Ieri sera in Scala Rigoletto, secondo titolo della stagione ove sono bandite scelte che esulino dai quindici titoli più rappresentati al mondo. E ciò nonostante Internet e la Garzantina.
In realtà è la riproposizione in Scala di un cast, che la passata stagione nella provincia emiliana costituì forte richiamo per il pubblico, che venne, anche omaggiato del bis (ed addirittura del tris) della “vendetta”. Questa scelta è il segno, irreversibile, dei tempi. Un tempo i grandi cantanti ritenevano normale alternare ai maggiori teatri quelli cosiddetti di provincia. Bastino le cronologie di un Gigli o di una Pampanini ed in tempi a noi prossimi la Kabaivanska o la Serra. Oggi, al contrario sono cantanti da provincia nel senso deteriore del termine a calcare anche il palcoscenico scaligero.
Come accade per Elena Mosuc, Gilda, che, onorata persino da un recente fan club milanese, è cantante usurata e di provincia. Usurata perché accorciata in alto (l’unico sovracuto interpolato il mi bem della vendetta era stonato e calante), incapace di emettere un suono a piena voce oltre il si bem acuto, dal fiato corto come la accade nel “Caro nome” inficiato da prese di fiato abusive e musicalmente brutte nei picchettati e suoni non certo saldi. Di provincia perchè in tutta la serata mai una frase ispirata, mai un colore, una piatta e meccanica esecuzione delle frasi topiche di Gilda (vuoi la sognante innamorata del “Caro nome” o la ragazza divenuta donna nel “Tutte le feste al tempio”) e persino incapace di dare espressione ad una frasetta come “ ah s’egli al mio amore” di Gilda, ormai votata al sacrificio d’amore, detta con accento verista e soni prossimi al parlato. Dobbiamo, però, interrogarci sulla presenza di una Mosuc, che, comunque, è l’unico soprano leggero (perché a tale categoria appartiene la cantante) che abbia voce di una certa ampiezza nella zona centrale e che non le crei i problemi scenici ed interpretativi di Violetta, come accaduto anche in Scala oltre che a Parma di recente. Poi i tempi, i colleghi e le bacchette sono tali da auspicare la presenza di una Elena Mosuc (ieri sera nettamente superiore a tutti) che non può certo competere con un soprano di coloratura come la Gruberova e, forse neppure, con le rodate Gilde scaligere di quarant’anni or sono tipo Cioni e Rinaldi.
Quanto al protagonista della serata, che alla fine della rappresentazione ha ricevuto congrui, ma non trionfali applausi, meglio farebbe per età e conseguenti condizioni vocali a dedicarsi agli affetti familiari. Non censuro il gusto di questo Rigoletto, al pari di quelli venuti dopo Carlo Tagliabue, essere accorati, commossi, spaventati, vendicativi, sconfitti e straziati significa solo cantare mezzo forte e spingere gli acuti. In appendice come ascolto proponiamo le sporadiche eccezioni a tale principio, capitanati da Protti e McNeil. Oggi la voce di Nucci è priva di armonici e vibrazioni, incapace di cantare piano e colorire il fraseggio (salvo effettacci “Questo padrone mio..” al monologo). All’attacco di “Quel vecchio maledivami”, al primo incontro con Sparafucile, “Compiuto pur quanto a fare mi resta” e tutto il monologo di Rigoletto prima e dopo la consegna del sacco, che il povero gobbo crede contenere il corpo del Duca, allorchè tenta di cantare piano compaiono pesanti problemi di intonazione, suoni ossidati e raggiunti con portamenti e cospicuo aiuto del naso costellano frasi di scrittura scomoda come “Culto, famiglia” o il “Piangi fanciulla”. Al “Cortigiani vil razza dannata” non si scorge la differenza fra insurrezione iniziale e perorazione finale. Anche il volume è alquanto ridotto e poi che il la bem alla chiusa della vendetta sia un suono buono è del tutto indifferente per la resa del personaggio. A parità di età e senza puntatura acuta Giuseppe de Luca è assai più vindice ed insurrezionale nei panni dell’offeso buffone. Ascoltare per credere, come sempre.
Stefano Secco dispone di una voce di limitato volume, fraseggio attento e bella linea musicale, discreta e misurata presenza scenica. Ma quando lo spartito impone di cantare nella zona del passaggio superiore cominciano, pesanti, i guai. Tanto per fare l’elenco “..le sfere agli angeli..” dell’aria del secondo atto, il "D’invidia agli uomini” del duetto con Gilda, per tacere dell’inumana, improba fatica del quartetto dove il duca non svetta, ma patisce ed esibisce suoni duri ed ovattati. Privo di saldezza e sicurezza il Duca poco canta e nulla interpreta. Assolutamente censurabile in queste condizioni l’idea dell’esecuzione integrale del “Possente amor mi chiama”, privo di varianti agogiche e dinamiche e, naturalmente, del re nat alla chiusa.
Prosperosa e procace più nel fisico che nella voce Mariana Pentcheva quale Maddalena. Veramente bello da vedere specialmente nel primo incontro con il protagonista, Marco Spotti, vocalmente più che sufficiente.
Per contro e per chiudere questa litania abbiamo avuto una indegna direzione orchestrale. Fragoroso, rumoroso, pesante e monotono James Conlon, che ha offerto un preludio nibelungico, scene di corte pesanti e sgraziate, come l'accompagnamento del coro “era l’amante di Rigoletto”, o quello, indecente, dell’incontro di Rigoletto con Sparafucile, una tempesta ed un terzetto finale bandistico, con sistematica copertura delle voci, visibilmente tese ed insicure della sincronia con la bacchetta. La contezza della propria prestazione è stata ben evidente quanto il maestro non è uscito, a differenza dei cantanti, per le uscite singole. E’ la nouvelle vague dei direttori: o si evita il giudizio del pubblico o lo si affronta con il solido parafulmine dell’orchestra presentata sul palcoscenico.
Gli ascolti
Verdi - Rigoletto
Atto I
Ch'io gli parli - Aldo Protti (con Giuseppe Zampieri, Frederik Guthrie - 1962), Leo Nucci (con Luciano Pavarotti, Alan Held - 1990)
Pari siamo - Giuseppe Taddei (1954), Aldo Protti (1962), Sesto Bruscantini (1963), Mario Zanasi (1969), Leo Nucci (1990)
Figlia!...Mio padre! - Mario Zanasi & Renata Scotto (1969), Leo Nucci & June Anderson (1990)
Atto II
Cortigiani, vil razza dannata - Cornell MacNeil (1961), Aldo Protti (1962), Leo Nucci (1990)
Sì, vendetta - Giuseppe de Luca & Lily Pons (1940), Cornell MacNeil & Leyla Gencer (1961), Leo Nucci & June Anderson (1990)
Atto III
Un dì se ben rammentomi...Bella figlia dell'amore - Gianni Raimondi, Leyla Gencer, Cornell MacNeil & Carmen Burello (1961), Luciano Pavarotti, June Anderson, Leo Nucci & Birgitta Svenden (1990)
Della vendetta, alfin giunse l'istante - Giuseppe Taddei (con Lina Pagliughi - 1954), Aldo Protti (con Ruth-Margret Putz - 1962), Sesto Bruscantini (con Emilia Ravaglia - 1963), Mario Zanasi (con Renata Scotto - 1969), Leo Nucci (con June Anderson - 1990)
In realtà è la riproposizione in Scala di un cast, che la passata stagione nella provincia emiliana costituì forte richiamo per il pubblico, che venne, anche omaggiato del bis (ed addirittura del tris) della “vendetta”. Questa scelta è il segno, irreversibile, dei tempi. Un tempo i grandi cantanti ritenevano normale alternare ai maggiori teatri quelli cosiddetti di provincia. Bastino le cronologie di un Gigli o di una Pampanini ed in tempi a noi prossimi la Kabaivanska o la Serra. Oggi, al contrario sono cantanti da provincia nel senso deteriore del termine a calcare anche il palcoscenico scaligero.
Come accade per Elena Mosuc, Gilda, che, onorata persino da un recente fan club milanese, è cantante usurata e di provincia. Usurata perché accorciata in alto (l’unico sovracuto interpolato il mi bem della vendetta era stonato e calante), incapace di emettere un suono a piena voce oltre il si bem acuto, dal fiato corto come la accade nel “Caro nome” inficiato da prese di fiato abusive e musicalmente brutte nei picchettati e suoni non certo saldi. Di provincia perchè in tutta la serata mai una frase ispirata, mai un colore, una piatta e meccanica esecuzione delle frasi topiche di Gilda (vuoi la sognante innamorata del “Caro nome” o la ragazza divenuta donna nel “Tutte le feste al tempio”) e persino incapace di dare espressione ad una frasetta come “ ah s’egli al mio amore” di Gilda, ormai votata al sacrificio d’amore, detta con accento verista e soni prossimi al parlato. Dobbiamo, però, interrogarci sulla presenza di una Mosuc, che, comunque, è l’unico soprano leggero (perché a tale categoria appartiene la cantante) che abbia voce di una certa ampiezza nella zona centrale e che non le crei i problemi scenici ed interpretativi di Violetta, come accaduto anche in Scala oltre che a Parma di recente. Poi i tempi, i colleghi e le bacchette sono tali da auspicare la presenza di una Elena Mosuc (ieri sera nettamente superiore a tutti) che non può certo competere con un soprano di coloratura come la Gruberova e, forse neppure, con le rodate Gilde scaligere di quarant’anni or sono tipo Cioni e Rinaldi.
Quanto al protagonista della serata, che alla fine della rappresentazione ha ricevuto congrui, ma non trionfali applausi, meglio farebbe per età e conseguenti condizioni vocali a dedicarsi agli affetti familiari. Non censuro il gusto di questo Rigoletto, al pari di quelli venuti dopo Carlo Tagliabue, essere accorati, commossi, spaventati, vendicativi, sconfitti e straziati significa solo cantare mezzo forte e spingere gli acuti. In appendice come ascolto proponiamo le sporadiche eccezioni a tale principio, capitanati da Protti e McNeil. Oggi la voce di Nucci è priva di armonici e vibrazioni, incapace di cantare piano e colorire il fraseggio (salvo effettacci “Questo padrone mio..” al monologo). All’attacco di “Quel vecchio maledivami”, al primo incontro con Sparafucile, “Compiuto pur quanto a fare mi resta” e tutto il monologo di Rigoletto prima e dopo la consegna del sacco, che il povero gobbo crede contenere il corpo del Duca, allorchè tenta di cantare piano compaiono pesanti problemi di intonazione, suoni ossidati e raggiunti con portamenti e cospicuo aiuto del naso costellano frasi di scrittura scomoda come “Culto, famiglia” o il “Piangi fanciulla”. Al “Cortigiani vil razza dannata” non si scorge la differenza fra insurrezione iniziale e perorazione finale. Anche il volume è alquanto ridotto e poi che il la bem alla chiusa della vendetta sia un suono buono è del tutto indifferente per la resa del personaggio. A parità di età e senza puntatura acuta Giuseppe de Luca è assai più vindice ed insurrezionale nei panni dell’offeso buffone. Ascoltare per credere, come sempre.
Stefano Secco dispone di una voce di limitato volume, fraseggio attento e bella linea musicale, discreta e misurata presenza scenica. Ma quando lo spartito impone di cantare nella zona del passaggio superiore cominciano, pesanti, i guai. Tanto per fare l’elenco “..le sfere agli angeli..” dell’aria del secondo atto, il "D’invidia agli uomini” del duetto con Gilda, per tacere dell’inumana, improba fatica del quartetto dove il duca non svetta, ma patisce ed esibisce suoni duri ed ovattati. Privo di saldezza e sicurezza il Duca poco canta e nulla interpreta. Assolutamente censurabile in queste condizioni l’idea dell’esecuzione integrale del “Possente amor mi chiama”, privo di varianti agogiche e dinamiche e, naturalmente, del re nat alla chiusa.
Prosperosa e procace più nel fisico che nella voce Mariana Pentcheva quale Maddalena. Veramente bello da vedere specialmente nel primo incontro con il protagonista, Marco Spotti, vocalmente più che sufficiente.
Per contro e per chiudere questa litania abbiamo avuto una indegna direzione orchestrale. Fragoroso, rumoroso, pesante e monotono James Conlon, che ha offerto un preludio nibelungico, scene di corte pesanti e sgraziate, come l'accompagnamento del coro “era l’amante di Rigoletto”, o quello, indecente, dell’incontro di Rigoletto con Sparafucile, una tempesta ed un terzetto finale bandistico, con sistematica copertura delle voci, visibilmente tese ed insicure della sincronia con la bacchetta. La contezza della propria prestazione è stata ben evidente quanto il maestro non è uscito, a differenza dei cantanti, per le uscite singole. E’ la nouvelle vague dei direttori: o si evita il giudizio del pubblico o lo si affronta con il solido parafulmine dell’orchestra presentata sul palcoscenico.
Gli ascolti
Verdi - Rigoletto
Atto I
Ch'io gli parli - Aldo Protti (con Giuseppe Zampieri, Frederik Guthrie - 1962), Leo Nucci (con Luciano Pavarotti, Alan Held - 1990)
Pari siamo - Giuseppe Taddei (1954), Aldo Protti (1962), Sesto Bruscantini (1963), Mario Zanasi (1969), Leo Nucci (1990)
Figlia!...Mio padre! - Mario Zanasi & Renata Scotto (1969), Leo Nucci & June Anderson (1990)
Atto II
Cortigiani, vil razza dannata - Cornell MacNeil (1961), Aldo Protti (1962), Leo Nucci (1990)
Sì, vendetta - Giuseppe de Luca & Lily Pons (1940), Cornell MacNeil & Leyla Gencer (1961), Leo Nucci & June Anderson (1990)
Atto III
Un dì se ben rammentomi...Bella figlia dell'amore - Gianni Raimondi, Leyla Gencer, Cornell MacNeil & Carmen Burello (1961), Luciano Pavarotti, June Anderson, Leo Nucci & Birgitta Svenden (1990)
Della vendetta, alfin giunse l'istante - Giuseppe Taddei (con Lina Pagliughi - 1954), Aldo Protti (con Ruth-Margret Putz - 1962), Sesto Bruscantini (con Emilia Ravaglia - 1963), Mario Zanasi (con Renata Scotto - 1969), Leo Nucci (con June Anderson - 1990)
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