domenica 20 settembre 2009

Patricia Petibon - Amoureuses

Sentiamo ripetere, a giorni alterni e sempre dai medesimi pulpiti, che i grandi cantanti di oggi non amano esibirsi nei teatri italiani (e in particolare in quello milanese) perché, quando lo fanno, ricevono un’accoglienza irriguardosa del loro status di sommi interpreti del repertorio lirico.
Patricia Petibon si è prodotta lo scorso mese di marzo in un’Alcina alla Scala. L’accoglienza è stata molto negativa alla première, assai più benigna alle repliche, in cui per tradizione consolidata, e pur con importanti eccezioni, il pubblico è uso dimostrare maggiore magnanimità. O magari, più semplicemente, latita. Tramontato il progetto, a suo tempo ventilato, di una nuova apparizione ambrosiana come Marguerite del Faust, la signora Petibon dovrebbe tornare in Scala fra due anni nel ruolo della poupée dei Contes d’Hoffmann.
Ascoltando il disco “Amoureuses”, uscito l’anno passato e comprendente pagine di Mozart, Haydn e Gluck, viene da pensare che il loggione scaligero, ormai ipostasi di ignorante rozzezza, sia stato, con la cantante francese, fin troppo mite e clemente.

Una considerazione preliminare sul titolo: è raro che un soprano, almeno nell’opera barocca e classica, non soffra o non faccia soffrire altri per amore, ma includere nella categoria personaggi come la Regina della Notte (figura di puro odio) o Giunia del Lucio Silla (in cui l’ansia di vendetta prevale decisamente sul sentimento nei confronti di Cecilio) appare francamente azzardato.

Quella di Patricia Petibon è una voce di cosiddetta soubrette. La figura della soubrette appare nel teatro in musica in epoca posteriore di almeno cinquant’anni al tramonto del diciottesimo secolo. Che Nancy Storace, prima Susanna, poco avesse che spartire con la suddetta categoria vocale, lo testimonia Hegel (se non piglio errore), quando afferma che l’esecuzione delle Nozze di Figaro da parte di una troupe italiana gli aveva per la prima volta rivelato la bellezza dell’opera, anche in virtù dell’impiego di una voce più corposa, segnatamente all'ottava bassa, nel ruolo della cameriera della Contessa. Ancor meno assimilabili alla vocalità soubrettistica sono altri personaggi affrontati nel disco, connotati da una vocalità seria di stampo italiano o financo da un declamato aulico in stile francese: la Regina della Notte (scritta per Aloysia Weber coniugata Lange, destinataria anche dell’aria “Vorrei spiegarvi o Dio”), Giunia, Zaide, Ifigenia tauridica, Armida (di Gluck e di Haydn), Flaminia de Il mondo della luna, Euridice.
Esiste una consolidata tradizione, prevalentemente germanica, di voci di soubrette applicate a questo repertorio. Raramente, però, abbiamo ascoltato, per di più in sede di registrazione ufficiale, una voce così letteralmente malmessa e un’interprete così poco ispirata.
La voce della signora Petibon suona priva del necessario appoggio: inesistente in prima ottava, i tentativi di smorzare e cantare legato producono suoni stimbrati e larvali, con occasionali slittamenti d’intonazione, tipici di chi non sostiene, mentre i passaggi da eseguirsi forte e di slancio portano a suoni incontrollati e incontrollabili fin dai primissimi acuti. A ciò si aggiunge il vezzo, derivato plausibilmente dalla frequentazione del repertorio barocco e degli attuali specialisti del ramo, di acuti marcatamente fissi e di passaggi al limite del parlato, in specie nelle arie di furore. La naturale conseguenza di un simile assetto vocale è un canto assai poco vario, in cui la concitazione e i bamboleggiamenti prendono il posto ora della coloratura, eseguita senza il necessario mordente e con scarso rispetto dei punti coronati, solo occasionalmente onorati di una cadenza, ora dei passaggi in stile declamato, che necessiterebbero di un congruo accento tragico. Oltre che di una maggiore ampiezza vocale, figlia di una natura e più ancora di una cognizione tecnica differente.
La situazione migliora nei brani più “leggeri” del disco, ossia quelli che presentano più contenute difficoltà esecutive: l’aria di Silvia da L’isola disabitata, l’arietta de Lo speziale e la cavatina di Barbarina. Anche in questi brani, sostanzialmente da mezzo soprano, la Petibon non rinuncia a estrose scalate all’acuto che mettono impietosamente in evidenza i limiti della cantante nel registro che dovrebbe, per dote vocale e frequentazione scenica, esserle più familiare.
Alla direzione del Concerto Köln, ensemble che si avvale di strumenti originali, come moda prescrive, Daniel Harding fa il possibile per adeguarsi ai limiti della solista, staccando tempi anche più rapidi di quanto sarebbe necessario e creando in orchestra quelle atmosfere che la voce non è in grado di evocare. Il disco resta comunque un bel buco nell’acqua: dovrebbe dimostrare l’eclettismo e la versatilità della sua protagonista, ma ne chiarisce in effetti i pesanti limiti naturali e tecnici, denunciando al tempo stesso la scarsa oculatezza con cui questi recital “di laboratorio” vengono assemblati.


Gli ascolti

Gluck

Armide


Atto III

Ah! Si la liberté me doit être ravie - Mireille Berthon (1929)

Mozart

Popoli di Tessaglia...Io non chiedo, eterni Dei KV 316 - Mady Mesplé (1965)

Die Zauberflöte

Atto II

Der Hölle Rache - Mado Robin (1947), Mady Mesplé (1966)


13 commenti:

Emanuele Nitri ha detto...

Questa recensione al cd della Petibon mi ha indotto a scrivervi, con grande apertura di cuore, per chiedervi se vi sia mai, oggigiorno, una/un cantante lirico di cui poter dire sufficientemente bene. Non c'è alcuna vena polemica nella domanda (retorica): sono totalmente, o quasi, sempre d'accordo con i giudizi dei frequentatori di questo sito; la moda attuale brucia i cantanti, anche i più talentuosi e dediti, spingendoli ad accelerare tappe di carriera e affermarsi a discapito di preparazione e studio e umile gavetta, perchè chi perde il treno del business resta poi a casa. Inoltre, la critica musicale è inesistente o quasi sui mass media (tv zero, giornali italiani pressochè zero, radio appena sufficiente, internet dove e come capita) e vieppiù ridicolizzata, insultata, mal digerita dagli addetti ai lavori che invece dovrebbero usufruirne come stimolo e impulso a migliorare! Dunque: chi si salva dal cupio dissolvi?? La Kozena, p.es.? La veneranda Devia? D'Arcangelo e Caoduro? Terfel, Keenlyside, Schrott, Dean Smith, Trost o chi?

Giulia Grisi ha detto...

ciao e benvenuto
Purtroppo il problema è strutturale,lo abbiamo già detto.
Il canto è alle prese con la perdita della propria tradizione tecnica, ed esemplifico brevemente.
La respirazione, movimento chiave che determina la possibilità e l'impossibiità di cantare correttamente. Sino a venti-venticinque anni fa quasi tutti i cantanti la praticavano correttamente. Oggi è sconosciuta pressochè a tutti. E non lo dico io ( nonostante sia GG!!!), ma lo dicono i grandi cantanti in pensione.
E questo vale anche per altri aspetti della tecnica. Sicchè abbiamo una moltitudine di cantanti che magari posseggono voci naturali di grande qualità: Kaufmann, Alvarez sono due esempi preclari. Alcuni sono musicisti scadenti, altri hanno qualità espressive, come la signora Damrau o la Ganassi o la Ciofi. Alcuni hanno bella personalità scenica, come l'Antonacci.
Perciò il canto lirico prende vie diverse dal passato, come si vede in casi come la Dessay, che esalta oggi gli aspetti scenici a compensare le mancanze vocali ma...
IL testro di regia, la centralità dell'aspetto fisico nella scelta degli artisti, sono figli dell'incultura del canto: uno si involve e gli altri prendono piede.
A nostro avviso il punto è questo:
il sistema ( che pare gestito, agli altissimi liveli, da persone che di canto non si interessano, o non lo amano....) o cambia, ossia rivede le sue regole attuali e la sua capacità di risposta ai problemi ( risposta che non può essere quella di tipo pubblicitario, o di ricerca dell'immagine ) oppure evolverà ancora verso playback o microfonature ad oltranza ( il buon Domingo,paladino di questo modo moderno di "intepretatre" la lirica, mi pare che a Verona abbia già detto quest'anno che occorre microfonare i cantanti in Arena....sic!).E quest'ultima sarà una evoluzione che staccherà ancora di più l'opera dalla sua essenza, anzi la snaturerà del tutto.
Noi, per parte nostra, riteniamo che la risposta sia ancora nel canto, nell'educazione ad esso e che fuor di quello non si sia più nel terreno della tradizione lirica, nè nella cultura ( a parte la violenza fatta alle orecche educate al canto vero..).
Quante volte abbiamo letto sui giornali: "perchè non ci sono più le grandi voci?". Mille, milioni di volte!
Qualcuno ha mai avuto il coraggio di rispondere sugli stessi giornali: "perchè si canta senza il corretto bagaglio tecnico, perchè si da importanza a tutto fuor che al canto, e perchè è un mestiere di grandi sacrifici ed impegno quotidiano cui i cantanti non vogliono sottoporsi più" ? Poche e rare persone.

Noi recensiamo ( con fatica ) i dischi delle odierne star, ma sappiamo bene quel che c'è dentro quei cd. Ed il senso è solo quello di mostrare che non è vero che oggi si ascolta diversamente e che piace a tutti quel che viene indicato come ottimo.

scattare ha detto...

Appoggio in pieno le parole della Signora G. aggiungendo anche che, insieme alla corretta tecnica respiratoria, lezioni di canto e di spartito, i sacrifici vari... non ci sono discussioni abbastanza sulla DIETA (intesa come cibo giornaliero) dei cantanti moderni. Che il "riflusso" sia diventato la malattia preferita dei cantanti non è un segreto. Ma la generazione canora degli anni '50 non si lamentava di questo "disturbo". Ci sarebbe da riguardare tante cose...

Giulia Grisi ha detto...

ringrazio Scattare per la sua chiosa.
per parte mia, ho solo esemplificato.
Più sinteticamente potremmo parlare di COMPETENZE, come si dice oggi in gergo scolastico, che sta per FERRI DEL MESTIERE.
chi li possiede ha carriera lunga, vita diversa da quella dei cantanti odierni.
Avremmo grandi teatri, con grandi cantanti, ed una provincia di minor valore ma efficace, come un tempo ( non molto lontano )
Invece abbiamo un presente dove tutto è per tutti, e tutti per tutto, con gerarchie di valore labili e fragili.
saluti

silvio ha detto...

restando in tema, vi proporrei un piccolo gioco: qualcuno di voi saprebbe arrischiare un cast ideale, con le odierne (scarse, ahimé) forze canore, che sostituisca quello indecente del DOn Giovanni scaligero prossimo venturo? Alex Esposito, semplicemente, non è un basso. Palazzi è anche troppo noto, così pure Schrott (ci sono cose da fare rabbrividire su youtube) e il suo sostituto. Meglio non va di certo con le voci femminili.... mi chiedo se qualcuno di voi volesse improvvisarsi per un attimo direttore artistico, e proporre...

scattare ha detto...

Vorrei aggiungere alla Sig.a GG "...ma lo dicono i grandi cantanti in pensione." che questi non sono solo grandi cantanti italiani del passato ma grandi cantanti del passato di tutte le nazionalità.

silvio ha detto...

poichè il canto non è appannaggio solo di alcune, ma patrimonio artistico umano... al di là dei gusti e delle predilezioni specifiche, credo che sia necessario ribadire ancora che si è lontani da qualsivoglia forma di settarismo...

tommy ha detto...

Mi sembra solo opportuno precisare che c'è un penoso abbaglio nella dotta recensione. La Regina della Notte non fu scritta per Aloysia Weber, ma per sua sorella Josepha, sulle cui capacità vocali le testimonianze sono tutt'altro che lusinghiere, tanto da non risultare destinataria di altre parti (nemmeno "tauridesche", sic!). Non credo che ciò rilevi molto nella lamentazione sul "grigio diluvio vocale contemporaneo", ma insomma, almeno sulla storia sarebbe bene essere precisi. Anche perché pensare che una diva come Aloysia Lange si prestasse a cantare all'an der wieden di Schikaneder, lascia un filo perplessi...

Antonio Tamburini ha detto...

Grazie Tommy (a proposito, benvenuto) per la correzione, che come giustamente noti non cambia di una virgola il senso della recensione (poco dotta ma, ahimè, assai sofferta, se non altro per l'esperienza di ascolto che l'ha preceduta e incoraggiata).Pperaltro vorrei sapere dove e a proposito di chi avrei parlato di "grigio diluvio vocale contemporaneo", sì da meritare l'onore di una citazione virgolettata. Forse ne hanno parlato altri, che si dilettano di parafrasi e riscritture.

iuventianus ha detto...

cari,
vi leggo spesso e spesso dopo scriverli ho deciso di non inviarvi commenti rimproverandovi -pure con simpatia- la vostra consueta ferocitá. Ma finalmente mi sono deciso di salutarvi, per rimproverarvi piuttosto di non essere abbastanza feroci. In un momento di debolezza, qualche mese fa, comprai questo Amoreuses, e da allora Mme Petibon è in ogni serata con amici il momento comico par excellence, alla pari di una Foster Jenkins: ci bastano i momenti di coloratura di "Ah se in crudel periglio", di Lucio Silla, per trasformare qualsiasi riunione in una festa di risate. Che direttore, produttori e la diva stessa, dopo sentire il brano inciso, non si siano sentiti costretti ad escluderlo, è un mistero degno di studio.
Scusate il mio italiano, e complimenti per il bel lavoro

Antonio Tamburini ha detto...

Grazie mille iuventianius

però, decidetevi: o siamo crudeli e senza cuore, o siamo troppo buoni! se stronchiamo un disco o un'esibizione ci scrivete che siamo cattivi, se non lo facciamo ci rimproverate perché potremmo essere più crudeli... insomma, qui stiamo impazzendo! non sappiamo più che cosa fare!!! XD

scherzi a parte, grazie ancora e sempre dell'attenzione con cui ci seguite. AT

Anonimo ha detto...

Come lo sanno gia tutti, gli cantanti bravi non esistono. :)

Pure Patricia non vi va!? AHahahahahahaaa!

Sempre uguali, sempre uguali, sempre negativi e sprezzanti... Vabbe!
Altrimente, che c'e di nuovo?

Antonio Tamburini ha detto...

Certo che esistono i cantanti bravi. Solo che la Petibon non è una di loro. O magari, per essere positivi, avremmo dovuto scrivere che è meglio della Hempel?