorda. Ma la dimenticanza più grave è quella del Teatro alla Scala: il massimo teatro italiano, che avrebbe il dovere di valorizzare e celebrare uno dei più alti esponenti della cultura musicale nazionale, continua a ignorare Cherubini. Certo è difficile allestire oggi un’opera di Cherubini, soprattutto a Milano. E i motivi sono più che altro extra musicali. Vero: lo sforzo richiesto all’orchestra è notevole (le sue partiture sono più elaborate delle sinfonie di Beethoven), così come quello richiesto al coro e al corpo di ballo (sono tutte opere di impianto grandioso, che richiedono imponenti messinscene), e anche ai cantanti è richiesta una inusitata prova di resistenza (la linea vocale insiste sulle parti più scomode della tessitura, ed è spesso massacrante per lunghezza e intensità, chiamata a superare un ordito orchestrale fitto e complesso, in recitativi martellanti e ariosi drammatici, concedendo ben poco all’esibizione solistica). Tuttavia non tanto in questi indubbi fattori di difficoltà risiedono oggi le motivazioni per la prudenza eccessiva con cui vengono allestiti lavori di Cherubini. E neppure la rarità del titolo gioca un ruolo determinante (molti teatri e festival propongono opere semisconosciute o poco note al pubblico, senza nessun problema). No, gli ostacoli più grossi sono extra musicali. Alla Scala, di fatto, si aggira per i loggioni un fantasma, uno spettro, che suscita timori, tremori e fanatismi e che impedisce, ancora oggi, di proporre certi titoli. Il fantasma della Callas, che il culto vedovile di talune vestali del loggione scaligero ha assurto a idolo a cui sacrificare pure il buon senso, rende difficile il ritorno di certe opere. E’ successo con Traviata (quando venne fischiata una delle più belle direzioni di Karajan per la sola assenza della divina), e succede con Norma e con Medea. Infatti, aldilà dei risultati artistici della cantante greca (su cui tanto vi sarebbe da dire e ridimensionare: in particolare negli anni della Scala, proprio quelli mitizzati dai tanti/troppi vedovi), pare che una schiera di intransigenti adepti ritenga certi ruoli morti con la morte della Signora Meneghini. Il sol fatto di proporli significa bestemmia o eresia, da punire con fischi “a prescindere” e sceneggiate di arte varia. Tale delirio, che può apparire suggestivo nei racconti di chi ha vissuto quegli anni (anche se da prendere sempre col beneficio d’inventario) appare oggi propaggine ridicola del tempo che fu: un marchio, un simbolo come la Coca Cola, che taluno si picca di rinverdire. E questo, ripeto, aldilà degli effettivi esiti artistici della parabola callasiana, grande, grandissima cantante, ma non certo “buona per tutte le stagioni”. Ma la Medea della Callas – o meglio quel che rimaneva di Medea nell’interpretazione callasiana – verrà analizzata a tempo debito. Resta il fatto che il capolavoro di Cherubini, a causa di vedovanze, senili o adolescenziali, resta un tabù nella sala del Piermarini. Ci ha provato Muti, coraggiosamente (gliene va dato atto, a prescindere dai risultati interlocutori): prima con Gluck per creare il clima culturale, poi con Lodoiska (timido tentativo d’avvicinamento) e con La Vestale di Spontini (cercando di spezzare la maledizione callasiana e i conseguenti veti, sia pure in un ruolo meno sintomatico); mancò il traguardo di Médée – perchè giustamente Muti non avrebbe mai riproposto quel guazzabuglio della Medea del 1909 – come mancò Norma. E non solo per penuria di interpreti. Oggi, 250 anni dopo la nascita di Cherubini, nessuno è in grado o ha la lungimiranza e il coraggio, di riflettere su quel repertorio, di celebrare quel genio, che tanta ammirazione suscitò nei massimi compositori europei. Oggi si guarda ancora con sospetto o con sufficienza a Cherubini, liquidandolo come un prodotto minore, di pura accademia, che, non fosse stato per la Callas, sarebbe dovuto sparire. Eppure, prima della nascita di certi culti, veniva eseguito con notevoli sforzi produttivi (e con esiti eccellenti), penso a Les Abencerages diretti da Giulini al Maggio Musicale Fiorentino del 1956 (riproposti poi 20 anni dopo da Peter Maag, finalmente in lingua originale), Les Deux Journées diretta nel 1947 da Beecham o lo splendido Ali Baba del ’63, diretto da Sanzogno, con Kraus, Ganzarolli e la Stich-Randall. Una rimozione stupida e ingiusta secondo me, che continuo a pensare come l’opinione di Beethoven, Mendelssohn, Brahms, Schumann, Berlioz, Wagner, Haydn, Chopin, Rossini etc...valga ben di più degli strepiti preconcetti dei vecchi e nuovi vedovi “della Maria”...anche se, ne convengo, sono ben più rumorosi!
42 commenti:
Cherubini è un compositore pedantissimo, palossissimo ed accademico! Beethoven lo stimava così tanto? Va be' essere un grande musicista non significa per forza avere sempre buon gusto musicale e sano giudizio!
... non più noioso di tanto Gluck e di tanto Vivaldi (di quest'ultimo, se non ricordo male, è stato di recente approntato da un direttore-filologo un pasticcio, come se non fossero abbastanza quelli prodotti e autorizzati dal compositore medesimo), e questo solo per restare nell'ambito del Settecento. Peraltro Beethoven adorava anche Haendel: siamo sicuri che avesse così poco gusto musicale?
semolino, trovo eccessivo il suo giudizio ma non tanto come quello di tamburini su gluck e soprattutto su vivaldi! cherubini e gluck saranno talvolta troppo accademici (parere non del tutto condivisibile...) ma vivaldi non lo considererei un compositore noioso ne tanto meno accademico. certo dipende dai gusti: anche io trovo tremendamente noiosi schumann e brahms e spesso wagner.
Signori, un conto sono i gusti, che non si discutono, altra cosa è il valore e l'importanza. Liquidare Cherubini come accademico o pedantissimo significa semplicemente non conoscere Cherubini e la sua musica. Significa ripetere giudizi ormai entrati in una perfida vulgata. Significa accodarsi all'umore dei loggioni. L'esterofilia, malattia mortale, insieme al wagnerismo degli "stenterelli", ha prodotto nella critica e nella fruizione di molti, un pregiudizio nefasto. Si tessono le lodi di qualsiasi cosa scritta da Gluck (perchè visto dalla critica tedesca - a cui noi costantemente caliamo le brache - quale anticipatore di Wagner), si apprezza a dismisura Vivaldi - grandissimo compositore, ma assai ripetitivo (Stravinskij diceva con ironia, ma con un pizzico di verità, che Vivaldi avesse scritto un solo concerto, poi trascritto e variato centinaia di volte). Oggi ci si accoda a mode e pregiudizi e si liquida Cherubini - non conoscendolo - con "pedantissimo"! Ritenere poi che Weber, Beethoven, Brahms, Schumann, Chopin, Wagner, Berlioz, Rossini, Haydn (solo per citare i maggiori) fossero stati tutti colti da improvviso attacco di cattivo gusto è allo stesso tempo stupido e grottesco...oltre che arrogante da parte di chi attribuisce tale cattivo gusto! Anche a me annoia Wagner, talvolta, ma non discuto il fatto che sia un grandissimo musicista. Quindi Cherubini potrà pure annoiare Semolino, ma resta un grandissimo musicista: mi spiace per lui. E poi il parere di Beethoven e tutti gli altri varrà pur qualcosa? O sono più autorevoli le vedovili chiacchiere da loggione?
Ps (per Tamburini): in realtà il "pasticcio" a cui ti riferisci è l'edizione dell'Armida al campo d'Egitto predisposta da Alessandrini. Dell'opera vivaldiana si sono perse alcune arie dell'atto II (oltre ai recitativi secchi). Alessandrini, devo dire con onestà, presenta il suo lavoro come mera proposta finalizzata all'esecuzione, senza alcuna pretesa d'autenticità. Deriva da istanze pratiche perfettamente comprensibili. Giustamente opta per l'adattamento di una manciata di arie (otto in tutto credo) al libretto integralmente conservato. Operazione lecita e corrispondente a certa prassi d'epoca. E del resto Alessandrini lavora molto meglio di Curtis, che nel Motezuma (opera con gravi lacune testuali) opta invece per affidare la ricostruzione ad un sedicente esperto, incaricato di scrivere ex novo i brani mancanti in uno stile che, ci assicura il direttore americano, è simile a quello di Vivaldi. Tra l'arbitrio di Curtis e la correttezza filologica di Alessandrini, opto per la seconda...
Credo sia molto più grave riproporre ancora oggi la Medea con i recitativi di Lachner (scritti 50 anni dopo), che fanno a pugni con la musica di Cherubini, e giustificare tale porcheria col fatto che è la versione "della Maria..." (con tanto di seguente genuflessione o estasi mistico/orgasmica), piuttosto che riutilizzare brani di Vivaldi in un'opera di Vivaldi giunta a noi con alcune lacune...
Se non fosse stato per la Callas che ha rispolverato la Medea e ne ha fatto qualcosa, Cherubini sarebbe ancora nel dimenticatoio, in repertorio infatti è rimasta solo la Medea semplicemente perchè tutte le dive che sono succedute alla Callas hanno voluto misurasi col ruolo, altamente drammatico, ma musicalmente scipito. Poi c'è Muti che insiste a propinarci e a divulgare quelle pallosissime Messe una più accademica e noiosa dell'altra. I grandi compositori possono avere un momento di cedimento nel loro gusto e nel loro giudizio : mi basta pensare che a Mozart piaceva quello scipito di Boccherini!
Gluck è palloso anche lui, e ho avuto già occasione di esprimerlo ma almeno due o tre belle melodie le ha composte, Cherubini nemmeno quelle! Vivaldi è un genio perchè è riuscito a redere vario e ad essere sempre inventivo in uno schema alquanto rigido, cosa che riescono solo i grandi, il giudizio di Stravinsky su Vivaldi prova, come il giudizio di Beethoven su Cherubini, che spesso le più grosse stupidaggini sulla musica sono state dette dai musicisti, tipo Ciaikovski che trova senza sentimento la musica di Brahms o lo stesso Brahms che avrebbe dato tutta la sua musica per un valzer di Strauss.........mah!
ciao ciao
Concordo totalmente ma credo che il discorso da te avanzato sia più complesso...sui gusti non si discute. ma il discorso riguarda il giudizio su alcuni compositori.
certo quelli da te citati (anche e soprattutto gli stessi brahms, schumann e wagner che come ho detto non amo particolarmente) sono dei grandi. ma io non allagherei questo termine verso tutti i compositori (questo mi sembra di capire dal tuo discorso, correggimi se sbaglio), applicandolo a priori a tutti coloro che hanno una pagina della storia della musica utet. io non definirei grandi un Delalande, un Biber, un Legrenzi o un Elgar. certo sono compositori degni di memoria e dotati di un felice gusto musicale.
È quasi, mutatis mutandis, lo stesso discorso che si applica alla letteratura: ci sono testi grandi (Verga, Marquez, Boccaccio, Eliot, ...) posti nella cima di una piramide della storia letteraria sia per motivi letterari che per motivi extralinguistici. Sotto poi ci sono testi che sempre rientrano nella categoria letteratura ma che si collocano uno o più gradini più sotto (penso ai Sonetti di Michelangelo, ai romanzi della Scapigliatura, ai poeti metafisici del 600 inglese...). L’unica distinzione che si interpone fra questi testi è la diversa autorità artistica che riescono ad esercitare sul lettore/pubblico.
Lo stesso discorso credo sia applicabile alla musica. La diversità fra i vari compositori non è dettata solo da fattori diacronici o stilistici ma anche e soprattutto dalla autorità artistica. da cosa è dettata l'autorità? dal canone artistico.
bè forse (come avvenuto per traviata e alcuni casi in norma), per allontanare lo spettro della callas bisognerebbe iniziare a farla, questa benedetta medea, ma a farla bene. perché per farla come a torino l'anno passato, con una cantante disastrosa nella stessa versione della callas, è, di per sé, un pessimo inizio. che si inizi dall'originale allora, e fatta bene.
il pasticcio di Vivaldi non è il Bajazet/Tamerlano edito da Virgin con Biondi, la sua Europa Galante con un cast di lusso (ironico) tra cui Garanca, Daniels Genaux? la stesura dell'opera aveva portato Vivaldi a prendere per le arie di alcuni personaggi (Tamerlano e Irene) arie di Giacomelli, Broschi e Hasse. dell'armida di Alessandrini non so nulla...
Gentile Duprez, condivido nel considerare Cherubini un compositore di grandissimo valore, e mi unisco al suo "sdegno" per l'omissione delle sue opere da parte dei maggiori teatri europei, vorrei comunque farle notare che, nonostante io non sia ancora a conoscenza del calendario della prossima stagione del Maggio fiorentino, Venerdì scorso, "il giocattolo di Mehta", ha omaggiato Cherubini in un bellissimo concerto di musica sacra in Cattedrale..
Forse è stato un omaggio un po' striminzito, ma d'altra parte lo è stato un po' tutto il Festival, per ovvi motivi.. (senza nulla togliere agli spettacoli).
In ogni caso spero di aver consolato minimamente la sua indignazione, che comunque, ripeto, condivido.
Saluti
e
Intervento bellissimo caro Duprez.
Amo molto la "Medea" Cherubini-Lachner e la curiosità mi ha spinto oltre l'interpretazione callassiana, che resta in ogni caso un momento altissimo nella storia di questo titolo.
Ho ascoltato la versione pseudo-originale di Cherubini: se non erro un esperimento fatto da Rousset a Bruxelles nel 2008 con Nadja Michael, Kurt Streit, Ekaterina Gubanova, Philippe Rouillon.
Musica che non ho trovato così accademica o noiosa e mi ha confermato la statura del compositore.
Peccato per il cast e per i dialoghi "riscritti" (perchè mai poi? Per rendere Medea più "moderna"? Che inutile mania!)) dal regista polacco Warlikowski.
Non ricordo quale edizione fu adotatta a Torino, a Siracusa o a Palermo con la Taigi, la Theodossiou e la Antonacci.
Mi ha colpito molto meno "Lodoiska", preziosa musicalmente, ma fin troppo paga dell'eleganza formale e dunque priva di vero coinvolgimento.
Di recente l'ascolto dell' "Armide" di Gluck (Minkoski con la Delunsch, Nauri, Workmann. 5 stelle sul Giudici) ha fatto vacillare la mia fede Gluckiana nata dopo l'ascolto dell' "Ifigenia in Aulide" e dell' "Orfeo ed Euridice" facendomi ricordare delle parole di Duprez.
Marianne Brandt
P.S. l' "Argippo" di Vivaldi (di recente ricostruzione) vale un gustoso ascolto.
L'ultimo intervento di Francesco Benucci mi risulta del tutto incomprensibile. Lo prego quindi di riformulare le sue argomentazioni, per poter parlare con lui. Per quanto riguarda l'articolo di Duprez, ne sottoscrivo ogni parola, tranne quell'accenno a Spontini, che io trovo un musicista grandissimo e niente affatto accademico. Anzi, l'"Agnese di Hohenstaufen" è,fra tutto il repertorio operistico, una delle opere più vicine al mio cuore. Lasciamo poi perdere il giudizio di Semolino sulla produzione sacra di Cherubini: la messa per il Principe di Esterhazy e quella di Chimay sono due capolavori degni di stare accanto alla Messa Solenne di Beethoven, per non parlare dei due Requiem. due vertici della musica italiana tout court.
Marco Ninci
Nella dimenticanza generale, diamo almeno un piccolissimo merito al maeschtro Muti, che a luglio dirigerà il Requiem in DO a Ravenna (poi a Trieste), con l'orchestra che porta quel glorioso nome!
non so cosa ci trova di incomprensibile caro ninci. ho solo spiegato come sia del tutto legittimo considerare un compositore più grande di un altro in virtù appunto della sua autorità...
Condivido appieno l'amarezza per questa ingiustizia. Una parola per chi cassa i musicisti perché noiosi. Che vuol dire? Nessuno ha detto di tappezzare i programmi con le loro opere, anche perché nel caso Cherubini ci sono opere coeve con maggior appeal, oggettivamente; tuttavia una produzione qua e là ben fatta per gli amatori (e potenziali nuovi!!!) non è chiedere tanto. Qua in giro c'è il deserto! Prendete Meyerbeer, dopo Rossini il più grande della prima metà dell'Ottocento e completamente annicchilito dalla propaganda wagneriana. Non un'opera nei maggiori teatri di tutto il mondo! Neanche in Francia, praticamente la sua patria (tanto nazionalisti, ma poi sono come noi, ignorano essi stessi i loro grandi come Auber, Halevy... Aboliamo la Carmen!). La risposta è la solita e semplicissima. Nel bel mezzo di una implacabile analfabetizzazione musicale del pubblico, chi gestisce i teatri (ed essi stessi vi sono colpiti) propone qualche novità, riscoperta, 1 o 2, poi tutto il resto rispondono alla logica "va sul sicuro". L'Arena di Verona DOCET. Vedrete, prima o poi, non so quando, rimarranno TOSCA TRAVIATA E CARMEN come il gioco delle tre carte... Siete tutti dei grandi!
caro contato davide,
se arriva meyerbeer ed anche halevy arriva donzelli!!!!
qui gioca l'ignoranza degli organizzatori la loro pseudo cultura, ma soprattutto le insormontabili difficoltà vocali che un titolo di quei signori comporta. Scusate ma dove lo troviamo un Marcello di Ugonotti se non si trova un Fiesco decente?
saluti dd
Scusate, a parlare è un povero provinciale di 23 anni che non ha avuto mai l'occasione di frequentare teatroni come la Scala o lo Staatsoper, e quindi grandi voci del passato remoto o recente, però vorrei umilmente sottoporvi una questione importante a tutti voi del forum. E' un dilemma ricorrente in questa sede: meglio turarsi il naso e accettare certe esibizioni di grandi autori da parte di artisti (tutto il cast) non all'altezza, o non ammettere compromessi e cancellare tutto? Secondo me, molto democristianamente la verità balla al centro, cioè a dire finché l'esibizione non è scandalosa vale la pena assolutamente promuoverla. Ora si tratta di definire meglio l'aggettivo scandalosa, e qui vi porgo un altro spunto di riflessione. Io sono un melomane rossiniano sfegatato, e sapete grazie a quali artisti? Gli Abbado, Scimone, Muti, Chailly e ... i tanto criticati Florez, DiDonato, Bartoli, Brownlee, ecc... Chi li critica è perché evidentemente ha visto di meglio, e anch'io in effetti scaricando edizioni varie a manetta, anche del passato, ho potuto apprezzare meglio una Horne, una Sills, un Rockwell Blake cantare meglio "Cessa di più resistere" o "Fiamma soave" rispetto al peruviano. Tuttavia il merito di Florez & Co., che io non potrò mai criticare e cui sarò sempre grato, è di aver acceso in me l'amore per il primo Ottocento e credo rinfocolato la fiamma del Bel Canto in tempi davvero barbari. Questo è un MERITO di gran lunga superiore alla loro presunta o reale inferiorità rispetto ai predecessori. Capite cosa intendo? Non bisogna rinunciare a proporre i Cherubini, Meyerbeer e altri perché non ci sono le voci all'altezza. Qui in Veneto si usa dire "Quando xé seco xé bona anca ea tempesta!". Questi artisti, con tutti i loro limiti, vanno sostenuti perché: A in futuro li rimpiangeremo (a Milano avreste mandato via Muti sapendo che arrivava l'alemanno filosofo?); B sono loro che che stanno proseguendo l'opera di riparazione dei danni fatti nel primo Novecento da gente sugli scudi come Toscanini, Caruso e altri...
Saluti
Caro Davide, capisco l'importanza anche affettiva dell'imprinting. e la capisco perché la ricordo bene (sia pure con artisti diversi da quelli che tu hai nominato: Mariella Devia è il primo nome che mi viene in mente, e ti parlo ovviamente di ascolti dal vivo). Però poi uno scopre, grazie agli amici e perché no al tanto biasimato (da tanti cantanti, che peraltro ne sono assidui frequentatori) Internet, Amelita Galli Curci piuttosto che María Barrientos e la Devia viene non ridimensionata, ma collocata in una prospettiva storica. Allo stesso modo se senti Flórez e dopo senti Léon David, Edmond Clément e René Lapelletrie (esempi scelti non a caso) capisci che l'evoluzione storica non è sempre un progresso né un valore in sé. Questo risponde per mia parte, credo, anche alla questione della barbarie da estirpare: viva i barbari, se i "restauratori" sono quelli da te citati! Poi sarei curioso di sapere a chi affideresti, oggi, un'edizione di Ugonotti... Io a stento troverei una Valentina, per gli altri ruoli... il nulla.
Quanto alla fiamma del Belcanto rinfocolata dai divi del disco, invito sempre a considerare, in questi casi, chi fornisce la... legna e quindi decide a chi, e in quale misura, debba essere distribuita. Fuor di metafora: quali sono gli artisti che le case discografiche decidono che il pubblico debba ascoltare e quali invece sono "condannati" ai live. E dato che il male non è recente, ma antichissimo, invito a riflettere sulle discografie ufficiali di Magda Olivero e Leyla Gencer.
Completamente d'accordo con Tamburini. Sia sul valore e fascino del'imprinting, sia sulla conquistata autonomia dall'imprinting.
E' doveroso, tuttavia, un po' di approfondimento, proprio per arricchire il personale bagaglio di ascoltatore.
Oggi, infatti, è considerato come un "dato di fatto" la riscoperta del BELCANTO ad opera di Florez & C: eppure sarebbero proprio i fatti a smentire l'assunto. Fatti che una certa vulgata (interessata a sostenere certi prodotti) ha contribuito a rimuovere, con la complicità dell'industria discografica (che sceglie cosa dobbiamo ascoltare) e la buona fede degli ascoltatori di nuovo corso. La rinascita di un belcanto consapevole (ossia fondato su di un serio studio delle fonti: studio che prima della Callas non era possibile per motivi contingenti, non per scelta o ignoranza) va arretrata di molto. Parte dalla stessa Callas che riscopre certi ruoli donizettiani e belliniani, liberandoli da ogni forzatura verista; prosegue e trova il suo apice con la coppia Sutherland/Bonynge che riportano in vita un gusto e uno stile persi ormai da quasi un secolo; e continua con i grandi interpreti del melodramma del primo '800 che non hanno trovato il favore del disco, ma che hanno calcato le assi dei palcoscenici (Bruscantini, Gencer, Taddei etc...); e infine la grandissima stagione della Rossini Renaissance,iniziata con Schippers/Sills/Horne e quell'Assedio di Corinto che fu uno spartiacque nell'interpretazione rossiniana, sino al Tancredi della Horne, a Ramey, a Merritt, alla Cuberli, alla Dupuy, a Blake, a Ford, alla Serra, a Matteuzzi e (perchè no) a Morino. Florez & Co. arrivano dopo, eppure sono considerati i pionieri, gli scopritori...perchè? Perchè le case discografiche li impongono. Ci sono grandissimi interpreti che davvero hanno rivoluzionato un certo repertorio del tutto assenti dalla discografia ufficiale, o relegati in episodi marginali, o colti ormai nel declino... Oltre alla Olivero e la Gencer penso alla discografia di Blake (poco o nulla) o a quella di Merritt o a quella della Podles (la cui assenza è scandalosa, se si pensa invece a quanto ha inciso una Larmore o una Barcellona o una Kasarova). Ti invito quindi ad ascoltare Blake dopo Florez...e sentirai chi e come ha riscoperto davvero il belcanto.
Per Marianne: avremo modo di parlare della Medea e della Callas nella seconda puntata ;)
Per Semolino: non disconosco affatto il valore della Callas nella riscoperta del titolo (ma con molti compromessi di cui si darà conto). Ciò che invece trovo insopportabile è la chiusura verso certi ruoli a causa dell'ingombro di un mito. Io credo che il teatro d'opera sia qualcosa di più dell'esibizione di una voce (altrimenti ci si accontenterebbe di una scala e due sopracuti), credo cioè che sia soprattutto Musica, in cui la voce è uno degli elementi. Non voglio certo discutere i tuoi gusti in merito a Cherubini, lo potrai trovare scipito e palloso...ci manca, detto questo resta un tuo parere. Però, la musica sacra di Cherubini è tutto fuorchè accademica (i due requiem sono capolavori tali da poter stare accanto a quello di Mozart, così come la Messa Solenne in Mi maggiore, dall'elaborazione musicale e orchestrale assolutamente straordinaria). Non ti piace, amen...magario preferisci Pacini a Mozart, liberissimo. Mi chiedo però come non sentire il genio di certe pagine: penso all'overture di Medea, considero che è stata composta nel 1795 e dentro ci sento musica di 10 o 15 anni più vecchia, ci sento Egmont e Coriolano di Beethoven, sento Fidelio o la Patetica, sento l'Eroica... Medea priva di valori musicali? Spero sia una boutade...ma di questo avremo modo di discuterne. Così come l'incapacità di Cherubini nello scrivere melodie "azzeccate": ti cito solo l'agnus dei della Messa solenne in Mi maggiore, o l'overture di Lodoiska, o il primo movimento della sua Sinfonia (ma anche il terzo), e si può andare avanti. Circa l'opinione dei grandi musicisti: potrei darti ragione se si trattasse di casi isolati, ma davvero pensi ad un immenso abbaglio collettivo? Che ha abbracciato i più grandi musicisti europei? Non lo trovi improbabile?
Per Daland ed Emanuele: ho attribuito a Muti i giusti meriti nella proposta di Cherubini (aldilà di certi risultati non esaltanti). Certo che per celebrare i 250 anni di un grande compositore un paio di requiem (e nient'altro) mi sembra ben misero omaggio...non credete?
Per Marco Ninci: comprendo benissimo e condivido l'apprezzamento per Spontini. Col mio "accademico" intendevo - limitatamente al periodo napoleonico - una maggior attenzione agli equilibri formali, alla "grammatica" celebrativa, alla minore spregiudicatezza orchestrale e sinfonica. L'Agnese è opera superba ed è un peccato non poter ascoltare l'intera partitura che, nelle intenzioni dell'autore, voleva essere una sorta di anello di congiunzione tra il grand-opéra francese e l'opera romantica tedesca!
Ribadisco che siete dei miti, senza alcuna mira di piaggeria, beninteso ma avete tutti una tale cultura musicale e un altrettanto suadente gusto della parola e dell'argomnentazione che mi fa invidia. Una precisazione per G.L.Duprez (cui gli confermo, se non l'avesse visto, che ho trovato la sua recensione del Guglielmo Tell da vera Enciclopedia, altro che le sterili definizioni preconcette di una Treccani o DeAggostini); sono il primo a preferire Blake a Florez, l'ho persino detto, e ad andare a ricercare edizioni rare (questi giorni ho registrato via radio la Cenerentola della Simionato, introvabile in rete, bella come la più commercializzata Italiana di Giulini) e sono consapevole che la nuova generazione non ha affatto riscoperto il Bel Canto, che invece è il risultato di una forte e vittoriosa "battaglia" culturale condotta fin dal dopoguerra dai protagonisti da te citati. Il mio concetto era un altro: voi vi focalizzate sugli artisti, sugli interpreti, per me invece, è prioritario tenere alta la bandiera dell'autore, perché, in periodi di emergenza, quasi dando un taglio probabilistico al discorso, più prende campo un'idea, più è probabile che da quell'idea nascano buoni frutti. In filigrana: più si risccoprono tutti i grandi autori, e non solo il dupolio verdi-puccini, dando a tutti il giusto valore con I MEZZI CHE SI HANNO, più è probabile che nelle scuole di canto si comincino a variare i programmi, e a nascere gente che non abbia come cavalli di battaglia solamente "Questa o quella" o "Che gelida manina" o altre paranze fritte e rifritte simili... Esempio. Recentemente ho ascoltato tre versioni diverse della scena finale di Armida: belle la Gasdia (anche Scimone in questo brano, non sempre) e Fleming (Gatti somma), poi anche Joyce DiDonato (il direttore d'orchestra un macello, i piatti sono assordanti e gli archi incalzanti non si sentono neanche). L'ultima è non una spanna, non due, bensì una decina sotto le altre, non l'ascolterò più, però che vuol dire? Magari qualche giovane ascoltatore apprezzerà lo stesso il cd, infin dei conti è sempre Rossini, pubblicità positiva; poi magari da lì comincerà ad anadare a teatro e a vedersi altre opere, ad approfondire l'autore, e così via... Perciò non sono d'accordo sul "ben vengano i barbari se son questi i restauratori": guardate che se comincia a puntare pesantemente sul Sig. Wagner così la Sig.ra Opera muore... eutanasia pura! Mi taccio e chiedo venia per la pedanteria, ma bisognerà pure esprimere compiutamente un concetto
Innanzitutto ti ringrazio per le tue parole.
Comprendo perfettamente il tuo punto di vista: è importante che vi sia la testimonianza, che Rossini (ad esempio) venga eseguito, comunque, anche a prezzo di sfasature e pecche. Capisco quel che vuoi dire e condivido l'importanza della valore di testimonianza, ma credo sia - con rispetto parlando - un falso problema. Eseguire oggi Rossini significa affrontare una serie di problemi: cantanti con tecnica adeguata e che sappiano non solo eseguire le note, ma scovarne i significati nascosti; direttore d'orchestra che concerti tali opere non convinto di fare una marchetta o di limitarsi ad accompagnare (ritenendo che il VERO direttore DIRIGE Wagner), ma innamorato del belcanto e del melodramma senza sensi d'inferiorità. Difficile? Difficile. Non c'è dubbio. Come non vi è dubbio che oggi una stagione di malcanto (inteso come dispersione di un certo patrimonio linguistico) rende complesso allestire certi titoli. Eppure vi è differenza tra l'approcciare con buona volontà e umiltà ruoli difficili e, invece, ritenersi i nuovi Rubini e le nuove Malibran. Oggi molti cantanti hanno voci adatte, belle, giuste, ma sono sprecati in parti sbagliate, inseguendo chimere senza trovare una vera identità. Non credi che continuare ad eseguire Rossini male induca a rendere l'ascoltatore impermeabile al dubbio? Non credi che perpetuare nell'errore alla fine convinca che non si tratti più d'errore (mi ricorda il proprietario di un appartamento che, insieme ad alcuni compagni d'università, avevo affittato durante gli studi: alle lamentele circa le macchie indelebili della vasca da bagno ci rispose "lo sporco che non va via non è sporco!"). Non finirà che l'errore che non si riconosce tale diverrà corretto? Oggi Rossini va eseguito, e così Bellini e Donizetti...compito della critica sarebbe quello di valutare le esecuzioni e non fare da cassa di risonanza agli interessi commerciali! Solo così si stimolerebbe ad un ritorno allo studio serio della tecnica! Quindi ribadisco, è giustissimo eseguire quelle opere, ma è doveroso che le pecche vengano stigmatizzate, che la critica faccia il suo mestiere, che chi dissente non venga additato come un "disturbatore", un facinoroso, un passatista (che poi io mi tengo stretto la mia Sutherland a prescindere)! Infine va usata sempre una proporzione: ci sono spettacoli poco blasonati, ma dignitosissimi, con pecche e vizi, ma funzionano e si è ben disposti all'indulgenza; ci sono altri spettacoli, pompati con fanfare e grancasse da media e uffici stampa, che sono offensivi per il disinteresse e la faciloneria con cui vengono confezionati. Ho apprezzato molto di più un Don Pasquale a Cremona di un paio di stagioni fa (opera difficilissima, ma eseguita con gusto, garbo e impegno) rispetto a certi costosissimi e pubblicizzatissimi spettacoli scaligeri degli ultimi anni...
Ps: non è con Wagner che l'opera si suicida (tutt'altro...non aspetto altro che ascoltare un Wagner ben eseguito), ma con sovrintendenti insipienti che non sanno più allestire uno spettacolo e che hanno abdicato il loro ruolo a favore delle agenzie.
Non capisco che senso possa avere un compositore che all'epoca di un Beethoven, di uno Schubert e di un Berlioz continuava imperterrito a prolungare un settecento tutto accademico, certo dotto dal punto di vista compositivo ma arido nell'ispirazione. Fra i vari interventi è stato citato Spontini. Almeno Spontini ha la sua importanza nella storia della musica poichè apre la strada al grand opéra, ma Cherubini proprio non esiste, è solo musica arida e polverosa come la crosta di Ingres che lo ritrae :-P
Ma sei davvero perfido Semolino :) Io però non vedo affatto, in Cherubini, un prolungatore del '700: tutt'altro! Se ascolto l'overture di Médée non può che venire in mente Egmont e Coriolano...altro che accademia settecentesca! Sento fremiti preromantici, sento un uso dell'orchestra paragonabile proprio a Beethoven o la scuola sinfonica tedesca...altro che l'elegante frin-frin di certi suoi contemporanei (Gluck compreso). Spontini avrà pure aperto la strada al grand-opéra (che non significa però, qualità: nei carrozzoni di Meyerbeer o Halevy la vera ispirazione è circoscritta a pochi momenti...il resto è spesso vuoto esibizionismo), ma ritengo la complessità della musica cherubiniana assai distante...
Se ascolto l'overture di Médée non può che venire in mente Egmont e Coriolano...
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Se si ascoltano l'una dietro l'altra le ouvertures della Médée, Egmont e Coriolano, si puo fare la differenza fra due capolavori geniali ed ispirati e un brano sinfonicamente dotto, magari con qualche fermento preromantico, ma di fermenti preromantici se ne trovano anche nei concerti per piano di Mozart e in certe sinfonie di Haydn e con ben altra ispirazione. Haydn come Mozart compongono nel quadro di formule alquanto rigide ed accademiche di una forma prestabilita, ma quanta ispirazione, quanta inventiva, quanta creatività nell' essere vari e soprendenti proprio seguendo una regola rigida, la quale regola rigidida poi nelle mani di un genio viene sempre trasgredita quel tanto che basta per creare la sorpresa. Ma Cherubini proprio....
Concordo che in compositori come Halévy e Meyerbeer l'ispirazione autentica è circoscritta a pochi momenti e che musicalmente spesso lasciano molto a desiderare. Molti hanno lodato la scienza d'orchestratore di Meyerbeer, infatti spesso l'orchestrazione è interessantissima ma questa serve solo a palliare una certa mancanza di autentica ispirazione musicale. Nonostante questo amo molto Halévy e Meyerbeer, e metto Meyerbeer fra i miei compositori preferiti, non tanto perchè lo considero musicalmente un genio, ma perchè ha composto ruoli per dei fuoriclasse con una scrittura vocale alla quale solo cantanti eccezionali possono confrontarsi, e per un vociomane come me tanto esibizionismo vocale è una goduria quando ben realizzata. In Cherubini non c'è nemmeno quello perchè aderisce al dogma gluckiano della tragédie lyrique (prima le parole e poi la mucica) e bandisce ogni edonismo canoro. E poi Halévy e soprattutto Meyerbeer, come certo Spontini, sanno fare una sintesi perfetta fra l'edonismo vocale e il momento teatrale con effetti travolgenti; di travolgente nella Medea di Cherubini c'è solo l'interpretazione della Callas! e lo dice un non callassiano.
Penso anch'io che per un vociomane Cherubini non possa essere che lettera morta. Cherubini è destinato a non essere popolare; è un compositore difficile, che non colpisce né per virtuosismo vocale né per immediatezza dell'effusione melodica. Inoltre per me c'è anche una ragione storica. Cherubini ha portato avanti fin quasi alla metà dell'Ottocento una concezione della musica da cui erano assenti ragioni nazionali, che stavano dando origine alle scuole nazionali. Di qui quell'impressione di ritardo che anche Semolino avverte. Ma qui sta anche il segreto della grandezza di tanta sua musica, anche se non di tutta: una assoluta fedeltà a se stesso e alla propria dimensione, dimostrazione che il non essere allineato all'evoluzione storica non sempre è sinonimo di fallimento. Non stupisce che i romantici, da cui tutto divideva il maestro fiorentino, lo abbiano tanto ammirato. Né stupisce che lo abbia tanto ammirato Berlioz, anche lui ammantato da una vena di malinconico classicismo, al di là della chiassosa esibizione della "Fantastica". Cherubini condivide il destino di un altro grande negletto dal pubblico, specialmente dal pubblico italiano: Hugo Wolf. Con tutto che è difficile trovare due musicisti così lontani fra loro. E tuttavia sono due musicisti carissimi al mio cuore; penso che non sia un caso.
Marco Ninci
@Marco
da quello che io ho letto Berlioz la pensava come me su Cherubini.
Beh...Berlioz scrisse tutto e il contrario di tutto...il giudizio su Cherubini è inquinato da personali livori, che però non gli impedirono di scrivere, in merito al Requiem che tu ritieni "musica sacra pallosissima e accademica", questo: "Il Requiem in Do Minore è la più grande opera di Cherubini. Nessun altro lavoro di questo grande artista può venirgli paragonato per l’abbondanza d’idee, per la pienezza della forma, per l’ininterrotta sublimità dello stile e per la costante verità di espressione. L’Agnus Dei in “decrescendo” supera tutto quello che s’è mai tentato nel genere. Anche la tecnica, originale ed energica, presenta un valore inestimabile; la scrittura vocale è acuta e chiara, l’istrumentazione colorita e potente, veramente degna di un così alto soggetto."
Ps: e poi non eri tu a sostenere come il giudizio dei grandi compositori non sempre è sintomo di buon gusto? Tra l'altro Berlioz gioì pure quando il Teatro degli Italiani a Parigi, bruciò in un incendio...così da non dover più assistere ai trionfi di un compositore che egli riteneva analfabeta...Donizetti. Che direbbe un vociomane di tanta "delicatezza"?
Circa Meyerbeer e il grand-opéra: non credo basti la difficoltà e l'esibizionismo vocale a far grande un compositore, occorrerebbe una vera ispirazione, altrimenti ci basterebbero quattro sovracuti e due roulades... Molti grand-opéra sono carrozzoni di goffaggine imbarazzante, salvati solo da qualche interprete eccezionale, che si apprezza solo per quel che fa, non certo per quel che canta. Secondo questo parametro dovresti considerare Pacini (il deprecabile "maestro delle cabalette") superiore a Mozart, per il sol fatto che nelle sue lunghe e noiose partiture un virtuoso può sbizzarrirsi....anche se oltre al virtuosismo non resta nulla!
Non vuol dire niente che anche Berlioz la pensava così; è un argomento del politichese un po' sgonfio (sul tal giornale il tal esperto ha detto che...); allora, visto che la mettiamo su questo piano, proprio Berlioz era un mediocre con la fissa dell'orchestrazione e scarsissimo estro musicale, tant'è che l'amico di una vita Mendelssohn lo snobbava parecchio come musicista. Berlioz è uno di quei tanti che, invidiosi degli altri, critica a destra e a manca con una buona dose di campanilismo alla francese: una prova? Prima criticava mordacemnte gli operisti italiani (Donizetti su tutti) perché colonizzavano a suo dire la Francia, poi quando quegli stessi compositori realizzavano opere in francese per la Francia (Le comte Ory) faceva marcia indietro e ne riconosceva la grandezza. Un frustrato. Scusate, ma se Mahler dice che Tosca è una porcheria gli diamo credito? (Guarda caso sempre i maestri dell'orchestrazione invidiano agli altri la fantasia che non hanno...). Quindi Semolino, capisco che Cherubini non dà alla testa come Mozart o diletta come Haydn o ancora impressiona come Beethoven, certo rientra tra i migliori compositori di quel tempo e un po' di pubblicità in più in suo favore (ancstessa sorte per Boccherini e lo sfigatissimo Salieri) la meriterebbe... Saluti
Caro Davide, fare di Berlioz e di Mahler semplicemente dei frustrati invidiosi, oltretutto privi di fantasia, è una cosa che un po' lascia a bocca aperta. E' difficile, molto difficile, accusare di scarsa fantasia, di scarsissimo estro, la scena del balcone dal "Roméo et Juliette" di Berlioz; oppure muovere lo stesso appunto al "Canto della terra" di Mahler. Sono veramente meravigliato.
Saluti
Marco Ninci
Visto che si parla di Berlioz colgo l'occasione per porre una domanda : in Francia nei conservatori, ancora oggi, viene insegnato che Berlioz non padroneggiasse bene l'armonia commettendo così errori grossolani e modulazioni che sono strafalcioni. Qualcuno mi sa dire che ne pensa.
@Duprez : tu insinui che io debba preferire Pacini a Mozart e quindi ci tengo a chiarire, una cosa è il gusto soggettivo, altra cosa è il giudizio oggettivo. Oggettivamente Mozart è un genio della musica, Pacini è compositore molto minore. In quanto appassionato innanzi tutto di musica strumentale e sinfonica ascolto Mozart e Pacini musicalmente non mi interessa, ma per il mio gusto soggettivo in materia di opera preferisco Pacini.
Se devo scegliere di ascoltare il Don Giovanni (che è un capolavoro) o la Maria regina d'Inghilterra di Pacini (che è un opera minore e di poca ispirazione, e fra l'altro anche insipida melodicamente) scelgo la Maria di Pacini. Ma non per questo vado dicendo che Pacini è un genio. Ora se ti piace Cherubini è un conto, ma mettere il suo Requiem sullo stesso piano di quello di Mozart è una assurdità! Sarebbe come affermare che una sinfonia di Weber ne vale una di Schubert o che i concerti per piano di Field sono sullo stesso livello di quelli di Beethoven, andiamo sù! riprenditi te ne prego!
Ma, caro Semolino, la mia era una boutade... :) Come pure il "perfido" che ho attribuito al tuo commento (con quell'accenno davvero perfido alla "musica arida e polverosa come la crosta di Ingres che lo ritrae"). Tornando seri...ognuno ha i propri gusti e ci mancherebbe, e comprendo benissimo il tuo punto di vista...anche se tra Pacini e Mozart, preferisco ascoltare Mozart (ma nonostante questo andrei volentieri a vedere un'opera minore di Pacini, ben eseguita, conscio che non si tratta di un capolavoro). A me però piace molto Cherubini...e vi trovo del genio nelle sue composizioni. Certamente il suo Requiem è un capolavoro e forse alla pari con quello di Mozart proprio no, ma nel novero dei capolavori sì!
Invece voglio provare a rispondere alla tua domanda su Berlioz. Diffido sempre dalle pagelle che il mondo accademico e istituzionale pretende di dare a compositori di genio. Credo che l'ispirazione non possa rispettare il bon ton musicale...se non ci fosse chi forza le regole non ci sarebbe nessuna evoluzione! E poi chi dice che sono strafalcioni? Un professore di conservatorio? Hanno detto lo stesso di Schumann (ritenuto imbranato nell'uso dell'orchestra e incapace di suonare il pianoforte) o di Mussorgsky (confondendo un linguaggio nuovo e spregiudicato per errori grossolani). Su Berlioz il discorso è analogo, in parte... Grande sperimentatore, grande innovatore, compositore stravagante, un genio privo di talento, forse, ma non certo impacciato nell'uso dell'orchestra. Gli mancò il guizzo dell'ispirazione, credo. Però sul suo trattato di strumentazione hanno studiato fior di compositori (Strauss, Mussorgsky, Rimsky-Korsakov, Mahler)...e non mi sembra che i loro lavori siano pieni di strafalcioni (oddio...magari per qualche professore di conservatorio lo sono).
Tornando un attimo al grand-opéra. Ho appena letto una divertente considerazione di Donizetti circa la Juive di Halévy "A Costanza! Un'Ebrea per commercio avuto con un cristiano è gettata col padre nella caldaia dell'olio bollente. Pria di venirci si passa per mille coglionerie, ma tutto è ricco e tutto è magnifico, quindi si chiude un occhio". Ecco, secondo me Donizetti coglie lo spirito vero del grand-opéra: superficialità, effetti (senza causa), buon mestiere...ma di vera ispirazione ben poca. Credo che salvo i lavori di Rossini, Donizetti e Verdi (e pure per quel grand-opéra sui generis che è il Tannhauser) il genere abbia prodotto dei bei carrozzoni, ricchi e pomposi certo, ma irrimediabilmente vuoti. Prova ne è che se affidati ad interpreti men che eccezionali rivelano tutta la loro noia, mediocrità e debolezza... Come certi kolossal made in USA... Per mio conto basta un singola scena di Lucia di Lammermoor per affossare Ugonotti, Ebrea e Profeta messi insieme... Naturalmente ciò non significa che non mi piacerebbe poter assistere, magari alla Scala (tra un Britten e uno Janacek), a qualche bel grand-opéra fatto come si deve...ma vuoi per la penuria di interpreti, vuoi per la penuria intellettuale di chi sovrintende, rimarrà una speranza irrealizzata!
La Muette de Portici e Il crociato in Egitto non sono affatto male... (in fondo il secondo è la sublimazione della Semiramide) e Robert Le Diable non può non lasciare indifferente, la musica nel finale è suggestiva... Se ben fatti, con delle belle voci e rispettando il senso della spettacolarità che li deve accompagnare, perchè con quel presupposto sono nati (di sicuro non se ne può fare rappresentazioni minimaliste come altre opere, qui ci vuole un megalomane come Zeffirelli, ma lui conosce solo le Aide, anzi, la Aida delle Aide...), varrebbe la pena proporne qualcuno. Sennò diventiamo come i tedeschi barenboniani che vogliono cavare dalla musica plurimi significati sui massimi sistemi, la vita e la morte. Va bene riflettere su certi temi importanti, con stile però, e senza dimenticare che per certe cose esistono la filosofia e la religione e che in fondo la musica deve soprattutto PIACERE. Masturbazione mentale, secondo me: ieri ho scaricato la versione scaligera di qualche anno fa di Tristano e Isotta: alcune parti donano una musica sublime e conturbante, la storia d'amore fara commuovere i più sensibili, però, ragazzi, che strazio certe parti! (La scena iniziale è titanica da scavallare...) Se quelle stesse parti declamate con i cantanti che si struggono "hanno la pretesa" di colpire e far riflettere lo spettatore allora preferisco senza tante storie i cari vecchi recitatitivi secchi... Pallosi ma non al punto di straziare l'animo. Come si fa a mettere alle prime di tutto il mondo certe opere solo perchè considerate "profonde"! Piuttosto vado a messa o mi leggo Hegel e Schopenhauer! Sembrerebbe che sono un superficialone, uno che ascolta più i sensi che il cervello, invece non mi pare, perché scene come "Ella è morta" di Bellini o quella "bell'alma innamorata" ripetuta tre volte in crescendo di Donizetti, o le urla al Cielo(questi sì) strazianti del padre Rigoletto mi lasciano ogni volta schockizzato. Maleediizzioooooone, viva la bella musica!
A me sembra, caro Davide,che la contrapposizione fra la musica che deve solo piacere e quella "profonda" sia una polemica decrepita, che aveva un senso cento anni fa o poco meno, nelle parole di Debussy o di Stravinsky che attacavano l'opera tedesca (ma quanti debiti ha Debussy con l'odiato Wagner!). Riproporla oggi, quando mai in Germania ci si sognerebbe di disprezzare Donizetti, Rossini o Bellini o Verdi, mi sembra assurdo. Per orecchie moderne "Tristano e Isotta" non è affatto difficile e ispira un piacere altrettanto intenso di qualsiasi opera italiana, seppur in un genere profondamente diverso. Schubert o Weber polemizzavano con l'opera italiana; ma sono passati quasi duecento anni.
Saluti
Marco Ninci
Caro Marco Ninci, da un lato posso darti atto che quella da me proposta è una visione un po' semplicistica, quasi manicheista se vogliamo, però il fatto che sia vecchia di 200 anni non vuol dire che non sia ancora valida. Mbèh? Il discorso sull'immediatezza della musica è tuttora (più di prima!) validissimo. Premesso che ognuno (io, te chiunque) è liberissimo di ascoltare quel che vuole in base alla sua sensibilità, se permetti sono libero di criticare le proposte offerte (alla mia portata) e giocoforza, se quelle mi paiono squilibrate, non posso criticare solo chi le fa ma anche la scelta stessa. Ribadisco che se a una classe delle elementari o di ragazzi universitari DEL GIORNO D'OGGI tu proponi il SIGFRIDO questi escono fuori come degli zombie, e se aspetti di fargliela sentire UN DOMANI a 40,50 anni sperando in una maturità (musicale e oltre) diversa l'impressione migliorerà, ma non così tanto. Diversamente con una Figlia del reggimento o un Flauto magico può darsi che si appassionino e ci tornino al più presto. Un conto è dire che tu riesci ad apprezzare certa musica (il mio Don adorava il canto gregoriano: per carità, niente male, ma ben presto la sua passione ha dovuto tenersela per sé); un altro conto è, oggettivamente, giudicare e scegliere le musiche adatte per rilanciare l'immagine dell'opera AL DI FUORI DEGLI AMATORI (una nicchietta che non può giudicare senza guardarsi al di fuori, perché è dal di fuori che può venire la gente che un futuro la rimpiazzerà). Questo non vuol dire abolire Wagner, anzi, ma non metterlo alle prime di molti teatri e far scomparire altri autori (il post parla di Cherubini, io ho citato Meyerbeer ma il mio idolo Duprez me l'ha cassato subito, ma ce n'è altri). E' immorale. E poi che tu mi venga a dire che la godibilità del Tristano è la stessa di un Trovatore o di una Gazza ladra ne hai del coraggio. E' come dire che un film di Ingmar Bergman ha la stessa godibilità di uno di Sergio Leone o di Hitchcock. Vorrei fare un sondaggio...
Non so che dirti, Davide. L'unica cosa che so è che bisogna ampliare i nostri orizzonti il più possibile. Ci sono musicisti di immediata godibilità ed altri che lo sono di meno. Come nella letteratura ci sono da una parte Goethe e Eichendorff, dall'altra Rilke e Trakl. Questi ultimi sono più difficili per tante ragioni. Ma anche il limpidissimo Goethe non è più facile di loro. Come il Flauto magico, a volerlo comprendere bene, non è più facile dei Maestri Cantori.Comunque, occorre essere il più aperti possibile e non chiudersi davanti a nulla. Come si fa invece quando si usa l'orribile espressione di "masturabazione mentale", un'espressione la cui popolarità è direttamente proporzionale alla sua stupidità.
Ciao
Marco Ninci
Di seguito vi segnalo un comunicato stampa che penso sia del vostro interesse:
GRANDI CELEBRAZIONI PER IL 250° ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA DI LUIGI CHERUBINI
Auser Musici insieme al Palazzo Bru di Venezia e in collaborazione con la Fondazione Teatro di Pisa, Amici della Musica Firenze Onlus, Sagra Musicale Umbra, Festival Grandezze & Meraviglie e il Festival di Laon hanno organizzato la rassegna concertistica “Luigi Cherubini: arie e ouverture da Firenze a Parigi, nel 250° dalla nascita” con la quale celebreranno il geniale compositore Toscano Luigi Cherubini (Firenze 1760 – Parigi 1842).
Le celebrazioni si apriranno nel giorno e nel luogo di nascita di Cherubini: a Firenze il 14 settembre. Presso l’Assessorato alla Cultura della Regione Toscana si terrà una presentazione dei concerti e iniziative previsti per l’anno Cherubiniano. Il Prof. Alberto Batisti, Direttore Artistico della Rete Toscana Classica, sarà il moderatore della giornata che vedrà tra i suoi ospiti la Dott.ssa Cristina Scaletti, Assessore alla Cultura della Regione Toscana, il Prof. Paolo Biordi, Direttore del Conservatorio Statale di Musica “L. Cherubini” di Firenze, il Dott. Piero Torrigiani, Direttore Generale di Auser Musici, il Prof. Sergio Miceli, Docente di Storia della Musica, il Prof. Francesco Ermini Polacci, critico musicale e curatore di Settembre Musica per Amici della Musica di Firenze, Jean Michel Verneiges, Direttore del Festival di Laon ADAMA, Alexandre Dratwicki, Direttore Scientifico di Palazzo Bru, Enrico Bellei, Direttore Artistico del Festival Grandezze & Meraviglie di Modena e il Prof. Claudio Proietti, Direttore Artistico della Fondazione Teatro di Pisa.
Il 16 settembre inizia nella città di Perugia il ciclo di concerti “Luigi Cherubini: arie e ouverture da Firenze a Parigi, nel 250° dalla nascita” che vedrà anche le città di Firenze, il 23 settembre, Laon (Francia), il 25 settembre, Venezia, il 20 ottobre, Modena, il 25 ottobre. Nei vari concerti saranno eseguiti principalmente dei brani composti dal Cherubini nel suo periodo italiano (alcuni dei quali provenienti dai fondi della Biblioteca del Conservatorio).
Nello stesso periodo dei concerti si terrà a Firenze l’importante Convegno Internazionale, organizzato dal Conservatorio Statale di Musica “L. Cherubini” di Firenze, Cherubini al “Cherubini” nel 250° della nascita, l’8 e il 9 ottobre 2010 nella Sala del Buonumore del Conservatorio stesso.
Auser Musici
Fondato nel 1997 da Carlo Ipata, Auser Musici è un ensemble vocale-strumentale che riunisce strumentisti e cantanti di solida formazione ed esperienza internazionale nel campo della prassi esecutiva con strumenti storici su repertorio toscano del XVII e XVIII secolo.
Nel 2000 AuserMusici dà vita al Progetto Tesori Musicali Toscani stipulando nel 2001 un protocollo di residenza presso il Teatro Verdi di Pisa. Tesori Musicali Toscani nasce dalla convinzione che sia necessario avviare un dinamico confronto tra speculazione teorica e prassi, tra ricerca scientifica e realtà musicale. L’esibizione in concerto e l’incisione discografica rappresentano il punto di arrivo di un lavoro lungo e articolato che vede gli interpreti collaborare proficuamente con un gruppo di musicologi nella riscoperta e nello studio delle fonti originali e nell’approfondimento di specifici problemi relativi alle circostanze storiche e stilistiche di un determinato repertorio. Grazie a molte prime esecuzioni moderne, l’insieme delle produzioni fin qui realizzate ha permesso di ricostruire pagine importanti della storia musicale della Toscana, mettendo in luce i contatti e gli influssi intercorsi tra i compositori locali ed i loro coevi europei.
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