venerdì 8 gennaio 2010

Mese verdiano XVIII - Son giunta! Settima puntata: Montserrat Caballé, Rita Orlandi-Malaspina e Ilva Ligabue

Alla fine degli anni’60 partì la campagna di liricizzazione di Verdi. Ed in questo, complice von Karajan e l’intensa campagna pubblicitaria, che circondava il famoso direttore, Verdi si trovò ancora una volta in compagnia del coetaneo e rivale Wagner. Oggi Verdi e Wagner sono più che mai in coppia nell’assoluta impossibilità di allestire decentemente un titolo del loro catalogo.

Per contro quando partì la campagna di liricizzazione era normale che i massimi teatri proponessero con assoluta regolarità il titolo di Verdi, che fama metaoperistica designa con appellativi tipo “la malefica”, “l’opera mai scritta” e, sopra tutti “la maledetta”.
Al momento in cui la campagna venne lanciata e sostenuta il Verdi lirico parve la salvezza perché si riteneva coincidesse con esecuzioni assolutamente rispettose delle dinamiche di spartito di cui – e mi limito alla corda di soprano- soprananoni e sopranacci tipo Cigna, Caniglia, Milanov e Scacciati, complici direttori di bieca ispirazione toscaniniana avevano fatto scempio.
In questa campagna, intorno al 1968, in una tavola rotonda sulla rivista delle edizioni ERI dedicata a Maria Callas, Rodolfo Celletti indicò in Montserrat Caballé il soprano verdiano del futuro. All’epoca la señora aveva affrontato in teatro il solo Don Carlos e registrato o eseguito in concerto le arie(ovvero i passi elegiaci e sognanti) di Aida, Forza e Ballo.
In teatro la señora approdò al titolo verdiano solo nel 1978 e, decorso un decennio, la recensione di Rodolfo Celletti su Discoteca fu alquanto diversa rispetto agli auspici di dieci anni prima.
Anticipo la conclusione: delle tre Leonore di Vargas oggi esaminate la Caballé è spartito alla mano, tradizione interpretativa nell’orecchio, attenzione ai principi del canto professionale quella più censurabile e discutibile. Poi se qualcuno riesce a convincere che i segni di espressione sono optional, che la tecnica di canto del Garcia, piuttosto che del Lamperti sono invenzioni dei “grissini”, come, con affettuoso disprezzo, ci chiamano, altrove, la “claudiette”, possiamo, anche, proclamare Moneserrat Caballé la più completa Leonora di Vargas mai esistita e coerentemente godere delle attuali, che, una esclusa, ad altro non repertorio, ma mestiere potrebbero con identica coerenza dedicarsi.
E preciso che per omaggio alla memoria artistica dell’illustre cantante catalana è proposto l’ascolto della prima Leonora, ossia la scaligera. Solo che si esamini quella successiva di un semestre, eseguita in Barcellona, i vizi e vezzi sono cresciuti, il canto professionale diminuito, l’interpretazione sempre più approssimata e casuale.
Se vogliamo i conti sulla prestazione della divina Montsita sono presto fatti. In una parte di soprano Falcon la Caballé emette suoni aperti e sgangherati dal do centrale al si nat sotto il rigo. Per la precisione l’inconveniente emerge sin dal recitativo iniziale “estremo asil questo è per me” con esemplare suono di petto senza appoggio in “son giun-ta” trattasi di un mi 3. Idem in “la mia orrenda storia è nota in quell’albergo” di fatto una omofonia. Per completezza suoni sopra il mi4 sono sistematicamente gridati vedasi “son giunta” iniziale.
All’aria “Madre pietosa Vergine” passo nella prima sezione assolutamente patetico proprio la regina dei piani e dei pianissimi risulta assolutamente monotona e piatta. Non serve neppure saper leggere la musica per accorgersi che le forcelle di cui è disseminata la parte non vengono rispettate. L’aria è eseguita perennemente sul mezzo forte e con un tempo anche piuttosto sostenuto. Montserrat Caballé anzi dinanzi alla forcella di “dal core a cancellare” esegue un piano anzichè quanto previsto in spartito. Arrivata alla sezione seconda dell’aria i vari “deh non m’abbandonar” a parte qualche suggestivo piano in zona centrale (do4 mi 4) emette suoni sopra duri e stridenti (vedasi il si bem del primo “deh non m’abbandor), parla sulle battute “a quei sublimi cantici” dando il saggio del suono privo di appoggio e il si nat grave “di calma” non si sa bene come sia collocato. Siccome al “non mi lasciar soccorrimi” Verdi prevede con più forza la Caballé piazza il solito piano, che sul re centrale, le riesce splendido in compenso il “deh non m’abbandonare” dell’ultima invocazione rende Gina Cigna e la Caniglia due forbite vocaliste. Trattasi di un banale fa# 3! Forse non tanto banale perché a rigore su quella nota cade il primo, delicatissimo passaggio della voce femminile! Certo il passaggio do diesis-si centrale del “pietà signor” conclusivo in pianino è suggestivo. Il peso specifico è quello di un soprano da Mimì. E non lo dice solo il povero Domenico Donzelli, ma Giacomo Lauri Volpi, che Mimì e non Verdi fosse il repertorio per grande soprano catalano.
Il pubblico scaligero decreta un autentica ovazione all’idolatrato soprano catalano.
Se vogliamo andare avanti tutte le battute di “conversazione” (salvo il “per carità”) con Melitone dove abbiamo sentito una agitata Stella, una solenne e nobilissima Cerquetti, una nevrotica Kabaiwaska passano via senza nessuna illuminazione e finalmente arriva il padre Guardiano. Padre Guardiano, che vocalmente è il voluminoso rimasuglio di Nicolai Ghiaurov, già Padre Guardiano della Leonora de Vargas di Ilva Ligabue.
Siamo sempre alle solite le esigenze drammatiche, la scrittura vocale da Falcon della sezione “Infelice, delusa” danno luogo a suoni poco appoggiati e prossimi al parlato se collocati sotto il do centrale. Le cose, ossia i suoni sono di miglior qualità e collocazione nella sezione” più tranquilla l’alma sento” che sarebbe lirica, salvo poi arrivare all’urlo del si nat del ”la sua figlia a maledir”, dove non è rispettata la forcella e il si nat è sparato (urlato!) e non legato alla frase come da spartito. Alla frasetta “darmi a Dio” la Caballé si ricorda di interpretare ed esegue una smorzatura sul si nat 4 di “Dio”. Scelta comune ad esempio a Rita Orlandi-Malaspina. Certo che con l’emissione precaria sul primo passaggio la Caballé non è in grado di rispettare l’indicazione di “dolcissimo” alla ripresa di “ah tranquilla l’alma sento”. Il secondo si nat è il degno compagno del primo e le varie indicazioni di crescendo restano una pia indicazione. Siccome l’andante mosso “se voi cacciate” ripete scrittura ed esigenze drammatiche dell’iniziale “infelice delusa” l’esecuzione presenta gli stessi difetti, salvo il rispetto dell’indicazione” sottovoce” di “salvati all’ombra”. La stanchezza ed il peso della parte inducono al Caballé persino ad artefazioni di dizione di marca verista; voi trasformato in “vai”. Inutile sottolineare che il filato di “mi toglierà” sul passaggio discendente sol fa si rompe.
La liricizzazione di Verdi, ossia il far quel che si può quando si dispone della voce –splendida- di Mimì da i suoi frutti alla sezione conclusiva dove la Caballé attacca dolce, ispirata e pucciniana le prime frasi, poi, priva dell’ampiezza e del vigore che Verdi richiede emette suoni spinti e duri a partire dal fa acuto. Tralasciamo il bercio finale. Per il sollievo dei fans del soprano catalano (fra i quali per altri titoli posso anche far parte) l’esecuzione della “vergine degli angeli” la cui nota più acuta è un sol è dolcissima, morbidissima e trasfigurata. Insomma due minuti di Montserrat hoc nomine digna!
Morale: la liricizzazione di Verdi è uno specchio per allodole o meglio un equivoco in cui perfino un critico come Rodolfo Celletti è caduto. Equivoco perché Verdi indica segni di dinamica e questi devono essere rispettati, magari amplificati, ma l’orchestrale, la zona in cui la scrittura vocale gravita non sono quelli che competeranno (e mi limito alla corda di soprano) qualche anno dopo a Mimì o Manon. Il pianissimo e più in generale la dinamica di Montserrat Caballé era, almeno sino al 1975 splendida e suggettiva, ma applicato ad altri autori. In Verdi la dimanica ed il peso vocale esatti sono quelli, che tramandano i 78 giri di una Arangi-Lombardi, di una Raisa, di Frida Leider o Rosa Ponselle. E per completezza non si tiri in ballo Claudia Muzio. Mi spiace, ma nella zona medio grave della voce, nonostante qualche suono un po’ aperto la divina Claudia aveva ben altra saldezza e cognizione.

Rita Orlandi-Malaspina e Ilva Ligabue, cui abbiamo già dedicato le nostre riflessioni tempo addietro con riferimento alle cantanti con faciloneria definite di serie b erano, dopo il ritiro della Cerquetti e l’assenza della Tebaldi dai teatri italiani fra le più accreditate, stimate ed applaudite Leonere di Vargas, quando, appunto, il titolo era titolo di repertorio e non preziosa e raffinata riproposizione, come per certo accadrà per l’imminente bicentenario verdiano, che saggio sarebbe postergare.
La Orlandi-Malaspina aveva un’autentica voce di soprano lirico drammatico e guardava, come modelli interpretativi, alla Tebaldi o alla Cerquetti. Certamente con una maggior solidità nella zona acuta della voce. Per essere chiari i si nat che la parte prevede sono tutti facili, sonori e squillanti ed a conferma che si trattasse della voce di un vero soprano di forza nessuno degli attacchi sul do grave o addirittura sul si nat presenza opacità ed insicurezza. Poi possiamo anche ritenere che la cantante raramente esca da consolidati binari interpretativi per assurgere, appunto, al rango di interprete. Verissimo, ma all’ingresso l’Orlandi-Malaspina anche su frasi scabrose come “del sangue di mio padre” può essere genericamente concitata, ma salda vocalmente e alla fine del recitativo, senza effettacci il morendo di “tanta ambascia” è rispettato alla lettera e con la poderosa voce del soprano cosiddetto di forza. Nell’aria con un tempo piuttosto sostenuto è assai più ligia alle indicazioni di spartito di quanto non faccia la Caballé a partire da buona parte delle forcelle previste (“perdona al mio peccato”, “m’aita quell’ingrato”) ed arrivata al “pietà Signor” che chiude la prima sezione dell’aria esegue, come molti altri soprani, la smorzatura di tradizione sia pure con un suono non bellissimo. Il rispetto delle forcelle previste al “deh non m’abbandonar” rende l’indicazione ‘con passione’ di Verdi; del pari il timbro sontuoso aiuta moltissimo a rendere frasi come “inspirano quest’anima”, ”il pio frate accoglierti” presagio della prossima confessione e conversione della nobile penitente. Timbro sontuoso, appunto, e adeguatezza della voce alla scrittura vocale sono al servizio di una facile chiusa dell’aria. Nelle battute di conversazione con fra’ Melitone Rita Orlandi-Malaspina sfoggi anche un paio di uscite da vera fraseggiatrice, soprattutto per virtù di mezzo vocale. Mi riferisco alle frasi “mi manda il padre Cleto” e “un’infelice” dette con accento mite e dolce, che fanno da contrapposizione alle prime del duetto con il Guardiano, dove il soprano è, invece e giustamente, agitato. E una specie di agitazione interna sembra essere la caratteristica dell’incipit “Infelice, delusa”. Ogni tanto appare qualche accento un poco enfatico (“fremete”), ma siamo dinanzi ad una Leonora nobile e pentita al tempo stesso, che emette con facilità i due si nat della “figlia maledir” (per esattezza più il secondo del primo). Nella seconda drammatica sezione del duetto “Se voi scacciate” compaiono molto suggestivi rallentando su “fin le belve” e sul successivo “chi tal conforto mi toglierà” per contro l’intonazione di alcune frasi come “ah si dal cielo” non è, almeno dalla registrazione, perfetta, come pure la realizzazione del morendo su “mi toglierà” non è esemplare.
Non ho dubbi a rilevare come nella sezione conclusiva del duetto “tua grazia” più che racconsolata, come indica lo spartito dalla confessione e dall’incipiente penitenza, questa Leonora è ben salda e certa nella propria fede e un si naturale alla chiusa è un po’ tirato. Erano questi i vizi e vezzi contro cui la liricizzazione di Verdi si spendeva ed adoperava? Per completezza il duetto viene eseguito con il taglio di tradizione alle battute conclusive. Quanto alla sezione conclusiva della scena della vestizione, allorquando Leonora, dopo il coro maschile eleva la propria voce ripetendo “la vergine degli angeli” possiamo anche ritenere che Rita Orlandi-Malaspina non abbia il timbro serico e sublimato della Caballé, ma siamo sempre alle stesse ossia trattasi di Leonora di Vargas e non già di Manon Lescaut che prega a Saint-Sulpice.

Più interessante, per la storia dell’interpretazione verdiana, la Leonora della Ligabue, qui proposta in un turbulenta inaugurazione scaligera. Per la cronaca il si bem di “maledizione” all’aria del quarto atto non riuscì bene ed il pubblico pizzicò il soprano reggiano.
La Ligabue non era, per i canoni del tempo, un soprano drammatico. Aveva, però una voce veramente bella, femminile, sontuosa, ampia ed una tecnica, che le consentiva di primeggiare non solo in Verdi, fosse il tardo o il primo (Elvira di Ernani ed Amalia dei Masnadieri) ma anche in Mozart e di reggere senza sforzo scritture massacranti come Francesca da Rimini. Oggi sarebbe una star assoluta anche perché l’interprete era specie in Verdi di prim’ordine. Basta sentire l’arrivo al convento della Madonna degli Angeli. Leonora è giustamente agitata e nervosa, sostenuta da un tempo veloce, che le evita le insidie del declamato in zona medio bassa e le consente, per contro, di sfoggiare un si naturale facile e sonoro e di rispettare ed esaltare l’indicazione “morendo” alla chiusa del recitativo. Anche il tempo dell’aria è molto sostenuto, comodo per un soprano di buona, ma non eccezionale potenza. E qui la Ligabue è esemplare all’attacco perché il timbro, l’accento, pur nel tempo sostenuto, rendono il senso del ‘come un lamento’ previsto da Verdi e allora in quest’ottica si può anche accettare e condividere che il soprano reggiano sul “dal core a cancellar” passi dal forte al piano, pur contravvenendo l’indicazione dell’autore. Indicazione “con passione” per i “deh non abbandonar”: la Ligabue, credo complice Gavazzeni, esprime la passione mediante un canto raccolto e sonorità, almeno all’inizio, controllate. In questo modo l’effetto previsto è reso in maniera soddisfacente, inoltre gli acuti sono facili e saldi. Un soprano come la Ligabue, naturalmente, punta moltissimo alla facilità e lucentezza della zona acuta, moderandosi in quella grave. Tanto è che la Ligabue è veramente travolgente nella realizzazione della forcella “il pio frate accoglierti etc” posta in una zona privilegiata della voce e, in generale nella sezione conclusiva dell’aria che sollecita la zona medio alta della voce. Sentire gli applausi convinti del pubblico.
Remissiva e spaventata, già penitente è la Ligabue nelle prime battute del duetto con il Padre Guardiano (sempre Ghiaurov allora, per virtù naturale, integro). Anche se non esprimesse nulla nell’”infelice delusa rejetta” e nel seguente “più tranquilla” la Ligabue dovrebbe essere proposta come modello assoluto di canto di scuola in zona pericolose come quelle medio gravi della voce femminile. Prova quando arriva il si nat la nota è facilissima e squillante, senza alcun segno di sforzo. Per la precisione sia la prima che la seconda volta.
In realtà Ilva Ligabue in questa sezione della scena rappresenta, a mio avviso, un vero paradigma di quello che dovrebbe essere il canto verdiano, per sicurezza e solidità, da un lato, e capacità di esprimere i forti sentimenti di cui la penitente nobildonna spagnola è raffigurazione. Se poi dobbiamo compiacerci di suoni belli basta sentire quelli che Ilva Ligabue emette sul sol acuto di “toglierà” alla chiusa del duetto con il Padre Guardiano. Il bello è che questo bel suono non è solo edonismo ed esibizione vocale: diventa anche interpretazione. Con buona pace di chi blatera sul termine interpretare, un suono dolce, morbido è la rappresentazione del canto dell’anima purificata e redenta. Almeno secondo l’immaginario popolare e, quindi, verdiano! Ancora applausi dal pubblico scaligero, allora non ancora rieducato con massicce dosi di opera ceca e di teatro di regia, ma in grado di accogliere ed apprezzare il vero canto all’italiana.
Buon ascolto! Dimenticavo: la Ligabue è splendida nella Vergine degli angeli.


Gli ascolti

Verdi - La forza del destino


Atto II

Son giunta!...Madre, pietosa Vergine...Chi siete?...Più tranquilla l'alma sento...Se voi scacciate questa pentita...Sull'alba il piede all'eremo...Il santo nome di Dio Signore...La Vergine degli Angeli

1965 - Ilva Ligabue (con Nicolai Ghiaurov & Renato Capecchi - dir. Gianandrea Gavazzeni - Milano, Teatro alla Scala)

1970 - Rita Orlandi-Malaspina (con Bonaldo Giaiotti & Alfredo Mariotti - dir. Paolo Peloso - Genova)

1978 - Montserrat Caballé (con Nicolai Ghiaurov & Sesto Bruscantini - dir. Giuseppe Patanè - Milano, Teatro alla Scala)

33 commenti:

Lele B. ha detto...

Nel 1987 affrontani una trasferta alla Rocca Brancaleone di Ravenna, attirato dalla presenza di uno dei miei beniamini, Carlo Bergonzi, nella Forza del Destino. Pur a fine carriera, il grande Carlo fu ancora un grande Alvaro, ma fui sorpreso di udire anche un'eccellente Leonora: ed era, appunto, Ilva Ligabue, ancora in splendida forma ben 22 anni dopo l'ascolto da voi proposto.
Lasciatemi esprimere qui la mia stima per questa grande professionista, che oggi farebbe un boccone di tutte le dive di princisbecco che deturpano i nostri disgraziati palcoscenici.

mozart2006 ha detto...

Brunini, c´ero anch´io quella volta e confermo il tuo giudizio. Ricordo la Ligabue anche come eccellente Amelia in un paio di produzioni del Simone accanto a Bruson.

silvio ha detto...

splendida scoperta per me la Ligabue. Una voce impensabile oggi, davvero...
spezzerei più d'una lancia a favore del Verdi di Maria Caniglia. Basti come prova l'Aida incisa assieme a Gigli. D'accordo, non era ineccepibile e certi stilemi non sono certo appropriati, ma che gusto e che controllo del mezzo! Per me rimane imprescindibile anche oggi, oltre ai riferimenti dei 78 giustamente citati nell'articolo.
come a dire, è ovvio che fossero meglio la Rethberg e la Arangi Lombardi, epperò...

stecca ha detto...

Peccato che oggi a distanza di qualche annetto nessuno più si peschi le Ligabue e le Orllandi giacchè la musica e l'arte non sono una serie di emissioni vocali corrette ci vuol quel qualcosa in più e che rende la Caballè un artista ancora oggi tra le più celebrate del dopoguerra. Non sono in grado di citare le Ponselle o altre coeve ad una età troppo augusta anche per la già assai vetusta mia ma quella Forza scaligera resta per mio conto una grande serata di Verdi come di molte poche mi è poi capitato in oltre trent'anni di sentire in Scala e su questo sfondo su questo blog una porta aperta giacchè trovo recensori ancor più severi di me. Con affetto e W la Montse

Antonio Tamburini ha detto...

Il fatto che "nessuno più si peschi le Ligabue e le Orlandi" dimostra solo che oggi come trent'anni fa gran parte del pubblico, anziché ascoltare con le proprie orecchie e giudicare con la propria testa, preferisce delegare le due funzioni ai c.d. professionisti, poco importa che si chiamino critica, agenti o specialisti di marketing, perché i tre insiemi spesso si intersecano, quando non si sovrappongono perfettamente. Donzelli ha dimostrato spartito alla mano come e perché in quest'opera, o meglio in questa parte dell'opera, la Caballé sia inferiore alle due colleghe. Che poi la Senora fosse padrona dell'arte nessuno lo discute; purtroppo, nella Forza, l'arte era quella della prestidigitazione e non quella del canto. Il "qualcosa in più" della Caballé serve solo a nascondere un "molto in meno". Che poi in seguito si sia fatto anche peggio, non sarò io a negarlo... ma il grande Verdi è un'altra cosa.

AT

stecca ha detto...

Il giorno in cui qualcuno sarà in grado di "dimostrare" (ovvero con procedimento assistito da verità di tipo scientifico) che un Artista (non un ingegnere navale oppure un chirurgo...) è oggettivamente "migliore" di un altro significherà la fine dell'Arte per definizione antitetica alla "dimostrazione scientifica" della magia di cui pure necessita. Tempo fa Vittorio Sgarbi rivolgendosi ad una dilettante poetessa disse "cara Signora la poesia non è tanto "quello" che si dice ma "come" lo si dice, se Leopardi avesse scritto "mi piace stare in collina" anzichè "sempre caro mi fu quest'ermo colle" oggi non parleremmo ancora di lui..." Può darsi che le signore citate spartto alla mano eseguano in modo più corretto alcune note ma la Caballé ha incantato per anni legioni di ascoltatori in tutto il mondo, le due citate oggi raccontano in soggiorno alle loro nipotine di quando la loro nonna...cantava. Questo vale anche per quei soloni che dicevano che Domingo o Pavarotti erano meno bravi di Lucchetti o Garaventa...il segreto è tutto qui. Ciò detto complimenti a Stefano per la analisi sia chiaro...certo se pensa di convincermi che la Ligabue era meglio della caballé ha da correre...
Davide

Antonio Tamburini ha detto...

Dimostrare ai devoti, di qualsiasi culto, che la loro divinità non è infallibile, non è difficile, caro Davide. E' inutile.

Giulia Grisi ha detto...

........l'arte non è forse finita quando è stata assoggettata alle leggi del commercio e della pubblicità?
Andy Warhol è stato chiaro su questo: il publico lo mandi dove vuoi!
IL disco ha cambiato le regole dell'opera: il pubblico applaude diversamente chi riconosce come divo del disco e la Caballè era diva riconosciuta del disco.
Le orecchie di chi ascolta cambiano al cambiare del nome...lo esempifichi tu bene con i tenori. Dunque...anche MOntserrat ha beneficiato della sperequazione che viene dall'essere stella oltre che dal plusvalore dato dal suo timbro straordinario, di fronte al quale l'ascoltatore medio era incantato comunque.
Costruite un mito, e la gente lo abbraccerà...lo sanno i mercanti d'arte come quelli che di professione lavora all''immagine di artisti e personaggi pubblici.

IL punto Davide, è che se tu prendessi un anno sabbatico dalla Caballè, scopriresti un mondo di altre grandi artiste che ti perdi. Poi vedresti la Montsie con un po' di distacco ed obbiettività, pur continuando a sentirla come la tua cantante preferita!
saluti

stecca ha detto...

ma mica è la mia unica voce eh...se vuoi ti elenco di fila 12 cantanti che mi fanno ancora accaponare la pelle e li metto a caso: Scotto, Sutherland, Callas, Domingo, Pavarotti, Horne, Christof, Ghiaurov, Blake, Merritt, Milnes, Bergonzi...non mi pare poi di avere sti gusti folli dai, certo mi obietterete che sono tutti figli delle multinazionali del disco et similia ma cosa posso farci se mi emozionano ancora molto di più delle varie Tucci, Maria Chiara, Ligabue, Bonisolli e tutti quelli cui il disco non ha dato pari opportunità ?? Magari ci sarà un motivo no ? A prescindere dal posizionamento della nota sotto il rigo o dallo scarto in fase di passaggio ??? Mia idea eh...poi ripeto fate benissimo a sottolineare le manchevolezze anche perchè siete gli unici a farlo e quindi ben venga...

Domenico Donzelli ha detto...

brevemente la precisione e il rispetto dello spartito sono il punto di partenza x essere interpreti, senza quello non si è nulla soprattutto quando viene meno l'entusiasmo del pubblico x certe caratteristiche del cantante che nel caso del possano catalano sono ben note. Il cantante verdi e scomparso da tempo perché unire ampiezza, accento solenne ed oratorio come impone la retorica romantica senza gridare, ma cantando è finito da tempo. Soprattutto x il tardo verdi. Eseguire i filati ed i piani della seconda aria del ballo non coincide con essere un soprano da verdi. Non per nulla la più pura e verdiana vergine degli angeli viene da un mezzo che mai canto leonora

Giulia Grisi ha detto...

Eh caro Stecca
all'obiezione "perchè X_Y non han fatto dischi?un motivo ci sarà?"
ti rispondo con la tua amica Ghena:
"perchè voi italiani non avete mai avuto una casa discografica vera?così i dischi li fanno solo gli stranieri...."
santa donna, lei dalla Bulgaria vedeva bene che noi italiani ci siamo fatti colonizzare laddove abbiamo sempre fatto scuola.
I dischi li fanno certi artisti e non altri perchè chi li commissione capisce poco o niente.....e infatti l'opera muore grazie e soprattutto al disco e ai suoi dittatori...
salut
g

stecca ha detto...

Si la ghena detto fra noi non è che avesse sta voce così fonogenica eh....in Teatro era diverso ma in disco ??? Vale anche per la "tua" Dupuy eh, se l'ascolti e basta ti pare una vociaccia, live invece acquistava armonici, credo che fosse stato il problema anche di Olivero, Gencer e kabaiwanska che al solo ascolto fanno abbastanza schifo eh....

Antonio Tamburini ha detto...

La Dupuy in nastro una vociaccia? E la Obraztsova una seconda Stignani, magari..............

scattare ha detto...

Vorrei che questa discussione prendesse la strada del problema della "liricizzazione" della lirica e non la critica o la difesa della señora Caballé.
Devo dire che ho sentito la señora nel suo periodo scaligero verdiano inclusi Ballo e Aida (forse la sua peggiore Verdi dal vivo di questo periodo) e comunque il peso del suono e l'incisività dei recitativi era deludente ma ci si accettava la sua "versione" anche soddisfatti del risultato sapendo però che qualcosa mancava.
Ho sentito anche le altre due signore nominate e resta detto che se ne avessimo oggi...
Mi ricordo "l'abbandono" di von Karajan da parte della Nilsson, il quale si rivolse poi a Regine Crespin (ottima Sieglinde) per Brünnhilde e Janovitz per Sieglinde. Fu l'inizio della fine per la Crespin che, pure aggiungendo i suoi gravi problemi di salute, iniziò il suo declino.
Basti guardare i cast del maestro vK nei i suoi tardi dischi e si capisce che la liricizzazione va mano a mano con la sinfonizzazione delle partiture orchestrali e la "passione predominante" dell'uso sproposito del microfono per aiutare l'artista dove l'artista non poteva arrivare!
E così siamo arrivati ai giorni nostri dove l'ascolto su cd mai garantisce lo stesso rendimento dell' "artista" dal vivo. Poi arrivò pure il digitale...
Ah sì, ci sarebbe la discussione su Capecchi, Mariotti, Bruscantini e compagnia bella.

stecca ha detto...

Caro scattare mi spiace che tu abbia trovato deludente la Aida del 1976 con Bergonzi io purtroppo ho solo il CD che invece apprezzo assai anche se la perfezione del CD EMi con il debutto di Muti del 1974 resta irraggiungibile, posso tuttavia confermarti invece per diretta presenza in sala che DOPO mi è capitato di sentire in Aida prima Maria Chiara e quindi la Urmana ed entrambe mi sono piaciute molto ma molto meno di quella Caballé. Ho poi sentito in Arena o in altri spazi aperti varie vocione o vocette e vale quanto sopra mentre ho ascoltato o visto Cd e DVD con le varie Millo e compagnia (mal) cantante ed ancora ti confermo quanto sopra.... Ne deriva che certamente Tebaldi e Price tanto per dirne due avranno certamente (come magari le Milanov) fatto di meglio PRIMA di quella Aida della Caballé ma purtuttavia dopo e a questo punto parliamo di 40 anni (!!!!) non vi è più stato di meglio in quel ruolo...e si che di Aide ne fanno e ne incidono a iosa eh...a meno di non trovare entusiasmanti le liricizzazioni di Freni e Ricciarelli (sic !!!), sarei meno tranchant insomma visto che stiamo scrivendo oggi nel 2010 e non ai temi delle Ponselle o anche solo delle Callas...con affetto Davide

silvio ha detto...

Dire che voci come quella della Gencer facessero "schifo" su disco mi sembra semplicemente ridicolo. Applaudiamo agli scempi come quelli di ieri sera per radio allora, dove Vargas fa di Des Grieux un palestrato con manie depressive che sposa la causa di scientology, e la Damrau... lasciamo perdere.
!Viva Monserrat, hasta la victoria siempre!

giorgiocaoduro ha detto...

Stecca, secondo me la Fantini in Aida è meglio della Caballè, avendo peso vocale e tecnica adatte al ruolo.

Unknown ha detto...

Ci si scervelli pure ad libitum sulla Senora, davvero di cuore, ma non mi si tiri fuori sempre la Leyla come esempio di voce brutta, o addirittura schifosa, per cortesia, che mi cascano le braccia!!!

Saluti!!!

justsmile ha detto...

Detto da scattare: AMEN!
E smettetela con la Gencer e la Olivero e le loro voci e le ragioni della loro non discografia ufficiale! Si sa benissimo come girano queste cose... Il talento o la voce hanno ben poco a che fare con decisioni presi in uffici e in "altri siti".

Domenico Donzelli ha detto...

caro stecca,
Giuseppe di Stefano, che proprio è l'opposto del mio cantante ideale, ma che era uomo intelligente ed arguto soleva chiamare uno dei più fedeli ed assidui fan di Maria Callas "El Maria". Considerata la tua fedeltà, solerzia ed esclusività nel postulare la causa della Caballè ho la certezza che vuoi, esigi, imponi che ti si appelli "El Montsyta".
ciao dd

stecca ha detto...

Devo ammettere Stefano che questa è bella !!!
Ah senza offesa ma quella della Fantini meglio della Caballé fa ancor più ridere però...ahahahaah

Giulia Grisi ha detto...

Caro Stecca,
anche Montsie ha fatto ridere spesso....pure a Milano! prendersi della "Scagassona" non è da tutti eh!
Immagino che anche quella della Fantini ti faccia ridere per partito preso, ma che tu non l'abbia mai sentita....come la Carosi con cui sei tanto amico etc....!

stecca ha detto...

Si cara Giulia ma non mi passa nemmeno per la capa di metterla a confronto con la C.
Finchè si scherza si scherza ma la triade delle "intoccabili" del dopo-guerra son su altro pianeta: la Divina (M.C), la Stupenda (J.S) e la Stupenda (M.C), tutto il resto arriva dopo...e ben prima di arrivare alla... Fantini peraltro, con devozione

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Bah...premesso che ritengo questa idea di triade alquanto discutibile, penso che il dogma dell'INTANGIBILITA' (riferito alle 3 suddette), per quanto scorretta sia l'idea stessa di intangibilità - che di fatto, ammazza ogni discussione critica - possa essere attribuito alla sola Sutherland (e neppure a tutta la sua produzione). Non voglio parlare della Callas, poichè non intendo entrare in gineprai para liturgici, giacchè le religioni (più o meno rivelate) non mi interessano...e neppure mi interessa dare occasione ai fedeli e ai catecumeni di ergere pire o roghi: certo è che molto può essere discusso della Callas, a patto di uscire dalla suggestione (falsa) del mito. Ma se la Callas è discutibile a fortiori lo è la Caballè! Nulla da eccepire circa l'importanza del suo canto...però quanti inciampi (fragorosi), quanti passi falsi, quante scelte sbagliate di repertorio? A cominciare da Aida, Gioconda, l'orribile Maddalena dello Chenier, Leonora..la grottesca Lucia... Stendiamo poi un velo pietoso sulla seconda parte della carriera... E che dire degli intollerabili problemi di un articolato verbale reso inintelleggibile dalla sistematica omissione delle consonanti: una poltiglia di vocali al cui confronto persino una Sutherland colta nei momenti di più aspra idiosincrasia per una dizione corretta, diviene modello di scolpitura della frase (dal significato al significante), e con l'aggravante che laddove la Stupenda manca nell'unica qualità (in ambito vocale) che la natura le ha orbato, la Caballè è vittima della sua stessa inerzia, pigrizia e mancanza d'impegno (oltre che dimostrare un completo disinteresse per il senso di ciò che canta). A questo difetto si accompagnano, spesso, suoni assai brutti (si ascolti Chenier, Mefistofele, Gioconda), letture approssimative e carenti (Puritani e Lucia), esecuzioni limitate per scelte di repertorio sballate (la sua Aida o Turandot). Insomma: nessuno nega la grandezza della Caballè, ma da qui a farne un dogma di fede.... Come la Bartoli e la Freni per Giudici (solo che nel primo caso siamo davanti a una non cantante, e nel secondo ad una buona cantante enormemente sopravvalutata)...

giorgiocaoduro ha detto...

Stecca, a mio avviso, in questo preciso momento storico la Fantini è il miglior lirico spinto al mondo (considerando la Casolla un drammatico), e non trovo assolutamente ridicolo paragonarla alla Caballè, a differenza della quale la Fantini studia con una determinazione MANIACALE. E per quanto in Italia non sia molto in auge, ti assicuro che in Germania (per citare uno dei Paesi da lei più frequentato) è idolatrata e adorata da un pubblico vastissimo ed entusiasta. Ascoltata in Forza (dove ho avuto il privilegio di cantare al suo fianco), in Aida e Don Carlo, non mi ha fatto rimpiangere nessuno, ma davvero NESSUNO!
Detto questo resta innegabile che la Caballè abbia scritto pagine indelebili del libro della Storia dell'opera lirica.

Tripsinogeno ha detto...

Dopo la Divina e la Stupenda, per la terza M.C. (Micaela Carosi) di cui sei amico, stecca, urge il battesimo di un aggettivo anche per essa, autentico soprano "da agenzia" (e da reclutamento facebookomane: "Pizza girl", per dirla coi Jonas Brothers?).

stecca ha detto...

Duprez dici il giusto quando parli di seconda parte di carriera, però io mi riferisco alla prima ovvero quella che abbraccia almeno 15 anni di canto sublime e dove tanto per dire esiste una Maddalena del 1966 live con Corelli da brivido e che elide quella certamente meno riuscita ne convengo della incisione Decca di molti anni dopo. Aida del 1974 in disco con Muti (ma anche la esecuzione live di Barcellona del 1973) è certamente non caninica ma meravigliosa e in quegli ani mi spiace tanto la dizione era spettacolare soprattutto considerato che era di madre lingua non italiana. Quanto a Turandot il video di Parigi diretto da Ozawa è a mio parere tra le migliori incarnazioni della principessa di gelo che ho mai scoltato o veduto e la incisione 1973 del Mefistofele EMi è pure grandiosa e anche qui non confondiamo con la trada recita di Barcellona. Sui dischi Puritani e Lucia convengo che nulla aggiungono alla storia della caballé e infatti furono esperimenti discografici di opere mai eseguite in Teatro. Tralscio ogni doscorso sulle sue incisooni del primo verdi da Luisa a Masnadieri da Giovanna a Corsaro sublimi e sul suo Donizetti straordinario per quantità e qualità, quanto a Bellini bstano Pirata, Straniera e Norma per farne una grandissima e pure in Adalgisa guarda un pò. Nel repertorio francese ha pure dato molto e così anche in quello tedesco, in Puccini la sua Manon è stupenda e così pure la omonima di masente, pure in Rossini negli anni d'oro ha lasciato una Donna del lago superba e anche nel verismo il disco Pagliacci è splendido del 1971 e ti sfido a non trovare splendido il video 1976 di Adtiana, Direi e qui mi fermo che ce ne è abbstanza per sollevarla almeno da Bartoli e Feni la cui Elisabetta di Don carlo tanto per dire scolora non poc rispetto a quella della caballé degli anni d'oro, Caballè peraltro da rcordarsi anche per il Ballo in maschera del 1969 RAI, Ernani 1968 RAI e gli stupendi Vespri del 1974 sia al Met che a Barcellona. Dopo il 1978 smettiamo pure di considerarla perfetta ma prima per piacere non dimentichiamo cosa e come ha cantato per 15 e passa anni e ahimè ci manca molto del pre 1965 perchè come noto divenne famosa solo a 32 anni nel 1965 con Lucrezia, saluti e baci a tutti. Se non avessi letto troppe volte ridimensionamenti anti-storici su questa grande cantante non sarei stato così ossessivo qui e me ne scuso ma si tratta di legittim adifesa, sorry.
davide

Domenico Donzelli ha detto...

caro stecca, tu mi insegni che esiste, però, l'eccesso e colposo e doloso di legittima difesa.
Talvolta tale situazione si verifica per il semplice fatto che non si presta la necessaria attenzione al comportamento di controparte.
Quello che molte delle persone che qui hanno scritto e tutte in un senso ti dovrebbe condurre a due regole comportamentali:
a) leggere con cura ed esaminare quello che gli altri scrivono, che poi è una forma preliminare al dibattito serio e culturale e prima ancora di dialogo fra gli esseri umani;
b) pensare che espresse nelle dovute forme e, più ancora, supportate da copiosi esempi anche dei periodi che tu giudichi ingiudicabili, le altrui opinioni hanno dignità e valore. Tanto è che registrazioni alla mano, anzi nel cd può anche capitare che la maledetta di Ilva Ligabue o di Norma Fantini possa e di molto surclassare quella della Caballè. Esprimere una siffatta opinione, motivarla con riferimento deve far riflettere sui rischi dell'eccesso di legittima difesa.
Mi sembra che questo legittima difesa ricordi il "ad legittimitatem" che con scarsa cognizione della lingua latina qualcuno ha coniato giusto ieri
ciao dd

stecca ha detto...

Come tu ben sai Caro Stefano io ho scritto quello che per ora è l'unico libro in italiano sulla Montse, libro che ha avuto le sue recensioni e presentazioni e anche lusinghieri risultati di vendita anche fuori Italia, quindi quello che penso di questo soprano l'ho motivato, analizzato e pubblicato. Ovvio che rispetto e leggo le opinioni altrui cosiccome i diversi gusti e non mi scandalizzerei mai se come spesso accaduto si trovi qualche appassionato di opera che volta a volta mi preferisca in certa opera cantata dalla Caballé (del periodo aureo) una Scotto o una Tebaldi o una Gencer o una Price o una Sutherland o una Gencer o una Olivero e via discorrendo, neppure mi sorprende che in certi cultori estremi della tecnica emissiva del canto si sostenga che una singola nota od anche frase e persino romanza in una certa opera di una Ligabue o di una Fantini appaghi di più quell'orecchio attento a tale aspetto di più dell'omologo di una caballé ci sta eccome, ma adonto quando leggo invece che l'intero personaggio sarebbe da preferirsi quindi va benissimo dire che il "maledetta" della fantini supera per taluni quello della Caballé od anche che il sibemolle della Devia è più sonoro e appoggiato di quello della caballé nella tale opera, rispondo quando leggo che la NORMA o LA FORZA DEL DESTINO di una Fantini o di una Ligabue trovano una loro collocazione nella storia di detta opera più di quelle di una Caballé, tutto qui. Ma vale anche per altre oneste professioniste cui è mancato (capita) di avere quel quid in più che conduce alla magia del grande ad onta di possibili difetti tecnici, Di Stefano resta un tenore straordinario e indimenticato aìmentre tanti altri lirici carneadi che seguivano il cellettum oggi raccontano ai nipotini che un dì anche loro cantarono....L'X factor che solo pochi possiedono quell'X factor che non aveva una Cioni (tecnicamente inappuntabile) e che giustamente faceva la Norma sostituta della Caballé...Senza offesa Stefano quell'X factor che è un pò mancato anche alle bravissime Cuberli e Dupuy e che avevano Sutherland e Horne, capita

Domenico Donzelli ha detto...

caro stecca, come vedi ti ho ulteriormente pubblicato anche se il propenptikon del tuo ultimo post sembrava preconizzare la cessione dello scrivere. Mi ero sbagliato
E ti pubblico per quanto di quello che hai scritto non condivida, da anni, assolutamente nulla, neppure l'uso della punteggiatura.
ciao dd

stecca ha detto...

Tanto per dire in questo momento sto ascoltando la Traviata di Dallas 1965 diretta da Rescigno con un giovane Bonisolli e Zanasi (ed. Frequenz) e la Caballé per mio conto è una Violetta vocalmente da sogno dalla prima nota all'ultima, da sogno ribadisco...

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

Prima di rispondere a Stecca, voglio raccogliere l'invito di Scattare circa la "liricizzazione" di Verdi. Come al solito bisogna intendersi sui termini usati e sul momento storico a cui essi si riferiscono. Purtroppo il termine suddetto è stato abusato e la "liricizzazione" è stata utilizzata quale pretesto per giustificare approcci a Verdi del tutto sballati e incongrui, per mancanze tecniche, tipologia vocale e temperamento. La critica poi (con i sinceri ringraziamenti delle majors del disco), ha contribuito, spacciando carenze e vizi per “nuovi orizzonti interpretativi”, lontani “finalmente” dalla tanto odiata tradizione: finendo così per suggerire come un approccio “bonsai” e rinunciatario, nobilitasse il melodramma (da sempre in uggia a certe auctoritas germanofile e iinclini a ritenere l’opera lirica una sorta di circo per ululati e strilla, fatto di loggioni trucibaldi e primedonne ottuse). Così che un Verdi un pò meno “verdiano”, e magari associato a certe suggestioni “colte” (la mitteleuropa va sempre per la maggiore in questi casi...ma anche il “wort-ton drama”), segnasse un “salutare” spartiacque che dividesse gli ottusi appassionati, dai più moderni intellettuali della musica, che nell’opera non ricercano la bella voce, o l’esecuzione generosa, bensì un’interpretazione autentica, teatrale, tormentata, psicologica. Ovviamente questo ha aperto le strade alle alchimie più folli: sopranini da Mimì spacciati per Aide del secolo, tenori slavati e asettici chiamati a rendere la spregiudicata fanciullezza di Manrico, bassi e baritoni dal canto minimalista per comunicare la complessa psicologia della contorta immagine verdiana dell’autorità (paterna, statale, religiosa). Voci piccole, prive di cavata, incapaci nel reggere le ampie costruzioni melodiche di Verdi, di cui a mala pena riescono a venire a capo del lato elegiaco: eppure di volta in volta impiegate in ruoli drammatici, “pesanti”, che richiederebbero corpo e resistenza. Ben diverso però dovrebbe essere il concetto di “liricizzazione”. Karajan operò in un determinato periodo storico: si usciva da interpretazioni ancora veriste o ipertrofiche. La SUA liricizzazione fu ben diversa: innanzitutto riportare dignità musicale al melodramma: e questo soprattutto all’estero (dove maggiori erano i pregiudizi). Considerare Verdi o Puccini, ma anche Mascagni, Cilea, Giordano, compositori e musicisti che nulla avevano da invidiare alla grande tradizione europea (anzi)... Si pensi al disco dedicato agli Intermezzi veristi: con che amore e cura esegue quelle pagine (laddove il divo Abbado evita schizzinoso di metter mano, come se non fosse musica, ma ciarpame ideologicamente sospetto...). Il Verdi di Karajan, pur valorizzandone la scrittura orchestrale, parte dalle voci e dai segni d’espressione. Alleggerisce certa enfasi che gli venne forzatamente appiccicata e ne esalta la bellezza formale. Don Carlo, Aida, Otello, Trovatore, Traviata...interpretazioni certamente “liriche” ma non nel senso moderno e abusato del termine! Non è vero che a liricizzazione corrisponde sinfonizzazione: o meglio lo è per quei direttori che considerano l’opera un qualcosa di minore rispetto alla musica sinfonica. Non così Karajan. E lascerei perdere i cast delle ultime sue prove discografiche: non fanno testo. Oggi la liricizzazione è solo una scusa, che vuole mascherare un “pensiero debole”, un nulla spacciato per novità.

Gilbert-Louis Duprez ha detto...

E ora veniamo a Stecca: non voglio contestare l’importanza della Caballè. Intendiamoci. Contesto la sua pretesa intangibilità! Aldilà di singoli episodi – più o meno fortunati – resta il fatto che ha approcciato in tanti momenti della carriera, ruoli sbagliati, troppo grandi per lei o troppo stretti. Oppure semplicemente poco preparati: sarebbe stata un’ottima Lucia, ad esempio, ma solo in potenza...l’ascolto del disco è inqualificabile! La sua Aida è splendida nei momenti più elegiaci (il “cieli azzurri”, e siam d’accordo...), ma altrove naufraga. Così come la sua Elisabetta di Valois. La stessa Norma, a ben ascoltare, è un inciampo...tolta “Casta Diva” e altri momenti dove sfoggiare splendidi “pianissimi” e filatini sfiziosi, resta una parte troppo gravosa per le corde abbastanza leggere (solo quelle...se perdoni l’ironia) della sua voce. Parliamo poi di agilità! Dove sono quelle di forza, NECESSARIE per affrontare Rossini? Taccio poi dei tanti ruoli abbozzati, poco preparati, quando non improvvisati... La dizione? Il problema non è la dizione, ma la sistematica omissione delle consonanti per....per pigrizia! Grande cantante? Certo...ma non in tutti i ruoli che ha fatto e – ma questo è un mio convincimento – sarebbe stata veramente grande con altre scelte di repertorio!