La rieducazione pensata e propugnata dalla dirigenza scaligera è arrivata all'epilogo con la proposizione dell'ultimo titolo del catalogo di Janacek.
L'opera è tratta da un romanzo di Dostoevskij. Oltre tutto, come siamo stati illuminati da Paolo Isotta, di difficile reperimento se non in biblioteche di raffinati culturi della letteratura russa.
I programmi di rieducazione odorano, sopratutto per generazioni pregresse la mia, di totalitarismo. Politico di cui il culturale è diretta discendenza.
Rieducare il pubblico infliggendogli monograficamente un autore, difficile per lingua, per costrutto musicale e, quel che è peggio, avulso dal di lui contesto culturale significa abortire l'operazione in partenza. Forse, lo abbiamo detto in occasione di Jenufa e dell'Affare Makropoulos, l'operazione avrebbe avuto carattere di più facile e felice approccio se i titoli fossero stati proposti in traduzione e insieme ad altri della scuola ceca antecedenti il nostro, come Smetana e Dvorak.
A spegnere o ridurre le polemiche circa l'inopportunità della traduzione basti che lo stesso Wagner la auspicava per i propri titoli.
Quanto, invece, alla massiccia presentazione di titoli del solo Janacek, così procedendo si commette un errore: quello di far credere, come accadeva con la storiografia di ispirazione idealista, che i grandi (ammesso e non concesso che Janacek lo sia e che questa sia una valida categoria di giudizio) siano spuntati avulsi da contesti culturali ed anche politico-sociali.
Quest'ultimo assunto, poi, è del tutto smentito dal nostro (o loro) Janacek, atteso che basta conoscere un po' il Novecento per sentire una koiné musicale, che ampliamente richiama Puccini, Mahler, e, quando si fa la parodia della grandeur russa, Mussorgsky.
Ma noi del Corriere, il Donzelli in primis, non vantiamo la cultura e la preparazione di coloro i quali provano estasi e levitazioni per l'utilizzo di un intervallo di sesta piuttosto che di una certa tonalità.
E', però, legittimo in siffatto sollucchero di cultura domandarci quanti del pubblico di ier sera (pubblico tutt'altro che numeroso) o delle altre sei repliche possano cogliere e godere di queste finezze, oltre che apprezzare la perfezione della dizione dei cantanti. Nessuno dei quali di madrelingua ceca, credo. Ma attendo le smentite delle maestrine dalla penna rossa, sempre attivissime sotto questo profilo!!!!
Il medio ascoltatore, pure sottosposto a questi massivi e rieducativi lavaggi del cervello e della musicalità, però rileva:
a) il suono dell'orchestra era sempre acido e secco. Il suono di questa qualità può essere anche mezzo di espressione se deve rendere il clima di spietata, inumana crudeltà praticata nel lager/gulag. Quando, però, il carcerato di turno deve rievocare l'amore e l'eros francamente il colore orchestrale dovrebbe essere diverso. Come diverso dovrebbe essere nella scena della recita, ove la tinta è una realistica e cruda ironia. Quella stessa realistica e cruda ironia che nella sua immensa provincialità Ruggero Leoncavallo propose nei Pagliacci. Anno dei Pagliacci 1892, anno della Casa 1928!
b) nessuno pretende in un titolo del 1928 di sentire l'erroneamente definito "belcanto", ma se pretendiamo sfumature, varietà di accento nei coevi Strauss e Puccini (e magari anche in Berg) non vedo un valido motivo per infliggere al pubblico scaligero cantanti per lo più parlanti, vocianti e rauchi. In una tale condizione si potrebbe facilmente dedurre che la ulteriore pena accessoria inflitta ai forzati, oltre alla frusta, fosse la laringotomia.
c) se dobbiamo far del nuovo e svecchiare anche il gusto visivo del settario pubblico scaligero sarebbe il caso di offrire qualche cosa di meno "già visto" del signor Chéreau i cui muri post industriali (simbolo dell'alienazione del nostro oggi)pensati per la famosa tetralogia del 1979 a Bayreuth e proposti in Scala già dal 1984con Lucio Silla sono, per usato e stantio, pari al lusso da nave da crociera di Franco Zeffirelli o alle scene ben copiate da architetture di Pierluigi Pizzi.
Se poi per essere moderni e à la page ci vengono servite due o tre chiappe maschili o un rapido riassunto delle essenziali posizioni del coito, con predilezione per quello more ferarum, o una pantomina che vorrebbe, nel tentativo di evidenziare la pervesione sessuale dei forzati evocare a certa filmografia (Pasolini, Tinto Brass) e che invece è prossima al televisivo Paolo Poli o ai Legnanesi dobbiamo, anche sotto questo profilo concludere che la rieducazione è, in realtà, ben altro!
Ben altro: ossia proporre titoli sconosciuti o quasi, che non prevedano difficoltà vocali neppur minimali (anche Ricciardo e Zoraide è titolo sconosciuto, in primis alla dirigenza scaligera, ma basta una pagina di cantabile per desistere dal proposito), avvolgerli nella dorata carta del gran nome del regista, infiocchettarli come proposta culturale, superamento della sonnachiosa "inculturà" milanese e riempire sei serate di programmazione.
Questo è solo offendere e prendere in giro il pubblico.
Il che non vuole dire che un teatro come la Scala non debba proporre Janacek, altrimenti saremmo pari in ignoranza e provincialismo a chi lo propone.
Significa: non indurre strumentalmente a credere che sia la sola produzione novencentesca degna del teatro milanese, non dimenticare (o studiare e scoprire che esista) un altro novecento.
E' per questo, senza nessuna presunzione che non sia l'informare, che proponiamo un piccolo ascolto di un titolo ignorato, che per crudezza di soggetto e di ambientazione è il vero precursore del proposto per elevare ed acculturare il pubblico meneghino: Siberia di Umberto Giordano.
Per la cronaca la signora Storchio ne fu anche la prima interprete!
Gli ascolti
Giordano - Siberia
Atto I
No! se un pensier...Nel suo amore rianimata - Rosina Storchio (1903)
L'opera è tratta da un romanzo di Dostoevskij. Oltre tutto, come siamo stati illuminati da Paolo Isotta, di difficile reperimento se non in biblioteche di raffinati culturi della letteratura russa.
I programmi di rieducazione odorano, sopratutto per generazioni pregresse la mia, di totalitarismo. Politico di cui il culturale è diretta discendenza.
Rieducare il pubblico infliggendogli monograficamente un autore, difficile per lingua, per costrutto musicale e, quel che è peggio, avulso dal di lui contesto culturale significa abortire l'operazione in partenza. Forse, lo abbiamo detto in occasione di Jenufa e dell'Affare Makropoulos, l'operazione avrebbe avuto carattere di più facile e felice approccio se i titoli fossero stati proposti in traduzione e insieme ad altri della scuola ceca antecedenti il nostro, come Smetana e Dvorak.
A spegnere o ridurre le polemiche circa l'inopportunità della traduzione basti che lo stesso Wagner la auspicava per i propri titoli.
Quanto, invece, alla massiccia presentazione di titoli del solo Janacek, così procedendo si commette un errore: quello di far credere, come accadeva con la storiografia di ispirazione idealista, che i grandi (ammesso e non concesso che Janacek lo sia e che questa sia una valida categoria di giudizio) siano spuntati avulsi da contesti culturali ed anche politico-sociali.
Quest'ultimo assunto, poi, è del tutto smentito dal nostro (o loro) Janacek, atteso che basta conoscere un po' il Novecento per sentire una koiné musicale, che ampliamente richiama Puccini, Mahler, e, quando si fa la parodia della grandeur russa, Mussorgsky.
Ma noi del Corriere, il Donzelli in primis, non vantiamo la cultura e la preparazione di coloro i quali provano estasi e levitazioni per l'utilizzo di un intervallo di sesta piuttosto che di una certa tonalità.
E', però, legittimo in siffatto sollucchero di cultura domandarci quanti del pubblico di ier sera (pubblico tutt'altro che numeroso) o delle altre sei repliche possano cogliere e godere di queste finezze, oltre che apprezzare la perfezione della dizione dei cantanti. Nessuno dei quali di madrelingua ceca, credo. Ma attendo le smentite delle maestrine dalla penna rossa, sempre attivissime sotto questo profilo!!!!
Il medio ascoltatore, pure sottosposto a questi massivi e rieducativi lavaggi del cervello e della musicalità, però rileva:
a) il suono dell'orchestra era sempre acido e secco. Il suono di questa qualità può essere anche mezzo di espressione se deve rendere il clima di spietata, inumana crudeltà praticata nel lager/gulag. Quando, però, il carcerato di turno deve rievocare l'amore e l'eros francamente il colore orchestrale dovrebbe essere diverso. Come diverso dovrebbe essere nella scena della recita, ove la tinta è una realistica e cruda ironia. Quella stessa realistica e cruda ironia che nella sua immensa provincialità Ruggero Leoncavallo propose nei Pagliacci. Anno dei Pagliacci 1892, anno della Casa 1928!
b) nessuno pretende in un titolo del 1928 di sentire l'erroneamente definito "belcanto", ma se pretendiamo sfumature, varietà di accento nei coevi Strauss e Puccini (e magari anche in Berg) non vedo un valido motivo per infliggere al pubblico scaligero cantanti per lo più parlanti, vocianti e rauchi. In una tale condizione si potrebbe facilmente dedurre che la ulteriore pena accessoria inflitta ai forzati, oltre alla frusta, fosse la laringotomia.
c) se dobbiamo far del nuovo e svecchiare anche il gusto visivo del settario pubblico scaligero sarebbe il caso di offrire qualche cosa di meno "già visto" del signor Chéreau i cui muri post industriali (simbolo dell'alienazione del nostro oggi)pensati per la famosa tetralogia del 1979 a Bayreuth e proposti in Scala già dal 1984con Lucio Silla sono, per usato e stantio, pari al lusso da nave da crociera di Franco Zeffirelli o alle scene ben copiate da architetture di Pierluigi Pizzi.
Se poi per essere moderni e à la page ci vengono servite due o tre chiappe maschili o un rapido riassunto delle essenziali posizioni del coito, con predilezione per quello more ferarum, o una pantomina che vorrebbe, nel tentativo di evidenziare la pervesione sessuale dei forzati evocare a certa filmografia (Pasolini, Tinto Brass) e che invece è prossima al televisivo Paolo Poli o ai Legnanesi dobbiamo, anche sotto questo profilo concludere che la rieducazione è, in realtà, ben altro!
Ben altro: ossia proporre titoli sconosciuti o quasi, che non prevedano difficoltà vocali neppur minimali (anche Ricciardo e Zoraide è titolo sconosciuto, in primis alla dirigenza scaligera, ma basta una pagina di cantabile per desistere dal proposito), avvolgerli nella dorata carta del gran nome del regista, infiocchettarli come proposta culturale, superamento della sonnachiosa "inculturà" milanese e riempire sei serate di programmazione.
Questo è solo offendere e prendere in giro il pubblico.
Il che non vuole dire che un teatro come la Scala non debba proporre Janacek, altrimenti saremmo pari in ignoranza e provincialismo a chi lo propone.
Significa: non indurre strumentalmente a credere che sia la sola produzione novencentesca degna del teatro milanese, non dimenticare (o studiare e scoprire che esista) un altro novecento.
E' per questo, senza nessuna presunzione che non sia l'informare, che proponiamo un piccolo ascolto di un titolo ignorato, che per crudezza di soggetto e di ambientazione è il vero precursore del proposto per elevare ed acculturare il pubblico meneghino: Siberia di Umberto Giordano.
Per la cronaca la signora Storchio ne fu anche la prima interprete!
Gli ascolti
Giordano - Siberia
Atto I
No! se un pensier...Nel suo amore rianimata - Rosina Storchio (1903)
45 commenti:
Completamente d'accordo col Donzelli: tra l'altro i propositi (sempre sgradevoli e sgraditi) di rieducazione, coincidono spessissimo con mode e - in questo caso - colonizzazioni culturali! Certo che ce ne vuole di "impegno" e tracotante ignoranza per trasformare l'identità della Scala e spostare l'asse del repertorio che tradizionalmente, culturalmente e logicamente (mi verrebbe da dire) dovrebbe essere quello italiano, verso lidi franco-germanici (e tutto il contorno). Sottintendendo che questa E' kultura, l'altra è immondizia: ridicolo che vi siano pseudo critici e pseudo intellettuali pronti a dar credito a tali fesserie. E magari a scrivere autentiche scempiaggini (incorrendo in svarioni tragici e grotteschi): mi spiace per l'ineffabile Isotta, ma il romanzo di Dostoevskij è tutt'altro che introvabile! Basta andare in una qualche libreria nel settore dei classici tascabili ed ivi rinvenirne una copia (ad una decina di €)...certo, non sarà un prezioso incunabolo, né, probabilmente, soddisferà quella parodia di dannunzianesimo che il Nostro non ci risparmia MAI (nella nebulosità retorica dei suoi scritti). Ma tant'è... Ipse dixit (e la stampa nazionale pubblica senza prendersi la briga di verificare)! Tornando al merito: BASTA JANACEK! Anche se, temo, verrò sostituito da nuovi epigoni dell'impegno culturale... Staremo a vedere cosa si inventeranno il sovrintendente che detesta il belcanto e il direttore/rockstar...
Ps: certo che se proprio volevano "svecchiarci" con la musica ceca, avrebbero potuto scegliere i lavori teatrali di Dvorak e Smetana: autori molto più grandi e molto più importanti...oltre che compositori di opere più "belle"!
Pps: ma quando si decideranno di riproporre il '900 italiano? Possibile che resistano ancora certi idioti pregiudizi
scusate il commento "stupido".. ma... ABBASSO LISSNER E VIVA LA MABILIA!!!!
Tante considerazioni condivisibili! È però vero che siamo di fronte al solito gatto che si morde la coda. Se non si programma Janacek, la gente non lo conoscerà mai, e ancor meno chiederà che si programmi. Ciò che varrebbe anche per Rigoletto, mi sia consentito.
Poi però ci si deve chiedere se qualche recita alla Scala serva a portare il pubblico verso Janacek. Mentre Rigoletto serve forse a portarlo verso Verdi?
Isotta lamenta l’introvabilità (falsa) del racconto di Dostojevski, mentre caso mai dovrebbe lamentare l’introvabilità della partitura di Janacek. E anche il fatto che le partiture di Verdi – pur trovabilissime - le acquistino solo i teatri, e pochissimi addetti ai lavori.
Diciamo la verità: che si tratti di Verdi o Janacek, oggi siamo ridotti davvero male; forse il 5% dei frequentatori dei teatri conosce - nell’accezione letterale del termine – le opere che va ad ascoltare/vedere! Era forse così anche in passato? Maybe, ma una cosa è certa: di Verdi si può magari godere epidermicamente anche senza conoscerlo… con Janacek è dura per davvero!
Sottoscrivo la recensione e le riflessioni di Donzelli. Non se ne può più di certe pappe buttate in pasto a un pubblico milanese diventato oramai onnivoro di qualsivoglia portata e pronto a spellarsi le mani dopo aver sonnecchiato per un’ora e mezza. Purtroppo non sono pregiudizi ma è quel che ho visto iersera, insieme a un amico, alla seconda recita dell’ultimo lavoro del tanto blasonato Janacek. Va detto che il consenso arriva puntuale: l’opera di “riqualificazione” culturale, che ha fatto del maggior teatro italiano il megafono di certi “sciccosi” archeologi della domenica, nonostante i palchi vuoti, trova il plauso di signorotte e signorotti in odor (!) di coprofilia (gli stessi che in loggione dicono di non amare il melodramma romantico e protoromantico!). Lungi da me comparare la produzione del ceco con altra produzione di genere escrementizio, ma una Wally, una Fedora, un’Iris, un’Arlesiana, no, eh? In una stagione così scarna proporre due Wagner nel giro di due mesi, e poi Berg, Janacek e pure il teatro giapponese!... E vedere poi Donizetti relegato alla solita Elisir con Villazon (ma, in effetti, chi la canterebbe oggigiorno una Bolena come dio comanda?), Verdi ridotto a due rappresentazioni con cast sereno-variabili, Puccini addirittura in anno sabbatico. E se per i sovrintendenti , con ogni probabilità, certo repertorio novecentesco rappresenta l’ancora di salvataggio di un’epoca che dal lato vocale ha prodotto quasi solo petomani tognazziani (prendendo così due picconi con una fava..), vien da suggerir loro che berci e voci vuote le sentiremmo anche se ci dovessero proporre La zingara guerriera di Paolo Limiti (che, detto tra noi, poco ha fatto tesoro del cognome che si ritrova…). E ora che l’”affare Janacek” è stato chiuso, che dobbiamo aspettarci? Re Roger ha da poco fatto tappa nella ville lumière. Nuove vangate in corso per la riesumazione di tutto Szimanowsky? Date le premesse, difficile resistere alla voglia di rileggere Pasolini all’ombra di Corrado: “Signori, il pranzo è servito...”.
p.s.
Duprez mi ha rubato le parole di bocca. “Memorie di una casa morta” di Dostoevskij è reperibile in qualsiasi megastore milanese (ultima edizione Bur luglio 2009). Speravamo che il buon Isotta compensasse le sue puntuali idiozie (esemplari quelle sulla Carmen ambrogiana) se non con buone letture almeno con la frequentazione di qualche libreria. Non gli rimane che il ritiro a vita privata. Nelle valli della Wally, magari. Per una volta…
Le tue oservazioni sono condivisibili, Daland, ma il problema è diverso. Premesso che non credo sia un dramma che il pubblico conosca meno Janacek di Verdi (è nelle cose che un compositore minore e locale sia meno conosciuto di un autore universale). Così pure non capisco perchè mai la Scala debba o voglia assumersi l'incarico di diffondere la musica di Janacek proponendone ogni anno un titolo, sino a coprire quasi integralmente il suo catalogo (privilegio che il medesimo teatro non concede ad altri: penso a Donizetti, al Grand-Opéra francese, a Handel, all'opera napoletana, a Rossini etc..). Io non dico che non si debba proporre Janacek, ma ogni cosa andrebbe fatta cum grano salis: la stagione scaligera è fatta di 10 titoli risicati (non 20 o 30, tra i quali Janacek può starci benissimo, insieme ad altri autori, come lui minori e locali). Sono pochi, e andrebbero gestiti meglio: ci sono fette di repertorio che vengono oggi ignorate del tutto. Ed è un repertorio che appartiene alla nostra tradizione operistica, e credo che se la Scala volesse davvero fare una politica culturale sensata e coerente, bene farebbe ad indagare quegli autori che oggi - per i motivi più diversi, spesso per pregiudizi e pruderie ideologiche - vengono ancora considerati immondizia (dagli imbecilli, ne convengo). Parlo del verismo italiano, il nostro '900, così denigrato da certe cricche... Insomma perchè buttar via denari con una serie di Janacek che lasciano la sala semideserta (e si programmano tante recite inutili) mentre Cilea, Catalani, Mascagni, Leoncavallo, Franchetti, Giordano, Alfano (ma anche Respighi, Smareglia, Wolf-Ferrari), restano ancora oggi ignorati dal teatro dove le rispettive composizioni ebbero, tra l'altro, le prime esecuzioni?
Vorrei dire al Sig. Duprez che la notizia sull'introvabilità delle "Memorie da una casa di morti" è esattissima. A parte le vecchie edizioni dei primi sessanta anni del secolo scorso, mai più ripubblicate, ne esistono due traduzioni. Quella appartenente alle opere complete dello scrittore russo,pubblicate da Sansoni, che è fuori catalogo da tempo. E quella più recente, del 1994, con l'introduzione del grande slavista Fausto Malcovati e la traduzione di Maria Rosaria Fasanelli; l'editore è Giunti.Anch'essa è fuori catalogo.
Marco Ninci
@Marco Ninci
F. Dostoevskij, "Memorie di una casa morta", Bur, luglio 2009. Introduzione di Bazzarelli e meravigliosa (aggiungo io) traduzione di Polledro. Se fa un giro in Feltrinelli piazza Duomo dovrebbe trovarne due copie sullo scaffale. Saluti
Marco Ninci,
se ti può interessare, c'è l'edizione BUR (titolo "Memorie di una casa morta", traduzione di Polledro del 2004) disponibile in 24h su IBS!
Grazie per la segnalazione. Mi scuso per l'errore.
Marco Ninci
VOGLIO I LEGNANESI IN SCALA!!!
Marianne Brandt
Mi hanno preceduto, Marco Ninci. Constato amaramente, però, che a differenza tua, il Sig. Isotta non rettificherà MAI le sue sentenze...e, come al solito, la stampa nazionale farà da eco a inesattezze, errori e strafalcioni, spacciati per verità assoluta (e come tali recepiti dalla maggior parte dei lettori).
grande Marianne Brandt!! sottoscrivo la proposta e la estendo alle Fondazioni Liriche Italiche tutte!!!!! saluti Maometto II
Sono d'accordo (e come non si potrebbe esserlo) quando Duprez afferma che Verdi è autore universale ed invece Janacek è un autore locale e minore (anche se nella musica strumentale ci sono capolavori), ma certo novecento italiano come :Cilea, Catalani, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, per non parlare di Franchetti, Alfano, Respighi (oddio!! persino lui!!!), Smareglia, Wolf-Ferrari, non mi paiono musicalmente più interessanti e meno locali di Janacek, tutt'altro, tutt'altro!!! Se poi si vuole che La Scala, in quanto a teatro italiano, se deve per forza dedicarsi al repertorio minore, debba farlo con quello locale, sono d'accordo.
Io sono dell'idea che anche nel repertorio minore (nozione che preferisco riferire a titoli specifici e non all'intera produzione di autore: scusate ma l'Alzira non mi sembra musicalmente più interessante della Francesca da Rimini o dell'Isabeau, tanto per dirne due) la scelta debba essere determinata dagli interpreti che si hanno a disposizione. Esempio non proprio immaginario o casuale: se io ho a disposizione Daniela Dessì oggi non vado certo ad affidarle Norma o Violetta, ma piuttosto Francesca o Fedora o perché no la tanto vituperata Santuzza.
Non ritengo affatto (e neppure ho scritto) che Franchetti, Alfano, Respighi, Smareglia, Catalani, Wolf-Ferrari, siano meno "locali" di Janacek. Al contrario di Cilea, Mascagni, Leoncavallo, Giordano che invece ebbero diffusione assai più cospicua! Sul valore musicale non mi addentro (però, francamente, non capisco dove Janacek sia superiore a Cilea, ad esempio). Il mio è un discorso di opportunità: la Scala ha un dovere culturale che preferisce non adempiere per accodarsi alle mode franco-germaniche (delle quali l'attuale dirigenza è banalissima espressione). Non vedo perchè a Milano ci si debba sorbire un'opera come la Casa di Morti (che non ha nulla di attraente) e non una Francesca da Rimini o Iris o Fedora... Forse Janacek fa più chic di Mascagni?
Franchetti, Alfano, Respighi, Smareglia, Catalani, Wolf-Ferrari, sono compositori musicalmente minori, molto più minori di Janacek così come Cilea, Mascagni, Leoncavallo, Giordano sono musicalmente molto meno interessanti di Janacek.
In campo operistico, in Italia, l'ultimo grande compositore universale, universale nel senso di compositore maggiore (e non solo di diffusione), è stato Giacomo Puccini.
Se ben cantato preferisco 100 Janacek a un Mascagni.
> Se ben cantato preferisco 100 Janacek a un Mascagni.
Peccato che oggi come oggi "ben cantato" sia un non sequitur, massime in Janacek.
Domanda magari oziosa: perché La Voix Humaine cantata da Denise Duval o Magda Olivero è un'opera splendida e cantata da Jessye Norman o Angeles Blancas Gulin è una punizione? ;)
Rispondo con Italico Orgoglio:
trovo La Wally di Catalani opera tutt'altro che minore!
Trovo il Mascagni di Iris, Isabeau, Parisina, Lodoletta, Il piccolo Marat, compositore tutt'altro che "locale" e da non confinare alla sola Cavalleria (con una curiosità: il Ratcliff).
Trovo Pagliacci ed i Medici di Leoncavallo opere GENIALI, tutta'altro che frutto di un compositore locale e minore (con una curiosità d'ascolto: Chatterton).
Trovo Arlesiana e Adriana Lecouvreur di Cilea due opere bellissime capaci di reggere con interpreti GIUSTI in tutte le piazze internazionali.
Trovo compositori come Busoni e Menotti due personalità di spicco della musica del '900, le loro opere sono magnifiche!
Trovo Sly di Wolf-Ferrari opera musicalmente sublime che dovrebbe avere maggiore diffusione e non essere relegata a tenori che perdono colpi.
Detto questo, parlo dopo aver ascoltato le opere di Janacek, trovo tale compositore a MIO UMILE GIUDIZIO PERSONALE, poco interessante, un pò monotono, melodicamente sensibile, ma spigoloso e poco coinvolgente.
L'unica volta che mi è piaciucchiato è stato nella Jenufa scaligera con la Bumbry e la Olivero (travolgenti), mentre nella Kabanova, nel Makropulos (per carità), nella Casa di morti (anestetica), nella Volpe astuta ho apprezzato i soggetti, ma non la loro realizzazione musicale e vocale.
E' doveroso mettere in scena Janacek, ma è altrettanto doveroso per un teatro ITALIANO mettere in scena opere della tradizione novecentesca ITALIANA che non ha, a parer, mio nulla da invidiare a Janacek o chi per lui.
Marianne Brandt
Condivido quanto scritto da Marianne. E nonostante il '900 italiano non sia tra i miei repertori favoriti, ritengo sia musicalmente valido, almeno quanto quello della più blasonata mitteleuropa e della coeva opera francese (certo con stili e linguaggi differenti). Nella tipica esterofilia italica, chissà perchè si ritiene cultura Massenet, Janacek, Poulenc, Szymanowski (temo l'imminente arrivo di quell'atroce tortura che è il Krol Roger), e si reputa immondizia Cilea, Mascagni, Catalani etc... (o peggio, quando certi illuminati direttori d'orchestra aggiungono a "immondizia" pure "fascista", rifiutandosi, sdegnati, di aver a che fare con "certe cose"). Siamo a Milano e non a Brno o a Aix-En-Provence...si potrà, di grazia, pretendere musica che appartiene alla nostra cultura?
Poco mi interessa che Janacek venga cantato bene o cantato male (penso che non richieda certo dei mostri di vocalismo, bastano onesti professionisti), perchè resta SECONDO ME, autore di musica poco stimolante, poco fantasiosa, poco elaborata, di scarsa vena melodica, di scarsa suggestione orchestrale, di dubbia ispirazione: se devo ascoltarmi un recitativo lungo 90 minuti mi rivolgo all'Alceste di Gluck... Trovo Janacek un compositore noioso e banale, ripetitivo e soporifero: rubando da un noto uomo di spettacolo (giacchè la critica d'arte - sua professione principale - pare l'abbia ormai accantonata) una definizione ideata per altro autore (di cui si stava sorbendo in Scala un lunghissimo spettacolo) direi che Janacek è come il salame, assaggiata una fetta il resto è uguale... Ecco, a Milano, di quel salame abbiamo fatto indigestione, e stan già uscendo le bolle...non vorrei si debba ricorrere anche ad una lavanda gastrica..
marianne dimentichi di Mascagni
"L'amico Fritz"
"duetto delle ciliege"
dal musichiere Villa e Olivero
http://www.youtube.com/watch?v=c26XVy6TObg
Visto questo scempio.
La rieducazione serve a Lissner & Co per il continuo proporre questo stesso tipo di spettacolo ormai da anni. Niente di nuovo sotto il sole.
Una noia infinita.
Bravi voi che dite le cose giuste.
Non ho niente da aggiungere. Siete stati completi, come al solito!
Non dimentichiamo l'opera "Le Maschere" di Mascagni che è una deliziosa opera che combina una buona parte delle maschere italiane. O... fare "l'altra" Boheme (di Leoncavallo)?
Le scelte sarebbero tante.
Ma ovvio che manca la volontà!
Vergogna La Scalà di Milan et Lissner & Co
Pasquale, grazie per l'ascolto, prima di tutto, è sempre un piacere sentire Magda e Claudio intonare e interpretare lo splendido "duetto delle ciliege".
Non ho dimenticato il Fritz, purtroppo non l'ho mai sentito e non posso esprimere un parere al riguardo.
Conosco solo il "duetto" appunto, ma se avrò la possibilità di rimdediare, spero di aggiungerlo alle opere citate.
Grazie
Marianne Brandt
Trovo tutta questa polemica su Janacek francamente incomprensibile. Janacek è ormai universalmente considerato un caposaldo della letteratura operistica della prima metà del Novecento. Un grande teatro di livello internazionale come La Scala ha il dovere di eseguirlo. Punto e basta. Qui non c'entra l'imposizione della cultura. Si esegue Janacek come si legge Kafka, perché il livello di Janacek è proprio quello del suo grande conterraneo e la Boemia non ha mai avuto due figli più grandi di loro, neppure Mahler, neppure Dvorak.
Marco Ninci
Marco Ninci, il fatto che kafka e Janacek siano i "figli" più grandi che la Boemia abbia avuto in campo artistico, è una tua personalissima convinzione: in primis per il semplice fatto che Janacek non era boemo, ma nativo della Moravia (per la serie: quando si fanno delle sparate sensazionalistiche, almeno ci si informi...come la storia della presunta introvabilità del racconto di Dostoevskij). Fossi in te mi farei una ragione del fatto che qualcuno abbia gusti differenti e possa ragionare in modo indipendente rispetto alle imposizioni pseudo culturali dei più. Non capisco però come si possa dire che OGGETTIVAMENTE (giacchè TU, a differenza MIA, non hai premesso alcun "secondo me") Janacek sia compositore più importante e "grande" di Dvorak e Mahler, mi sembra una boutade detta per il puro gusto di contestare. A livello tecnico il confronto tra questi ultimi due e Janacek è spiazzante: la ricchezza d'orchestrazione, l'ispirazione, la facilità melodica, lo sperimentalismo, l'originalità di soluzioni di Mahler e Dvorak sono incommensurabilmente più grandi del monotono grigiore dell'orchestra di Janacek. E questo è oggettivo. Solo uno sprovveduto (o uno che scambia i propri gusti per verità incontrovertibili) potrebbe ritenere che Sinfonietta (famoso più per il riarrangiamento fattogli negli anni '70 da Emerson, Lake & Palmer, che per il suo intrinseco valore) o il poema sinfonico Taras Bulba, valgano più della III di Mahler o della II, oppure dei grandi concerti di Dvorak, del suo ciclo sinfonico. E non parliamo della musica da camera: davvero ritieni che i grandi quartetti di Dvorak siano meno importanti delle sparute sonate di Janacek E che dire della musica sacra: la messa glagolitica non è certo superiore, per ispirazione e forma, al Requiem o a Santa Ludmilla... Inutile il confronto con la musica teatrale. Dvorak è autore di splendide opere, che hanno il torto di essere molto più difficili da eseguire rispetto ai lavori di Janacek (Rusalka, Dimitri, Vanda...). Insomma se ti piace Janacek non ho nulla da dire (a me non piace PER NULLA), ma non venire a raccontare che si tratta di uno dei più grandi compositori europei, perchè è ridicolo...
Marco, scusami, ma infatti io ho scritto: "E' doveroso mettere in scena Janacek, ma è altrettanto doveroso per un teatro ITALIANO mettere in scena opere della tradizione novecentesca ITALIANA che non ha, a parer, mio nulla da invidiare a Janacek o chi per lui."
Spero ti sia chiaro il concetto!
Per quanto riguarda Janacek che supera in grandezza Mahler e Dvorak, SPERO sia solo una TUA opinione.
A Janacek, personalmente, prefersisco una qualunque pagina di Mahler o la "semplice" Rusalka (Mlada Subrtova che canta la "Canzone alla luna" mi commuove, la Kabanova o Makropulos, per quanto mi sforzi, sono una doccia gelida. Ma questi sono mie impressioni).
Non discuto sul fatto che sia riconosciuto il talento di Janacek.
Marianne Brandt
Riconosco il mio errore sulla Boemia e la Moravia; ma ovviamente questo non toglie alla mia opinione una briciola della sua forza. Ed è sicuro che Janacek è uno dei più grandi compositori europei.Quello che però mi incuriosisce è che l'antipatia per Janacek è condivisa anche da quello snobbone che è Mario Bortolotto; ma per ragioni diverse dalle vostre. Per lui la via maestra del Novecento parla tedesco; Richard Strauss da una parte, la scuola di Vienna dall'altra. Troppo contadino Janacek, troppo populista e così poco cittadino, con la sua passione per gli esiti anche politici della Russia sovietica. Nella vostra antipatia sembra emergere invece una valutazione molto positiva del verismo italiano; come se Janacek fosse il suo concorrente, ma molto più sprovveduto e provinciale. Non so; so soltanto che un po' di anni fa mi è capitato di ascoltare a teatro "Il piccolo Marat"; raramente ho sentito opera più brutta e sgraziata. Ma lasciamo perdere anche questo. Una questioncella di italiano; quando io dico che la Boemia (o la Moravia) non ha avuto figli più grandi di loro, dico esattamente che ci possono essere stati figli grandi come loro; è il caso di Mahler e Dvorak e anche Smetana. Dire che Janacek è un grandissimo non è una sparata sensazionalistica; a me francamente sembra un'ovvietà. Oltretutto le opere di Smetana e Dvorak mi piacciono molto. Ho sentito ultimamente "Le due vedove" di Smetana e l'ho trovata deliziosa. Ma non è un motivo per trascurare Janacek, cui in Cecoslovacchia è stata fatta per tanto tempo un'opposizione strenua, proprio in nome di Smetana. E' forse anche per questo che ho un'enorme simpatia per lui. E il quartetto "lettere intime" è davvero tanto brutto? A me sembra possa stare tranquillamente accanto alla "Lyrische Suite" di Alban Berg, sulla cui sublimità penso si possa essere tutti d'accordo. O no? Un'ultima curiosità. Non sarà per caso che anche la passione per Kafka è frutto di un'imposizione pseudo-culturale? Sono a piè fermo, pronto ad ascoltare una risposta di qualsiasi tenore.
Ciao
Marco Ninci
Mi permetto di contestare Marianne: quando scrivi "è doveroso mettere in scena Janacek"! Ma perchè mai sarebbe doveroso? Sarebbe doveroso proporre l'integrale di Ponchielli? No. Sarebbe doveroso mettere per forza in scena una Tosca all'anno? No. Sarebbe doveroso presentare un tutto Apolloni? O un tutto Bottesini? Non credo.. Si tratta di scelte dettate da opportunità e politica culturale: orizzonti che mancano alla dirigenza scaligera che ci propina un indigesto tutto Janacek (che il pubblico evidentemente non gradisce: la sala mezza vuota ad OGNI replica è lì a dimostrarlo) riciclando allestimenti già sfruttati in Europa, e firmati dagli amici del direttore/rockstar o del sovrintendente baroccò.... Ma lasciamolo ai Cechi Janacek! Perchè costringersi a metterlo in scena? Certo ci fossero 40 titoli a disposizione per stagione, un posticino ci sta anche... Ma poi perchè Janacek sì e Piccinni no? O Caldara o Handel o...
Marco Ninci: di Kafka non ho parlato assolutamente. E sono pure d'accordo con te (anche se, propriamente, considero Kafka più figlio della cultura absburgica che esponente del localismo boemo: e infatti Kafka scrive in tedesco, la lingua dell'impero). Ma lasciamo stare. L'antipatia per Janacek è semplicemente una reazione ad un'imposizione fastidiosa che il pubblico scaligero sta subendo da anni: ossia la proposizione annuale di un titolo del suo catalogo sino ad esaurimento (e del catalogo e della sopportazione del pubblico). Semplicemente non mi piace la sua musica, il suo teatro, la sua scrittura orchestrale: nulla. Lo trovo grigio e anonimo. Maldestro nell'orchestrazione, poco originale nell'inseguire suggestioni altrui (dall'espressionismo allo sperimentalismo dissonante, passando per il solito recupero del folklore locale). Trovo le sue opere noiose e monotone: un continuo declamato con poco respiro (sia sinfonico che vocale), con scarsissima attrattiva musicale. Convengo invece sulla bellezza di soggetti e libretti. Non critico Janacek perchè troppo "contadino" o perchè "affascinato dall'esperienza politica sovietica" (come la metterei col mio adorato Shostakovich?). E neppure mi sogno di dire che il '900 musicale si racchiuda tra Strauss e scuola di Vienna (anche se è innegabile la sua preminente importanza). Il continuo accostamento col verismo è dovuto solo a questioni di opportunità: non vedo Janacek come rivale del verismo italiano...dico solo che mi sembra incongruo che un teatro di grande importanza internazionale, vero, ma di grandissima tradizione italiana si ostini oggi, nel 2010, a perpetuare l'ostracismo assurdo verso una componente importantissima (che piaccia o meno) nella sua e della nostra storia musicale. Perchè "educare" il pubblico affliggendolo con spettacoli che vanno deserti (e a prezzi esorbitanti: giacché nemmeno il buon gusto di differenziare i prezzi in base al titolo, riescono a concepire in via Filodrammatici) e non tentare un'indagine seria, priva di pregiudizi su una stagione essenziale della nostra cultura? Distinguendo ovviamente "il grano dal loglio", ma non rifiutandolo in blocco, quasi schifati... Ad essere sincero neppure io amo il verismo (preferisco Donizetti e Rossini o Handel o Monteverdi), ma ritengo doveroso che la Scala si preoccupi di presentare qualche Janacek in meno e magari ogni tanto uno Zandonai, un Mascagni, un Catalani... E poi, ripeto, l'intero catalogo di Janacek ci siamo "pippati"!!!! Ma perchè? Quando mai è stato fatto per altri autori? Lo facciano a Brno un'operazione del genere!
Caro Duprez, infatti se leggi bene, il mio "è doveroso" riferito a Janacek può essere esteso a mille altri compositori.
Ho fatto l'esempio del verismo e dei compositori novecenteschi.
Non ho parlato di allestire Tosca ogni anno, o di proporre integrali monografiche, la Scala, tra l'altro, nella sua fantasia, ci ha deliziato per anni con Traviata replicata all'infinito e Bohème spremuta peggio di un limone.
Per me va benissimo mettere in scena una Jenufa, o una Kabanova, tanto per dire, sia per far conoscere un autore che merita rispetto, sia perchè in Italia ha giustamente i suoi cultori tra il pubblico che vanno accontentati.
Diventerebbe non una opportunità politica, ma una opportunità culturale e divulgativa se fatta a dovere.
Stessa cosa andrebbe applicata ai compositori che citi, a cui aggiungerei Paer, che meriterebbero una rispolverata (non integrale eh).
Ben vengano, Janacek, il Verismo italiano, ed anche opere di Ponchielli, Caldara, Piccinni, Mercadante, etc. etc. etc.
Marianne Brandt
PS e ben vengano anche stagioni più lunghe e ricche di titoli, come lo erano un tempo e come lo sono quelle dei teatri europei ed americani.
La mia era una contestazione bonaria Marianne, ed è verissimo quanto dici: il problema è l'esiguità di titoli (all'Opéra ogni anno la stagione conta più del doppio dei titoli della Scala, e poi c'è lo Chatelet, Champs Elyseés, Opéra Comique: a Milano gli 11 titoli della Scala e BASTA, dato che si è preferito appaltare l'Arcimboldi ai guitti di Zelig o di Colorado Café o di altri varietà del Presidente del Consiglio). Ma proprio l'esiguità di titoli merita una maggiore ponderazione delle priorità: tra di esse non può esserci Janacek, non me ne vogliano i suoi cultori italiani, ma davvero non vedo la ragione di un tale impegno pluriennale. Ha molti più diritto il verismo, Piccinni, Caldara, Paer, Mercadante e persino Pacini... E non mi si venga a dire del rischio di sala vuota! Era piena con Janacek? NO!
Ps: penso che di Janacek si possa benissimo fare a meno...
Siamo messi proprio bene direi! il ciclo Janacek? Dovrebbero fare come con la Tetrologia di Wagner - fare tutto in una stagione e di fila!
Quest'ultima è stata proprio la ciliegina sulla torta.
Katya e Jenufa almeno hanno un pò di dramma dentro; Volpe potrebbe essere al limite carina; Makropoulos, inquietante. Ma questa... e in questo allestimento? Una tortura!
Non voglio continuare per non ripetere quanto è scritto e detto sopra. Il Corriere ha proprio ragione in tutto quello che dice! Grazie di esistere. Mi risparmiate un sacco di fiato!
Peccato che La Scalà non ci risparmi queste schifezze!
Cari amici, vorrei semplicemente che leggeste le meravigliose pagine dedicate da Milan Kundera a Janacek nei due volumi "I testamenti traditi" e "Un incontro", ambedue pubblicati da Adelphi. Sono veramente commoventi e rivelatrici. E testimoniano una cosa di cui sono stato sempre convinto; che molto spesso le cose più acute sulla musica sono state dette non dagli storici della musica ma dagli scrittori e dai filosofi. Oltretutto Kundera afferma che la sfortuna di Janacek è sempre stata quella di essere considerato nella prospettiva del nazionalismo cèco; mentre avrebbe avuto tutto da guadagnare dall'essere considerato nella prospettiva generale dell'estetica europea. Questo per rispondere a chi dice che la considerazione di Janacek da parte di Kundera sia dovuta a motivi nazionalistici. E' vero piuttosto il contrario. E quando il grande scrittore definisce "La piccola volpe astuta" la più malinconica delle opere, non posso che essere d'accordo; e, aggiungo, una delle più belle mai scritte. E' quanto pensava anche il grandissimo regista Walter Felsenstein, che aveva allestito una memorabile messa in scena della "Volpe" alla Komische Oper di Berlino Est; direttore l'altrettanto grande Vaclav Neumann. E ho sentito con le mie orecchie sia Massimo Mila che Fedele d'Amico affermare che quello spettacolo era uno dei più belli, se non il più bello, della loro vita di frequentatori di teatri. Forse anche la qualità della musica avrà avuto a che farci.
Saluti
Marco Ninci
a me, parlando di animali fanno tanta malinconia le favole di esopo e quelle di lafontaine.
ciao dd
carissimo marco,
questa Tua missione di convincere che Janacek sia un grande autore, di levatura storica, supportatata da opinione di chi ha o avrebbe o si presume abbia fatto la storia dell'interpretazione e della critica musicale è assolutamente commovente.
Ma il problema mi sembra altro e differente.
Tralascio il valore di Janacek ( a me continua a non piacere e lo sopporto a stento, salvo che non lo cantino in italiano Olivero e Bumbry, ma anche questo è ultroneo al mio discorso)e riporto la vexata quaestio nei binari in cui dovrebbe stare a mio avviso.
Ossia è presunzione ed in fondo ignoranza assumere che Janacek sia un musicista inarrivabile per giustificarne l'ingiustificabile distribuzione ai danni del publico scaligero.
Ingiustificabile perchè un teatro che si arroghi la qualità e la storia scaligera DEVE proporre una varietà maggiore di titoli, fra i quali gli italiani coevi ad Janaeck e perchè non si può nella striminzita e misera programmazione scaligera piazzare ogni anno un titolo di janacek.
Ben comprendi che la scelta avrebbe un peso ed un tasso di inculturalità ben minore se i titoli per ciascun anno fossero venti-venticinque.
La verità lo ripeto è che la Scala ha la prosopopea di far ingoiare ai suoi abbonati ed al suo pubblico allestimenti di altri teatri (e sin qui nulla di male) che non comportino a differenza di una Francesca da Rimini rischi di fischi e di riprovazioni.
Tutto qua.
ciao dd
Caro Ninci anche io quando vedo "Bambi" piango come le cascate delle Marmore, ma almeno li cantano il minimo sindacale e canzoni di grande presa emotiva.^_^
Saluti.
PS.
Volevo rispondere ad un "amante della Tebaldi" che fa parte di una certa "cellula del centro Italia". Carissimo, grazie prima di tutto della assiduità con cui ci leggi e con cui ci citi nel Forum sul quale scrivi, ma volevo precisare una cosa visto che parli senza sapere o conoscere.
Noi a differenza del sito in cui scrivi non abbiamo la possibilità di avere accrediti stampa, ma i biglietti ce li compriamo con i nostri soldi, e può capitare che per una recita non ci siano posti o che nelle successive non si possa andare per impegni personali. Non abbiamo alcuna paura di renderci ridicoli se recensiamo positivamente uno spettacolo, "Italiana in Algeri" a Firenze in questo caso, o una cantante, la Barcellona in questo caso e lo abbiamo ampiamente dimostrato.
Credo che sia più il tuo un "partito preso" e anche piuttosto superficiale e banale, quindi prima di parlare o in questo caso scrivere informati alla fonte invece di fare disinformazione, altrimenti finiremo per pensar male e a volte di azzeccarci anche.
Saluti
Marianne Brandt
Janacek è un compositore interessante, e non merita tutto il discredito di cui è stato vittima in questo blog, ma concordo che rimane comunque un compositore minore, tanto minore quanto Smetana anche se per certi aspetti MOLTO più interessante di Smetana, invece Dvorak lo metterei nell'Olimpo fra i grandissimi accanto a Mahler e Brahms, per citarne solo due fra i suoi contemporanei.
Il novecento italiano purtroppo dopo Puccini, a parte Adriana Lecouvreur, è musicaccia! Ma proprio musicaccia da c.......Però se cantata bene come la cantavano i cantanti dell'epoca l'ascolto volentieri, ma non per la musicaccia in se, piuttosto per la bellezza del canto. Quando uno canta bene potrebbe farmi ascoltare qualsiasi cosa.
Mah, non so se la mia fedeltà a Janacek sia commovente; certo è autentica e niente affatto figlia di snobismo o sensazionalismo d'accatto. Penso che il nocciolo della questione sia tutto qui. Io considero Janacek un grande classico del Novecento, della cui importanza ed opportunità esecutiva non ha senso discutere. Voi non condividete questa opinione. Ognuno di noi vada perciò con Dio e col suo fardello di idee, pregiudiziali o no che siano.
Saluti
Marco Ninci
Caro Semolino, "noi siamo sempre a quella": ci vorrebbe un poco di varietà e di fantasia. Pensa ad esempio a una bella stagione tutta incentrata sul mito della Diva: Adriana Lecouvreur, Tosca, Caso Makropoulos, Contes d'Hoffmann, Prova di un'opera seria, Convenienze e inconvenienze teatrali... Certo il più è trovare chi te le canta, ma anche solo l'idea di una stagione simile mi sembra molto lontana dagli intenti "edificanti" oggi in voga. In Italia ma non solo, ovviamente.
sto dibattito su Janacek mi ha fatto venire due....janacek così!
scusate la prosa ma...uffaaaaaa...
cambiamo post, musicista ed argomenti, please!
Invece per me questo dibattito è stato molto interessante. Non tanto riguardo a Janacek, sul quale sostanzialmente non è stato detto nulla, né da me né da altri, quanto in relazione ai gusti di una parte degli appassionati, scaligeri e non. Interessante davvero.
Marco Ninci
si, ho capito.
Ma le posizioni sono chiare da parecchi commenti....o no?
Mi piacerebbe moltissimo ascoltare alla Scala "Der Corregidor" di Hugo Wolf e "Palestrina" di Hans Pfitzner. In secondo luogo, "Mathis der Maler" e "Harmonie der Welt" di Paul Hindemith.
Marco Ninci
Anche a me interessano il "Palestrina" e "Mathis der Maler" e aggiungerei la bellissima "Regina di Saba" di Goldmark oppure "Ilsebill" di Klose, e l'integrale di Menotti e Busoni.
Eh... son sogni caro Ninci...
Marianne Brandt
Nulla contro Goldmark o Pfitzner (ma il "Palestrina" è micidiale) o Hindemith...ma io mi "accontenterei" di una "Semiramide" o una "Norma" o "I Puritani" o "Gli Ugonotti" o "Medea"....
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